You are my Blood 3                                              Back to FanFic  Back to Home

 

Rukawa rimase solo alcuni minuti ad osservare il sonno profondo con cui l’incantesimo aveva avvolto Hanamichi.

Passò una mano candida tra i capelli carminio osservando le ciocche scure scivolare tra le sue dita candide, ascoltando il leggero fruscio che esse producevano sfiorando le sue dita.

Scivolò sui lineamenti dorati con delicatezza, seguendo con lo sguardo il percorso delle sue dita, come se volesse imprimersi nella memoria i tratti di quel volto che ormai occupava tutti i suoi pensieri da più di un anno.

Sentì l’apprensione serrargli la gola e si affrettò ad allontanarla con forza.

Non avrebbe permesso che le parole di Distruzione diventassero realtà.

L’avrebbe impedito con tutte le sue forze, a qualsiasi costo.

Chiuse gli occhi per un momento e la sua mente ricostruì per lui, dietro le palpebre, quell’immagine particolare di Hanamichi, la pace che gli donava vederlo così tranquillamente addormentato nel suo letto.

Strinse i pugni con forza maledicendo Distruzione, il destino e se stesso.

Perchè se lui non avesse fatto di Hanamichi il suo shadow...

... se non l’avesse amato come invece l’amava...

Sospirò sollevandosi lentamente dal letto, era inutile pensarci.

Non poteva impedirsi di amarlo.

Raccolse le coperte sfatte e gliele rimboccò con cura senza resistere alla tentazione di sfiorargli le labbra in un rapido bacio.

Il letto aveva un’aria dannatamente invitante e quel corpo dorato, che tra le lenzuola candide sembrava un gioiello posto su un manto di raso per lui, era un muto invito a cui resistere era davvero difficile.

Si diresse verso la porta della loro camera, concedendosi un ultimo sguardo al suo compagno, prima di scuotere le spalle ed uscire chiudendosela delicatamente alle spalle.

 

Jay imprecò tra sè spolverandosi gli abiti bruciacchiati.

Quello stupido shadow aveva mandato in frantumi il mobile indicatogli dal demone.

Ma aveva distrutto anche il muro dietro il mobile e i rami dell’albero tanto vicini alla casa e così utili per i suoi appostamenti.

“Stupido mortale!” sbottò soffocando un lamento di dolore, osservando l’ustione che gli aveva procurato il potere del ragazzo.

Era stato costretto a fuggire e a ritornarsene a casa, per riprendere frettolosamente le sue sembianze umane, e curarsi le ferite.

Si era perso il resto del dialogo.

Comunque aveva avvertito l’aura di Distruzione sparire poco dopo quindi presumeva che non si fossero detti niente di importante.

Sbuffò gettando gli abiti inservibili nel bidone dei rifiuti prima di dirigersi in bagno per una bella doccia.

Lasciò che l’acqua scivolasse sul suo corpo pallido mentre pensava al da farsi.

Ormai era sicuro di poter mettere in atto il suo piano.

E soprattutto non era saggio aspettare che quel maledetto rossino approfondisse la conoscenza dei suoi poteri.

Il momento della vendetta era prossimo.

Aveva dovuto attendere sei mesi dopo la morte di Aron.

Il pensiero del suo amato lo spinse a scuotere il capo biondo.

“Mi manchi...” sussurrò allo scroscio dell’acqua prima di chiuderla con gesto secco e nervoso.

Avrebbe lasciato spazio al dolore dopo.

Prima si sarebbe vendicato.

Gli ci erano voluti più di tre mesi per imparare quell’incantesimo complicato.

Poi aveva dovuto cercare l’abitazione del Demon Master.

Cosa per nulla facile dato che, a nome di Kaede Rukawa, c’erano un gran numero di proprietà sparse per il Giappone e non solo.

Li aveva spiati a scuola e a casa per un po’ stando nell’ombra e alla fine si era trasferito nella piccola casa a fianco della villetta del suo nemico.

Uscì dal bagno dirigendosi in camera da letto e aprì un cassetto estraendone una pergamena arrotolata con cura.

Su di essa spiccava il sigillo di Lafcraft.

