T.a.p. 6 Back to Original Back to Home
"Le mie ali sono lacrime e fuoco"
L’Arcangelo
Dato che non doveva andare
a scuola Deran si svegliò molto tardi il giorno dopo, si aspettava di trovare la
casa vuota invece trovò Brand, i capelli biondi legati a coda di cavallo e gli
occhiali sul naso che studiava sul tavolo da cucina con aria corrucciata. “Oh
ciao.” Disse quando lo vide “Vuoi fare colazione?” Deran si preparò una tazza di
caffè mentre Brand scaldava delle ciambelle. “Cosa stai facendo?” gli chiese
Deran curioso osservando la montagna di libri che il ragazzo aveva davanti.
“Preparo la tesi per il master” gli rispose Brand che mentre faceva il supplente
continuava anche a studiare. Sparsi per casa c’erano un sacco di libri di testo,
Deran proprio non riusciva a capire quella sua mania per la conoscenza. Aveva
già una o due lauree e adesso stava facendo un master in giurisprudenza. “O
almeno ci provo, non so proprio come uscire da questo caso” borbottò Brand
riportandolo alla realtà. Deran lo fissò senza capire e Brand sorrise “Vedi il
professore ci ha dato un ipotetico processo da preparare lui è l’accusa e io
devo essere la difesa” spiegò “Ma le prove contro l’imputato sono schiaccianti e
non riesco a trovare nessun appiglio” commentò massaggiandosi le tempie. Il
microonde suonò e Brand si alzò con un sospiro per andare a prendere le
ciambelle. Deran si spostò attorno al tavolo e lesse gli appunti di Brand, il
suo imputato era accusato di omicidio colposo e per di più sull’arma del delitto
c’erano le sue impronte. Brand riportava sotto il foglio bianco una serie di
numeri di articoli e un elenco di date e nomi relativi a casi simili, accanto a
molti di essi aveva scritto la parola ‘no’. Brand lo trovò che sfogliava il
grosso libro di casi che aveva preso alla biblioteca dell’università. “Apprezzo
lo sforzo ma lascia stare” gli disse Brand con un sorriso, sussultò quando il
ragazzo alzò il capo rivolgendogli uno sguardo grigio ghiaccio. Deran girò il
libro mostrandogli con sicurezza un trafiletto di poche righe. Brand lesse il
riferimento a quel caso così simile al suo, era accaduto tanto di quel tempo
prima in una contea così sperduta che probabilmente neanche il suo professore lo
avrebbe trovato. Tornò a fissare Deran preoccupato c’era una sola spiegazione
possibile: aveva fatto ricorso alla memoria dell’Arcangelo. “Deran?” lo chiamò
incerto, come poteva aver avuto accesso ai ricordi dell’Arcangelo, possibile che
la macchina si stesse lentamente liberando da sola? Deran scosse il capo e lo
guardò sorpreso “Che cosa..?” mormorò confuso mentre i suoi occhi riprendevano
il loro usuale colore dorato osservando il libro che aveva tra le mani. “Sembra
che tu riesca a recuperare le informazioni che ti ha dato la T.E.C.” commentò
Brand, “L’ho fatto di nuovo” mormorò Deran ancora frastornato, Brand impallidì
“Ti era già successo?” chiese e quando Deran annuì si affrettò a nascondere la
preoccupazione dietro ad un sorriso “Probabilmente dipenderà dal fatto che
adesso hai cominciato ad aver coscienza di cosa sei e hai cominciato ad usare i
tuoi poteri di conseguenza” gli spiegò Brand e vedendolo a disagio gli sorrise
“Pensa a come sarebbe comodo a scuola!” esclamò. Deran annuì ma rimase
pensieroso e Brand decise di distrarlo nel modo che più gli piaceva. Attirò il
ragazzo tra le sue braccia coprendo la bocca di Deran con la sua. La tesi fu
presto dimenticata e così pure la colazione.
Nel pomeriggio Deran approfittò della bella giornata di sole per appollaiarsi su uno dei rami alti della grande sequoia che cresceva sul retro del palazzo e che era l'orgoglio di Oscar. Brand gli aveva assolutamente vietato di andarsene in giro, dato che gli uomini della T.E.C erano nei dintorni e ora c’era pure quel giornalista, Raian, che lo cercava. L’abbaiare di Wolf lo distrasse dai suoi pensieri, Oscar in tenuta da giardinaggio e armato di palla di gomma uscì in giardino seguito da un grosso San Bernardo che teneva il capo chino e seguiva il medico svogliatamente. Wolf corse attorno al nuovo arrivato abbaiando festosamente, “Sta buono Wolf” lo rabbonì Oscar con un sorriso. Prese la palla e la lanciò “Su andate a prenderla” Wolf partì di corsa ma il San Bernardo non si mosse, il medico sospirò accarezzando la testa dell’animale fu allora che vide il ragazzo che li osservava. “Ciao Deran” lo salutò con un sorriso, Deran rispose al saluto con un cenno del capo scendendo poi di qualche ramo fino ad appollaiarsi su un ramo basso, Oscar gli si avvicinò appoggiando la schiena al ramo e osservando il san Bernardo accoccolato mestamente tra l’erba. “Che cosa gli è successo?” chiese Deran che non aveva mai visto un cane comportarsi in quel modo. “Il suo padrone e morto” mormorò tristemente Oscar, “Ci era molto affezionato e adesso si rifiuta di mangiare, pensavo che portandolo qui a casa insieme a Wolf sarei riuscito a risollevargli il morale ma ho provato di tutto senza grandi risultati. Prima o poi ci riuscirò” commentò il medico con una scrollata di spalle “Tu come stai?” Deran arrossì ricordando quello che gli aveva detto Brand, era stato Oscar a sistemare la sua ala ferita. “Bene” disse serafico senza guardare l’uomo negli occhi “Ne sono felice” gli rispose Oscar che non sembrava particolarmente turbato. Deran l’osservò tornare dal suo paziente, chissà se sarebbe riuscito a convincere l’animale a mangiare, sorrise, probabilmente sì, era una persona così buona che prima o poi il San Bernardo gli si sarebbe affezionato.
