Nucleo 7                                                                                            Back to FanFic  Back to Home

Nucleo: parte vitale, centrale, di qualcosa, di cui in genere ha costituito... l’origine.

 

Erano ormai le quattro del pomeriggio quando qualcuno suonò alla porta di casa Mito.

“Yohei c’è un signore che vuole parlare con te!” gridò Takao, il volto rivolto alle scale che portavano alle camere da letto.

Il moretto fece capolino dal pianerottolo sorpreso.

Nell’ingresso, un uomo dall’aria compita e fredda attendeva immobile.

Portava un completo grigio molto raffinato, che gli disegnava le spalle larghe, e una cravatta azzurro metallico di seta.

Che diavolo ci faceva una persona simile a casa sua?

E che cosa voleva da lui?

Avvertì uno strano brivido lungo la schiena e la sua espressione inevitabilmente s’indurì.

L’istinto gli diceva di non fidarsi.

E lui aveva sempre dato retta all’istinto.

“Desidera?” chiese cominciando a scendere le scale con passo volutamente lento, misurato, il suo incedere guardingo ma i suoi occhi fieri, puntati in volto all’estraneo, che invece proteggeva i suoi dietro le lenti spesse di un paio di occhiali da sole.

L’uomo gli porse una mano regalandogli un sorriso asettico quasi quanto il suo completo.

“Sono il dottor Edmond Richard, esperto di malattie veneree” disse rivelando una voce bassa anche se non spiacevole.

Era ben modulata eppure in essa Yohei scorse lo stridere di una nota falsa.

Decisamente quella persona non gli piaceva.

E poi ancora non riusciva a capire che cosa volesse da lui un esperto di malattie veneree.

Edmond aveva notato che il moretto lo fissava con sospetto.

Sorrise tra se e se divertito.

Quello non era un ragazzino stupido.

Aveva negli occhi la determinazione e la cautela di un uomo di strada.

Gli piaceva il suo sangue freddo.

Probabilmente sarebbe stato un ottimo agente, ma lui non era lì per reclutarlo anche se indirettamente quel ragazzo avrebbe comunque lavorato per lui.

Finse di non aver notato la sua palese diffidenza, sapeva su quali tasti battere per ottenere le informazioni di cui aveva bisogno.

“Si tratta del tuo amico Hanamichi” disse infatti sorridendo soddisfatto tra se quando vide il suo antagonista impallidire.

Yohei gli fece cenno di accomodarsi nel piccolo salotto e Richard si impose un paio di secondi di silenzio per accrescere il nervosismo del ragazzo.

“Sono stato contattato ieri dal mio collega, il dottor Meji...” mormorò.

Il cuore di Yohei fece un balzo mentre lo stomaco gli si serrava in una morsa dolorosa, s’impose comunque di rimanere in silenzio e ascoltare quanto il medico aveva da dirgli.

“...perchè voleva farmi esaminare un campione di sangue” continuò a raccontare l’uomo.

Yohei trattenne il respiro mentre le mani gli si serravano violentemente a pugno.

No, no, no! pregava incessantemente una vocina nella sua testa.

“Ad una prima analisi non è stata riscontrata nessuna anomalia” gli spiegò Richard che si era accuratamente studiato la parte “Ma ad un più attento esame, effettuato nel mio laboratorio, abbiamo individuato in alcuni dei globuli rossi una piccola mutazione” spiegò conscio che il ragazzo dinanzi a lui poco poteva sapere di medicina.

Ingannarlo sarebbe stato facile.

La sua preoccupazione per l’amico era ormai palese!

“In che senso una mutazione...?” chiese con un filo di voce Mito.

“Sarò chiaro ragazzo...” disse Richard, fingendo un contrito dispiacere “...si tratta di un cancro a livello sanguigno.”

Yohei si sentir venir meno, tanto che dovette chiudere gli occhi e appoggiarsi all’indietro, contro il divano, per non crollare.

Hanamichi allora era malato!

Altro che calo di zuccheri!

“E’... è grave...” mormorò dopo un lungo momento di teso silenzio.

Richard ghignò soddisfatto guardando il ragazzo che teneva ancora gli occhi chiusi.

“Potrebbe essergli fatale” mormorò con tono volutamente basso e vibrante.

Yohei sussultò violentemente, spalancando le palpebre di scatto “Kami no...” ansimò.

Il medico tuttavia sollevò una mano, calmandolo.

“Ho detto ‘potrebbe’, questo genere di malattia può essere curata con un’apposita terapia” gli spiegò guardandolo tirare un momentaneo sospiro di sollievo.

