Cronache 11                                      Back to FanFic  Back to Home

Dal Libro Proibito delle Anime

Resurrezione

 

Il potere che invoco è antico e maledetto.

A pegno della ruota che blocco,

Della clessidra che spezzo,

Avrete la mia vita.

 

Anime incatenate rispondete al mio richiamo.

Attraversate le terre dell’oblio e venite al mio cospetto.

Poichè io diverrò vostro fratello,

poichè trascorrerò con voi gli attimi immortali dell’agonia.

 

Vi nutrirete dei miei sogni,

Mi spoglierete dei miei desideri,

Estirperete le mie memorie e i miei sentimenti.

 

Sono disposto a questo.

Voglio questo.

Con tutta l’anima che vi porgo.

Con ogni battito del mio cuore che vi dono.

 

Ascoltate il mio ultimo respiro...

Il mio disperato richiamo...

Acconsentite alla mia unica richiesta....

 

Restituitemelo....

 

                                                                                                                                    Dal Libro Proibito delle Anime

 

*-*-*-*-*-*-*-*

 

Capitale del regno dell’Acqua

Duecentoquarantaduesimo giorno del quinto millennio dal Patto di Zagor

 

Hanamichi si mosse a disagio, le lenzuola scivolarono sulla sua pelle accaldata provocandogli un brivido spiacevole.

Scosse il capo sui cuscini con un basso lamento, cercando di allontanare il suono fastidioso che si stava intrufolando nella sua coscienza strappandolo dal suo riposo.

Socchiuse le palpebre stanche guardandosi attorno confuso, distinguendo attorno a se i contorni familiari del proprio letto.

Il silenzio per un momento lo avvolse, così totale da essere assordante, prima che  quel fastidioso strascichio si ripetesse.

Un suono basso, raschiante, che lentamente, ma con fastidiosa costanza, si era fatto strada nella sua coscienza addormentata fino a spingerlo ad aprire gli occhi.

La stanza era completamente immersa nelle tenebre, non un filo di luce penetrava dal balcone chiuso.

Anche se l’estate era alle porte, il caldo era eccessivo.

Anche se era notte, il buio era troppo denso.

Il suo corpo bruciava e la testa gli pulsava come se fosse preda di una febbre molto alta.

Le lenzuola erano un fastidioso fardello appiccicato al suo corpo di cui avrebbe volentieri fatto a meno, se fosse riuscito a scostarle.

Ma le sue membra erano troppo pesanti.

Troppo stanche anche per compiere un gesto semplice come quello.

Le sue gambe sembravano appiccicate, viscide, tanto erano sudate, al materasso.

Si agitò inquieto cercando la presenza rassicurante del compagno accanto a se.

Ma lui sembrava essere l’unico occupante del grande letto.

Il posto accanto al suo era vuoto.

Vuoto e freddo.

Eppure doveva essere molto, molto, tardi, data l’oscurità che scivolava cupa, tutt’attorno a lui.

Si chiese dove potesse essere mai andato mentre quel suono spettrale che l’aveva svegliato si faceva sentire nuovamente.

Sembrava il rumore dello sfregare della pietra contro la pietra.

Uno scricchiolio e uno schiocco lo fecero sussultare lievemente.

Aveva paura.

Nonostante tutto sembrasse così perfettamente in ordine.

Tutto così eccessivamente familiare.

Troppo in ordine.

Troppo familiare.

Troppo buio, troppo caldo e troppo silenzioso.

A parte qull’unico suono che, seppur sinistro, sembrava l’unica cosa consistente e reale in quel limbo di tenebra.

Cercò di mettersi a sedere sul grande letto a baldacchino, unico oggetto che riusciva a distinguere nitidamente, ignorando il battito convulso del suo cuore e il campanello dell’allarme che suonava incessantemente nella sua testa.

Al rosicchiare che l’aveva svegliato si aggiunsero altri suoni, sottili, umidi, viscidi.

Un risucchio e un gorgoglio.

Gli tornò alla memoria la prima volta che era andato a caccia con suo padre e avevano visto un leone cibarsi di una giovane antilope.

