Cronache 10                                     Back to FanFic  Back to Home

Dal Libro delle Metamorfosi e delle Trasformazioni

Figli dei quattro elementi

 

Ai Signori dell’Est, dominatori dei Cieli, sia concesso il piumaggio del Falco.

I loro occhi chiari risplendano di luce all’invocare il nome dell’Aria.

I loro corpi sottili saranno avvolti dal vento che li solleverà accompagnandoli tra le coltri.

Le loro braccia diverranno ali, le loro gambe artigli e il grido del rapace taglierà i cieli quand’essi spalancheranno il becco.

 

Ai Signori del Sud, dominatori delle Fiamme, sia concessa la criniera del Leone.

Il loro occhi dorati scintillino di luce all’invocare il nome del Fuoco.

Le loro muscolature scattanti si tendano avvolte dalle fiamme carminio che bruceranno i loro abiti.

Le loro braccia diverranno zampe, le loro dita artigli e il ruggito della belva percuoterà le lande quand’essi scuoteranno la criniera lucente.

 

Ai Signori del Nord, dominatori dei Mari, siano concesse le pinne del Delfino.

Il loro occhi blu scintillino di luce all’invocare il nome dell’Acqua.

I loro fisici atletici si arcuino con eleganza, la loro pelle candida venga lambita dai mari in una morbida carezza.

Le loro braccia diverranno pinne, le loro gambe code e la loro pelle argentea scintillerà sotto i raggi lunari avvolgendoli prima che essi scompaiano tra i flutti.

 

Ai Signori dell’Ovest, dominatori delle Terre, sia concessa la pelliccia dell’Orso.

Il loro occhi neri scintillino di luce all’invocare il nome della Terra.

I loro fisici possenti si pieghino mentre la terra trema e si spezza ai loro piedi.

I loro arti diverranno zampe, la loro bocca si riempirà di zanne e il passo possente della fiera risuonerà nei suoli quand’essi si faranno avanti.

 

                                                                                                Dal Libro delle Metamorfosi e delle Trasformazioni

 

*-*-*-*-*-*-*-*

 

Capitale del regno dell’Acqua

Centosessantesimo  giorno del quinto millennio dal Patto di Zagor

 

Hikoichi scese tranquillamente i gradini di marmo, le lucide scarpe che producevano un suono appena percettibile sulla superficie candida, mentre si avvicinava al corpo riverso scompostamente sul pianerottolo che divideva a metà l’enorme scalinata  conducente all’ingresso.

Il sovrano era svenuto.

Doveva aver battuto la testa quando era caduto, prima che il suo corpo rotolasse sgraziatamente per la decina di scalini che li separavano dal pianerottolo accasciandovisi poi come una marionetta dai fili spezzati.

Un bel sorriso soddisfatto si disegnò sul volto apparente innocuo e così bonariamente comune del segretario, mentre questi si avvicinava al corpo dello sposo reale.

Corrugò la fronte quando notò che disgraziatamente il rossino respirava ancora.

“Speravo ti rompessi l’osso del collo” borbottò incrociando le braccia sul petto, osservando con aria critica il cavaliere inerme ai suoi piedi.

Si guardò attorno velocemente.

In giro non c’era nessuno.

Un luccichio bieco gli accese gli occhi scuri.

Fece un piccolo passo indietro mentre il suo sorriso si allargava.

Osservò per un momento i capelli rossi sparsi sul pavimento candido come una fiammeggiante macchia di sangue prima di spostare lo sguardo sul ventre gonfio del suo sovrano.

Vediamo di rimediare” mormorò tra se, una risatina soddisfatta per l’idea che gli aveva accarezzato la mente, prima di piegare indietro una gamba per poi portarla repentinamente in avanti.

Il calcio giunse con precisione e potenza sul ventre del rossino, il corpo immobile si scosse rotolando su se stesso fino all’orlo del primo gradino che sanciva l’inizio della seconda rampa di scale.

Hikoichi sollevò un sopracciglio scocciato.

“Bhe?” chiese spazientito.

In muta risposta alla sua irritazione il braccio del rossino scivolò mollemente oltre il primo scalino, oscillando per alcuni secondi, prima di spezzare il precario equilibrio del corpo svenuto.

Con un piccolo fruscio la stoffa scivolò sotto il corpo pesante, la schiena compì una mezza torsione e Hanamichi rotolò oltre il pianerottolo.

“Ah volevo ben dire” sorrise allegramente Hikoichi trotterellando dietro il corpo del suo sovrano che con una serie di tonfi sordi sobbalzava giù dai gradini acquistando man mano velocità finche con un ultimo agitarsi scomposto di braccia e gambe, e un sinistro rumore di ossa spezzate, il corpo del ragazzo non si accasciò definitivamente ai piedi dell’ampia scalinata.

