Nucleo 1                                                                                             Back to FanFic  Back to Home

Nucleo: parte vitale, centrale, di qualcosa, di cui in genere ha costituito... l’origine.

 

Le onde s’infrangevano sugli scogli sotto di lui mandando gli schizzi d’acqua salata a spruzzargli il volto abbronzato.

Il sole riluceva sulle onde trasformandone gli spruzzi in minuscoli diamanti di luce che scintillavano nell’aria prima di cadere sul piccolo pontile o bagnare la divisa scolastica che il ragazzo ancora indossava, la giacca negligentemente abbandonata al suo fianco.

Hanamichi osservava il lento, ipnotico, rincorrersi delle onde mentre poco distante alcuni gabbiani candidi si lasciavano pigramente sospingere su quel manto turchino.

Ogni tanto uno di loro si alzava in volo e veniva a posarglisi accanto, sul molo, fissandolo con i suoi occhi scuri, con insistenza, come se si aspettasse qualcosa da lui.

Il grosso uccello marino di turno, gli sfiorò la mano con il becco spesso e il rossino quasi distrattamente sollevò le dita accarezzandone il capo liscio e morbido.

Il gabbiano scosse le ali ed emise un basso suono soddisfatto acciambellandosi accanto a lui mentre Hanamichi tornava a fissare le onde, lasciandosi accarezzare dalla brezza marina che gli sospingeva indietro i capelli e lo teneva al fresco anche in quella giornata così calda.

Il sole picchiava forte nel cielo azzurro, punteggiato qua è la da qualche nuvola candida, eppure quando il rossino sollevò gli occhi per fissarlo esso non gli ferì lo sguardo ma lo avvolse in una calda carezza dorata.

“Il sole è una stella gialla media” ripetè distrattamente a voce alta, ricordando le parole del suo professore quel mattino.

Le lezioni di biologia erano le uniche che riusciva a seguire con interesse e a ricordare con facilità.

In ogni parola, in ogni scoperta che la scienza aveva fatto in quel campo e che lui rileggeva sui testi di scuola, era come se ci fosse un monito, un avvertimento, un... richiamo... per lui.

Scosse il capo rammentando le parole di Haruko.

Era appena uscito da scuola quando l’aveva incontrata e Yohei, che era con lui, avevano preferito dileguarsi lasciandoli soli.

La ragazzina tuttavia sembrava particolarmente imbronciata e quando lui le aveva chiesto perchè...

 

“Oggi abbiamo studiato i parassiti in biologia.” Gli aveva spiegato lei contrariata.

“Ti sembra giusto che una specie per vivere usi l’energia e la forza di un’altra fino a prosciugarla?” gli aveva chiesto.

“E’ crudele! Non pensano alla sofferenza della creatura che usano?”

 

Aveva dovuto appoggiarsi ad un lampione per non cadere.

A quelle parole strane luci gli avevano tagliato in due il cervello procurandogli una violenta fitta di dolore e un attacco di nausea che per poco non l’aveva fatto stramazzare al suolo.

L’aveva rassicurata dicendole che doveva essere colpa del caldo e del sole forte eppure sapeva che non era così.

Sospirò scuotendo il capo e notò perplesso che i gabbiani che prima si lasciavano sospingere sulle onde ora erano tutti appollaiati sul molo, attorno a lui, gli occhi neri fissi nei suoi.

Il vento gli accarezzò il viso e lui chiuse gli occhi sollevando il capo verso il cielo.

Attraverso le palpebre chiuse immaginò l’universo.

Non quel manto nero puntellato di stelle che veniva disegnato nei libri di testo, non quell’ammasso di materia catturato dalle fotografie distorte scattate dal satellite, ma un infinito, vibrante, insieme di creature viventi, le cui voci si mescolavano in un canto assordante eppure armonioso, pulsante, come il battito di un unico, immenso, cuore.

Quella melodia antica e perfetta gli scivolò attraverso chiamandolo dolcemente, e, senza rendersi pienamente conto di quello che stava facendo, Hanamichi rispose, sollevando una mano verso il cielo azzurro, il palmo rivolto verso l’alto.

 

Così lo vide Akira.