“Ma la cura deve essere iniziata da subito.” spiegò “Siamo ancora in tempo per salvargli la vita!” disse esibendosi in un’espressione incoraggiante e pietosa che avrebbe vinto l’oscar.

“Stamani io stesso mi sono recato a casa del tuo amico per parlarne con lui ma non l’ho trovato” disse con falso cruccio.

Yohei si affrettò ad annuire ormai abbandonata la prudenza, troppo preso dalla preoccupazione “E’ in ritiro con la squadra di basket!” lo informò.

“Dove?” chiese Richard cercando di non far vibrare nella voce la sua impazienza.

“A ****” disse Yohei ignaro delle vere intenzioni dell’uomo.

“Bene!” esclamò raggiante Richard balzando in piedi, sorridente.

E in quel momento non stava fingendo.

La sua era gioia pura.

Ma non era data dalla consapevolezza di poter salvare il suo ‘paziente’.

“Mi recherò lì immediatamente non c’è tempo da perdere!!!” disse avviandosi verso la porta.

“Aspettate!” disse Yohei balzando in piedi e rincorrendolo fino all’ingresso “Posso venire con voi?”

Il dottor Richard si bloccò sulla soglia soppesando per un momento la domanda del ragazzo.

Poi nei suoi occhi si accese una luce ferina “Ma certo!” sussurrò.

“Hanamichi si sentirà più tranquillo se sarai tu a presentarmi” disse mentre il suo sorriso si allargava a dismisura.

 

Con somma felicità di Akira il rifugio si rivelò essere un grande cottage montano con molteplici stanze doppie.

Nonostante gli sbraitamenti di Taoka trascinò Koshino in quella che, aveva deciso, sarebbe stata la sua, senza ascoltare nessuno.

Prima che il coach Anzai invece distribuisse le stanze ai suoi, il porcospino fece in modo di avvicinarsi al nonnetto e buttare con molta nonchalance un’affermazione del tipo: “Certo che mettere Rukawa e Sakuragi nella stessa stanza farebbe un gran bene al loro affiatamento!!”

Il nonnetto non si era sbilanciato proferendo il suo solito “oh oh oh” ma poi con gran soddisfazione dell’asso del Ryonan e una discreta dose di terrore da parte di Hanamichi, il coach dello Shohoku aveva deciso proprio di assegnare al volpino e al rossino la stessa stanza.

Sakuragi naturalmente fece fuoco e fiamme mentre il numero undici dello Shohoku, riconfermando la teoria dell’improvvisato cupido, si limitava ad un’alzata di spalle e al suo solito, incomprensibile, “Hn...”.

Sendoh gongolava.

Non aveva potuto fare a meno di notare un sensibile cambiamento nell’atteggiamento di Rukawa.

Era sicuro che Hanamichi avesse molte più probabilità di quanto credesse e ne era molto felice.

Ultimamente, il rossino, gli era sembrato stranamente malinconico, lontano, come se la sua mente fosse altrove.

Inoltre non aveva potuto fare a meno di notare che il ragazzo aveva dormito per tutto il viaggio e che, anche una volta sveglio, non aveva la solita energia.

Taoka non gli lasciò comunque molto tempo per congetturare e pianificare dato che impose loro di andarsi a cambiare per fare una ‘tonificante’ corsa tra i boschi.

“E ricordatevi che non siamo qui in vacanza!” tuonò.

 

Kei seguì con lo sguardo la figura dell’amico salire in camera con la Falce Nera prima di sospirare spostando la sua attenzione sulla dottoressa che stava parlando con l’allenatore della sua squadra.

Non erano cambiati.

Il loro aspetto era esattamente quello di molto tempo prima ma a differenza sua sembrava che nessuno di loro ricordasse.

D’altronde, forse, non erano stati ancora abbastanza vicini al potere del Nucleo, come invece era accaduto a lui, molti anni prima.

 

Richard aveva fatto accomodare Yohei nella sua lussuosa berlina partendo alla volta della località montana dopo aver comunicato telefonicamente la destinazione alla sua squadra.

Loro li avrebbero preceduti sul luogo, preparandosi per una perfetta azione sincronizzata che li avrebbe portati alla cattura dell’alieno.

Una volta giunti a destinazione lo stesso Mito gliel’avrebbe indicato, consegnandoglielo su un piatto d’argento come un novello Giuda.

Già pregustava il suono elettrico con cui la gabbia magnetica si sarebbe richiusa attorno alla creatura, impedendogli qualsiasi via di fuga.