Farlo falsificare era stato davvero difficile e aveva richiesto tempo ma lui non si era arreso e aveva scavalcato ogni difficoltà senza arrendersi mai.

Avrebbe fatto credere a Rukawa che Lafcrasft lo aveva fatto convocare, per allontanarlo, e poi si sarebbe impossessato del suo shadow.

Sorrise allo specchio mentre mormorava una formula antica.

Sentì la famigliare sensazione della pelle che tirava, dei muscoli che si tendevano, le ossa che scricchiolavano.

La sua figura si allungò un poco mentre i suoi occhi perdevano il loro taglio occidentale per prendere una forma più stretta.

I capelli biondo platino si scurirono velocemente divenendo di un nero cupo mentre la sua pelle già pallida schiariva ancora.

Quando anche l’ultima parola dell’incantesimo fu pronunciata, quello che gli sorrideva dall’ampio specchio della sua camera da letto, non era più Jay Roxad ma Kaede Rukawa.

Sorrise malignamente mentre gli occhi blu rilucevano soddisfatti.

Provò la voce compiaciuto della sua somiglianza all’originale.

Il patto che legava uno shadow al suo vampiro stabiliva che esso non poteva venire ‘rubato’ da un’altro figlio della notte, se non era lo shadow stesso a donare volontariamente il suo sangue al nuovo padrone, ma quello stupido mortale, anzi no, il suo adorato Hanamichi, sarebbe caduto facilmente nel suo inganno tradendo il suo compagno.

Chissà che cosa avrebbe pensato Rukawa trovando sulla fronte dell’amato il suo simbolo!

Sorrise mentre passava una mano tra i capelli scuri, in un gesto che aveva visto così spesso fare dal vampiro.

“Farò di te il mio shadow, Hanamichi...” sussurrò allo specchio “...e allora Rukawa non potrà ferirmi senza ferire te. Non potrà uccidermi senza uccidere te.” Rise soddisfatto contorcendo i lineamenti del volto in un’espressione folle e crudele che non aveva mai solcato il volto dell’originale.

Scosse le spalle cambiando ancora una volta aspetto.

I capelli divennero castani e gli occhi scuri mentre la sua figura si assottigliava allungandosi di alcuni centimetri.

Studiò il proprio profilo per alcuni secondi prima di dirigersi verso l’armadio e cercare degli abiti adatti al braccio destro del Demon Master, Ken Irashi.

 

Rukawa si diresse verso lo studio stringendo la cintura della vestaglia di velluto blu, che aveva raccolto da una poltrona in camera, il famigliare odore di carta che regnava nella stanza calmò un po’ il suo spirito inquieto.

Fece scivolare lo sguardo sulle due pareti completamente tappezzate da libri, riposti con cura dietro le vetrine trasparenti di una moderna libreria, prima di dirigersi alla sua ampia scrivania di legno scuro, posta direttamente sotto la più imponente delle due.

La finestra dianzi a lui dava sul giardino buio, mancavano ancora alcune ore all’alba.

Accese una piccola lampada ricurva sulla scrivania prima di voltarsi verso la libreria.

Si sollevò delicatamente in aria giungendo sino all’ultimo ripiano scorrendo i titoli senza leggerli.

Prese il piccolo fascicolo che cercava riconoscendolo dalla copertina.

La pelle rossa e nera, squamosa, che proteggeva quell’unica pagina di pergamena così importante, gli diede una famigliare sensazione di formicolio al tatto.

Atterrò a pochi passi dalla sua scrivania deponendo la cartellina scura, avvertendo nella testa il suadente sussurro dei cinque demoni che avevano versato il loro sangue per vergare quel disegno.

Liberami” ripetevano in coro quelle cinque voci nella sua testa.

Scosse il capo con forza mentre tentava di allontanare i ricordi senza riuscirci.

 

Flash Back.

Aveva ucciso Lord Noir.

Aveva teso una mano sicuro di poter distruggere un vampiro più anziano e potente di lui.