Le fauci della belva che dilaniavano il corpo straziato producevano quella stessa, angosciante, sinfonia.

“Kaede..” chiamò piano, incerto, cercando di alzarsi.

Un forte dolore al ventre gli strappò un grido spingendolo a raggomitolarsi su se stesso, le braccia che automaticamente cingevano il ventre mentre il suo sguardo si abbassava su di esso, terrorizzato.

L’oscurità attorno a lui si diradò tramutandosi in una densa nebbia grigia che vorticò cupa intorno al letto, trasformando il pavimento in un oceano sconfinato e instabile.

Il suo subconscio gli gridò che quello che stava accadendo era impossibile.

Che ciò che vedeva non poteva essere reale, eppure per quanto si sforzasse Hanamichi non riusciva a cogliere che cosa ci fosse di sbagliato.

Ogni suo pensiero venne annullato, liquefatto nel mare di sangue che inzaccherava le lenzuola, quando i suoi occhi si posarono infine sul suo ventre.

Era squarciato.

Brandelli di pelle pendevano staccati per metà verso l’esterno, il segno di lunghi artigli adunchi dilaniavano il suo stomaco e parte del suo petto.

Hanamichi sbarrò gli occhi rendendosi conto di riuscire a malapena a muoversi a causa del sangue che coagulandosi lo aveva incollato alle lenzuola.

Eppure non provava dolore.

Anche se il terrore gli serpeggiava nelle vene e il respiro era irrazionalmente accelerato, dopo quella prima fitta che aveva attirato la sua attenzione, non provava dolore.

“Kaede...” chiamò la voce in cui vibrava una nota disperata di panico.

Una risatina infantile giunse da poco lontano in risposta e Hanamichi si voltò di scatto verso le ombre al centro della stanza.

La nebbia si sfaldò in eleganti volute grigiognole, permettendogli di scorgere una lunga scia scarlatta che dal suo ventre scivolava sulle lenzuola, fino al pavimento, per poi proseguire verso il centro della camera da letto, scomparendo tra le ombre che andavano tingendosi di carminio.

Con il cuore che esplodeva in petto, gli occhi dorati sbarrati, Hanamichi si rese conto con terrore che in quella strada di sangue poteva notare le tracce di piccole mani artigliate.

Come se la creatura che aveva fatto scempio di lui si fosse divertita a trascinare i corpi delle sue vittime lungo il pavimento per potersene cibare con calma.

La nausea travolse i suoi sensi costringendolo a portarsi le mani al volto per cercare di trattenere un conato di vomito.

L’odore del sangue si fece più intenso, metallico, impastandogli la bocca quando si rese conto che le sue mani, come tutto il suo corpo, erano coperte di sangue.

Si piegò oltre il bordo del letto rigettando quel poco che aveva mangiato a cena incapace di trattenersi.

Quel suono tuttavia attirò la cosa appostata appena al di fuori del suo campo visivo che gattonando e strisciando emerse lentamente dalle nebbie, una sagoma scura, indistinta, che acquisiva contorni precisi man mano che si trascinava verso di lui.

Hanamichi si ritrovò gelato dal terrore a fissare due occhi carminio sul volto pallido di un bambino di pochi mesi, il corpo coperto di sangue, il cordone ombelicale malamente tranciato che gli pendeva ancora tra le gambe come una piccola coda.

Il piccolo gli sorrise rivelando nella bocca un’infinità di zanne da cui uscì nuovamente quella risa bassa e argentina.

Angelica.

Terrificante.

Tirandosi con le mani e trascinando le gambette, ancora incapaci di sostenerlo, il piccolo diavolo si avvicinò al letto ripercorrendo al contrario la scia di sangue che egli stesso aveva tracciato quando aveva dilaniato il ventre della ‘madre’ per venire alla luce.

Hanamichi tremava violentemente senza riuscire ad emettere suono mentre l’osservava avvicinarsi.

Una seconda risatina giunse dal buio poco lontano e la creatura che nel frattempo si era appollaiata sulle lenzuola accanto a lui si voltò verso quel suono emettendo un gruttuale richiamo.