E poi ci sarebbe stata solo fama, gloria e ricchezza.

Gli sciocchi che avevano osato dubitare delle sue teorie avrebbero dovuto inchinarsi ai suoi piedi e chiedere perdono.

Impose alla sua bocca di mantenere una piega preoccupata facendo uno sforzo enorme per non sorridere.

Per giungere a destinazione sarebbero occorse molte ore.

Ma non aveva importanza.

Ormai Hanamichi Sakuragi era nelle sue mani!

 

“Allora Hana che effetto ti fa essere di nuovo qui?” gli chiese Kei sedendosi al suo fianco, poco dopo cena, osservando l’amico intento a osservare i grandi alberi, seduto su un tronco caduto.

Sakuragi respirò a pieni polmoni l’aria limpida, sorridendo.

“Mi era mancato questo posto!” ammise.

Kei annuì allungando una mano per passargliela dolcemente tra i capelli con uno sguardo strano.

“Che cosa c’è?” gli chiese Hanamichi riconoscendo una luce di preoccupazione negli occhi verdi dell’amico.

Kei aprì la bocca per parlare ma poi scosse il capo “Nulla” mormorò piano.

 

Poco distante da loro Akira e Koshino spiavano la scena.

“Questa non ci voleva” mormorò il playmaker del Ryonan osservando i due seduti un po’ in disparte chini uno verso l’altro in un atteggiamento facilmente fraintendibile.

Akira ridacchiò, spostando lo sguardo su un’altra persona che osservava la scena con occhi di ghiaccio.

“Invece credo che questa cosa aiuterà Rukawa a darsi una svegliata” disse indicandogli il moretto con un cenno del capo.

Il numero undici dello Shohoku stringeva tra le mani un rametto di legno come se volesse stritolarlo, era facile capire che stesse immaginando di avere tra le mani il collo di un certo guardia boschi.

Akira era sicuro che ormai Rukawa fosse vicino alla consapevolezza.

E se conosceva abbastanza il volpino, come lo chiamava Hanamichi, questi presto si sarebbe mosso.

Magari quella sera stessa.

Infatti il loro coach aveva lasciato ai ragazzi la prima sera di libertà avvertendoli però che già dal giorno successivo non avrebbero potuto evitare un bell’allenamento dopo cena.

L’affermazione era stata accolta da una notevole serie di sguardi preoccupati ma alla fine i ragazzi si erano arresi all’amara realtà.

Nonostante il loro coach avesse stabilito che la sveglia sarebbe stata puntata alle sei del giorno successivo, nessuno sembrava aver particolar voglia di andare a letto.

La serata era fresca e il cielo estivo, era limpido e scintillante, quasi luminoso nonostante fossero già le dieci.

Il vento profumato scuoteva le chiome dei grandi pini tra i cui rami si poteva scorgere, se si faceva attenzione, un segno della vita che popolava il parco.

Rukawa lasciò che il vento infilasse le sue dita trasparenti tra i suoi capelli scuri mentre osservava, appoggiato ad un albero, il rossino parlare con il suo ‘amico’.

Sempre che fossero davvero solo amici.

Poteva ammettere che quel Kei era un bel ragazzo.

Fece scorrere lo sguardo dai suoi capelli neri agli occhi verdi, al corpo non molto alto ma ben proporzionato.

Aveva dalla sua il modo di fare posato e tranquillo di una persona matura, per non parlare del fatto che Hanamichi si lasciava toccare da lui con estrema naturalezza.

Quasi si facesse coccolare.

Non gli piaceva.

Non gli piaceva per niente!

 

Sakuragi, con gran sorpresa di tutti, fu il primo a coricarsi pochi minuti più tardi e Akira incrociò mentalmente le dita per lui quando notò che Rukawa era scomparso dalla scena solo pochi istanti più tardi.

 

Il volpino rimase molto sorpreso dal fatto che Hanamichi si ritirasse così presto ma non potè che esserne felice.

Per quanto la cosa gli risultasse quanto mai assurda aveva dovuto ammettere di essere geloso di quel Kei!

Non aveva fatto che stare appiccicato al rossino tutto il santo giorno e per quanto Rukawa continuasse a ripetersi che era naturale, dato che non si vedevano da tanto tempo, non aveva potuto fare a meno di provare un moto di rabbia che si era concretizzato in una maggior quantità d’insulti e di palle volate ‘casualmente’ tra i piedi del rossino.

