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Ieri, martedì 28 Marzo 3011 lo dichiarato scomparso Radek Godwin è stato ritrovato su un dispositivo di salvataggio che andava alla deriva nell’oceano. Il magnate dell’informatica, famoso in tutto il mondo per le sue geniali innovazioni nel campo della cibernetica e della medicina robotica era stato vittima di un rapimento alcuni mesi fa. Vi avevamo dato notizia della sua rocambolesca fuga, terminata in tragedia quando il piccolo avio motore usato da Godwin era stato abbattuto dai suoi stessi inseguitori. Amici telespettatori, vi abbiamo mostrato in diretta le immagini della gloriosa cerimonia funebre tenutasi in suo onore solo due settimane fa e mentre ieri il mondo intero piangeva la scomparsa di uno dei più grandi uomini della nostra storia oggi in tutte le città si festeggia il suo ritrovamento. Godwin è stato ricoverato in una clinica privata dove non ci è dato accesso ma i medici ci hanno fatto sapere che non temono per la sua vita e che sarà presto nuovamente in piena forma! Ma ora godiamoci insieme un breve servizio sulla vita di quest’uomo che…

La tv si spense con un impercettibile bip che risuonò debole e forte al contempo, nell’enorme appartamento vuoto.

Il ragazzo seduto sul grande divano bianco posò con mani tremanti il telecomando sul tavolino di cristallo, di fronte a lui, e poi rimase lì, immobile, a fissare il mastodontico schermo nero, in silenzio.

 

 

Le serrature scattarono.

Leve nascoste ruotarono nei loro nidi di metallo.

La porta blindata si aprì, la sua possente mole inghiottita dalle spesse pareti di cemento armato.

“Bentornato Mister Godwin” soffiò dolcemente la voce femminile, solo lievemente metallica, della sua casa.

“Grazie Cassandra” mormorò l’uomo nell’elegante completo nero, lasciando cadere una piccola valigia di fianco all’elegante mobile d’ingresso.

 

Era alto, muscoloso ed abbronzato.

Un bell’uomo.

Dai lineamenti scolpiti, forti, decisi.

Capelli castano scuro e occhi grigio acciaio.

Ed era un uomo potente.

Anche l’unico essere umano sulla faccia del globo che non conosceva il suo nome perché non guardava la tv, non leggeva il giornale e non navigava su internet, anche lui  avrebbe potuto dichiararlo senza paura di sbagliare.

C’era qualcosa nel suo portamento, nel suo sguardo, nel tono della sua voce calda, morbida ed imperiosa, che non lasciava adito a dubbi.

 

“Sei tornato”

 

Radek Godwin spostò lo sguardo sull’enorme sofà di pelle bianca che occupava il centro del suo spazioso salotto e sul ragazzo orientale che vi stava stravaccato sopra, una camicia di seta blu negligentemente slacciata a scoprire la pelle pallida del petto, un paio di pantaloni di raso nero a fasciargli le lunghe gambe eleganti.

Dimostrava diciotto, forse diciannove anni.

“Sembri dispiaciuto” mormorò Radek con un lieve sorriso sulle belle labbra.

“Lo sono” mormorò il ragazzo con tono vagamente irritato, passando distrattamente una mano sottile, da pianista, tra le corte, sbarazzine, ciocche corvine dei suoi capelli, gli occhi d’ossidiana che scivolavano sul corpo dell’altro.

“Sei dimagrito” constatò, poco meno che apatico.

L’uomo scosse le spalle con indifferenza e si avviò verso la cucina, aprendo il frigorifero per tranne una bottiglia d’acqua e versarsene un bicchiere.

L’altro rimase sul divano, un indolente, altero, soriano nero, lo sguardo annoiato che seguiva distrattamente i movimenti di quel ritrovato intruso nel suo regno.

 

“Mi avevano assicurato che eri morto” mormorò con quel suo tono privo d’inflessione.

 

“Mi spiace di averti deluso Alexander”, disse Radek abbandonando il bicchiere, ormai vuoto, nel lavello, appoggiandovisi per lasciar correre lo sguardo sul corpo del compagno.

 

“Mi hanno costretto a sentire la lettura del tuo testamento…” commentò questi abbandonandosi contro lo schienale bianco e al suo sguardo “…mi hai lasciato la villa ai caraibi e l’isola su cui sorge” mormorò.