 

Gli occhi chiusi, il capo reclinato all’indietro, i capelli rossi scintillanti attorno al volto sereno, i raggi solari che sembravano concentrarsi attorno a lui, ad illuminare la sua pelle dorata rendendola luminosa, scintillante.

Il vento sospinse le onde con forza, mandandole ad infrangersi ai suoi piedi in miriadi di cristalli di luce che esplosero attorno al suo corpo in brillanti scintillii.

Lo vide sollevare lentamente il braccio e tendere una mano verso il cielo in un muto richiamo mentre attorno a lui i gabbiani spiegavano le loro ali candide lanciandosi nel l’aria azzurra con un unico, perfetto, battito d’ali e un grido vibrante di gioia.

 

La canna da pesca gli scivolò dalle dita cadendo rumorosamente sul pontile mentre fissava immobile quella scena incredibile.

Quel rumore tuttavia ebbe il potere di riscuotere bruscamente Hanamichi che spalancò gli occhi sorpreso voltandosi verso il moro, che incapace di muoversi, lo fissava ancora a bocca aperta.

Sakuragi abbassò la mano chiudendola, stringendola al petto, sorpreso e confuso dal gesto che aveva appena compiuto, dalla consapevolezza che per un momento l’aveva sfiorato per lasciarlo troppo presto, senza risposte.

Nel momento in cui Hanamichi aveva aperto gli occhi e ritirato la mano anche Sendoh si era ripreso.

La luce solare ora sembrare essere la solita di sempre, le onde si infrangevano nuovamente a casaccio sul pontile e i gabbiani si erano allontanati per poi posarsi tra le onde azzurre e lasciarsi cullare dalla marea.

“Ciao” mormorò Akira avvicinandosi al rossino, lentamente, rendendosi conto, con sua enorme sorpresa, di provare un profondo senso di riverenza nei suoi confronti.

Scosse il capo con forza cercando di allontanare la scena a cui aveva appena assistito ma la sensazione di completezza, di pace, che sembrava aver riempito ogni cellula del suo corpo in quel momento... quella non riuscì a dimenticarla.

“Heilà porcospino non dovresti essere agli allenamenti?” gli chiese il numero dieci dello Shohoku tornando quello di sempre.

Sendoh gli si sedette accanto cacciando gli ultimi rimasugli di soggezione e mostrandogli al canna da pesca che aveva raccolto.

“E’ una giornata troppo bella per stare chiusi in palestra” disse con una scrollata di spalle “E tu?”

Hanamichi tornò ad osservare la distesa turchina dell’oceano.

Che poteva dirgli?

Che aveva sentito il bisogno di isolarsi?

Di cercare un contatto?

Un contatto con cosa poi?

Non lo sapeva bene nemmeno lui.

“Non ne avevo voglia” borbottò, sbuffando per allontanare una ciocca rossa che gli era scivolata davanti agli occhi.

Akira sorrise dolcemente allungando una mano, tirandogliela indietro con delicatezza.

Rimasero così, immobili, i volti  a pochi centimetri uno dall’altro, a fissarsi stupiti.

Hanamichi arrossì e Sendoh ritrasse la mano fissandosela sorpreso.

La sensazione di quelle ciocche rosse tra le dita...

“Se Hiro mi avesse visto così ora sarei un uomo morto” mormorò per spezzare la strana malinconia che li aveva legati.

Hanamichi lo fissò per un momento prima di corrugare la fronte “Intendi il piccoletto scorbutico? Koshino?”

Akira ridacchiò “Sì proprio lui” disse divertito dalla descrizione del rossino.

Hanamichi ci mise cinque minuti buoni per capire le implicazioni di quell’affermazione dell’asso del Ryonan.

“TU E KOSHINO STATE INSIEME????” gridò incredulo.

Il moro scosse il capo cercando di riacquisire l’udito, prima di annuire.

“Ti sconvolge così tanto?” gli chiese fissandolo con attenzione.

Il rossino si affrettò a negare “No è solo che... non so... sei sempre così corteggiato dalle ragazze che...” disse confuso.

“Bhe se è per questo anche Rukawa” gli fece notare candidamente il moretto lanciando la lenza.