Ancora non riusciva a dare un nome a quella cattiveria che s’impossessava di lui ogni volta che il guardia boschi si avvicinava al do’hao, sapeva solo che provava l’impulso violento di avvicinare Hanamichi, afferrarlo per un braccio e tirarselo contro.

Abbracciarlo possessivamente.

Stringerlo a se e magari disintegrare quel Kei che sembrava non perdere occasione per toccare il rossino facendogli prudere pericolosamente le mani.

 

Hanamichi emise un sospiro coricandosi a letto, erano solo le dieci ma il coach del Ryonan li aveva davvero sfiancati.

Inoltre da quando erano arrivati si sentiva strano anche se non avrebbe saputo definire la sensazione.

Non era simile al malore che lo colpiva dopo uno di quegli avvenimenti strani.

Era una specie di vaga malinconia che gli scivolava dentro accarezzandolo con tristezza, spingendolo inconsciamente a cercare la vicinanza di Kei, l’unico che, in quel momento, conoscesse tutta la sua storia e sapesse quanto avesse bisogno di quei, piccoli, dolci, segni d’affetto che gli regalava.

Che cosa avrebbe dato per potersi accoccolare tra le braccia di Rukawa.

Quanto gli sarebbe piaciuto posare la testa sulla sua spalla e addormentarsi così, al sicuro tra le sue braccia.

Chiuse gli occhi avvolgendosi nella coperta, affondando il volto nel cuscino con un gemito disperato.

Quel giorno l’oggetto del suo amore era stato se possibile ancora più freddo e distaccato con lui.

Sembrava provare una sadica soddisfazione nel farlo arrabbiare senza rendersi conto di quanto i suoi insulti lo colpissero a fondo ora che la sua corazza da buffone si stava sgretolando.

“Non ho proprio speranze” mormorò lasciandosi scivolare in un sonno stanco.

 

Rukawa aprì silenziosamente la porta scivolando nella stanza avvolta nella penombra.

Hanamichi dormiva già.

E poi avevano il coraggio di dire a lui  che si addormentava di botto!

Si fermò immobile a guardarlo, il respiro leggero che accarezzava la federa bianca del cuscino, e di nuovo quella sensazione di tenerezza che ultimamente sembrava crescere ed espandersi dentro di lui si fece largo in modo prepotente nel suo animo.

Che cosa provava per lui?

Indifferenza.

Così aveva sempre creduto.

Ma non era vero.

Lo sapeva.

Hanamichi era l’unico in grado di scuoterlo, di farlo reagire, di farlo arrabbiare.

Ora quelle piccole, insignificanti cose, prendevano un’altro, profondo, significato.

Un significato che non era sicuro di poter ancora accettare e comprendere.

“Ho bisogno di tempo per pensare” mormorò spogliandosi in fretta per infilarsi poi nel suo letto.

Chiuse gli occhi appoggiando il volto al cuscino e pochi minuti più tardi si addormentò.

 

 

Nel silenzio innaturale, caduto nella base divelta, un uomo si trascinò verso la capsula ancora intatta.

Nonostante il loro attacco a sorpresa...

Nonostante la sorveglianza fosse stata dimezzata quel giorno...

 

Le due Falci  erano cadute ma avevano fatto il loro dovere.

 

Si puntellò sui gomiti trascinandosi in mezzo ai corpi dei suoi compagni periti.

Giunse alla capsula e vi si appoggiò stancamente.

La dottoressa prima di morire aveva disattivato il congegno di areazione.

Non era riuscita a sigillare il Nucleo e aveva dunque deciso di ucciderlo.

Probabilmente il ragazzo ora era sveglio.

E pazzo di terrore in quella bara stretta in cui le riserve d’aria dovevano essere ormai pressochè nulle.

Allungò la mano tremante allungandola verso il pulsante di apertura.

“Per la purificazione del mondo!” ansimò ma un colpo di fucile gli trafisse il petto prima che avesse modo di fare nulla.

 

La Falce Nera emise un tremulo sospiro crollando a terra.

 

Era l’ultimo.

Anche l’ultimo dei sicari era morto.

 

Il Nucleo era ancora nella capsula.

 

Morto, probabilmente.

 

Quel pensiero gli fece male ma d’altronde... non avrebbe potuto permettere che il sarcofago venisse aperto.

Presto, comunque, gli avrebbe fatto compagnia, sentiva la vita scivolargli tra le dita insieme al sangue.

Il respiro ormai troppo pesante, doloroso.

 

Il corpo dell’ultimo sicario che aveva ucciso, ancora riverso sulla capsula, prese a scivolare verso il basso, slittando sul suo stesso sangue.