La nebbia vorticò e ne emerse un’altro infante, identico al primo, solo che questo portava tra le fauci qualcosa di candido che gocciolava abbondantemente sangue, inzaccherando il pavimento.

La piccola lo porse al bimbo, accovacciato sul letto, che rosicchiò con soddisfazione l’osso del polso, di quella, che si rivelò infine ad Hanamichi, come una mano amputata.

La nausea lo travolse violentemente, dovette coprirsi la bocca con entrambe le mani per non rimettere nuovamente, mentre l’odore del sangue si mischiava nell’aria al suono delle piccole mandibole che strappavano la carne.

Quel sinistro rosicchiare che l’aveva svegliato.

Il bimbo notando il pallore della madre prese un’altro morso di carne prima di fissarlo negli occhi, masticando con gusto.

Con gentilezza gli porse la mano, per invitarlo ad unirsi al suo orrido banchetto.

Hanamichi si ritrasse incredulo, spalancando gli occhi, mentre fissava le dita candide di quell’arto finalmente illuminato, mentre la nebbia si dissolveva attorno a loro.

La luce scintillò su un piccolo cerchio metallico all’anulare della mano.

Un cerchietto lavorato con cura, in cui, oro bianco e oro rosso, si intrecciavano, inseguendosi.

La sua fede nuziale.

Hanamichi gridò.

Gridò con tutta l’anima quando si rese conto che quella che gli veniva tesa era la mano del suo amante.

 

“Hana!”

Hanamichi spalancò gli occhi incontrando due pozzi blu, carichi di preoccupazione.

“Ka...kaede” balbettò guardandosi forsennatamente intorno, nella stanza avvolta dalla dolce luce dell’alba.

L’imperatore gli accarezzò dolcemente i capelli cercando di calmare il tremito incontrollabile che scuoteva il suo sposo.

“Era un incubo tesoro, solo un incubo” gli sussurrò piano Kaede cullandolo tra le braccia.

Hanamichi si  portò una mano al ventre, trovando nuovamente la solida consistenza della sua pelle calda.

Rukawa gli accarezzò il volto e la luce giocò con gli intrecci dell’anello che portava all’anulare facendo sussultare il rossino che si aggrappò disperatamente a lui, scoppiando infine in singhiozzi disperati.

“Shhh... è tutto finito” mormorò Kaede dolcemente mentre il ragazzo affondava il volto nella sua spalla come se volesse annullarsi dentro di lui.

 

Rukawa fece scorrere lentamente le dita candide tra i capelli carminio del suo compagno.

Hanamichi si era addormentato di nuovo, troppo stanco per riuscire a rimanere sveglio nonostante il terrore che gli incubi tornassero a tormentarlo.

Il lieve bussare alla porta lo distrasse momentaneamente dalla sua contemplazione.

Akira fece capolino nella stanza adocchiando il grande letto e i due sovrani che l’occupavano.

“Dorme?” chiese, indicando Hanamichi rannicchiato tra le lenzuola.

Rukawa seduto sui cuscini, il capo dell’amante appoggiato sulle sue gambe, riprese a far scorrere la mano tra i capelli rossi, in un gesto lento e ipnotico che aveva il potere di calmare il suo compagno.

Annuì “Anche se non so per quanto...” mormorò scuotendo il capo affranto.

Anche la sua pelle era più pallida del solito, sotto gli occhi blu occhiaie scure segnavano il volto candido.

“Hai scoperto nulla?” chiese speranzoso.

Akira era all’opera sui documenti reali ormai da mesi ma a parte qualche legame molto alla lontana e qualche servo dal passato non proprio pulito, non aveva trovato nulla.

Sapevano entrambi che era Takano a nascondersi dietro l’attentato ad Hanamichi, come era chiaro che doveva avere altre persone infiltrate al castello.

Lui e Akira si stavano dando un  gran da fare, con l’aiuto anche di Hanamichi quand’era sveglio, ma la cosa era delicata e piuttosto complicata, per di più Mitsui era dovuto partire, per riaccompagnare Roxane al suo regno.