Il segretario si compiacque nel notare una cupa macchia carminio allargarsi tra i capelli scarlatti del figlio del fuoco.

“Il colore del sangue è l’unico che vi dona” mormorò mentre gli occhi scuri scintillavano crudeli.

Dei passi poco lontani lo fecero riscuotere dalle sue felici elucubrazioni.

Si regalò un ghigno soddisfatto e un brivido di eccitazione prima di stamparsi sulla faccia la sua miglior espressione angosciata.

Fece un profondo respiro e urlò con tutto il fiato che aveva in gola.

 

 

“Ma che diamine sta succedendo?” chiese Rukawa, alzando il capo di scatto dalla corrispondenza che il ciambellano gli stava facendo firmare.

Dal salone, poco lontano dello studio, aveva appena sentito provenire un urlo.

Si alzò in fretta mentre un brivido freddo gli serpeggiava sinistramente lungo la schiena costringendolo a serrare la mascella ed accelerare il passo mentre usciva dallo studio e si dirigeva in fretta verso l’ingresso, seguito dal ciambellano.

Alcuni paggi si erano radunati nel salone, erano tutti molto pallidi, una cameriera addirittura piangeva, mentre guardavano qualcosa ai piedi delle scale.

L’oggetto di tanto interesse era però celato alla sua vista dai loro corpi.

Pochi gradini più su, sulla scala, Hikoichi singhiozzava, il volto coperto dalle mani, ripetendo come in una litania: “Io ho cercato di afferrarlo...”

Rukawa avvertì nitidamente i tonfi cupi con cui il suo cuore cominciava a rimbombare nel petto.

Eppure, nonostante la velocità folle con cui il sangue aveva preso a ruggirgli nelle vene, sentiva sempre più freddo.

Il suo passo inconsciamente rallentò man mano che si avvicinava  a loro.

In quei pochi attimi, che lo separavano dalla rivelazione di quanto era appena accaduto, il suo cervello si aggrappò disperatamente alla speranza più folle mentre la sua anima già gridava, straziata del dolore.

Si fermò definitivamente, a pochi passi dal piccolo gruppo di persone, incapace di proseguire.

Incapace di accettare quello che il suo cuore sapeva, ma che il suo cervello non avrebbe accettato mai.

Trattenne il respiro mentre i camerieri accortisi di lui si scostavano uno dopo l’altro, lentamente, come le pesanti tende di un sipario che si scostavano per lasciar scoperto il palcoscenico.

Lentamente, uno dopo l’altro, i paggi si spostarono, i loro passi strascicati, silenziosi, come la condanna di ciò che si rivelava infine ai suoi occhi.

 

Tra le divise candide dei camerieri accorsi...

... sul pavimento bianco del grande salone...

... una macchia carminio.

 

Hanamichi giaceva immobile, ai piedi delle scale, i capelli rossi, come graffi sulla pelle abbronzata, a coprire gli occhi chiusi, le ciocche scarlatte gettate scompostamente sul pavimento.

Quante volte aveva visto quei fili di seta parimenti scompigliati sparsi sulle lenzuola candide del loro letto.

Quante volte aveva passato le dita pallide tra quelle ciocche carminio, scostandogliele dal volto, perchè non l’infastidissero mentre dormiva.

Ma Hanamichi non stava dormendo.

E quella candida superficie, che faceva da pallido giaciglio al suo corpo innaturalmente scomposto, non era il loro letto.

 

“Hana...” ansimò muovendo con difficoltà enorme un passo verso di lui.

Ogni centimetro che percorreva, un brandello del suo animo, che si stracciava dolorosamente.

Il suono di ogni passo che l’avvicinava al corpo privo di coscienza dell’amante, il ticchettio malvagio del tempo, che sembrava non volersi arrestare.

 

Seppure non avesse più alcun motivo di scorrere.

 

Si lasciò cadere sulle ginocchia a pochi passi da lui, ormai privo persino della forza di reggersi in piedi, mentre fissava con occhi dilatati dal terrore il corpo dell’amato.

“Hana..” sussurrò con voce spezzata a metà da un singulto traditore mentre allungava una mano tremante a scostare una ciocca rossa dal volto così stranamente privo d’espressione.

Le sue dita scivolarono sulla pelle dorata e tra i capelli rossi come ali di farfalla.

Le ritirò di scattò quando avvertì qualcosa di viscido impiastricciarle scaldando i polpastrelli gelidi.

Le sollevò sorpreso osservando la sua mano candida macchiata di rosso.