La Falce Nera osservò la sua lenta caduta con terrore crescente mentre si rendeva conto che con quella traiettoria...

 

Senza che avesse tempo di fare nulla per impedirlo il braccio del purificatore toccò il pulsante di apertura prima che il corpo cadesse, con un tonfo, a terra.

 

La Falce rimase immobile, gli occhi sbarrati mentre pregava.

 

Che il meccanismo della bara fosse rimasto danneggiato.

Che il Nucleo fosse già morto.

 

Con un basso, lento, ronzio il coperchio della capsula slittò lentamente.

 

E nel silenzio irreale della stanza divelta la Falce Nera avvertì distintamente il suono soffocato di un singulto.

 

Sollevò il capo.

Non aveva la forza di fare altro ormai.

 

Lui era lì.

 

In piedi.

Il volto rigato di lacrime.

Gli occhi dorati due abissi di dolore.

I capelli rossi scarmigliati.

La veste bianca spiegazzata.

 

Vivo.

 

 

Rukawa balzò a sedere sul letto guardandosi forsennatamente attorno.

Lo sguardo saettò alla sveglia sul cui quadrante luminoso spiccavano i numeri.

Erano solo le dieci e mezza.

Aveva fatto in tempo ad addormentarsi che era stato nuovamente preda di quei sogni.

Ma erano poi davvero sogni?

Cominciava seriamente a dubitarne.

Lasciavo dietro di se la malinconia e il rimpianto di non essere riusciti a fare nulla per cambiare le cose.

Per impedire tanta ingiusta sofferenza.

Tanto dolore inutile.

 

Il dolore di quella creatura...

 

“Ru...” il sussurro leggero di Hanamichi lo spinse a voltarsi verso il letto del compagno di squadra, strappandolo bruscamente dalle sue considerazioni.

Con sua grande sorpresa notò però che il ragazzo stava ancora dormendo.

Eppure gli era distintamente parso di sentirlo chiamare il suo nome.

Hanamichi si mosse tra le coperte scostando il volto dal cuscino e Rukawa potè questa volta con chiarezza sentirlo mormorare: “Ru...”

Si alzò avvicinandosi al suo letto curioso.

Possibile che il do’hao lo stesse chiamando nel sonno?

E per quale motivo?

E poi perchè la sua voce era così roca?

Si accorse che il volto del ragazzo risultava arrossato anche alla poca luce della penombra, e corrugò la fronte senza capire.

Hanamichi mugolò piano inarcando la schiena, socchiudendosi le labbra, ripetendo quella sillaba con un ansimo che fece accapponare la pelle del volpino.

Che genere di sogno stava facendo Hanamichi?

Chiamando lui per di più???

Poi però la sua mente gli fece notare che c’era un’altro ragazzo, lì al rifugio, il cui cognome poteva essere abbreviato con Ru.

 

Kei Ruiko.

 

Certo.

Perchè Hanamichi  avrebbe dovuto sognare lui?

La volpaccia artica?

La gelida kitsune che urlava ai quattro venti di odiare?

 

Quel “Ru...” mormorato con tanto angosciato desiderio doveva essere rivolto a Ruiko.

 

Lo stesso ragazzo che aveva praticamente passato tutta la giornata a mezzo millimetro del do’hao.

Il ragazzo con cui Hanamichi sembrava incredibilmente a suo agio e... felice.

Rukawa si morse le labbra nervosamente.

Quel pensiero ora non gli dava solo fastidio.

Gli creava un vero e proprio dolore fisico.

Non voleva che lo sognasse.

Non voleva che immaginasse di fare l’amore con lui!

 

Spinto dall’impulso della gelosia Kaede salì sul letto del rossino e si chinò in avanti chiudendogli la bocca con la sua per impedirgli di pronunciare ancora una volta quelle due maledette sillabe.

 

Hanamichi era nel bel mezzo di uno dei suoi sogni più piacevoli quando la dolce sensazione di tepore che l’avvolgeva si era trasformata in una violenta ondata di calore.

Spalancò gli occhi avvertendo qualcosa di caldo e umido che gli scivolava dolcemente sulle labbra.

 

Non era un sogno.

 

Rukawa era lì.

A gattoni su di lui.

Il volto candido a pochi centimetri dal suo, tanto che, la lunga frangia nera gli sfiorava la fronte.

 

“Ru...?” chiese incredulo specchiandosi in due lucenti pozzi blu.

 

 

continua............                                                                                            

 

 

 

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