L’uomo scosse le spalle “E il posto dove abbiamo fatto l’amore la prima volta”

“E la ferrari nera”

“E’ la tua preferita, e ti… dona” disse con un sorriso lieve Radek.

“E 150 milioni” concluse il ragazzo, ignorandolo.

“Persino tu dovresti riuscire a farteli bastare per qualche anno”

Alexander scosse le spalle, indifferente.

 

“Mi hanno chiesto di presenziare al tuo funerale” soffiò piano, negli occhi scuri un lampo nero d’irritazione.

“E ci sei andato?” chiese Radek sorpreso.

 

“No”

 

Lapidario.

Come sempre.

 

“Lo immaginavo” ghignò l’uomo raggiungendo il divano a lente falcate “I giornalisti ci saranno rimasti male”

Alexander sbuffò “Hanno scritto che il tuo animaletto è scomparso dalle scene nel momento esatto in cui hai smesso di pagarlo. O qualcosa su questo stile comunque” disse soppesandolo, ora attento, mentre lo guardava avvicinarsi.

“E come mai invece sei ancora qui?” gli chiese divertito l’uomo sedendosi sul sofà, accanto a lui.

“Non avevo voglia di impacchettare le mie cose” disse il ragazzo, fissandolo sospettoso.

Logan sollevò una mano abbronzata per passarla con dolcezza tra le ciocche seriche e Alexander chiuse gli occhi, lasciandosi accarezzare, silenzioso.

 

Rimasero così per un po’.

Ognuno perso nei suoi pensieri.

Avvolto nei suoi ricordi.

 

“Sai cosa mi è mancato di più?” mormorò Radek, a voce bassa, quasi gli spiacesse infrangere quella piacevole quiete.

Alexander non rispose ma l’uomo continuò ugualmente.

“A parte l’acqua, il cibo e la possibilità di lavarmi…” ghignò “…riesci ad immaginare cosa mi è mancato di più’?” chiese.

Il ragazzo socchiuse le palpebre, le iridi nere insondabili “Io?” chiese, la voce apatica esattamente come pochi istanti prima ma negli occhi un lampo di luce.

Radek ridacchiò “Il sesso” lo corresse.

Le labbra del ragazzo si piegarono in un una piccola smorfia “Nessuno dei tuoi rapitori ha avuto il buon senso di violentarti?” chiese.

L’uomo scosse le spalle “Nessuno di loro aveva buon gusto evidentemente” scherzò.

Alexander richiuse gli occhi, nuovamente disinteressato.

 

Il silenzio li avvolse ancora e Radek riprese ad accarezzarlo, lentamente.

 

“Al…” soffiò dopo qualche istante.

E c’era una nota diversa nella sua voce profonda ora.

“Hn” mugugnò il ragazzo piano, tendendosi impercettibilmente.

“Va di sopra”

L’orientale spalancò gli occhi piantando le iridi d’ossidiana in quelle d’acciaio del compagno trovandovi ombre che ben conosceva.

Un lieve rossore gli colorò le guance “Sono le quattro del pomeriggio” mormorò.

Radek si limitò a sorridergli di rimando.

“Non vuoi riposare un po’, mangiare, farti una doccia…” riprovò il ragazzo, vagamente speranzoso.

“Sono stato tre mesi in un ospedale a 6 stelle Al, sono stato curato, nutrito e lavato. Adesso ho bisogno di un'altra cosa.”

Alexander deglutì a vuoto.

“Va di sopra Al” ripetè Radek piano.

E l’altro annuì, alzandosi, sfuggendo lo sguardo dell’amante scivolò giù dal divano e si diresse verso le scale che portavano al piano superiore.

Alle camere da letto.

 

 

La camicia di seta blu si accasciò sul morbido tappeto con un sospiro soffocato e un riflesso azzurro.

I pantaloni perirono solo un poco più in là, abbandonati in un’informe massa scura, priva di significato ora che non avvolgeva più le lunghe gambe del suo signore.

Il letto mugolò piano accogliendo il peso del suo nuovo occupante e le lenzuola frusciarono trepidanti come se sapessero esattamente che cosa stava per accadere da lì a poco, tra le loro candide braccia.