Hanamichi spalancò gli occhi voltandosi verso di lui. “Che vuol dire anche Rukawa???” chiese perplesso.

“Anche lui è gay” gli disse l’altro con una scossa di spalle.

Hanamichi lo afferrò per entrambe le braccia costringendolo a voltarsi.

“Tu come fai a saperlo??” chiese scuotendolo senza molta delicatezza.

“Hey hey!” Protestò questi cercando di liberarsi dalla morsa delle sue mani “Come mai tanto interessamento per il volpino?” chiese sornione, colto da un sospetto.

Hanamichi divenne scarlatto e lo lasciò bruscamente andare “Non... non è che mi interessi...” balbettò.

“Dì un po’ ti piace eh?” gli chiese l’asso del Ryonan facendo diventare il ragazzo più piccolo di una violenta tonalità aragosta.

“Come ti permetti di insinuare certe cose!!!” inveì rosso come un’aragosta “Guarda che non sono mica un pervertito come te, io!” protestò balzando in piedi.

Gli occhi di Sendoh divennero due lame gelide mentre il suo immortale sorriso scompariva.

“Non ti permetto di insultare il mio amore per Hiroaki solo perchè hai paura di accettare quello che senti” lo avvertì freddo e decisamente minaccioso.

Hanamichi si morse le labbra e poi si lasciò cadere di nuovo accanto al moretto.

“Scusa” mormorò e Sendoh gli sorrise nuovamente “Scuse accettate” disse con una scrollata di spalle.

“Allora da quando è cominciato?” gli chiese allegramente l’asso del Ryonan dopo pochi minuti di silenzio.

“Cominciato cosa?” balbettò Hanamichi fissandolo senza capire.

“Quando hai cominciato a capire che lui ti piace?” insisté candidamente il porcospino.

“Ancora con questa storia!!!” tuonò Hanamichi balzando nuovamente in piedi “Io la odio quella stupida kitsune surgelata!!” disse cercando di dare un tono convinto alla sua voce.

Sendoh sospirò con aria fintamente abbattuta.

“Bhe meglio così sai...” gli disse “...non dev’essere facile avere una relazione con Rukawa, avresti finito per soffrirne, ha un carattere troppo diverso dal tuo” ragionò.

Hanamichi sospirò tornando a sedersi e lasciando penzolare le gambe oltre il pontile “Me lo sono detto anch’io” ammise mestamente.

Gli occhi di Akira scintillarono soddisfatti e il rossino avvampò rendendosi conto della confessione che l’altro gli aveva appena estorto.

“Tu... tu!!!” balbettò furioso scatenando l’ilarità del moretto.

“Bene, l’ammissione è il primo passo!” disse soddisfatto l’asso del Ryonan “Adesso bisognerebbe vedere che cosa pensa Rukawa di questa faccenda..” mormorò tra se riflettendo.

“Hey!” protestò Sakuragi che sentiva le cose scivolargli pericolosamente di mano.

Akira si voltò a guardarlo con un sorriso che non prometteva niente di buono “Sarò il tuo cupido personale!” sentenziò “Lascia fare a me!!”

“Ma... ma...” mormorò Hanamichi incredulo.

Non aveva confessato a nessuno, nemmeno a se stesso la sua attrazione per Rukawa eppure erano bastati dieci minuti in compagnia del porcospino perchè tutto diventasse così chiaro.

E poi, nonostante gridasse ai quattro venti che l’avrebbe battuto, sentiva che poteva fidarsi dell’asso del Ryonan.

Anche se non avrebbe saputo dire perchè.

“Perchè dovresti fare una cosa del genere per me?”non riuscì di trattenersi dal chiedere.

Akira scosse le spalle “Voglio che tu sia felice” mormorò.

E nel momento stesso in cui quelle parole uscirono dalle sue labbra si rese conto che sì... quello era il motivo.

Voleva che Hanamichi fosse felice.

Anche se... non avrebbe saputo dire perchè....

 

Hanamichi camminava lentamente ripensando all’affermazione di Akira.

‘L’ammissione è il primo passo’

Come se ammetterlo gli fosse servito a qualcosa.

Sapere di amare quella volpe dispotica non l’aiutava certo... anzi!