L’estate era ormai vicina e i vulcani delle terre del fuoco cominciavano a risvegliarsi, la regina non poteva permettersi di restare all’estero in quel periodo.

“Niente, mi dispiace” mormorò scuotendo il capo.

Ormai aveva la certezza che nonostante la cura e l’attenzione con cui stavano facendo le loro indagini qualcuno ne fosse venuto a conoscenza e avesse fatto sparire alcuni alberi genealogici molto importanti.

“Ha avuto un’altro incubo?” chiese il cavaliere corrugando la fronte.

L’imperatore annuì.

“Stamattina presto. E tutte le volte diventa più difficile svegliarlo” mormorò preoccupato.

Akira annuì massaggiandosi gli occhi stanchi per le troppe ore passate a leggere vecchi manoscritti, spesso sbiaditi e rovinati dal tempo.

Sia Hanagata che Otis avevano ripetutamente visitato il rossino senza riuscire a scoprire la natura di quel terrore che si era improvvisamente impossessato del loro amico, tramutando le sue notti in interminabili incubi.

Ormai non mancava molto al momento del parto ed entrambi i medici si erano raccomandati di farlo riposare il più possibile, soprattutto dopo il trauma che il suo corpo aveva subito a causa dell’attentato.

Era servito più di un mese perchè Hanamichi si riprendesse completamente dalla caduta, nonostante la magia del figlio dell’aria, che aveva guarito le ferite fisiche, per recuperare l’energia che aveva bruciato per salvare i suoi figli era occorso molto tempo.

E quando finalmente sembrava che Hanamichi si fosse ripreso dagli effetti dell’incidente, aveva cominciato a fare quegli strani incubi.

All’inizio si svegliava quasi subito con un brivido di terrore e li raccontava a Rukawa per allontanarne lo spettro.

Per lo più si trattava di visioni distorte del momento del parto, durante il quale Hanamichi sognava di perdere i bambini.

L’imperatore ne aveva parlato con Hanagata che gli aveva spiegato che, dopo quello che gli era accaduto, era normale per il suo consorte fare di quei sogni.

Gli aveva garantito che con il tempo la situazione sarebbe migliorata.

Invece più passavano le settimane, più gli incubi diventavano orribili e realistici.

Hanamichi non riusciva più a parlarne ma a Kaede bastava svegliarsi nel cuore della notte a causa delle sue urla, per rendersi conto del dolore che dilaniava il suo sposo.

Con il passare del tempo la mancanza di sonno aveva reso il ragazzo insofferente e nervoso.

Piangeva e si infuriava per un nonnulla.

Mangiava sempre meno, ma la cosa che preoccupava maggiormente Rukawa era che stava sviluppando una specie di odio terrorizzato verso i figli che portava in grembo.

Dovevano fare i salti mortali per costringerlo a letto quando era sveglio.

Una volta avevano litigato furiosamente quando Rukawa gli aveva fatto notare che metteva in pericolo, non solo la sua di vita, ma anche quella dei loro figli, a girarsene con il solo pigiama per la camera nuziale, come una belva in gabbia.

E con orrore l’aveva visto scuotere le spalle e mormorare un “Forse sarebbe meglio...”

Non si era fermato a pensare, aveva alzato una mano e l’aveva schiaffeggiato con forza.

Hanamichi aveva scosso il capo, come riscuotendosi da uno strano stato di trans, prima di affondare il volto tra le mani e scoppiare in singhiozzi.

Il dolore che aveva avvertito in quelle lacrime aveva fatto tremare l’imperatore che si era affrettato a prenderlo dolcemente tra le braccia, cullandolo, mentre il rossino continuava a piangere sulla sua spalla inframmezzando ai singhiozzi dei continui “mi dispiace” così affranti da spezzare il cuore.

L’aveva messo a letto e Hanamichi era caduto in un sonno spossato per svegliarsi, solo poche ore dopo, in preda ad un’altro incubo.

E più le settimane passavano, più si avvicinava il parto, più lo sguardo di Hanamichi si spegneva, le occhiaie si allungavano sul suo volto e ogni suo gesto diventava pesante, sempre più difficoltoso.