Radek si disfò degli indumenti con più ordine del compagno che li aveva indifferentemente sparsi per la stanza, come un serpente che muta si libera della vecchia pelle per vestirne una nuova .

Perfettamente conscio dei due abissi neri che seguivano ogni suo movimento, che sembravano voler intrappolare ogni suo respiro, l’uomo si liberò anche dei boxer prima di specchiarsi in quelle iridi senza fondo.

Alexander si limitò ad osservarlo per un lungo istante prima di tendergli le mani in un muto richiamo.

Si abbracciarono, le membra nude, l’una chiara, l’altra scura, Yin e Yang che solo indissolubilmente uniti, strettamente intrecciati, potevano trovare il perfetto equilibrio del completamento.

Radek lo baciò, con passione, con fame e con sete, quella fame e quella sete che in quei lunghi mesi  d’ospedale niente aveva potuto saziare.

Sotto le sue carezze Alexander tremava ma Radek sapeva, lo sguardo grigio inghiottito da quello d’ossidiana del giovane angelo tra le sue braccia, che non era per paura.

Il ragazzo si tese socchiudendo gli occhi, spingendo il capo indietro, sui cuscini, offrendogli la gola, il petto, alzando i fianchi per lui e Radek accettò quel dono a piene mani, esplorando ogni centimetro di quella pelle serica, memorizzandone la consistenza e il calore con le dita, vezzeggiandone i contorni con le labbra, dipingendone i colori di nuova luce nell’assaporarla con la lingua.

Era suo ora.

Totalmente, innegabilmente, suo.

Il suo viso androgino spesso così impassibile era teso ed accaldato per lui.

Quelle sue labbra maliziose ed impertinenti ora miagolavano piano il suo nome in una lenta, intensa, melodia senza fine.

Radek risalì a baciargli la gola, salendo a torturargli il lobo di un orecchio per poi scendere ad impossessarsi ancora delle sue labbra mentre le sue mani ribadivano la loro proprietà su quel suo piccolo gatto selvatico.

Il respiro del ragazzo si spezzò quando l’uomo spinse le dita a violarne l’intimità, la sua presa sulle spalle dell’uomo divenne più forte, le lunghe dita pallide affondarono tra i capelli castani attirandolo più vicino.

Radek lo sentì muovere i fianchi sottili, sollevarli per andargli incontro, per strofinarsi contro di lui.

Gemettero uno nella bocca dell’altro, intessendo una nuova melodia per la danza delle loro lingue ora più rapida, più passionale.

L’uomo assaporò l’interno del corpo del ragazzo con poche intense carezze, prima di staccarsi dalle sue labbra e, contemporaneamente, far scivolare le dita fuori dal suo corpo.

Alexander non riuscì ad afferrare tra i denti un pigolio di protesta, strappando un sorriso sornione all’uomo sopra di lui.

Tuttavia si spense presto sulle sue labbra quando le iridi d’inchiostro dell’orientale inchiodarono le sue.

La passione le rendeva due abissi di liquida tenebra e Radek vi si perse, di nuovo, come sempre, lasciandosene inghiottire.

 

E tornò da lui.

 

Tornò a quelle labbra che lo facevano impazzire, il cui ricordò gli aveva permesso di mantenere la sanità mentale durante i lunghi mesi di prigionia.

Affogò in quel corpo alla cui immagine si era aggrappato, disperatamente, quando il suo aereo si era inabissato in mare, trascinandolo con se.

E si perse in lui, con lui, il cui solo pensiero l’aveva aiutato a non arrendersi e smarrirsi così per sempre.

 

Nella stanza i loro respiri, i loro gemiti, il suono della danza dei loro corpi allacciati, riempirono un silenzio durato troppo a lungo finchè con un grido si liberarono, insieme, dell’incubo passato.

 

 

Alexander osservava il suo padrone riposare.

Lentamente, con cautela, quasi per paura di vederlo smaterializzarsi sotto le sue dita, gli sfiorò il viso, il collo, i cappelli.

Un paio d’iridi d’acciaio incatenarono le sue e Alexander arrossì distogliendo lo sguardo.

“Credevo dormissi” si giustificò.

“Ho dormito più che a sufficienza” mormorò l’uomo, allungando le braccia per attirarlo contro di se.

