Vampire Kiss 1             Back to Original  Back to Home

Era stata una giornata cupa.

Bigia.

Il cielo di un grigiognolo stanco aveva nascosto dietro invisibili strati di nubi il primo pallido sole di primavera lasciando che i suoi raggi filtrassero quel tanto che bastava ad infastidire lo sguardo di chi si avventurava fuori dagli uffici per una veloce pausa pranzo, in piedi, in un bar, senza tuttavia dare in cambio ne luce ne tanto meno calore.

L’aria conservava ancora gli ultimi respiri di un inverno durato più del previsto costringendo i passanti a rabbrividire nei leggeri giubbotti primaverili, tirati fuori dall’armadio troppo in fretta, come se, la semplice, umana, impazienza, fosse sufficiente a convincere anche la temperatura ad alzarsi.

Ma il tempo, come qualunque altra creatura, indifferente ed egoista, aveva continuato a tenere il muso.

 

Non faceva freddo ma tanto meno caldo.

Ne era brutto ma certamente non bello.

Ne sole ne tanto meno quella pioggia sottile e pallida che il suo imbronciandosi cupo sembrava preannunciare.

 

Di tanto in tanto, stancamente, il cielo lasciava cadere qualche infima gocciolina trasparente per smettere però pochi istanti più tardi, svogliato.

Apatico.

Soffocate da strati e strati di inquinamento anche alle nuvole sembrava mancare la voglia di vivere, la forza di piangere.

 

Esattamente come loro si sentiva Kei.

 

Trascinandosi passo dopo passo, lentamente, verso casa.

La sera scivolava attorno a lui, languendo, solo un tono di grigio più scuro, tra gli altri.

Il ragazzo sospirò, rallentando ancora la camminata.

 

Non aveva voglia di tornare a casa.

Ma non aveva neppure voglia di restare lì, da solo, in quel parco che si faceva man mano spettrale all’allungarsi delle ombre.

 

A dirla tutta... non aveva voglia di niente.

 

Calciò distrattamente la nebbiolina che saliva dell’erba rimasta giallognola dopo lo sciogliersi dell’ultima neve, domandandosi per quale motivo ancora metteva un passo davanti all’altro.

Non vedeva un futuro che lo alettasse dinanzi a se.

E non aveva un passato da rimpiangere o in cui rifugiarsi.

 

Quanto al presente...

 

Sbuffò e, adocchiata una panchina solitaria come il suo animo, vi si diresse lentamente, senza fretta.

Tanto non aveva comunque di meglio da fare.

Vi si lasciò cadere stancamente, lanciando solo uno sguardo alle scritte scarabocchiate sulla vernice verde che andava staccandosi in più punti, gettando lo zaino scolastico, vuoto, a terra, senza interesse.

 

Era un’altra serata di quelle.

 

Anche quel giorno aveva saltato le lezioni per andarsene in giro con la banda del quartiere.

Stare con loro non lo faceva sentire meglio ma si annoiava meno che in classe.

I professori avevano comunque ormai perso ogni speranza con lui e per Kei era meglio così.

Non sopportava il loro disprezzo e non riusciva a tollerare la loro compassione.

 

Ipocrisia.

 

Se ne sentiva soffocare a scuola.

Almeno quando rubacchiava per il quartiere o quando imbrattava con lo spray le vetrine di qualche bel negozio del centro le reazioni erano genuine.

Solo insulti e disprezzo, certo, ma almeno non erano fasulli.

 

E a chi lo rimproverava, chiedendogli che cosa avrebbe pensato di lui la sua famiglia, rispondeva con un sorriso storto e una scossa di spalle.

Gli era rimasto solo suo fratello maggiore e Mark non s’interessava minimamente alla sua vita, era troppo impegnato ad organizzare droga-party o a rivendere materiale rubato.

A Kei andava bene così.

 

Era un gatto randagio.

 

Faceva raramente ritorno all’appartamento di Mark e solo quando faceva troppo freddo per dormire da qualche altra parte.

Detestava quelle quattro mura che sapevano di erba e di sesso e non gli piaceva affatto lo sguardo con cui lo accarezzavano certi “amici” di suo fratello.

Non aveva nessuna intenzione di diventare protagonista di un porno improvvisato solo perchè ‘quelli’ erano più fatti del solito.

Non era colpa sua se aveva ereditato la bellezza orientale ed efebica della madre e ci teneva a precisare, più di una volta se era necessario, con qualche pugno o calcio per i più duri di comprendonio, che lui, a differenza della loro genitrice, non si sarebbe fatto sbattere dal primo che gli avesse messo una mano tra le gambe.

Si era unito quindi ad un gruppetto di ragazzi, sbandati come lui, che vagabondavano qua e la per la città, senza uno scopo o una meta.

Stare con loro era sempre meglio che finire nel letto di Mark.