Visto che
non aveva niente da fare e che Brand era a scuola Deran passava quasi tutti i
giorni appollaiato sull’albero ad osservare Butch, gli piaceva restare ad
osservare il grosso animale sdraiato sull’erba e tra loro si stabilì una specie
di muto legame, “A volte mi chiedo se voi due non riusciate a capirvi” gli disse
un pomeriggio Oscar osservando prima uno poi l’altro ma Deran scosse il capo
“Non posso sapere cosa sta pensando ma so che cosa prova” mormorò il ragazzo e
Oscar non commentò. “Perché non provi tu a dargli da mangiare?” propose invece
Oscar “Da me non l’accetta”. Deran fissò il medico scettico ma prese la fetta di
prosciutto che questo gli diede e si avvicinò a Butch. Il cane spostò il capo di
lato per osservare meglio il ragazzo ma non prese il cibo che lui gli offriva.
“E’ buono sai” gli disse Deran posandoglielo accanto. Il cane annusò il
prosciutto ma non lo prese. Deran tornò al suo ramo “Tanto resto qui fin che non
lo mangi” gli disse appollaiandosi al suo solito posto. Oscar rise “Devo andare
in ambulatorio, fammi sapere chi dei due è il più cocciuto” disse con un sorriso
allontanandosi con Wolf. Passarono le ore ma Deran non si mosse, anzi più
passava il tempo più la sua determinazione aumentava. “Quello che stai facendo è
stupido!” sbottò ad un certo punto rivolto verso il cane che lo ignorò. Oscar
tornò dall’ambulatorio che erano le otto, si stiracchiò e prese il grembiule per
prepararsi a cucinare la cena. Rimase di sasso quando scorse il ragazzo
appollaiato sull’albero. Non poteva essere lì da quella mattina! Spostò lo
sguardo e vide che anche Butch non si era spostato, chissà se avrebbe
funzionato. “Deran è tardi” lo chiamò Brand dal balcone guardando in basso
nell’oscurità tra le fronde della sequoia. “Non ho intenzione di muovermi finché
quello stupido cane non fa quello che dico io.” Brand sospirò “Ti prenderai una
broncopolmonite” commentò ma non ricevette risposta e tornò in casa borbottando
sul fatto di essere stato scaricato per un cane. Deran si assopì sull’albero,
non era una posizione tanto comoda ma riuscì comunque ad addormentarcisi sopra.
Fu svegliato che era quasi l’alba, dall’uggiolio di Butch che si era spostato
sotto il suo ramo con la fetta di prosciutto in bocca. Deran lo fissò sorpreso,
il cane depose la fetta ai piedi dell’albero e Deran scese dal suo ramo per
sedersi accanto a lui sull’erba, accoccolato accanto a lui Butch mangiò
lentamente il prosciutto mentre Deran gli accarezzava dolcemente la testa. Con
il passare dei giorni il cane cominciò a mangiare anche quello che gli dava
Oscar e prese a giocare con Wolf. “Ce l’hai fatta” commentò Oscar una sera
guardando i due cani dormire uno accanto all’altro “Sembra che tu abbia un
talento naturale per queste cose” Deran non rispose, chissà se Oscar aveva
ragione, forse essere l’Arcangelo non sarebbe stato così duro pensò ricordando
la soddisfazione che aveva provato nel vedere l’animale mangiare la prima
volta.