La sua coscienza gli gridò, l’avvertì che c’era qualcosa di terribilmente sbagliato in quel liquido scuro che scivolava elegante dai suoi polpastrelli lungo le dita pallide, disegnando piccoli sentieri contorti.

Scacciò quella voce fastidiosa incantato dal calore e dallo splendido contrasto tra il carminio intenso di quel liquido rilucente e il bianco delle sue dita fredde.

 

Nel mio silenzio la tua voce.

Nel mio buio la tua luce.

Nel mio gelo il tuo calore.

Nel mio bianco il tuo colore.

O se vuoi...

Chiamalo semplicemente Amore.

 

Corrugò la fronte mentre gli tornavano alla mente le parole di quella poesia.

Sentita...

 

Quando l’aveva sentita?

 

Un sorriso solare e due occhi dorati.

 

Non riusciva a ricordare.

Non voleva ricordare.

A quel ricordo era legato un dolore insopportabile che la sua mente rifiutava erigendo illusioni attorno a lui.

 

Una goccia di sangue scivolò sulla sua mano staccandosi silenziosamente da essa per precipitare nell’aria gelida.

 

Aveva freddo.

 

Eppure aveva dato ordine di ardere più legna nei camini.

L’aveva fatto perchè i suoi ospiti amavano il caldo.

Loro provenivano dal sud e l’inverno ad An’tar era decisamente troppo gelido per chi non vi era abituato.

Ospiti?

 

Osservò la goccia di sangue precipitare nell’aria nella sua breve corsa verso il pavimento.

 

Sì, lui aveva degli ospiti.

Uno in particolare che per lui era importante.

Vitale come quel sangue rosso cupo.

 

Rukawa tremò alla terribile sensazione di perdita che quell’immagine aveva provocato nel suo animo.

Seguì ansiosamente la corsa di quella piccola, scintillante perla scarlatta, finchè questa non si frantumò con un leggero, a malapena udibile, suono, sul pavimento di marmo.

Come un fuoco d’artificio che, invece di salire al cielo precipitava verso gli inferi, la goccia si aprì in una miriade di frammenti scarlatti, un minuscolo fiorellino scuro sul pavimento perfetto.

 

Un fiore rosso.

 

Rosso...

 

Come il fuoco che scintillava tra i suoi capelli...

Come la furia che lampeggiava nel suo sguardo quando era arrabbiato...

Come l’elemento di cui era figlio.

 

Allungò la mano sfiorando il pavimento laddove era macchiato cercando quello scintillio vitale che aveva percosso le sue dita.

Ma il sangue sul pavimento aveva perso il suo calore e si stava scurendo, raggrinzendosi, fino a seccarsi.

 

Freddo.

Immobile.

 

Come il corpo che giaceva accanto a lui.

 

Il corpo da cui quella vita scintillante sgorgava ancora macchiando lentamente ma inesorabilmente la candida immobilità di quel momento.

 

Il corpo di Hanamichi.

 

I suoi occhi si spalancarono di scatto mentre sollevava il capo “Chiamete Otis!” gridò strappandosi a viva forza dallo stato di shock, di cui era caduto vittima, prima di togliersi la giacca per farne un tampone da appoggiare sulla testa del suo sposo.

Hikoichi si voltò di scatto fiondandosi su per le scale alla ricerca del medico.

 

Rukawa respirava a malapena mentre chiamava con voce affranta il suo compagno.

Per i pochi, preziosissimi secondi, in cui la sua mente aveva cercato di proteggerlo dal dolore avvolgendolo in una realtà distorta e orribilmente meravigliosa, nessuno si era mosso.

Ma finalmente ripreso il suo sangue freddo Rukawa aveva cominciato a dare disposizioni precise ai paggi che, dopo il panico e lo sconcerto iniziali, avevano cominciato ad eseguire con precisione i suoi ordini.

Una delle cameriere tornò con una pezza umida che Rukawa sostituì attentamente alla sua giacca nel tentativo di fermare la fuoriuscita di sangue.

“Ti prego...” sussurrò, senza sapere neppure a chi si rivolgeva mentre tamponava delicatamente la fronte del suo sposo.

Avrebbe accettato l’aiuto di chiunque in quel momento.

Accarezzò con dolcezza il volto di Hanamichi, scostando una ciocca di capelli dalla fronte ampia con lentezza, mentre avvertiva sulla guancia destra la traccia bollente di una lacrima traditrice.

Non gli importava del fatto che la servitù lo vedesse tanto sconvolto.

Non vedeva nulla.

Ne l’immenso salone, ne i paggi che li guardavano.

Il suo subcosciente registrò a malapena il grido disperato della madre del rossino che attirata dalla confusione era tornata indietro.

 

Non v’era nulla per lui.