E da qualche parte dentro di lui, quella forza che avrebbe dovuto restare sigillata, si era liberata con un grido di trionfo dalle catene che la tenevano asserragliata rovesciandosi nelle sue vene, divorandogli il sangue e la mente, prima di esplodere in quel fuoco mortale che aveva distrutto il suo nemico.

E poi aveva perso i sensi.

E aveva sognato.

Sognato un mondo fatto di fiamme e tenebre.

Il rosso e il nero si mescolavano, sciogliendosi, l’uno nell’altro, dilaniandosi l’uno con l’altro.

Dove il nero veniva strappato il rosso fluiva violento, dove il rosso sbiadiva il nero lo avvolgeva con la sua cappa assoluta.

Un vortice di caos carminio e di nulla d’ebano che lo risucchiava, inglobandolo, come se anch’egli fosse parte di quell’essere pulsante che lo trascinava sempre più giù, fino ai piedi di un grande albero dal possente tronco nero e migliaia, milioni, di minuscole foglioline rosso sangue che si agitavano, attaccate ai suoi rami, come se avessero voluto staccarsi da lui per librarsi, libere, in quel cielo in cui il rosso e il nero continuavano a rincorrersi senza posa, senza che uno avesse mai il sopravento sull’altro.

Alcune foglie erano più luminose, alcune più pallide, ma ognuna di loro scintillava, come una piccola fiammella, muovendosi in maniera diversa, seguendo una propria volontà indipendente.

Ognuna di loro agitandosi provocava un piccolo suono diverso, creando un coro di sussurri.

I grandi rami neri salivano sinuosi sino a quel cielo vorticante, le grosse radici si insinuavano sotto di lui come piccoli capillari e grosse vene contorte.

Giunse ai piedi del grande albero fermandosi a fissarlo immobile.

Provava una strana attrazione per lui.

Un desiderio sopito troppo a lungo di una completezza mai raggiunta, che era finalmente a portata di mano.

Eppure allo stesso tempo un profondo timore lo frenava.

La mano candida a pochi centimetri dal tronco nero.

A pochi passi da tutte le risposte, si chiese se volesse davvero averle.

La curiosità uccise il gatto, gli sussurrò una vocina troppo lontana e flebile per essere udita.

Con lentezza Rukawa appoggiò la mano sul tronco dell’albero.

Sussultò nell’avvertire il tepore di quella corteccia così ruvida all’apparenza, così morbida e vellutata al tatto.

Sotto le sue dita avvertì distintamente un palpito.

Nell’aria vibrò un suono profondo.

Le foglie si agitarono violentemente contorcendosi, prendendo fuoco, mentre il lieve pulsare sotto il palmo della sua mano prendeva la cadenza cupa e regolare del battito di un cuore enorme.

Rukawa chiuse gli occhi avvertendo il proprio cuore prendere quella stessa cadenza, lenta e serena.

Un sensazione di pace profonda, di completezza, che non aveva mai provato.

Staccò lentamente la mano dal tronco scuro sorridendogli con affetto.

Le foglie smisero di bruciare e i loro sussurri si quietarono in un silenzio sorpreso.

Lentamente, una dopo l’altra, esse si piegarono sul loro picciolo in un piccolo, delicato, inchino, di fronte a lui.

Rukawa fissò il moto ipnotico e finalmente sincronico con cui ognuna di quelle piccole essenze carminio si piegava per lui.

Senza fermarsi a riflettere su quanto stesse facendo si piegò sul busto, inchinandosi a sua volta in una muta risposta al loro gesto.

I grossi rami si spostarono allora di lato, come le pesanti tende di un sipario, per lasciargli vedere un ramo più scuro degli altri su cui era cresciuta un’unica foglia solitaria.

A differenza di tutte le altre, che erano interamente rosse, questa era nera, e solo le cinque punte dal contorno seghettato erano di un carminio intenso.

La vide agitarsi sul ramo, mentre tutte le altre sembravano fissarla immobili, staccandosi dal tronco, per poi librarsi leggera nell’aria densa, riempita dal fruscio dei rami che tornavano nella posizione originaria, mentre questa ondeggiando, andava ad appoggiarsi sul palmo della sua mano aperta.