Quando lo
disse a Brand questi gli sorrise, “E’ meraviglioso poter fare qualcosa per gli
altri” disse “Lo diceva sempre anche mia madre” “Non mi hai mai parlato dei tuoi
genitori” gli chiese Deran curioso, Brand sorrise “Non c’è molto da dire. Sono
due simpatici vecchietti! Mia madre è nata a Oslo ma si è trasferita in America
con la sua famiglia quando aveva dodici anni, mio padre invece ha sempre vissuto
qui. Adesso vivono in un paesetto di montagna in Canada. Hanno sempre amato la
vita tranquilla, mio padre gestisce un piccolo ristorante e mia madre fa la
cuoca è lei che mi ha insegnato a cucinare.” Sorrise ripensando ai genitori
“Abbiamo conosciuto la famiglia del professore quando ci siamo trasferiti da New
York a New Orleans, la madre di Roxane e Lien, Katrine era una donna adorabile e
fece subito amicizia con la mia. Io e Roxane invece all’inizio litigavamo
sempre.” Commentò “Quando il professore è morto ci siamo trasferiti in Canada
con la famiglia Heinz e abbiamo aperto il ristorante. Katrine morì cinque anni
fa. Io mi ero appena trasferito qui per frequentare la facoltà di legge e poco
dopo si trasferirono qui anche Roxane e Lien, restare nella casa che avevano
diviso con la madre per loro era troppo doloroso e poi Roxane mi disse di avere
scoperto dei movimenti sospetti all’interno della T.E.C.” scosse le spalle
“Chiamala intuizione femminile” disse con un sorriso. “Adesso sento i miei
genitori solo per telefono è da Natale scorso che non vado a trovarli”. Deran
annuì soprappensiero. “La prossima volta che andrò a casa dovrai venire con me
così potremmo rendere la cosa ufficiale.” Deran arrossì violentemente e Brand
sorrise attirandolo a sé per stringerlo tra le braccia. “Com’è avere una
famiglia?” chiese Deran dopo alcuni minuti, tenendo il capo appoggiato al petto
del compagno. Brand lo osservò tristemente, Deran non aveva certo avuto una
bella infanzia. “E’ una bellissima sensazione” mormorò “Ti fa sentire al sicuro
e ti da la voglia di vivere e di impegnarti anche quando sei giù” Deran annuì e
Brand chinò il capo per baciarlo. “Adesso anche tu hai una famiglia quindi vedi
di impegnarti per non farmi preoccupare” mormorò.
Deran
sospirò lo aspettava un’altra mattinata di ozio, cominciava a stancarsi. “Ti
annoi?” gli chiese Lien da sotto il ramo sul quale era appollaiato il ragazzo.
Deran annuì “Non ho niente da fare e non posso andare da nessuna parte.” Lien
posò la cartella a terra e ne estrasse un walcman. “Prendi questo!” disse
lanciandoglielo. Deran l’afferrò al volo. “Che cosa dovrei farci?” chiese
scettico. Lien sospirò e dopo essersi lanciata uno sguardo attorno lo raggiunse
con un balzo. “Questo non è un normale walcman” gli spiegò lei. “Me lo costruì
il nonno per aiutarmi a passare il primo periodo di inattività dovuto
all’operazione” Disse guardandosi le gambe. “Anch’io mi annoiavo parecchio”
commentò. “Si tratta di un piccolo computer portatile che percepisce le onde
radio. Con questo puoi ascoltare le conversazioni di mezzo paese se trovi la
sintonia giusta” Deran rigirò l’oggetto tra le mani curioso. “Vedi” disse lei
indicandogli un pannello nascosto dal lettore cd “Tramite questo puoi persino
rintracciare la provenienza del messaggio” gli spiegò “Si potrebbe usarlo anche
per comunicare” “Non è rischioso?” chiese Deran interessato, “Cioè, non c’è il
rischio che la T.E. C li intercetti?” Lien scosse il capo, “Se la frequenza del
messaggio è quella corretta può essere ricevuta solo dal diretto interessato” la
ragazza sospirò guardando l’orologio. “E’ una cosa molto complicata il nonno
provò anche a spiegarmela ma non ci ho capito un gran che. Lo uso ancora qualche
volta quando sono triste. Mi aiuta a liberare la mente ascoltare i discorsi che
riesco a captare” Lien saltò giù dal ramo “Io vado o faccio tardi a scuola” ma
già Deran non l’ascoltava più assorto nello studio del curioso oggetto che la
ragazza gli aveva lasciato.
Il ragazzo passò i giorni successivi a studiare il funzionamento del piccolo aggeggio, tanto da preoccupare Brand che ad un certo punto provò anche a farsi spiegare cosa stesse facendo ma non era molto ferrato sull’argomento onde radio, per cui tornò a concentrarsi sulla sua tesi lasciando che Deran se la sbrigasse da solo, tutto sommato così riusciva a non pensare alla minaccia della T.E.C e agli amici che non poteva più vedere. Brand sospirò osservando il ragazzo smontare il suo stereo per collegarlo al walcman di Lien.
Il cellulare di Brand prese a squillare.
Deran si
districò tra i vestiti che stava sistemando nell’armadio, Brand l’aveva messo ai
lavori di casa dato che aveva un sacco di tempo libero, e raggiunse il mobile in
soggiorno. Non aveva chiesto se aveva il permesso di rispondere al telefono ma
Brand era a scuola… “Pronto?” chiese con voce incerta. “Deran!” era la voce di
Marc e sembrava agitato. “Marc ma cosa..?” “E’ successo una cosa terribile! Una
delle impalcature che stavamo usando era fissata male ed è caduta addosso al
professor North ” Deran strinse convulsamente la mano intorno al telefono
“Br..Brand” balbettò con un filo di voce “Arrivo subito!” disse prima di
chiudere la comunicazione. Non gli chiese come stava, non gli chiese se
l’avevano portato all’ospedale voleva solo arrivare lì il più in fretta
possibile. Prese le chiavi dello scooter del compagno e si fiondò in strada.