 

Nulla a parte quella distesa di un bianco accecante su cui era inginocchiato, il corpo esanime del suo amante davanti a lui.

 

 

“Caduto dalle scale?” chiese con gli occhi spalancati Otis al piccolo segretario che si asciugò le tracce di lacrime con un fazzoletto di pizzo.

“Sì” mormorò con un singhiozzo il giovane mentre osservava l’assistente del medico preparare la borsa velocemente.

Il ragazzo uscì dalla stanza correndo, pallido in volto, Otis e Hikoichi poco dietro di lui.

Hikoichi sorrise tranquillamente mentre osservava il giovane apprendista del mago correre lungo il corridoio mentre Otis lo seguiva più lentamente, il passo un po’ affaticato dagli anni e dalla stazza.

“Rischia di perdere il bambino” gli fece notare soave il segretario.

Il medico si voltò stupito sollevando un sopracciglio sorpreso per il tono e le parole del ragazzo.

“Come sarebbe a dire ‘rischia’?” chiese cupo fermandosi un momento per fissarlo torvo.

“Quante volte ti devo ripetere di non fare le cose a metà Hikoichi!” borbottò freddo.

 “Speravo che si spezzasse l’osso del collo e invece...” il segretario scosse le spalle seccato.

 “Poco male al resto penserò io!” sbuffò Otis mentre riprendeva a percorrere il corridoio diretto a luogo dell’incidente.

 

“Aki...ra...”

Mitsui emise un flebile sospiro mentre le sue mani scivolavano sotto la camicia del figlio del ghiaccio ad accarezzare la pelle serica dell’altro, la bocca del comandante della guardia imperiale che gli torturava un lobo dell’orecchio dolcemente.

“Mmmmhh” mormorò in risposta il ragazzo dai capelli a punta, troppo intento a baciare il collo dell’amante mentre le mani cercavano di intrufolarsi nei pantaloni.

“Non... non... e sta fermo un attimo!” sbottò Mitsui afferrandogli la mano che si era fatta strada sotto il tessuto scuro dei calzoni.

Akira sollevò il capo interrompendo la sua piacevole occupazione per regalargli un sorriso luminoso accompagnato da uno sguardo incandescente.

“Non credi che sarebbe meglio andare da un’altra parte?” gli fece notare Hisashi indicando la porta chiusa della suite reale.

Akira sospirò liberando però il compagno dal suo abbraccio.

Non aveva tutti i torti, anche se aveva il sospetto che Hanamichi avesse organizzato tutta la mess’in scena proprio per farli cadere uno nelle braccia dell’altro, poteva comunque entrare qualcuno nella stanza.

“Hai ragione” sussurrò.

Mitsui gli sorrise “Io ho sempre ragione” disse tornandogli accanto per sfiorargli le labbra con le proprie prima di allontanarsi con un ghigno soddisfatto quando l’altro allungò il viso per cercare la sua bocca.

“Andiamo in camera mia” mormorò Akira afferrandolo con urgenza per una mano e trascinandolo fuori della stanza.

Erano a metà corridoio, il procedere risultava loro difficile tra un bacio e una carezza, quando sentirono il grido di Hikoichi.

Intendendosi con uno sguardo, si lanciarono entrambi di corsa per il corridoio, la passione improvvisamente sostituita dall’apprensione.

Erano quasi giunti sopra la tromba delle scale quando avvertirono il secondo grido, a Mitsui si accapponò la pelle quando in quel richiamo disperato riconobbe la voce della sua regina.

Giunsero sopra la grande scalinata con il fiato corto e il cuore che pulsava a mille più per la paura che per la breve corsa.

La scena che si presentò ai loro occhi andava ben al di là delle loro paure.

Rukawa era in ginocchio, accasciato sul corpo esamine di Hanamichi,  mentre ripeteva in continuazione il suo nome come una nenia, senza però riuscire ad ottenere risposta.

Roxane era immobile, gli occhi sbarrati, a pochi passi dietro di lui, che fissava il figlio e il re con le mani tremanti poggiate dinanzi alle labbra socchiuse.

“Hanamichi!” gridò Mitsui precipitandosi al piano di sotto accanto alla sua regina.

Sendoh invece rimase immobile a fissare quella scena assurda per alcuni secondi prima di voltarsi e tornare indietro di corsa, scomparendo nella direzione da cui era venuto.

 

 

Con estrema delicatezza Rukawa adagiò il compagno sul grande letto matrimoniale mentre Otris dava seccamente ordini a destra e a sinistra.

Il mago era riuscito a fermare l’emorragia con un impacco particolare ma le condizioni dello sposo reale rimanevano critiche.