Che speranze poteva avere lui?

Scosse il capo tristemente con un sospiro, era anche inutile che s’illudesse, si rimproverò accelerando il passo.

Si fermò tuttavia quando poco distante sentì provenire un ronzio furioso e la debole richiesta di aiuto di quella che sembrava la voce di una bambina.

Guardandosi attorno curioso notò una staccionata mezza divelta che separava la strada da un cantiere in costruzione.

Vi s’introdusse, corrugando la fronte dinanzi alla scena che si presentava ai suoi occhi.

Una bambina, sugli otto anni, era appollaiata all’interno dell’abitacolo di un elevatore, i finestrini del mezzo tirati su e lo sguardo spaventato fisso sullo sciame di api che ronzavano oltre il vetro che la proteggeva e la incarcerava contemporaneamente.

Hanamichi si guardò attorno, cercando di capire che cosa era successo, e una palla colorata attirò il suo sguardo.

Poco distante da essa, a terra, c’era l’alveare delle api.

Evidentemente la bimba lo aveva colpito per sbaglio giocando e quando gli animaletti, giustamente oltraggiati, le si erano lanciati contro si era rifugiata nella piccola gru.

La bimba lo vide nel momento stesso in cui le api ronzando si spostarono minacciose verso di lui.

“Va via!!!” gli gridò preoccupata sbracciandosi, la voce gli giunse attutita dai finestrini chiusi ma ugualmente chiara.

Hanamichi le sorrise con fare rassicurante mentre le api volteggiavano attorno a lui, che tuttavia non si mosse per scacciarle in alcun modo.

Nessuna di esse provò a pungerlo.

Ronzarono girandogli attorno per un paio di minuti prima di radunarglisi davanti in un’ondeggiante nuvoletta vibrante, ferme a mezz’aria, i piccoli occhi caleidoscopici fissi su di lui, le ali trasparenti che frullavano l’aria, in fiduciosa attesa.

Il rossino si avvicinò all’alveare caduto e lo sollevò delicatamente da terra per poi fissare la staccionata su cui era stato costruito.

“L’avrebbero demolita comunque, questa” mormorò tranquillamente sotto lo sguardo indecifrabile degli insetti.

Si guardò attorno per un momento prima di individuare un grande albero piantato poco distante.

Si mosse lentamente verso di esso seguito dal nugolo di api.

Dopo un paio di minuti di ricerca depose l’alveare tra due rami, incastrandolo con cura in modo che, ne il vento, ne la pioggia, potessero buttarlo a terra e poi si volse verso la ronzante nube scura che aveva fissato ogni suo  movimento scostandosi di tanto in tanto per osservare le sue mosse da diverse angolazioni, le ali trasparenti continuamente in movimento.

“Ecco qui sarete al sicuro per un bel po’” mormorò il rossino allontanandosi dall’albero per permettere alle api di studiare quella loro nuova sistemazione.

Un paio di esse scivolarono dentro e fuori dalle cellette per un momento, poi, una dopo l’altra, in fila, ognuna ritornò al proprio posto.

Hanamichi lasciò gli insetti al loro lavoro e si passò una mano tra i capelli stancamente.

Gli girava un po’ la testa.

Scosse il capo cercando di snebbiare la vista prima di raccogliere la palla incriminata e avvicinarsi alla bimba che aveva seguito tutta la scena con occhi sgranati.

“Signore sei bravissimo! Come hai fatto?” gli chiese ammirata dopo aver cautamente abbassato uno dei finestrini del mezzo che le aveva offerto protezione.

Hanamichi scosse le spalle con indifferenza.

“E’ stato un caso” mormorò ben sapendo di mentire.

Ma non poteva farne a meno.

Era come se qualcosa dentro di lui gli gridasse che nessuno doveva sapere.

Sapere cosa?

Si chiese per l’ennesima volta senza ottenere, ovviamente, risposta.

Ah Rukawa!! Se tu fossi davvero una volpe avrei probabilmente meno problemi!!

Pensò tra sè con ironia, prima di tornare a prestare la sua attenzione alla bimba che cercava, non senza difficoltà, di scendere dal suo rifugio improvvisato.