“Hei Marc
dove ti sei cacciato!?” lo richiamò Lucas. Marc riagganciò la cornetta con un
sorriso “Arrivo!”
La scuola
era silenziosa, l’unico edificio ancora illuminato era la palestra. Lien passò
uno striscione ad Alissia che l’aiutò ad appenderlo. Ellen sospirò lanciando
un’occhiata all’orologio “Accidenti com’è tardi, mia mamma mi spellerà viva!”
Anche Brand posò lo sguardo sull’orologio, era tardi, ma il giorno seguente ci
sarebbe stata la festa e loro dovevano assolutamente terminare per quella sera,
persino Roxane e il coach della squadra di basket si erano fermati per dar loro
un mano, ormai avevano quasi finito. Forse era meglio se chiamava Deran per
avvertirlo si sarebbe preoccupato non vedendolo arrivare.
I ragazzi
al lavoro si bloccarono quando la porta laterale che dava sul parcheggio si aprì
di botto. Deran piombò in palestra pallido come uno straccio con un volto
stravolto che fece preoccupare immediatamente Brand. “Deran!” esclamò sorpreso
Lucas, il ragazzo lo ignorò totalmente fissando Brand come se fosse
un’apparizione. E poi con un suono strozzato si buttò tra le sue braccia
piangendo. Rimasero tutti di sasso. Brand lo strinse a se con dolcezza “Tesoro
che cos’è successo?” gli chiese preoccupato staccandolo delicatamente da sé e
accarezzandogli una guancia, ignorando gli sguardi allibiti degli altri
presenti. Deran si asciugò un’ultima lacrima furtiva con il dorso della mano e
sorrise “Mi.. mi avevano detto che eri ferito” balbettò. Brand lo fissò
sorpreso. “Ferito? Perché ti avrebbero detto una cosa del genere?” “Per portarlo
qui naturalmente!” Un ragazzo alto e magro apparve sulla soglia con un sorriso
sornione poco dietro di lui venivano altri uomini, tutti armati. La T.E.C! Era
una trappola! Entrambe le porte che davano alla palestra si spalancarono. Brand
imprecò quando vide gli uomini della T.E.C. circondarli con le armi in pugno.
“Ma che cosa?” mormorò Alissia pallidissima. La vista delle pistole paralizzò i
ragazzi in palestra. “State calmi e non vi faremo del male” disse il moro che
aveva parlato per primo facendosi avanti con una strana arma in pugno. “Che cosa
volete” chiese il coach mettendosi coraggiosamente tra gli uomini della T.E.C. e
i suoi alunni, il ragazzo castano sorrise, un sorriso freddo che fece correre un
brivido lungo la schiena di Deran. “Siamo venuti a prendere l’Arcangelo” disse
con un altro sorriso puntando il suo sguardo di ghiaccio dritto su Deran.
L’insegnante si voltò a guardarlo interrogativamente. Lucas che era accanto a
lui lo fissò sorpreso, impallidì quando Deran abbassò il capo per non incontrare
il suo sguardo. “Scordatelo!” tuonò Lien saltando con abilità giù
dall’impalcatura sulla quale si trovava. La ragazza atterrò uno degli uomini
della T.E.C con un calcio in pieno volto mentre Brand si lanciò contro il
ragazzo che aveva parlato avvolto da un’aura di elettricità, aveva riconosciuto
l’arma che aveva in pugno, anche lui era un angelo, i metodi comuni non
sarebbero serviti. “Deran va via!” gridò Roxane mentre dal suo braccio destro
fuoriusciva una strana arma che usò contro gli uomini della T.E.C. In pochi
minuti nella palestra scoppiò il finimondo. Gli uomini della T.E.C. cominciarono
a sparare, Roxane usava la sua arma per rispondere al fuoco da dietro le
gradinate. Greg e Brand combattevano al centro della palestra scontrandosi a
mezz’aria a suon di scariche elettriche. Lien si avvicinò a Deran “Dobbiamo
andare via di qui” gridò riscuotendolo. “Le porte sono state bloccate
dall’esterno!” esclamò Lucas provando a forzarne una, Lien gli si avvicinò e ne
saggiò la consistenza, si allontanò di alcuni passi e poi sferrò un calcio,
l’intera porta esplose verso l’esterno portando con sé anche alcuni pezzi di
muro. “Fuori di qui!” ordinò agli attoniti compagni di classe. “Deran ma che
cavolo sta succedendo?” chiese Lucas pallido. Brand schivò uno dei colpi di Greg
che colpì il soffitto della palestra disintegrandolo. “Non male per un pezzo di
recupero” commentò Brand e Greg gli sorrise, “E vedrai quando avremo le
conoscenze dell’Arcangelo” “Questo non succederà mai!” “Non lasciateveli
scappare!” tuonò Greg ai suoi uomini che si lanciarono all’inseguimento. “Non