“E’ meglio se uscite maestà” disse al re che teneva tra le sue la mano abbronzata dell’amante, gli occhi liquidi, incollati al volto dell’amato nella speranza di scorgere il seppur minimo segno di ripresa.

Rukawa fissò il medico che gli sorrise debolmente cercando di incoraggiarlo “Farò tutto quanto è in mio potere” gli assicurò.

L’imperatore lasciò andare delicatamente la mano di Hanamichi adagiandola sulle coltri pallide prima di uscire dalla stanza e richiudersi la porta alle spalle.

Il sorriso sul volto del mago si allargò trasformandosi in un ghignò malefico mentre si avvicinava al letto.

“Oh sì...” sussurrò “... farò tutto quanto è in mio potere per uccidere il frutto del vostro vomitevole amore” mormorò.

 

Rukawa si accasciò su una poltrona del salotto, adiacente la camera da letto, coprendosi il volto con le mani.

“Ce la farà vedrai” sussurrò una voce conosciuta.

L’imperatore sollevò il volto affranto incontrando lo sguardo lucido della regina del Sud.

“Ce la faranno tutti e tre” mormorò Mitsui che aveva accompagnato Roxane, per conoscere le condizioni dell’amico.

Kaede strinse la mascella cercando di calmare il tremito che si era impossessato delle sue mani.

“Se lui...” sussurrò scuotendo il capo bruno incapace di terminare la frase.

“Hana è forte” sancì decisa Roxane mentre una lacrima che tradiva la sua angoscia, le scivolava sul volto dorato.

Le loro ulteriori considerazioni vennero spezzate dal terrificante grido di dolore che giunse dalla stanza attigua.

Ogni colore abbandonò il volto dei due regnanti nel riconoscere la voce che aveva lanciato quell’urlo ricolmo di angoscia e terrore.

“Hana!!” gridò Kaede balzando in piedi e spalancando la porta che dava sulla camera da letto.

Hanamichi aveva gli occhi spalancati ma lo sguardo era vitreo e vuoto mentre il suo corpo sussultava violentemente sul letto.

“Ha le convulsioni!” gridò Otis ordinando ai suoi assistenti di tenere fermo il ragazzo mentre esercitava la sua magia.

Rukawa ansimò piantandosi le unghie nei palmi quando vide il corpo dell’amato inarcarsi violentemente.

Hanamichi strattonò gli assistenti del medico, che lo tenevano ancorato alla sua agonia, prima che la sua vista si appannasse e i suoi occhi si chiudessero.

Si accasciò con un rantolo sinistro tra le lenzuola, la bocca spalancata in un grido muto che non era riuscito a lanciare.

La stanza cadde nuovamente in uno spettrale silenzio.

Uno degli assistenti, sudato e affaticato per lo sforzo, si avvicinò loro chiedendo gentilmente di uscire e Roxane preso dolcemente l’imperatore per un braccio lo accompagnò fuori della stanza.

“Qui non possiamo fare niente per lui ora” sussurrò affranta.

 

Il medico uscì dalla stanza nuziale un paio di ore più tardi, fissando tristemente i tre che lo aspettavano con il fiato in gola nel salotto adiacente.

Rukawa sentì distintamente il rumore della sua anima andare in pezzi per la seconda volta quel giorno quando Otis scosse il capo mestamente abbassando lo sguardo.

“Mi dispiace” sussurrò il medico fissandosi le mani sporche di sangue.

Roxane si accasciò sulla poltrona, da cui era balzata in piedi, esplodendo in singhiozzi, mentre Mitsui mormorava un: “No!” carico di disperazione.

“Maestà” sussurrò Otis guardando il suo sovrano che lo fissava con sguardo vuoto senza sentirlo.

“Mi dispiace non c’è niente che io possa fare ormai. La caduta ha provocato un’emorragia interna che lo sta uccidendo, non sopravvivrà al nuovo giorno”

Rukawa non disse nulla, continuava a fissarlo come se non lo vedesse.

“Quanto ai bambini... non riesco ad avvertire la loro aura vitale, sono morti sul colpo temo” mormorò il mago.

“E’ stato un tragico incidente”

Rukawa l’ignorò passandogli oltre ed entrando nella camera da letto dove il suo amante riposava, il respiro ridotto ad un rantolo difficoltoso, il capo che si agitava sui cuscini in preda al dolore che fuoriusciva in ogni suo ansimo con lamenti spezzati da piccoli singhiozzi agonizzanti.

Senza una parola Rukawa prese la mano del suo compagno e se la portò alle labbra baciandola con dolcezza prima di inginocchiarsi accanto al letto e rimanere così, immobile, impotente, a fissare il suo compagno perire.

 

“Non è morto?” chiese Hikoichi sorpreso.