“Ce la fai o ti serve una mano?” le chiese divertito dalla sua ostinazione.

Lei arrossì abbassando il capo “Mi servirebbe una mano” ammise a malincuore.

Il rossino rise porgendole le braccia e la bimba si lasciò issare con facilità dal giovane che poi la mise delicatamente a terra.

La ragazzina si spolverò la gonnellina della divisa prima di fissare il ragazzo dai capelli rossi e fare un piccolo inchino.

“Ti ringrazio tanto!” disse

Hanamichi le sorrise e le restituì la palla.

“Stai attenta mentre torni a casa” le disse bonariamente prima di voltarsi deciso a riprendere la strada di casa, ma lei fu rapida ad afferrare un lembo dei suoi pantaloni.

“Non è che mi accompagneresti?” chiese “Ne... nel caso le api cambiassero idea” mormorò arrossendo.

Hanamichi scosse il capo divertito ma non commentò “Va bene il Tensai ti accompagnerà. Dove abiti?” chiese.

“Oh non è tanta strada!” disse la bambina giubilante infilando una mano nella sua, con fiducia, mentre con l’altra teneva al petto la palla.

 

“Come ti chiami signore?” gli chiese la bimba dopo pochi minuti di silenzio.

“Hanamichi e tu?” le chiese lui di rimando.

La ragazzina gli porse un sorriso “Io mi chiamo Michelle!” disse tutta orgogliosa.

Sembrava che non aspettasse altro che dirgli il suo nome.

“E’ un nome europeo sai?” gli spiegò allegra “L’ha scelto Ede per me!”

“Ede?” chiese perplesso Hanamichi.

Gli occhi blu della bimba scintillarono “E’ il mio fortissimo fratellone!” disse fiera “Sai lui è alto, alto, alto e taaaaaanto forte! Quando i bambini  mi facevano i dispetti all’asilo lui arrivava e li spaventava!” gli spiegò con un sorriso “Però da quest’anno faccio le elementari, sono grande, mi difendo da sola!”

Hanamichi si fermò stupito, voltandosi a guardarla “Quest’anno?” chiese stupito “Ma quanti anni hai?”

“Sei!” sancì fiera la piccola.

“Te ne davo di più lo sai?” le disse lui riprendendo a camminare.

“Me lo dice sempre anche Ede che sembro più grande!” annuì la bimba “Tu hai fratelli o sorelle?” gli chiese curiosa.

Hanamichi scosse il capo “No sono figlio unico” mormorò piano.

“Oh” sussurrò la bimba dispiaciuta “Se vuoi allora ti presto Ede per giocare!” disse fissandolo sorridente “Bhe prima dobbiamo chiedere il permesso alla mamma!” aggiunse facendosi seria.

Hanamichi le sorrise dolcemente allungando una mano, passandola piano tra i setosi capelli neri.

“Sei molto gentile” sussurrò.

La bimba gli sorrise di rimando prima di guardarsi intorno e indicargli una casa poco più avanti.

“Ecco quella è casa mia!” disse felice correndo verso il cancelletto di ferro che separava l’ampio giardino, di una piccola villetta, dal marciapiede.

Hanamichi si guardò intorno curioso.

Era davvero una casa splendida.

La bimba non fece in tempo a mettere piede sul viottolo che portava all’ingresso che una bella donna sulla quarantina si affacciò alla porta.

“Michelle si può sapere dove ti eri cacciata!” disse preoccupata e un po’ arrabbiata.

“Mamma!!” esclamò la piccola ignorando i suoi rimproveri e buttandole le braccia al collo “Mi è successa una cosa incredibile!” trillò.

“Davvero?” chiese la donna scompigliando con dolcezza i capelli corvini della bambina prima di sollevare lo sguardo e notare Hanamichi che era rimasto ad osservare la scena dal cancello, una luce malinconica negli occhi scuri.

Lo sguardo della donna divenne improvvisamente duro come il ghiaccio e molto sospettoso.

“E lei chi è?” chiese gelida.

“Lui è Hanamichi!” intervenne la bimba “Mi ha salvato!!!” disse gesticolando con le braccia.