Niente, neppure i sonniferi di Hanagata, riusciva a dar sonni tranquilli al consorte che si svegliava più stanco di quando si era addormentato.

Nell’ultima settimana poi, Rukawa si era reso conto con terrore, che sempre con maggior difficoltà Hanamichi riemergeva da quegli incubi.

Anche se veniva chiamato non si svegliava.

E anche quando si svegliava per diversi minuti i ricordi erano così vividi da spingerlo a contorcersi tra le braccia dell’imperatore, gemendo in preda al terrore, negli occhi dorati lo scintillio insano della follia.

Quella mattina aveva dovuto chiamarlo per diversi minuti prima di cominciare a scuoterlo con forza per riportarlo indietro.

“Non so più cosa fare.” mormorò scuotendo il capo.

Akira sospirò fissando il rossino che si agitò tra le braccia di Rukawa.

Il volpino impallidì spaventato dall’idea di dover nuovamente svegliare il suo amante a causa dell’ennesimo incubo ma Hanamichi parve tranquillizzarsi sotto il tocco rassicurante della sua mano tra i capelli e Rukawa tirò un momentaneo sospiro di sollievo.

“Mancano solo due mesi al parto Rukawa, vedrai che troveremo chi gli sta facendo questo e lo fermeremo” mormorò Akira, cercando di mascherare dietro un sorriso la preoccupazione che anch’egli provava per la sorte del ragazzo.

Rukawa annuì, spostando lo sguardo sull’amato che anche se addormentato era teso, nervoso, come se temesse qualcosa o si aspettasse di essere aggredito.

“Lo spero...” sussurrò mestamente.

 

“Allora?” chiese Takano al medico, che era in piedi dinanzi a lui.

Otis sorrise malignamente.

“Il mio specialissimo veleno comincia a fare i suoi effetti.” ghignò.

“Lo sposo reale sta impazzendo! Gli incubi che gli procura il mio filtro gli impediscono di dormire e la sua salute sta decisamente peggiorando.” relazionò tutto soddisfatto.

“Inoltre comincia ad odiare i suoi figli. Ho manovrano i suoi incubi perchè finisca col convincersi che non deve assolutamente partorirli” spiegò orgogliosamente.

Takano si passò una mano sul mento corrugando la fronte.

“Quanto pensi che ci vorrà ancora?” chiese leggermente infastidito, fissando il paesaggio glabro fuori della piccola finestra.

Era stato costretto a trasferirsi nella dimora estiva del medico perchè dopo aver indagato su Hikoichi, Akira e Rukawa erano velocemente risaliti a lui, piombando come falchi sulla sua dimora.

Fortunatamente egli si era spostato alcuni giorni prima, presso la casa del medico, di cui, almeno per il momento, nessuno sospettava.

Per troppi anni era stato un fedele servitore del re e la sua linea di discendenza con lui era così lontana e confusa che, anche se non avesse mandato delle spie a rubare i documenti compromettenti, difficilmente sarebbero giunti a lui.

Non in tempo per salvare i marmocchi comunque.

“Ormai manca poco più di un mese al parto” disse serio tornando a rivolgersi al suo galoppino.

Il medico annuì corrugando la fronte.

“In effetti il maledetto ha una resistenza notevole.” Sbottò seccato “Chiunque altro sarebbe già impazzito al posto suo!! Purtroppo non posso aumentare le dosi a causa della figlio dell’aria che controlla tutti i miei movimenti” borbottò cupo massaggiandosi il volto “E inoltre, anche se non riesco a capirne il motivo, sembra che la vicinanza dell’imperatore riduca gli effetti della mia pozione.”

Takano si alzò dalla poltrona, su cui era seduto, passeggiando nervosamente.

“I poeti direbbero che è la forza dell’amore!” disse con una smorfia cupa “La verità è che il mio maledetto cugino è dannatamente potente, così potente che la sua magia in qualche modo riesce a mitigare gli effetti del tuo veleno per proteggere la sua discendenza.”