Otis buttò la sua sacca sul divanetto imbottito con rabbia.

“No! Quel maledetto ha più vite di un gatto!” tuonò cupo versandosi un’abbondate dose di liquore ambrato prima di sedersi su un’ampia poltrona.

“Nonostante i miei tentativi anche da incoscienze difende i suoi figli!” sbottò furioso.

“Deve aver lanciato l’incantesimo su se stesso quando si è reso conto che stava cadendo e nonostante le ferite riportate la magia continua a proteggerlo” spiegò con rabbia.

Hikoichi imprecò calciando l’attizzatoio che cadde tra le fiamme del camino provocando una miriade di scintille vorticanti.

“Vuoi dire che i marmocchi sono sani e salvi???!” chiese incredulo e furioso.

Otis ingurgitò il liquore tutto d’un soffio. “Quei due bastardelli non hanno neanche un graffio!!” disse gettando con rabbia il bicchiere tra le fiamme.

Si passò una mano tra i capelli candidi con un sorriso bieco “In compenso lui è ridotto male!”

Gli occhi della spia scintillarono. “Allora è fatta!”

Otis annuì seppur con la fronte aggrottata “Ho detto a Rukawa che i suoi mostricciattoli sono morti sul colpo e che al rossino resta poco tempo prima di fare la loro stessa fine. Stasera mi recherò da lui, e con la scusa di dare qualcosa che calmi il dolore dello sposo, gli somministrerò un potente veleno di mia invenzione.”

Rise sommessamente alzandosi e dirigendosi verso un bell’armadio di noce aprendone le ante scure.

“Il suo potere potrà fermare i miei incantesimi perchè vengono dall’esterno, ma contro un’azione portata dall’interno del suo stesso corpo non potrà nulla!!”

Hikoichi rise soddisfatto. “Così sarà anche più divertente! Potresti dare a Rukawa il calice con cui abbeverare il suo sposo”.

Otis gli sorrise di rimando “Era proprio questa la mia intenzione.

Chissà che faccia farà quando scoprirà di aver dato lui la morte al suo adorato consorte?!”

 

“Come sarebbe a dire scomparso?” chiese Rukawa con voce stanca la mano dell’amante ancora stretta tra le sue.

Aveva convocato un paggio perchè mandasse a chiamare il suo capo delle guardie imperiali, ormai probabilmente non avrebbe fatto a tempo e Otis non si era mai sbagliato su un consulto medico, ma voleva comunque mandare Akira la castello dell’aria per chiedere l’aiuto di Fujima.

Non avrebbe lasciato nulla di intentato.

Tuttavia il giovane cameriere gli aveva dato quella sconcertante risposta.

Akira era scomparso.

L’avevano visto scappare letteralmente dalla sala diretto chissà dove e poco dopo avevano perso le sue tracce.

Sendoh era l’unico che avrebbe potuto sfruttare il suo potere per tramutarsi in delfino e portare in tempo la sua richiesta d’aiuto al re dell’aria.

L’unica speranza era che il suo amico avesse avuto la sua stessa idea.

 

“Maestà?” Rukawa si voltò lentamente verso la soglia su cui si stagliava la figura del medico.

La notte era ormai calata su di loro con il suo procedere impietoso e il respiro di Hanamichi diveniva sempre più debole.

La luce tremolante che cercava di allontanare le tenebre dalla stanza trasse un riflesso dorato sulla coppa tra le mani del medico.

“Otis” sussurrò il volpino fissandolo con occhi spenti.

Hanamichi scosse il capo sui cuscini lamentandosi piano.

Ormai le forze sembravano mancargli persino per soffrire.

“Questa lo farà riposare per un po’” mormorò porgendogli il calice e indicandogli con un cenno del capo il ragazzo svenuto.

Rukawa abbandonò la mano del compagno per costringerlo piano a sollevare la testa.

Hanamichi mormorò una debole protesta stringendo le labbra per soffocare l’ennesimo mugolio di dolore.

Rukawa gli accostò la coppa alle bocca chiamandolo piano, per nome, la voce roca, spaventosamente incrinata.

Hanamichi socchiuse le labbra più in cerca d’aria che in risposta a quella voce che, probabilmente, sommerso nella sua agonia, non aveva neppure udito.

“Bevi tesoro” sussurrò piano l’imperatore inclinando il calice in modo che il liquido cristallino scivolasse nell’ampia coppa fino a sfiorare le labbra del compagno.

Otis tese inconsciamente il capo in avanti mentre i suoi occhi osservavano scintillanti il veleno scivolare sulla superficie metallica della coppa fino a toccare le labbra dello sposo.

Trattenne il respiro seguendo ogni millimetrico procedere del liquido chiaro.