muovetevi!” ordinò uno di loro alzando la pistola. Deran si bloccò guardandosi
intorno incerto, gli uomini della T.E.C li avevano circondati, non poteva andare
da nessuna parte. Non aveva scelta, anche se non voleva farlo lì davanti a loro
non voleva nemmeno correre il rischio che i suoi amici venissero feriti. Chiuse
gli occhi e per la prima volta chiamò consciamente l’Arcangelo. Avvertì uno
strano canto di gioia e il consueto frastuono metallico, il dolore e il rumore
della stoffa che si squarciava mentre le grandi ali bianche si allungavano verso
l’esterno. Alissia gridò, Marc impallidì violentemente e Lucas imprecò. La sua
idea comunque ebbe l’effetto voluto i suoi inseguitori si fermarono fissando
incapaci di muoversi gli occhi grigio argento del ragazzo, erano ben addestrati,
sapevano di non aver più davanti un ragazzino ma l’Arcangelo e temevano il suo
potere. Deran approfittò della loro esitazione per piegare le grandi ali e
lanciarsi verso l’alto, se poteva impedirlo non avrebbe bruciato nessuno. A
differenza della prima volta riuscì ben presto a prendere il controllo avvertiva
la coscienza calcolatrice dell’Arcangelo che gli indicava con precisione cosa
doveva fare. “Dove credi di andare?” gli chiese con scherno una voce vicino a
lui. Deran sussultò, quando vide la ragazza in piedi sul tetto della palestra
tendere la mano destra, schivò la prima scarica ma venne colpito in pieno dalla
seconda, il dolore gli accecò i sensi facendolo precipitare. Fece appena in
tempo ad aprire gli occhi cercando di riprendersi che vide un uomo della T.E.C
alzare la pistola e sentì lo sparo, ma non fu lui a essere colpito bensì il suo
inseguitore. Raian spuntò da dietro gli alberi impugnando l’arma. “Stavolta non
la farete franca!” tuonò con la sua voce profonda. In lontananza il suono delle
sirene si faceva sempre più vicino segnalando l’arrivo dei rinforzi. Lien, che
aveva approfittato del diversivo creato da Deran, s’immobilizzò accanto al corpo
dell’ennesimo uomo della T.E.C che aveva steso. Dalla palestra giungevano ancora
i rumori di combattimento, d’un tratto vi fu un’esplosione di fuoco che avvolse
l’edificio, Roxane emerse dalle fiamme, mentre Brand e Greg continuavano a
combattere sopra il tetto crollato della palestra. I due si divisero senza
smettere però di fronteggiarsi. Cadde il silenzio rotto solo dal suono delle
sirene sempre più vicine. Marc si avvicinò a Deran e l’aiutò a rialzarsi, lui
gli si appoggiò riconoscente. Greg sorrise “Ce ne andiamo” disse con tono
stranamente accondiscendente, Brand lo fissò sorpreso, l’aria fu tagliata dal
rumore delle pale di un elicottero, lo spostamento d’aria che il veicolo
produsse mise in serio pericolo la stabilità dei ragazzi sul prato davanti a
scuola, Lucas afferrò Alissia tenendola stretta a sé mentre Jack proteggeva con
il suo corpo la sorella. “E’ ora di tornare a casa” mormorò Marc, Deran si voltò
di scattò gli occhi spalancati a fissare il volto dell’amico. Marc. Marc l’aveva
chiamato a casa! Era stato lui a dirgli che Brand era ferito. In tutta quella
confusione l’aveva dimenticato. Lui di cui si fidava a l’unico a cui aveva
confidato il suo amore per il loro professore, l’aveva tradito. Aveva usato
quella sua confidenza contro di lui. Non ebbe la forza di reagire, di
divincolarsi o di colpire. Marc che gli era stato così vicino… Tradito. Quella
parola gli esplose nella testa causandogli un dolore ben più profondo di quello
dei colpi ricevuti. “Non prendertela” gli mormorò il ragazzo con un sorriso
prima di piantargli qualcosa nel braccio che gli si annebbiò la vista e gli fece
perdere i sensi. “Bastardo!” gridò Lien lanciandosi contro il compagno di
scuola, gli occhi di Marc divennero due polle di luce e Lien venne scagliata
parecchi metri indietro finendo addosso a Roxane. La ragazza che aveva colpito
Deran scese con un abile volteggio dal tetto della palestra. “Era l’unico modo.”
Disse come per scusarsi “Abbiamo provato a seguirvi fino a casa ma tua sorella
ha una guida a prova di pedinamento. Mi piacerebbe sapere chi le ha dato la
patente!” Elisabeth rise e aiutò Marc a caricare Deran sull’elicottero.