Già.. persino suo fratello non disdegnava di allungare le mani su di lui... il fatto che avessero padri diversi sembrava essere più che sufficiente a liberarlo da ogni freno morale.

Sempre che Mark sapesse che cos’era la morale...

 

Con i ragazzi della banda si sentiva più tranquillo.

 

Certo i più anziani, se anziani possono essere definiti dei ragazzi di appena vent’anni, lo usavano come uno schiavo e l’avrebbero riempito di botte se avessero sospettato di potergli rubare qualche soldo.

Ma almeno non lo consideravano un oggetto sessuale e lui non aveva denaro che potessero sottrargli, l’unica cosa che poteva dire davvero ‘sua’ era uno sgangherato scooter che aveva rubato, come prova per entrare nelle loro fila.

Sbuffò nuovamente lasciando che il suo fiato si arrotolasse assieme alla nebbia, nel silenzio delle prime ore della notte, prima di infilare le mani nelle tasche della giacca traendone il piccolo quadratino di carta che gli aveva lanciato Robert.

Lo spiegò lentamente, senza fretta, osservandone per un momento il contenuto.

 

C’era solo una pastiglietta bianca, pallida e rotonda.

 

“Il primo assaggio è gratis!” gli aveva detto l’amico di Mark, tirandogliela mentre lui se la svignava in fretta e furia, prima che arrivassero anche gli altri, quella mattina.

Kei si concesse un sorrisetto maligno.

Non aveva dubbi sul fatto che la prima dose fosse gratis.

 

Erano le altre, poi, che si pagavano con la vita.

 

E aveva anche una mezza idea di quale fosse l’obbiettivo di Robert nel fargli quell’omaggio.

Il moro era uno di quelli che, giusto per giocare, una sera che non era stato abbastanza veloce a sparire, l’aveva sbattuto contro un muro infilandogli la lingua in bocca e un ginocchio tra le gambe.

Si era ritratto, veloce come un’anguilla, quando Kei, superato l’attimo di panico iniziale, aveva serrato i denti per staccargliela quella lingua vorace.

Robert aveva ridacchiato passandosi una mano tra i capelli con fare da gran conquistatore scherzando con suo fratello sul fatto che “l’animaletto” era ancora da domare.

“Prima o poi ci penserò io...” era stata la blanda risposta dell’altro.

 

Se l’era vista davvero brutta.

 

Aveva avuto il suo bel da fare a tenere un’espressione sprezzante e dura nell’andare verso la porta che lo avrebbe portato alla salvezza, voltando loro le spalle, pregando che non notassero come tremavano le sue gambe.

Sarebbe bastato che qualcuno lo fermasse, che uno degli altri, gettati qua e la per l’appartamento già intenti a fumare o bere, allungasse una mano per bloccarlo e sarebbe diventato carne da macello.

Lo sapeva.

Glielo aveva dolorosamente sottolineato l’erezione di Robert quando gli aveva schiacciato il bacino con il suo.

 

Rigirò la pastiglia tra le mani, tornando con un brivido, al presente.

 

No, non ancora, si disse.

Poteva contrastare l’apatia ancora per un po’.

Gli restava dentro ancora l’energia per trascinare qualche altro passo.

E poi c’era... c’era ancora una flebile, pallida, minuscola scintilla di speranza in lui.

La ormai debole e ansimante convinzione che doveva esserci qualcosa in quel dannato mondo, anche per lui.

 

Sorrise tra se e se.

Probabilmente c’era.

Ma era stata posta così lontano che non l’avrebbe raggiunta mai.

 

 

“A quest’ora i ragazzini dovrebbero essere già a letto...”

 

 

Kei sussultò violentemente, sollevando lo sguardo per guardarsi intorno.

Non c’era nessuno.

Niente, attorno a lui, a parte nebbia sottile e ombre sfuggenti.

 

Il parco era deserto.

 

Eppure l’aveva sentita distintamente.

Quella voce.

Profonda, musicale, lievemente.. ipnotica.

 

Un tono blando, distratto, eppure affilato come la lama di un coltello.

 

Un fruscio leggero, solo un sospiro in più tra i respiri della brezza, fece correre il suo sguardo sulla destra, su un gruppo d’alberi che creavano una zona d’ombra più fitta tra le altre.

Lì la nebbia creava uno scrigno opalescente, insondabile.

Lì, l’erba umida si piegò, in un muto gesto di sottomissione, sotto un elegante scarpa di cuoio nero, permettendo alla luce di un lampione di piovere, pallida, sullo sconosciuto.

E Kei sgranò gli occhi, incredulo, gli insulti che si era preparato a lanciargli, bloccati in gola.

 

Quell’uomo era...

 

Mikael osservò la sua piccola preda piantare gli occhi scuri nei suoi.

Le iridi lievemente dilatate, il respiro sospeso, gli arti contratti.

