Vampire Kiss 3             Back to Original  Back to Home

Mikael era già sulla porta quando avvertì un suono soffocato.

Si fermò per un secondo, incredulo.

 

Quello era... un singhiozzo.

 

E poi un altro e un altro ancora.

 

Stava piangendo.

Kei stava piangendo.

 

Imprecò tra se tornando a grandi passi verso il letto, maledicendosi in silenzio.

Un’occhiata al ragazzo bastò a strappargli il respiro.

 

Kei se ne stava lì, rannicchiato tra le lenzuola, il volto affondato tra i cuscini nel tentativo di soffocare i singhiozzi che gli scuotevano le spalle.

Le mani strette spasmodicamente sulle coperte.

 

Sembrava così giovane e indifeso in quel letto troppo grande.

 

Ricordi di un passato lontano saettarono veloci negli occhi carminio striandoli di sangue scuro mentre sensazioni che credeva di aver dimenticato, emozioni che aveva sepolto tornava prepotentemente a  galla.

Come aveva potuto commettere un errore simile.

 

Proprio lui che più di ogni altro...

 

Sospirò sommessamente, passandosi una mano tra i capelli candidi, prima di sdraiarsi accanto al compagno e allungare le braccia, stringendolo a sé.

Il ragazzo s’irrigidì  cercando di divincolarsi ma ancora una volta l’uomo lo piegò alla sua volontà, obbligandolo a voltarsi.

“Non fare così..” mormorò accarezzandogli le guance per asciugargli le lacrime, lentamente.

Kei lo fissò per un momento prima di affondare il viso nel suo maglione e Mikael  lo cullò, dolcemente, lasciando che si sfogasse per un po’, tra le sue braccia.

 

Sergeil lo aveva avvertito che sarebbe successo prima o poi.

Osservò il ragazzo rannicchiato tra le sue braccia ed emise un sospiro sottile passandogli una mano tra i capelli scuri ricordando le parole del figlio: “Succederà Mikael e non potrai fare niente per evitarlo, nonostante tutta la tua forza, nonostante tutta la tua volontà..” gli aveva detto, una sera, mentre erano entrambi seduti dinanzi al camino della grande biblioteca.

Eric aveva appena portato loro i libri contabili e, quando si era allontanato, con un ultimo sguardo al suo padrone, Mikael aveva chiesto al figlio perché aveva scelto di tenere con sé quel mortale.

E Sergeil gli aveva sorriso, con tenerezza, come soleva fare agli inizi della loro conoscenza quando si accorgeva di quanto, il suo altero e all’apparenza glaciale compagno, fosse impreparato a comprendere certi aspetti della vita umana.

“Non si può restare soli in eterno, Mikael, un giorno anche tu sentirai la necessità di avere qualcuno accanto, qualcuno che dia un senso alla tua vita... qualcuno di.. speciale...”

 

Mikael era rimasto perplesso da quelle parole.

 

Dalla morte di Vladimir era sempre stato solo.

Nessun legame, nessun problema.

Era la sua massima preferita.

 

Vi aveva contravvenuto una volta sola, per Sergeil.

Ma lui era già un uomo adulto, maturo, posato.

Più un collega in affari che un figlio, in effetti.

 

Quel ragazzino invece...

La sua mano si arrestò tra i capelli di seta scura.

 

Una testa calda, un gatto selvatico, un animo inquieto, pronto alla lotta.

 

L’aveva lasciato solo per un giorno soltanto e gli aveva distrutto la stanza!!

Come gli era passato, anche semplicemente, per la testa, di farlo diventare il suo prescelto?

 

Eppure per molto tempo quelle parole di Sergeil avevano continuato a ronzargli nella testa.

Si era ritrovato ad osservare il figlio in giardino, Giulia che suonava l’arpa per lui mentre Eric se ne stava accovacciato ai suoi piedi a leggere un libro, a voce alta.

 

Sembravano così sereni quando erano insieme.

 

Qund’era stata l’ultima volta che lui si era sentito così?

Semplicemente.. sereno?

 

Un sorriso beffardo gli aveva incurvato le labbra.

 

Quella notte.

La sua ultima notte.

 

Allora si era sentito davvero felice.

In pace.

 

Prima che il suo mondo andasse in pezzi... per la seconda volta.

Voleva rischiare davvero una terza?

Eppure ora era lui ad avere le redini della situazione.