“Lascialo!” tuonò Brand tendendo la mano e scagliando tutta la sua energia
contro di loro ma Greg gli si frappose parando il colpo. “Resterei ancora qui a
giocare con voi. Ma ora devo proprio andare” disse Greg salendo a bordo, il
veicolo prese a muoversi, Raian sparò ma i proiettili rimbalzarono sul metallo,
“Deran!” gridò Roxane tendendo entrambe le mani e lanciando un’immane onda di
fuoco che avvolse l’elicottero “Non funziona!” esclamò Lien, vedendo il veicolo
uscire indenne dalle fiamme e prendere velocemente quota. Le auto della polizia
giunsero nel cortile quando ormai i rapitori erano fuori tiro.
“Non
possiamo lasciare tutti quei testimoni” disse Elisabeth osservando i compagni di
scuola e i colleghi rimasti sul campo. “Non ho intenzione di farlo” mormorò con
un sorriso Marc azionando una leva con un pulsante rosso, la parte inferiore
dell’elicottero si aprì per lasciar fuoriuscire un lanciarazzi. Il ragazzo mirò
e sparò.
“Via da
qui!” gridò Lien vedendo il missile venire verso di loro. I ragazzi se la
diedero a gambe levate senza farselo ripetere, Roxane chiuse gli occhi e serrò i
pugni, Lien e Brand fecero lo stesso, un immane onda elettrica scaturì dalle
loro mani tese all’unisono verso l’alto facendo esplodere la bomba prima che
toccasse terra, lo spostamento d’aria mandò a gambe all’aria Raian e fece
esplodere i vetri dell’edificio scolastico, il boato fu assordante. Quando fu in
grado di riaprire gli occhi Raian notò che la palestra era crollata tuttavia gli
studenti e l’insegnante di educazione fisica erano incolumi, i tre misteriosi
ragazzi però erano scomparsi.
“Sono tutti morti” mormorò Cristian scrollando la testa, Axon fissò il collega stupito, “Si sono avvelenati per non farsi prendere vivi” gli spiegò l’amico della scientifica chino accanto al corpo di uno degli uomini della T.E.C. “Le loro impronte digitali sono state cancellate e anche la retina è stata danneggiata, è impossibile risalire alla loro identità” disse spolverandosi il camice bianco. “Tu sai chi sono vero?” chiese a Raian che osservava la scena disgustato passandosi una mano tra i capelli scuri e ripensando a quanto aveva visto. Chi erano e di quali poteri erano dotati quei ragazzi e soprattutto che cos’era Deran?
Una
berlina scura attraversò il cancello scolastico fermandosi a pochi metri dal
prato, Axon sussultò quando riconobbe l’uomo che era stato nell’ufficio del suo
capo. Lui venne verso di loro e lanciò un occhiata al cadavere ai piedi di
Cristian. “Non si smentiscono mai” mormorò. Infilò la mano sotto la giacca e ne
estrasse un distintivo “Sono l’agente speciale Armor” si presentò “Da questo
momento il caso passa sotto il controllo del corpo per la protezione nazionale”
Axon sussultò ma si ritirò seguito da Raian “Lei aspetti un attimo” lo richiamò
Armon e Raian tornò indietro, “Mi sembrava di essere stato chiaro quando ci
siamo incontrati a New York. Stia fuori da questa storia, la T.E.C è compito
nostro” Raian sorrise freddo “Mi spiace ma non ho intenzione di ritirarmi
proprio ora, ormai manca poco avrò la mia vendetta.” Armon si rabbuiò “Non
glielo permetteremo” minacciò. Raian scosse le spalle “Vedremo” disse
allontanandosi. “Stai facendo un gioco pericoloso” lo mise in guardia Axon ma il
giornalista sorrise “Non m’importa, non m’importa di niente ormai” disse
montando sulla sua automobile e partendo a razzo. Gli uomini del corpo speciale
non potevano toccarlo, non finché le preziose informazioni che possedeva erano
custodite in un luogo noto a lui e al suo avvocato. Adesso aveva un altro
problema da risolvere, non aveva la più pallida idea di come fare per ritrovare
il ragazzo. Accidenti ci era andato così vicino! Non si sarebbe arreso, anche se
ci fossero voluti altri dieci anni lui non si sarebbe arreso!
“Fate
piano è un carico delicato” ordinò Greg agli uomini che stavano mettendo la
capsula in cui era richiuso l’Arcangelo nell’aereo, Elisabeth sbuffò “Il capo
non è per niente soddisfatto” “Anche se abbiamo catturato l’Arcangelo abbiamo
commesso l’errore di sottovalutare i tre angeli bianchi.” Commentò Marc. “Quando
volete possiamo partire comandante” mormorò il pilota avvicinandosi a Greg, lui
annuì facendo segno agli altri due di seguirlo a bordo. “Siamo sicuri che
funzioni?” chiese Elisabeth scettica lanciando un occhiata al contenitore di
metallo che conteneva il corpo dell’Arcangelo. “Il liquido in cui è immerso è
stato studiato appositamente per controbilanciare la radioattività del suo
sangue finché rimarrà immerso nell’LCL non potrà darsi fuoco” le spiegò Marc. La
ragazza tornò a concentrare la sua attenzione su di loro tranquillizzata “E’
stato il capo a chiederci di affrettare i tempi, se non ci avesse fatto fretta
avremmo individuato la casa dell’Arcangelo e l’avremmo catturato senza bisogno
di scocciare nessuno” si lamentò Elisabeth. Marc accese il televisore non
dicevano nulla dell’accaduto, una volta tanto il corpo speciale aveva fatto il
loro gioco coprendo quant’era accaduto.