Lo sguardo della madre di Michelle divenne improvvisamente meno ostile mentre si fissava nuovamente sul giovane.

“Allora ti devo ringraziare” mormorò facendogli un piccolo inchino.

“Oh non ho fatto niente di eccezionale” si schernì Hanamichi conquistando qualche altro punto agli occhi della donna.

“Bhe ora che Michelle è a casa sana e salva io andrei” disse.

“No aspetta!!” lo richiamò la signora mandando in casa la figlia perchè si lavasse le mani.

“Lascia almeno che ti offra un bicchiere di the. Fa così caldo fuori e tu sei stato così gentile” lo invitò.

Hanamichi non aveva intenzione di fermarsi a disturbare ma la testa gli doleva ancora fastidiosamente e l’idea di potersi sedere e sorseggiare un bel bicchiere di the freddo era allettante, per cui dopo un paio di secondi di esitazione porse un sorriso alla donna e accettò l’invito.

La casa era grande e molto spaziosa anche all’interno, il rossino si guardò attorno curioso accomodandosi sul divano del salotto mentre la donna, che si presentò con il nome di Karen, disponeva dinanzi a lui tutta una serie di bevande fredde e Michelle si lanciava in una colorita descrizione della sua avventura.

Karen sorrise bonariamente quando la piccola le disse che Hanamichi aveva parlato con le api e che queste gli avevano obbedito e il rossino si guardò bene dall’avvalorare le parole della bimba.

Meglio lasciar credere che la piccola stava viaggiando con la fantasia, gli suggerì la mente mentre quello strano timore di essere scoperto tornava ad impossessarsi di lui.

Karen, che aveva continuato a mantenere una certa cauta freddezza nei confronti del rossino, si rilassò man mano, nel corso del racconto, cominciando ad apprezzare quel giovane dall’apparenza poco raccomandabile ma dall’animo molto gentile.

Il rossino stava sorseggiando il suo the, ascoltando distrattamente le parole di Michelle, quando uno splendido gatto bianco, dal pelo lungo e lucente, fece il suo ingresso in salotto, con aria altezzosa.

“Quello è il gatto di Ede!” disse la piccola indicandogli la splendida creatura “Però è un gatto cattivo” borbottò cupa.

Karen rise dolcemente voltandosi verso di lui “Michelle dice così solo perchè Micheal si lascia accarezzare solo da mio figlio”.

Non aveva nemmeno terminato la frase che il gatto era saltato sul divano e aveva cominciato a strusciarsi contro il braccio di Hanamichi.

Michelle lo fissava con gli occhioni azzurri enormi di ammirazione e sorpresa e anche la madre non poteva fare a meno di osservare la scena, incredula.

Hanamichi passò una mano abbronzata tra il pelo candido e il gatto prese a fare le fusa soddisfatto.

“Ho deciso!” sancì la bimba dopo aver fissato per alcuni minuti la scena in silenzio.

“Che cosa hai deciso tesoro?” le chiese Karen divertita.

Michelle guardò prima sua madre, poi Hanamichi, infine il gatto bianco che si era acciambellato sulle ginocchia del ragazzo.

“Da grande sposerò Hana!” disse decisa facendo quasi strozzare il diretto interessato con il the che stava bevendo.

Hanamichi tossì un paio di volte cercando di respirare mentre la madre della piccola tentava di trattenere le risa.

“Hemm... Michelle, tesoro, non dovresti chiedere a lui prima?” gli fece bonariamente notare la signora mentre il rossino assumeva una tonalità imbarazzata divertendola ancora di più.

“Perchè non vuoi sposarmi?” chiese la bimba con sguardo lucente puntando gli occhioni in viso al povero rossino.

La porta d’ingresso si aprì e si richiuse con un tonfo sordo togliendolo d’impaccio mentre Michelle saltava giù dal divano per correre a dare il benvenuto al nuovo venuto.

“E’ tornato Ede!” gridò gioiosa tirando per la mano il fratello verso il salotto.

“Ede vieni che ti presento il mio fidanzato!!!” disse allegra la bimba mentre Karen ridacchiava e Hanamichi abbassava il capo per fissare il gatto che stava accarezzando nel tentativo di nascondere il proprio sbigottimento.