 

Era una sua scelta.

 

Quel sentimento d’inquietudine che le parole di Sergeil avevano rinchiuso in lui, per mesi, lo avevano spinto ad osservare con occhi nuovi la vita umana, cercando.

 

Finché una notte si era spinto fino ad un piccolo quartiere di periferia e, lì, l’aveva visto.

 

Quel ragazzo di circa diciotto anni, che se ne stava in un angolo, con lo sguardo freddo e duro che sfidava tutto e tutti.

Lo aveva seguito per diverse notti, in silenzio, finché non lo aveva visto staccarsi da quel gruppo di teppisti con cui girava sempre e si era seduto al parco.

 

Era l’occasione che aspettava.

 

Da vicino aveva potuto studiare meglio quei lineamenti sottili che l’avevano tanto colpito.

Quel misto razziale che dava alla sua pelle un caldo color dorato e ai suoi occhi a mandorla la tonalità del cioccolato.

Sembrava che tutto il suo corpo sprigionasse calore e proprio quel calore lo aveva attirato verso di lui, facendogli pregustare il sapore di quella creatura giovane e piena di vita.

 

E non era rimasto deluso, anzi.

 

Era stato stregato dal contrasto tra la propria mano pallida e il volto dorato del giovane.

Incantato, dalla sua indomita volontà e dal bisogno di dolcezza racchiuso in quegli occhi orgogliosi.

Mikael non amava giocare con le sue vittime ma non aveva potuto fare a meno di accarezzarlo, sfiorarlo, assaggiarlo.

E anche quando si era saziato... si era reso conto con terrore che non gli bastava.

Che voleva molto di più di un assaggio.

 

Voleva lui.

 

E così aveva compiuto quel gesto che, aveva giurato a se stesso, non avrebbe fatto mai.

Lo aveva legato a sé.

Si era legato a lui.

 

Lo aveva fatto diventare il suo prescelto.

 

Suo.

Che bella parola.

 

Costrinse il giovane a sollevare il capo e lo fissò in quelle iridi nocciola, ammaliatrici.

“Va meglio adesso Kei?” gli chiese con dolcezza e il ragazzo annuì col capo, lentamente, come se non si fidasse a parlare.

Era avvampato sentendogli pronunciare il suo nome in quel modo...

 

Kei si accoccolò meglio contro di lui, con un sospiro, felice.

 

Non se l’era immaginato.

L’aveva sentito distintamente.

Quel tono caldo, premuroso, gentile.

 

Per lui.

 

C’era affetto nella voce profonda del vampiro.

Sorrise dolcemente posando il capo sulla sua spalla: “Resta con me...” mormorò con voce impastata di sonno e Mikael chinò il capo per sfiorargli le labbra con le sue.

“Resterò..” promise sommessamente “Ma dormi ora...” mormorò riacquisendo il suo tono abituale, senza tuttavia riuscire a trattenersi dall’accarezzargli ancora una volta il capo, con dolcezza.

E Kei annuì, con gli occhi già chiusi, regalandogli il più dolce e candido dei suoi sorrisi prima di abbandonarsi tra le sue braccia e quelle del sonno.

 

 

Emerse lentamente dalla piacevole sensazione di calore che lo circondava.

Non ricordava di essersi mai sentito così bene.

Si guardò attorno stiracchiandosi e fu colto da un gelo improvviso.

 

Mikael non c’era!!

 

Scattò a sedere guardandosi attorno alla ricerca del suo amante senza riuscire a vederlo e poi l’occhio gli cadde sull'orologio.

Le 18.40.

 

Il sole doveva ancora tramontare.

 

Sospirò guardandosi attorno, non gli andava l’idea di restare chiuso lì ad aspettarlo e aveva disperatamente bisogno di sgranchirsi un po’.

Lo sguardo vagò di nuovo per la stanza fermandosi sorpreso su  dei vestiti, appoggiati ordinatamente sul comodino.

Arrossì turbato, Mikael gli aveva letto nel pensiero.

Si sollevò dal letto, allungando una mano, osservandoli curioso prima di indossarli con un certo disagio.

 

Erano tutti capi firmati.

 

Non se li sarebbe potuti permettere nemmeno lavorando un anno intero nel ristorante dove faceva il cameriere part-time.

Si stiracchiò soddisfatto, accarezzando con le mani la stoffa pregiata dei pantaloni prima di dirigersi verso la porta e posare con fare esitante la mano sulla maniglia.