Gioì quando lo vide sfiorare la bocca del rossino ma dovette trattenersi dall’imprecare violentemente quando la porta della stanza si spalancò con un tonfo e Rukawa di riflesso si voltò allontanando la coppa, e il veleno, dalle labbra del suo sposo.

Sulla soglia uno scarmigliato e alquanto provato Sendoh sorrise al suo sovrano prima di farsi da parte per far entrare il sovrano dell’Aria seguito dall’alto medico che già una volta aveva visitato il suo amante.

Otis si ritrasse nell’ombra osservando angosciato i due figli dell’aria avvicinarsi al letto.

“Lascia che ci occupiamo noi di lui” sussurrò Fujima posando una mano sul capo del rossino che ancora si agitava tra le braccia di Rukawa.

Tuttavia nel momento stesso in le dita del re dell’Aria si posarono sulla fronte del ragazzo questi smise di lamentarsi e il suo respiro si fece più regolare.

“Toru” chiamò Fujima rivolto all’alto medico che lo accompagnava.

Il ragazzo si posizionò dall’altra parte del letto sollevando entrambe le mani sul ventre del rossino.

Le ritrasse però poco dopo, sollevando un sopracciglio sconcertato.

Fujima lo fissò sorpreso a quella reazione inusuale. “Che cosa c’è?” chiese.

Il moro scosse il capo “Lui...” disse indicando Hanamichi ancora privo di sensi. “... ha innalzato un incantesimo di protezione attorno ai bambini che non mi permette di usare la magia” spiegò.

Rukawa spalancò gli occhi sorpreso.

“So..sono vivi” balbettò.

Il suo cuore accelerò il battito quando il serioso compagno del sovrano dell’aria annuì.

“La loro aura è a malapena percepibile sotto la protezione dell’incantesimo del vostro consorte ma sono sicuro che sono entrambi in perfetta salute. Sua maestà ha evocato un potere molto antico facendo ricorso a l’unica forza che aveva a disposizione”

Rukawa spostò il volto per fissare quello del suo compagno, incredulo.

Hanamichi stava usando la sua energia vitale per proteggere i bambini!?

Fujima scosse il capo “Se continua così però esaurirà tutte le sue forze e se lui muore non potremo certo salvare i suoi figli.” mormorò poggiando le mani sulla fronte del rossino.

“Se ha continuato a tenere innalzato il suo scudo nonostante ora sia qui significa che si sentiva minacciato” ragionò cupo Hanagata.

Rukawa sollevò il capo di scatto verso il moro che osservava il suo re riportare alla coscienza il rossino.

“Che vuoi dire?” chiese mentre un sospetto atroce si faceva strada nella sua mente.

Hanagata scosse le spalle “Se egli continua a bruciare energie vitali per proteggere i vostri figli anche ora che dovrebbe ritenersi in salvo significa che sa di non essere al sicuro nemmeno qui”

Rukawa lo fissò immobile per un secondo prima che i suoi occhi rilucessero pericolosamente.

Tutta la sua figura sfrigolò mentre l’aria attorno a lui scintillava d’argento.

“Hikoichi...” sussurrò con voce così fredda da essere tintinnate “... quel lurido bastardo l’ha spinto giù dalle scale! Hanamichi lo sa ma non ha potuto dircelo. Per questo continua a proteggersi pur essendo qui!!!” ringhiò.

“Akira!” Tuonò.

Ma non ve n’era bisogno.

Il capitano della guardia imperiale si era già voltato sparendo oltre la soglia, il volto pallido di rabbia seguito da un Mitsui il cui sguardo scintillava pericolosamente di rosso.

Hanamichi emise un gemito flebile socchiudendo gli occhi confuso mentre spostava lo sguardo attorno a se.

“E’ tutto finito ora” lo rassicurò Fujima.

Il ragazzo si agitò spaventato finchè Rukawa non si avvicinò al letto prendendogli dolcemente una mano tra le sue.

Hanagata fece un cenno del capo a Fujima per informarlo che Hanamichi aveva infine sciolto l’incantesimo e entrambi sollevarono le mani su di lui mentre l’aria si riempiva del leggero profumo dei fiori e Hanamichi chiudeva di nuovo gli occhi stancamente, cadendo in un sonno ristoratore, le ferite guarite, gli ossi spezzati ricongiunti, i suoi figli in salvo.

Otis osservò il suo re chiudere gli occhi con un lungo sospiro di sollievo prima di voltarsi verso i due figli dell’aria e mormorare un: “Grazie” che vibrava di tutta la sua gioia.

Il medico digrignò i denti prima di sparire, non visto, per una porta laterale.