Lucas
rimase immobile nella sua stanza. Il corpo speciale di polizia aveva fatto
giurare loro di non parlare ad anima viva di quanto era accaduto pena la vita.
Si passò una mano tra i capelli stancamente. Quanto aveva visto quella notte
aveva dell’incredibile. Non riusciva a dimenticare Deran che spalancava le
grandi ali bianche e poi Elisabeth sul tetto della palestra che lo colpiva e
Marc che lo portava via. Marc che era sempre stato un suo compagno di scuola, il
suo amico da quando sei mesi prima si era trasferito lì, un ragazzo come gli
altri. Marc era suo amico. O almeno così aveva creduto. Era sempre allegro e
disponibile al sorriso, con lo stesso sorriso con cui lo accoglieva la mattina
quando arrivava in classe, con quello stesso sorriso aveva portato via Deran.
Chi erano, che cosa erano? Lucas sospirò ancora. Che cosa sarebbe successo a
Deran? Ricordava il terrore sul volto di Lien quando l’elicottero si era
allontanato illeso tra le fiamme. Chissà se li avrebbe più rivisti?
La pelle
gli bruciava e faticava a respirare, le figure attorno a lui erano indistinte.
“Brand” chiamò debolmente ma le sue parole si persero in un gorgoglio.
Immerso in quello strano, denso liquido ambrato Deran galleggiava nell’enorme
contenitore di vetro che lo collegava al grande sistema di computer che stava
esaminando i suoi dati, aveva la nausea, scosse la testa cercando invano di
allontanare quello stato di intorpidimento che gli impediva di pensare, era già
stato in un luogo simile a quello, aveva già conosciuto quel dolore che gli
lacerava la carne e sapeva che presto sarebbe diventato insopportabile, cominciò
a tremare. Non voleva ricordare, non voleva provare di nuovo quelle terribile
sensazioni. “Aiutatemi” supplicò, il vetro della capsula gli riflesse la sua
immagine, l’angelo bianco dallo sguardo infinitamente triste. Alla fine il suo
incubo era diventato realtà.
Doveva
rimanere immobile ad assistere, non poteva fare nulla per lui. L’Arcangelo
concentrò ancora la sua volontà ma quello strano liquido gli impediva di usare
il suo potere. Lo sentì gridare e avvertì impotente la sua paura, il suo dolore.
Deran, perdonami…….
“E così questo sarebbe l’Arcangelo?” chiese lo
scienziato e Greg annuì “Va bene cominciamo
pure gli esperimenti”.
Non sapeva se fossero
passati solo pochi giorni od interi anni, aveva perso il conto delle volte che
aveva avvertito la propria vita spegnersi soltanto per riprendere poi
dolorosamente a respirare, soltanto per soffrire ancora. Mosse a fatica il
braccio destro, il numero di cavi che si infilavano sotto la sua pelle era
aumentato, aumentavano in continuazione, ogni nuovo esperimento una nuova sonda.
Quelli che gli avevano piantato nella testa erano i più dolorosi a volte sveniva
per il dolore e allora il computer provvedeva a stimolare i circuiti nervosi per
far sì che lui tornasse cosciente, perché se non era cosciente non riuscivano a
raccogliere i dati in modo ottimale. “Il personale di servizio si prepari per il
prossimo esperimento” scandì una voce metallica proveniente da un qualche
altoparlante non distante. L’enorme schermo del computer lampeggiò “Esperimento
numero 192: amputamento organi interni” riportava la scritta bianca sullo
schermo nero. Deran chiuse gli occhi e serrò la mascella, non voleva vedere.
Avvertì il dolore e l’ennesima sonda che gli scivolava sotto la pelle, lungo lo
sterno fino ai polmoni e poi lo strappo, spalancò la bocca vomitando sangue, non
poteva gridare, non ne aveva più la forza, non aveva più voce, avvertì la
propria vita tremolare e pregò con tutte le sue forze di morire.
“Come
proseguono gli esperimenti” chiese la voce al di là del filo, Greg sospirò
“Da quando gli abbiamo fatto tagliare le corde vocali meglio, alcuni dei nostri
illustri esperti non riuscivano a lavorare bene sentendolo gridare tutto il
giorno in quel modo” commentò annoiato “Quanto ci vorrà prima che sia
possibile per noi riprodurlo?” “E’ difficile da dirsi” mormorò Greg “Il
ragazzo sviene e muore in continuazione obbligandoci a ripetere gran parte degli
esperimenti una decina di volte prima di ottenere dei risultati validi, di
questo passo ci vorranno ancora un paio d’anni” “Non abbiamo tutto quel
tempo!” esclamò la voce seccata “I compratori sono impazienti! Fate in
modo che resti cosciente per tutta la durata dell’esperimento e accelerate i
tempi!” tuonò “Dovremo aprire la scatola cranica e instaurare il contatto
elettrico direttamente nel cervello” commentò Greg “e allora fatelo!”