Rimase così, immobile, per alcuni secondi prima di spingere, piano.

 

La porta si aprì, accondiscendente.

 

Kei uscì dalla stanza guardandosi curiosamente attorno nell'ampio salotto adiacente.

Non sembrava che qualcuno ci abitasse, era tutto asetticamente in ordine.

“Sarà l'appartamento per gli ospiti..” ipotizzò tra se, chiedendosi dove dormisse il vampiro.

Trovò la porta che dava sul corridoio e la spinse aspettandosi di trovarla chiusa.

Invece anche questa volta l’uscio si aprì.

Fissò il corridoio e le scale che s’intravedevano alla fine di esso, confuso, una miriade di pensieri che gli affollavano la mente.

 

Mikael non l’aveva chiuso a chiave.

 

Perché?

Si fidava così tanto di lui?

O del suo potere su di lui?

Oppure gli stava silenziosamente ordinando di andarsene?

 

Kei percorse il lungo corridoio e giunse all’ampia scalinata che portava ai piani inferiori e, da lì, all'ingresso incustodito.

Scese i gradini lentamente fino al grande portone che dava sul giardino della villa.

Gli avevano parlato di servitù, quando avevano nominato gli abitanti della casa,  ma lui in giro non vide anima viva.

Si guardò attorno, nell’atrio vuoto e il suo sguardo si posò di nuovo sull’ampio portone di legno lavorato.

Posò una mano sul pomello dorato, incerto e poi di nuovo... spinse.

 

E l’uscio si aprì, senza un lamento.

 

Kei respirò a pieni polmoni l’aria fresca della sera incamminandosi lungo il sentiero di ghiaia che portava al cancello, sulla strada.

Camminava lentamente perso nei suoi pensieri, così assorto da non accorgersi nemmeno che il sole stava inesorabilmente tramontando.

Ancora pochi passi... e si trovò di fronte all’immenso cancello di ferro battuto che si frapponeva tra lui e la libertà.

 

Rimase immobile ad osservare gli intricati disegni floreali, che s’intrecciavano gli uni negli altri, prima di decidersi a spingerlo con entrambe le mani.

 

Libero.

 

Era libero...

Anche l’ultima porta era aperta.

Davanti a lui solo la strada.

 

Fece un passo.

Uno solo.

 

E poi si fermò.

 

 

Mikael tratteneva il fiato.

Si era svegliato da poco e si era diretto verso l’ala della casa dedicata agli ospiti ma si era fermato, di scatto, quando aveva visto Kei da una delle ampie vetrate che davano sul parco.

Camminava senza fretta ma inesorabilmente verso l’uscita.

Aveva lasciato la porta dell’appartamento volutamente aperta perché non voleva che il ragazzo si sentisse un prigioniero in quella che sarebbe dovuta diventare la sua casa.

Si era detto che doveva lasciare a lui la scelta se rimanere o meno.

Ma nel vederlo dirigersi verso la strada, a passo deciso, l’impulso di fermarlo divenne fortissimo.

Era abituato ad ottenere sempre quello che voleva, sapeva essere spietato quando qualcosa o qualcuno si frapponeva tra sé e il suo obbiettivo.

 

E il suo obbiettivo era Kei.

 

Ma per la prima volta avrebbe lasciato ad un altro la scelta.

Seguì con occhi carichi di preoccupazione il ragazzo ormai giunto al limite del parco.

Strinse la mascella con forza quando lo vide spingere il pesante cancello d’ingresso.

 

No, non glielo avrebbe permesso!

Non lo avrebbe lasciato andare!

E al diavolo tutti i suoi buoni propositi!!

Lui era suo e se lo sarebbe ripreso a qualunque costo, anche facendosi odiare!

 

Stava per smaterializzarsi, per piombargli davanti, quando si accorse che il ragazzo non si era mosso.

 

Fissava il cancello socchiuso, immobile come se fosse incerto, e Mikael sentì un assurda speranza crescere dentro di sé.

Non essere sciocco, si rimproverò, perché dovrebbe voler restare, lo tratti come un oggetto, lo hai praticamente violentato e non fai altro che causargli dolore!

 

Eppure Kei non si muoveva.

 

Anzi no.

Il ragazzo fece un passo.

Uno solo.

 

E poi...

 

 

Continua...

 

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