In quel momento l’unica cosa importante era trovare Hikoichi prima che lo trovassero i due comandanti, poi avrebbe pensato a come sistemare il rossino una volta per tutte.

 

“Otis devi aiutarmi!” esclamò il giovane segretario quando incontrò il medico.

Come il mago aveva previsto, il ragazzo aveva saputo dalle sue fonti, di essere stato scoperto ed era andato a nascondersi nei suoi appartamenti personali.

Il medico sorrise rassicurante.

“Ma certo” disse soave, accompagnando il giovane attraverso la stanza fino a farlo accomodare su un divanetto del suo studio.

“Dobbiamo procurarti un cavallo e del denaro così potrai fuggire dove i cavalieri del re non ti troveranno” disse Otis prendendo dalla credenza una bottiglia di liquore.

“Per ora però è meglio se resti nascosto qui e approfitti che si siano calmate un po’ le acque” mormorò porgendoli un bicchiere ricolmo di liquido ambrato.

Hikoichi lo prese con mani tremanti d’agitazione trangugiandolo tutto d’un fiato.

“Quel maledetto Sendoh sempre a mettersi in mezzo!!” esplose. “A quest’ora il rossino sarebbe già morto se lui non fosse corso fino al regno dell’aria per chiamare Fujima” sbottò agitandosi.

“Non mi hanno preso per un pelo!” disse “Quei maledetti non sapranno nulla da me!!!”

Otis gli sorrise “Mi fa piacere sentirtelo dire ma mi perdonerai se ho preso comunque una piccola precauzione.” Sussurrò.

Hikoichi sollevò un sopracciglio con terrore notando solo in quel momento che il medico non aveva bevuto dal suo bicchiere.
La vista gli si offuscò violentemente mentre il mondo attorno a lui oscillava.

“Mi... mi hai...” soffocò tossendo mentre si portava entrambe le mani alla gola.

Otis sorrise osservando il ragazzo contorcersi a terra in preda agli spasmi del veleno prima di afflosciarsi, privo di vita, con un rantolo strozzato e un’ultima frenetica convulsione del corpo.

 

“Morto?” chiese Rukawa cupo.

Akira annuì altrettanto scontento. “Avvelenato” specificò.

“L’hanno eliminato per evitare che parlasse!” sbottò Mitsui lanciando un’occhiata bieca fuori della finestra.

“Così siamo di nuovo punto e capo.” Mormorò Akira scuotendo il capo stancamente.

Aver percorso l’enorme distanza che separava la capitale dell’Acqua da quella dell’Aria a nuoto, seppur sottoforma di delfino, l’aveva completamente prosciugato sia magicamente che fisicamente.

Rukawa lanciò uno sguardo ad Hanamichi che riposava nel grande letto vegliato dalla madre.

Il rossino si stava lentamente riprendendo grazie alle cure del medico dell’aria che si era fermato a palazzo su ordine di Fujima.

Nei brevi momenti in cui era stato cosciente aveva confermato l’intuizione di Rukawa su Hikoichi che però, sembrava essere scomparso nel nulla.

Solo dopo giorni di ricerche, Mitsui e la sua squadra avevano trovato il suo cadavere, vecchio di giorni ormai, parzialmente congelato, dietro le stalle.

“Sono arrivati troppo vicino questa volta” mormorò Rukawa gelido.

“Voglio che controlliate l’identità di tutti qui a palazzo, dal più giovane dei paggi al più alto dei miei ministri. Spulciate il loro albero genealogico dai tempi di Ice e informatevi su tutti i loro amici, conoscenti, o presunti tali.” ordinò “A castello ci sono dei traditori e li dobbiamo trovare prima che riescano nel loro intento!”

Otis che, immobile accanto al letto del rossino, aveva seguito il dialogo con orecchi attenti imprecò tra se.

Non poteva avvelenare il giovane re, dato che il medico dell’aria controllava personalmente tutto ciò che gli veniva somministrato, e se Rukawa si fosse davvero messo a spulciare gli alberi genealogici avrebbe presto scoperto il suo legame con la famiglia Takano.

Doveva escogitare qualcosa.

Un veleno potente ma allo stesso tempo insidioso da somministrare in dosi così esigue al sovrano che nemmeno il medico dell’aria l’avrebbe trovato, ma che alla lunga avrebbe avuto comunque il suo terribile effetto.

Sorrise tra se mentre prendeva il calice con la pozione soporifera che Hanagata aveva prescritto al rossino per farlo riposare, dirigendosi verso i l suo studio.

Ci sarebbe riuscito.

Per il suo unico e solo sovrano Takano, avrebbe dato la morte al maledetto consorte reale e alla sua prole blasfema.

 

continua............                                                                                            

 

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