Rukawa l’osservò con attenzione, attirato, quasi ipnotizzato, dalle delicate venature rosse che scivolavano sulla superficie scura, sussultò però, lasciandola cadere, quando si accorse del calore ustionante che emanavano le cinque punte della foglia.

Seguì tuttavia il suo lento ondeggiare fino a terra prima di passare lo sguardo sui piccoli punti rossi che il calore aveva lasciato sul suo palmo a formare una stella rovesciata.

Sotto i suoi occhi i cinque segni scomparvero, scivolando sotto la sua pelle candida come se ne venissero assorbiti.

Uno sfrigolio riportò la sua attenzione a terra.

Il picciolo della foglia stava bruciando.

Si staccò da essa arcuandosi, come un rettile impazzito, disegnando un cerchio intorno alla foglia immobile.

Non appena tuttavia il cerchio fu chiuso essa prese a stiracchiarsi accartocciandosi su se stessa prima di esplodere in mille scintille di tenebra, i cinque punti rossi, rilucenti, scivolarono verso il cerchio incastonandosi in esso.

Il cerchio esplose verso l’esterno allargandosi fino ad assumere un diametro di qualche metro, i cinque simboli che l’ornavano, scintillanti come stelle.

Da ognuno di essi partirono due fasci di luce carminio che li collegò tra loro, disegnando una stella rovesciata all’interno del cerchio.

Kaede rimase immobile, a pochi passi dal suo contorno, ad osservare le eleganti volute di fumo nero che si sollevarono dal primo punto dinanzi a lui, mentre esso si condensava arrotolandosi su se stesso.

Tra le spire grigie e nere, un paio di corna ricurve, il luccichio bianco di un teschio in cui scintillavano due occhi carminio, fauci appuntite tra cui una lunga lingua nera, biforcuta, scivolò ad assaggiare l’aria, mentre una lunga coda serpentina fendeva il silenzio con uno schiocco che rimbombò come un tuono nell’atmosfera immobile.

L’odio che scivola silenzioso, montando nel sangue ad alimentare la violenza. Questa e la passione dell’Ira.

Sussurrò il rettile ondeggiando ipnoticamente sulle lunghe spire.

Kaede la fissò incredulo ma non ebbe modo di porre domande che una violenta detonazione attirò la sua attenzione sulla seconda punta della stella.

Il fuoco esplose verso l’alto riempiendo l’aria di scintille infuocate.

Le fiamme si contorsero violentemente, le une sulle altre, mentre piccoli scoppi tra le lingue scarlatte provocavano nuovi cambiamenti di direzione, nella danza scomposta del fuoco.

Tra esso una chioma rosso cupo striata di ciocche bionde e nere, sventolò, allargandosi attorno ad un volto dorato in cui scintillavano due occhi lucenti.

Demolire! Abbattere! Annientare! Perchè non resti che cenere, cenere e polvere! Questa è la gloria della Distruzione!

Tuonò la donna sollevando le braccia al cielo un sorriso euforico sul volto bellissimo.

Rukawa sollevò un sopraciglio sorpreso prima che un gorgoglio lo obbligasse nuovamente a spostare la sua attenzione sulla terza punta della stella.

Sangue denso e cupo prese a scivolare fuori dal terreno come da una ferita aperta mentre il suolo si sbriciolava precipitando nella voragine che si era aperta sotto il terzo simbolo.

Una mano artigliata graffiò la terra emergendo dal sottosuolo da cui lava e sangue eruttavano borbottando.

Una testa deforme e due grandi occhi rapaci del color dell’oro si posarono su di lui mentre la creatura si arrampicava fuori dal buco, facendo scricchiolare le braccia innaturalmente lunghe.

Si sollevò a fatica sulle lunghe gambe che terminavano in possenti artigli ricurvi, mantenendo tuttavia una posizione inarcata in avanti mentre allargava verso l’esterno due ali scheletriche e ferite.

Le cicatrici bianche che tagliavano la pelle dell’arpia scintillarono malevolmente.

Lo strazio, il tormento che spezza l’anima e manda in cancrena il corpo. Questa è la condanna dell’Agonia

Gracchiò, fissandolo per un momento prima di chiudere le ali sul corpo mutilato.