Otis scosse il capo. “Non riuscirà a fermare gli incubi a lungo. Un paio di giorni fa sua maestà ha avuto delle visioni da sveglio. Me l’ha confidato in segreto per non preoccupare il suo consorte chiedendomi se non avessi qualcosa che potesse aiutarlo” il medico sorrise malignamente “Ovviamente gli ho fornito una massiccia dose di veleno” disse allegramente.

“Credo proprio che sua maestà presto perderà completamente il senno”

Takano rise sollevando il calice, brindando con il mago, alla disfatta imminente del loro nemico.

 

Anche se aveva delegato la maggior parte dei suoi compiti ad altri e svolgeva il più del lavoro nella camera del suo amante, nella quale aveva fatto trasportare la sua scrivania e gli incartamenti di cui aveva bisogno, Rukawa non poteva esimersi totalmente dai suoi incarichi di re.

“Si tratta di un paio d’ore Hana” disse al suo sposo che stava sfogliando distrattamente un libro.

Il rossino non diede segno di averlo sentito e Rukawa gli posò dolcemente una mano sulla spalla.

“Hana?” lo chiamò piano.

Il ragazzo sollevò uno sguardo vuoto su di lui.

Rukawa si sedette con un sospiro triste accanto a lui, sul letto, poggiandogli un bacio leggero sulle labbra.

Finalmente Hanamichi gli sorrise, seppur debolmente, mentre il suoi occhi assumevano una sfumatura dorata.

“Tesoro devo ricevere il ministro dei trasporti, me ne vado per un paio d’ore, resterà Akira con te”

Il rossino impallidì violentemente comprendendo il senso di quelle parole ma strinse la mascella e scosse il capo.

“Va... va bene” mormorò.

Rukawa lo strinse dolcemente a se cercando le sue labbra con le proprie in un bacio carico d’amore prima di alzarsi e dirigersi verso la porta, seguito dallo sguardo spento del compagno.

“Mi raccomando Akira” mormorò.

Sendoh annuì con il capo prima di lanciare un’occhiata allo sposo che era tornato a sfogliare il vecchio libro.

La porta si richiuse alle spalle del sovrano con un leggero tonfo facendo sollevare il capo ad Hanamichi.

Il rossino continuò a girare le pagine del vecchio tomo avanti e indietro svogliatamente, per diversi minuti, prima di chiuderlo con uno scatto e alzarsi.

“Dove vai?” gli chiese subito allarmato il figlio del ghiaccio, sollevando il capo dall’ennesimo albero genealogico che stava consultando.

Il rossino sospirò scuotendo le spalle.

“In bagno” disse “Vuoi venire con me?” gli chiese con un ghigno ironico.

Quando Akira corrugò la fronte, vagliando evidentemente la sua proposta, Hanamichi gli lanciò un’occhiata incendiaria, infilandosi nella stanza attigua, sbattendosi la porta alle spalle.

Aveva di nuovo i nervi a fior di pelle.

Era stanco, stanco di tutto.

Stanco degli incubi e delle visioni che avevano preso a tormentarlo anche di giorno, stanco di avere la nausea e di non riuscire a fare nulla senza sentirsi immediatamente esausto, stanco di quel ventre ingombrante che rendeva anche il più semplice dei movimenti un’operazione impossibile, stanco di quelle maledette quattro mura che conosceva a memoria.

Si avvicinò al catino, che il cameriere aveva riempito d’acqua limpida, deciso a lavarsi il volto per schiarirsi le idee.

Immerse le mani nell’acqua fredda sollevandole, per portarsele al viso, ma le ritrasse di scatto, con un sussulto, quando le guardò.

Quella che impiastricciava le sue mani non era acqua ma sangue, denso e cupo.

Fissò quel liquido scuro con il cuore che gli pulsava violentemente in gola prima di alzare lo sguardo sullo specchio che sovrastava il recipiente dorato.

Quello che vide gli strappò definitivamente il respiro dai polmoni.

Un ragazzo dai capelli castani e dallo sguardo scuro lo fissava da dentro lo specchio.

Un sorriso malvagio sul volto così pallido da essere verdognolo.

 

Hi...hikoichi” balbettò Hanamichi con un filo di voce.

 

continua............                                                                                            

 

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