Un bel coniglietto tremante irretito dal cobra che lo avrebbe divorato.

 

Gli si avvicinò a passi lenti, silenziosi, gli occhi incatenati ai suoi, un lieve, ferino, sorriso sulle labbra sottili.

Leggeva paura sul volto del ragazzo.

Paura e consapevolezza.

 

Non aveva scampo.

 

Kei l’aveva intuito nel momento stesso in cui le nebbie si erano sfaldate al passaggio del loro Signore.

Perchè... quello che veniva verso di lui... non era un uomo.

 

I capelli candidi, ciocche seriche, appuntite come lame di ghiaccio trasparente, quasi argentei nella luce irreale di quella notte grigia.

Gli occhi rossi, due braci incandescenti di sangue carminio, tagliati a metà dalla pupilla acuminata.

E quella sua pelle, pallida, lunare, quasi evanescente, come la nebbia che riluttante a lasciarlo, spiraleggiava attorno a lui, adorante.

 

Il lungo cappotto nero e l’elegante completo firmato a poco servivano.

Quella creatura non era un essere umano.

 

Forse un tempo lo era stato.

Un tempo...

 

Ma ora...

 

Ora quella era solo una belva.

Una belva affamata.

 

E Kei rimase immobile, in attesa, su quella panchina scrostata, consapevole che era appena stato scelto come sua cena.

 

Oh sì...”, sussurrò quella voce così ingannevolmente dolce “...ti divorerò mio splendido micetto.” promise suadente, allungando una mano candida, sfiorando con due dita fredde il suo mento, costringendolo a sollevare un po’ il volto, per fissarlo con attenzione.

 

Kei socchiuse le labbra in un lieve ansimo, confuso.

La pelle dello sconosciuto era fredda eppure.. il suo tocco... il suo tocco era così... caldo.

 

“Chi... chi... cosa... sei?” ansimò il ragazzo facendo un mastodontico sforzo per ritrovare la propria volontà e i propri pensieri, annegati in quello sguardo sanguigno, incandescente.

Shhh...” lo ammonì dolcemente la creatura scostandogli delicatamente qualche ciocca nera, dietro l’orecchio destro.

Kei rabbrividì, arrossendo nell’avvertire le proprie labbra liberare un gemito sottile prima di ritrovarsi di nuovo a dibattersi, debolmente, nell’abbraccio avvolgente di quelle iridi rosse.

Ormai privo di forze vi si lasciò affondare provando un piacevole abbandono nel sentirsi accogliere tra le braccia dell’uomo.

Sospirò, beatamente, appoggiandosi a lui con totale fiducia, reclinando leggermente il capo quando l’altro gli fece spostare il volto, di lato, per scoprire la gola.

 

Stava così bene tra le sue braccia.

Si sentiva al caldo, al sicuro.

Un lieve tepore ovattava i suoi sensi, il tocco leggero di quelle dita candide era fresco, piacevole.

 

Così piacevole che avrebbe fatto le fusa, tra le sue braccia.

 

Allungò una mano, aggrappandosi al suo cappotto, giusto una precauzione nel caso l’altro decidesse di abbandonarlo, e gli porse un sorriso, dolce, imbarazzato.

Gli occhi liquidi e le guance arrossate.

Le labbra lievemente socchiuse.

 

Mikael gli sorrise, di rimando, addolcendo i lineamenti senza tempo, accarezzandogli i capelli neri con le dita, un’ultima volta.

Chinò il volto concedendo a quegli occhi speranzosi un bacio sulla fronte abbronzata osservando con lieve meraviglia la gioia che si accendeva nelle iridi scure del suo fuseggiante compagno.

Kei gli tese la bocca e l’uomo accontentò quella muta supplica accarezzandogliela con la propria.

Lo lasciò qualche momento più tardi osservando con divertita tenerezza il ragazzo riprendere fiato, le gote incandescenti, le labbra gonfie e gli occhi lucenti come stelle.

Chiudi gli occhi...” gli sussurrò dolcemente baciandogli l’orecchio in cui aveva sospinto quelle poche parole e Kei obbedì prontamente, senza nessun altro desiderio e bisogno al mondo che quello di compiacerlo.

 

Mikael lo osservò solo per un momento ancora.

Gli occhi chiusi, così fiduciosamente appoggiato a lui, poi scosse lievemente il capo.

 

Addio piccolo..” mormorò piano prima di socchiudere nuovamente le labbra, abbassandosi sulla sua gola.

 

Kei riuscì soltanto ad emettere un singulto stupito quando i canini del vampiro affondarono nel suo collo, barcollò ma venne sostenuto dalle braccia dello sconosciuto che lo strinse a sé, accarezzandogli lievemente la schiena mentre surgeva lentamente la sua linfa.

Il ragazzo ne era consapevole: quella creatura lo stava privando della vita.