“Hai pianto quando ti hanno detto che il mio aereo era stato abbattuto?” chiese studiandolo con attenzione.

Alexander gli sfuggì, nascondendo il viso contro la sua spalla “La mia fonte di guadagno era finita in fondo all’oceano, certo che ho pianto” borbottò.

Radek rise sommessamente prima di rovesciare il ragazzo sul materasso per poi montargli sopra.

Alexander arrossì ma dovette trattenere il respiro quando lo sguardo serio dell’altro si piantò nel suo.

“Sono stanco di pagarti per fare l’amore Alexander” mormorò Radek piano.

Negli occhi del ragazzo passò un lampo, il suo corpo si irrigidì ma il suo volto androgino non tradì altre emozioni.

“Che… che vuoi dire?” disse, il tono non più così inespressivo.

Radek gli sorrise “Ho avuto parecchio tempo per riconsiderare le mie scelte di vita ultimamente” mormorò l’uomo incatenando lo sguardo scuro al suo.

Il ragazzo strinse le labbra ma non si mosse “Quindi hai deciso di cercarti una moglie e di sistemarti definitivamente” ringhiò piano.

Radek gli sorrise, dolcemente.

 

“Sì” soffiò.

 

E Alexander chiuse gli occhi, sconfitto, tra le sue braccia.

“Mi stai licenziando” constatò.

 

“Ti sto chiedendo di sposarmi”

 

Il ragazzo sbarrò gli occhi incredulo, sconvolto e l’uomo sorrise alla sua reazione.

Non era cosa da tutti i giorni vedere Alexander boccheggiare come un pesce.

Con gli occhi spalancati e quell’espressione incredula sembrava più giovane.

Gli ricordava quello stesso ragazzino che cinque anni prima lo aveva abbordato per la strada.

Un gattino randagio e selvatico che era diventato una pantera, soltanto apparentemente, domestica.

Radek si chinò per sfiorargli le labbra con le proprie.

“Non te l’aspettavi, eh?” chiese divertito.

Alexander deglutì, incapace di trovare qualcosa da dire.

La sua vista era pericolosamente annebbiata.

L’uomo si chinò di nuovo, questa volta piegandosi verso il suo orecchio “Ti amo Alexander” soffiò piano facendolo sussultare tra le sue braccia.

“L’amore è irrilevante…” mormorò Alexander, cercando disperatamente di far stare ferma la voce “…mi basta essere pagato”

Ma lo disse senza convincimento.

Come chi ripete un mantra imparato a memoria.

La vita gli aveva insegnato fin troppo presto a non desiderare qualcosa che non avrebbe mai potuto avere.

Logan gli sorrise con tenerezza, passandogli con dolcezza una mano tra le ciocche corvine “Stai piangendo tesoro” lo informò piano e l’orientale sussultò portando una mano al viso, trovandolo bagnato.

 

Radek aveva ragione.

Stava piangendo.

 

Stava piangendo di nuovo.

 

Eppure erano lacrime totalmente diverse da quelle che aveva versato in quei lunghissimi mesi infernali, abbracciato al suo cuscino, l’enorme appartamento vuoto unico testimone del suo dolore.

 

Radek gli accarezzò le guance con le labbra porgendogli un sorrise carico di dolcezza.

“Allora piccolo… mi sposi?”

Alexander lo guardò incerto “Niente contratto prematrimoniale, se mi lasci mi tengo tutto” gracchiò.

Radek lo fissò sorpreso per poi scoppiare a ridere.

“Non ho intenzione di lasciarti” lo tranquillizzò.

Alexander arrossì ma si rifiutò di abbassare lo sguardo “E niente più viaggi in medio oriente, puoi fare beneficenza anche da casa” disse serio.

Logan gli sorrise “Va bene” concesse con un ghigno fin troppo soddisfatto sul viso abbronzato.

L’orientale cercò di fulminarlo con un occhiataccia ma, tra il rossore che ancora gli permeava le guance, tra le lacrime che gli bagnavano la pelle, e quella luce che ora gli illuminava lo sguardo riuscì ad ottenere a malapena un adorabile broncio.

“Quindi è un sì?” lo punzecchiò Radek.

Alexander lo fissò per un lungo istante, trasse un profondo respiro e poi esalò…

 

“Sì”

 

 

fine…

 

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