Ancora una volta Rukawa non ebbe modo di riflettere su quello che stava accadendo, dal vortice di colori che li sovrastava caddero fischiando piccole lame di metallo lucente.

Spade, pugnali, coltelli si piantarono nel terreno accanto alla quarta punta, rifrangendo il rosso delle foglie e il nero della terra, creando un gioco di ombre e luce tra loro.

Kaede sussultò quando vide quelle ombre spostarsi e si rese conto che quello che aveva creduto il frutto del riflesso delle lame era invece un grosso ragno metallico, su cui quelle ombre nere e quelle luci scarlatte erano disegnate da un pennello sapiente.

Le mandibole del ragno schioccarono, fili di bava trasparente saettarono tra le lame intrecciando una fitta tela traslucida su cui le zampe appuntite scivolarono veloci, ticchettando.

Il veleno che si insinua nella mente alimentando il dubbio che incatena la ragione. Questo è il gioco della Vendetta

Mormorò spostandosi nervosa sulla ragnatela senza tuttavia abbandonarlo con quello sguardo formato da molteplici occhi scuri.

Kaede si voltò verso l’ultima punta seguendo lo sguardo degli altri quattro demoni.

Un fascio di tenebra emerse dalla stella scagliandosi verso il cielo cupo e per un momento il nero ruggì, soverchiando il rosso, mentre gli occhi del vampiro diventavano ciechi.

Anche se poteva vedere al buio quella tenebra densa e fredda che lo circondava non aveva nulla in comune con la notte.

In mezzo a quell’abisso indistinto non riusciva a scorgere nulla, a sentire nulla, se non il basso, rassicurante palpito dell’albero.

Il buio si ritirò lentamente condensandosi sopra l’ultima punta in un mantello nero, il cappuccio alzato, al cui interno poteva vedere solo quella stessa tenebra, il vuoto assoluto.

Il silenzio della fine. Questo è il dominio della Morte

Sancì l’ultimo demone con voce sepolcrale, perfettamente immobile.

Le radici dell’albero scintillarono e le foglie fremettero rumorosamente.

 “Ognuna di quelle foglie rappresenta uno di Noi...” sussurrarono in coro i cinque e Rukawa si accorse con terrore di trovarsi ora al centro della stella seppure lui non avesse mosso un passo.

Quest’albero affonda le sue radici nel Nulla e allarga le sue fronde nel Caos.

Mormorarono i cinque demoni in perfetta sincronia mentre le foglie si agitavano ripetendo all’infinito: “Caos....” “Nulla....” riprendendo a muoversi in quel modo frenetico e scoordinato, cercando di staccarsi dai rami dell’albero senza successo.

Kaede” sussurrarono i demoni attorno a lui e il vampiro impallidì violentemente nel sentire il suo nome pronunciato da loro.

Ma quando si voltò a guardarli si rese conto che i loro occhi non erano puntati su di lui ma sull’albero.

 

E allora si rese conto di una cosa che non aveva notato.

 

Quel tronco.

Quel tipo di foglie dal colore così particolare.

Il modo in cui i suoi rami si allargavano.

Quell’albero era un acero.

 

I cinque demoni si voltarono verso di lui.

I loro occhi si accesero, divenendo polle di oscurità abbagliante.

Avvertì il loro potere avvolgerlo, accarezzarlo, scivolargli attraverso i pori della pelle, nelle vene, insinuandosi nel suo sangue sciogliendosi in esso, mescolando il nero e il rosso ancora una volta.

Il vampiro barcollò violentemente sotto quel tocco mentre sentiva la sua coscienza affievolirsi.

Kaede!” avvertì la voce possente dei cinque Signori del Caos innalzarsi ancora una volta.

Kaede...” sussurrarono le foglie creando un coro discorde ed esultante, vorticando attorno a lui finalmente libere.

E poi fu soltanto il buio.

 

“Kaede mi senti?” ripetè per l’ennesima volta Karen Rukawa scuotendo il figlio preoccupata.

Dopo lo scontro con Lord Noir era svenuto e ora sembrava in preda ad una strana trans.

Il volpino spalancò gli occhi di scatto fissando sua madre prima di guardarsi attorno.