 

Eppure non riusciva a preoccuparsi.

 

Anzi, reclinò maggiormente il capo per lui, lasciandosi accarezzare del suo assassino mentre il tempo che gli rimaneva da vivere scivolava via, inesorabilmente.

 

Era sempre stato convinto che sarebbe morto giovane.

Nel suo quartiere non era una cosa strana.

Spesso i ragazzi sparivano e la polizia non si preoccupava nemmeno di cercarli.

Sbandati, drogati, randagi come lui di cui nessuno si curava.

Anche Carl, il primo, e forse l’unico, vero amico che avesse mai avuto, era morto così, accoltellato in una rissa.

Quando la polizia aveva dato la notizia nessuno aveva versato una lacrima.

Lui stesso non era nemmeno andato al funerale.

Lì si viveva così, era sicuro che suo fratello non avrebbe fatto una piega quando la mattina seguente gli avrebbero detto di aver rinvenuto il suo cadavere.

Forse a Robert... ecco forse a lui... un po’ sarebbe bruciata.

Quel pensiero gli incurvò le labbra in un ghignetto soddisfatto prima di aggrottare la fronte.

Stava pensando un po’ troppo per essere morto...

 

E poi avvertiva uno strano profumo.

 

Un odore che di sicuro non apparteneva al parco.

Che fosse già finito all’aldilà?

Era un buon profumo, leggero, fruttato.

Trattenne il fiato per un momento prima di sollevare cautamente le palpebre.

 

O Dio arredava l’oltre tomba in stile vittoriano o aveva sbagliato qualcosa.

 

Cercò di snebbiare la vista focalizzando lo sguardo sulla fiamma di una candelina che spargeva nella stanza quel profumo che l’aveva riportato al presente.

A quanto pare non sono morto, si ritrovò a pensare cercando di muoversi nell’enorme letto matrimoniale, senza risultato.

Era completamente spossato.

Non riusciva nemmeno a sollevarsi a sedere.

Riuscì tuttavia a constatare che si erano premurati di spogliarlo per poi coprirlo con calde lenzuola di cotone chiaro.

Si guardò attorno confuso cercando di ricordare che cosa era accaduto dopo che...

 

Sbarrò gli occhi portando una mano al collo.

 

Quell’uomo!!

O meglio... quella... cosa... l’aveva morso!!!

 

Sussultò trovando con dita incerte il segno lasciatogli dal morso del vampiro.

No, non è possibile, si disse.

 

I vampiri esistevano solo nei film!

 

La porta si aprì silenziosamente facendo tremolare per un attimo la fiamma della candelina accesa sulla finestra, poco distante.

“Ti sei svegliato...” mormorò quella voce profonda con una lieve punta di sollievo.

Kei lo fissò con occhi enormi.

Non ci poteva credere.

 

Il vampiro... il vampiro se l’era portato a casa!!!

 

Lo sconosciuto indossava ancora l’elegante completo firmato, pantaloni e maglione d’angora a collo alto, ma aveva un’aria più... umana.

I capelli bianchi risultavano alla luce incerta della stanza più tendenti al biondo cenere che all’argento e gli occhi, rossi, per quanto incredibili a guardarsi, come la sua pelle così chiara, sottolineavano semplicemente la sua natura di albino.

Per un momento il ragazzo si chiese se non avesse sognato.

Se, spinto da una curiosità malsana, non avesse davvero inghiottito la pasticca di Robert finendo tra le braccia di un assurdo sogno allucinogeno.

La soluzione era plausibile, logica, molto più semplice da accettare.

 

Se non fosse stato che... le sue dita ancora poggiavano laddove il vampiro l’aveva morso.

 

Mikael si sedette sul letto accanto a lui allungando una mano sottile per passargliela tra i capelli scuri, riportandolo bruscamente alla realtà.

Dimentico di ogni debolezza Kei schizzò fuori dal letto, preparandosi alla lotta, ma la testa cominciò a girargli non appena mise piede a terra ricordandogli che non aveva nemmeno la forza di alzarsi, figurarsi quella per lottare.

Barcollò e il vampiro dovette prenderlo tra le braccia per evitargli di cadere.

“Sei ancora troppo debole...” lo rimproverò bonariamente rimettendolo a letto e coprendolo con cura.

“Cerca di riposare... fra poco sarà giorno...” sussurrò con un sorriso tranquillo e il tono accondiscendente di chi sta parlando ad un bambino che fa i capricci mentre Kei lo fissava con gli occhi spalancati, incapace di proferire parola.

 

Che ci faceva lì?

Perchè non lo aveva ucciso?

Che cosa voleva ancora da lui?

 

Non ebbe modo di fargli nessuna di quelle domande, il vampiro gli posò una mano sulla fronte e lui si addormentò, profondamente. 

 

 

Continua....

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