Aveva un futuro come conquistatore di bambine, pensò ironico.

Tuttavia la sua mano si fermò a metà di una carezza quando una voce fin troppo conosciuta mormorò un “Do’hao?” in cui vibrava una nota decisamente sorpresa.

Hanamichi spalancò tanto d’occhi quando si rese conto che ‘Ede’ altri non era che lui, Kaede Rukawa.

 

 

La Falce Bianca sorrise dolcemente al ragazzo sdraiato sul lettino dinanzi a lui, passandogli lentamente una mano tra le ciocche di seta e il giovane gli porse in cambio un dolce sorriso.

“E’ tutto a posto?” chiese la dottoressa avvicinandosi ai due.

La Falce annuì mentre osservava il ragazzo riverso sul lettino chiudere stancamente gli occhi.

“Si sta esaurendo..” mormorò con voce spezzata.

L’espressione della dottoressa si addolcì mentre prendeva il polso del ragazzo addormentato per ascoltarne il battito.

La Falce aveva ragione.

Il Nucleo sembrava stanco.

D’altronde lo sembrava tutti i giorni di più.

“Cominciamo...” sussurrò, per non disturbare il sonno pesante in cui le droghe avevano fatto scivolare il suo paziente.

La Falce Bianca annuì sollevandolo con attenzione tra le braccia, depositandolo delicatamente nel cubicolo metallico, così simile ad una bara d’argento, che dominava il centro del laboratorio.

Il Nucleo odiava addormentarsi in quello stretto tubo, irto di cavi, preferiva assopirsi sul lettino, riparato, in un angolo della grande sala del centro ricerche.

Tre minuti all’attivazione!” comunicò loro lo scienziato addetto al controllo elettrico, facendo scorrere velocemente le dita sulla tastiera del computer.

La dottoressa controllò con cura il battito cardiaco e il respiro del ragazzo addormentato “Funzioni vitali stabili” riferì all’altro ragazzo in camice bianco che annuì preparandosi ad accendere il generatore.

 

Tutto il personale è pregato di indossare le tute protettive” scandì la voce metallica del computer centrale, rincorrendosi nei vari autoparlanti distribuiti nei corridoi della base.

 

Meno due minuti all’attivazione...

 

La Falce Nera osservava lo svolgersi di quelle operazioni che ormai conosceva a memoria, in silenzio, da un angolo della stanza, il fucile psichico abbandonato al suo fianco, insieme a quello del collega.

 

Meno uno...” scandì la voce metallica mentre le luci di tutta la base calavano impercettibilmente.

 

Le finestre vennero sbarrate da pesanti lame di metallo mentre le serrature delle porte scattavano, una dopo l’altra, a sigillare la stanza e l’edificio stesso.

Il cubicolo si chiuse silenziosamente sul giovane profondamente addormentato mentre i monitor dei pc si accendevano inondando la stanza con la loro abbagliante luce azzurra.

 

Attivato!

 

 

Akira mugolò portandosi una mano davanti al volto per proteggersi gli occhi da quella luce accecante.

“In piedi pigrone o farai tardi a scuola!” lo rimproverò sua madre tirando le tende per impedire ai raggi solari, che entravano dalla finestra, appena spalancata, di arrivare giusto in faccia al suo figliolo.

Sendoh socchiuse le palpebre abituando gli occhi alla luce, guardandosi in giro confuso.

“Oh...” mormorò sorpreso quando riconobbe attorno a se i mobili familiari della sua camera.

“Che cosa c’è tesoro?” gli chiese la signora Sendoh fissandolo sorpresa.

Il ragazzo scosse il capo passandosi una mano tra i capelli “Un sogno” mormorò.

La donna gli si sedette accanto osservando corrucciata la strana espressione del ragazzo.

“Che tipo di sogno?” chiese, ma Akira scosse il capo “Non me lo ricordo” mormorò.

“Bhe allora non era importante!” decise sua madre alzandosi e avviandosi verso la porta.

“Sbrigati che la colazione si raffredda!” lo rimproverò.

Akira annuì alzandosi.

“Era solo un sogno....” mormorò.

 

Solo un sogno....

 

 

continua............                                                                                            

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