Era steso su un grande letto baldacchino, Karen era seduta accanto a lui e gli teneva una mano sulla spalla.

“Stai bene?” gli chiese un po’ preoccupata.

“Ho... ho fatto un sogno strano” sussurrò scuotendo il capo confuso.

La donna sollevò un sopracciglio “Che cosa hai sognato?” chiese preoccupata.

Rukawa si massaggiò le tempie doloranti, i ricordi stavano svanendo velocemente e faticava a ricollegare le immagini.

“Un.. un albero, con il tronco nero e le foglie rosse” sussurrò mentre inspiegabilmente il suo cuore prendeva a pulsare ad un ritmo più lento, profondo.

Karen sbiancò mormorando un parola che non comprese.

La donna tese le mani dinanzi a se e tra le dita candide comparve una piccola cartellina nera che sembrava di una qualche pelle squamosa dalla natura sconosciuta.

“Me la diede tuo padre” sussurrò prima di consegnargliela.

L’aprì mostrandogli un’unica pagina di pergamena ingiallita su cui compariva il disegno di un albero.

“E’ questo?” chiese.

Kaede annuì accarezzando lentamente il disegno con dita leggere, incantato dal tratto elegante con cui l’inchiostro rosso ne aveva delineato le forme.

“Solo i Demon Master sognano quest’albero e lo fanno il giorno in cui liberano per la prima volta i loro poteri.”

 Il volpino sollevò il volto su sua madre, che lo guardava tra l’incredulo e lo spaventato, prima di riabbassarlo sull’albero disegnato.

 

Ai suoi piedi era incisa una piccola parola.

 

“Edeak.” Sussurrò.

 

Karen lo fissò senza capire.

Rukawa cercò di indicargliela ma lei evidentemente non riusciva a vederla.

Lei come nessun altro.

Rukawa rimase immobile, con le dita sospese a pochi millimetri da quella scritta elegante.

Il cuore fermo.

 

Edeak.

 

Il suo nome al contrario.

 

Poggiò le dita candide sulla carta e il nome scomparve.

 

Fine flash back.

 

 

Rukawa scosse il capo scacciando i ricordi, mentre la sua attenzione tornava sul disegno.

Perchè Distruzione aveva detto ad Hanamichi quella parole.

Perchè fra tutti proprio a lui?

Per liberare l’Edeak, per distruggere le porte che dividevano le due dimensioni liberando il caos e il vuoto c’era un solo modo.

Liberare i cinque Signori del Caos contemporaneamente.

Ira, Agonia, Distruzione, Vendetta e Morte.

E c’era un solo avvenimento che avrebbe potuto scatenare in lui quei cinque desideri.

 

La morte di Hanamichi.

 

“Non lo permetterò!” tuonò gettando lontano la cartellina.

Il suono del campanello tagliò l’aria facendolo sussultare.

Sollevò il capo accorgendosi della luce dorata che entrava da dietro le tende tirate. Uno sguardo all’orologio gli confermò che erano ormai le sette del mattino. I ricordi lo avevano assorbito in maniera tale che non si era accorto dello scorrere del tempo.

Si alzò dirigendosi verso la porta d’ingresso con passo stanco.

Aprì l’uscio sperando che Hanamichi non si fosse svegliato, doveva parlare con lui, metterlo in guardia, ma questo avrebbe voluto dire spiegargli cose che non era sicuro avrebbe potuto comprendere.

“Mio Signore” mormorò Ken inchinandosi dinanzi a lui.

Rukawa sollevò un sopracciglio sorpreso.

“Che cosa ci fai qui?” chiese un po’ bruscamente.

L’assassino sorrise.

“Ho un messaggio per voi.” sussurrò porgendogli una pergamena che portava l’evidente marchio del clan norvegese.

 

 

continua............                                                                                            

 

Note: per chi non lo sapesse Kaede vuol dire Acero, tra l’altro quest’albero ha davvero le foglie dalla forma vagamente a stella e in autunno si tingono di un bellissimo rosso scuro. (me prima di scrivere ha consultato i libri di botanica della mamma ^^’’)

 

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