tuonò la voce riagganciando. “Ha sentito dottore” domandò il ragazzo
perfettamente calmo al medico pallido seduto accanto a lui, “Non posso, non
posso fare una cosa simile…” balbettò impallidendo “Quella povera creatura…”
“pensi soltanto a sua moglie e sua figlia dottore, il destino dell’Arcangelo è
compito nostro” lo scienziato serrò la mascella, doveva farlo. Avrebbe operato
l’Arcangelo. L’avrebbe reso totalmente cosciente per tutto il tempo, l’avrebbe
fatto anche se la sola idea gli congelava il sangue nelle vene. L’avrebbe fatto
per evitare che quegli uomini spietati uccidessero la sua bambina.
Il medico
studiò i tabulati che aveva davanti, finalmente le informazioni che avevano
cominciavano a delineare un quadro preciso, l’angelo diventava sempre più
impaziente. Fu scosso da un brivido ricordando quanto era accaduto solo il
giorno prima. “I dati non bastano” “Come sarebbe a dire?” commentò Greg seccato
lanciando uno sguardo a Deran che li fissava senza espressione da dietro il
grosso vetro della sua gabbia. Il medico che aveva seguito il suo sguardo
abbassò in fretta il capo quando incontrò gli occhi dorati del ragazzo, incapace
di sostenerne la muta richiesta di aiuto e la profonda disperazione che vi
lesse. “Il fatto è che i dati sono sfalsati…” cercò di giustificarsi il medico.
Greg si rabbuiò “Che cosa significa! Mi avevate garantito che se fosse rimasto
cosciente avreste finito prima o sbaglio?” disse con tono minaccioso. Il suo
assistente sussultò e lui impallidì retrocedendo di un passo, “Sì…sì” balbettò
“Ma sembra che collegandolo direttamente al server in qualche modo riesca a
controllare quello che viene registrato.” Greg si voltò sorpreso verso il
ragazzo. “E’ così?” gli chiese stupito. “Questo non me l’aspettavo da te.” Disse
e Deran chiuse gli occhi cercando di sfuggirgli. Greg allungò la mano alla
console e lanciò una scarica elettrica, Deran spalancò gli occhi rannicchiandosi
su se stesso per resistere al dolore. Greg aumentò il voltaggio per alcuni
secondi prima di ritirare il comando. Deran respirava affannosamente, il capo
chino che lasciava vedere i lunghi cavi collegati direttamente alla scatola
cranica scoperchiata. “Così prolunghi solo la tua agonia” gli disse con voce
suadente “Non essere sciocco, pensa al futuro che potresti avere con noi”. Deran
alzò lentamente il capo per incontrare i glaciali occhi dell’angelo, e questi
sorrise quando lo vide scuotere appena la testa in segno di diniego. “E va bene,
vorrà dire che troveremo un altro modo per convincerti a collaborare” mormorò
tranquillamente Greg scuotendo con noncuranza le spalle.
Deran chiuse gli occhi, era così stanco e aveva freddo. Tanto freddo. Brand…., avrebbe tanto voluto tornare nel caldo rifugio offerto dalle sue braccia. I minuscoli tubi trasparenti collegati a vene e arterie che scivolavano fuori da tutto il suo corpo lasciavano intravedere al loro interno il liquido rosso che costituiva il suo sangue fluire in continuazione in sincronia con il battito del cuore. Se alzava la testa poteva vederlo, il suo cuore, pulsare come una cosa viva nel suo petto squarciato. La prima volta aveva vomitato, ma ora cominciava ad abituarsi all’immagine che gli rifletteva il vetro spesso della capsula. I medici nel laboratorio erano diminuiti e a pensarci bene era da un paio di giorni che gli esperimenti si erano diradati. Che si fossero arresi? Forse era servito introdursi nella memoria dell’elaboratore elettronico per cancellare i dati, forse si erano resi conto che era impossibile clonarlo. Non era così sciocco da pensare che l’avrebbero lasciato libero, ma poco gli importava l’unica cosa che desiderava era un po’ di pace dovesse anche arrivare dalla morte. Alcune immagini sbiadite comparvero nella sua mente. I volti degli unici amici che avesse mai avuto. Avrebbe tanto voluto rivederli almeno una volta, avrebbe tanto voluto tornare a scuola, alla squadra di basket, desiderava persino rivedere il professore di lettere e sentirlo litigare con Lucas sulla data del tema in classe. Avrebbe tanto voluto svegliarsi da quell’incubo per ritrovarsi ancora una volta nell’appartamento di Brand e sentire Lien e sua sorella discutere, avrebbe tanto voluto poter aprire gli occhi e scoprire di trovarsi a letto, tra le braccia di Brand, scoprire che era stato tutto un terribile incubo, ma proprio per loro non doveva cedere. Brand aveva detto che quando si ha una famiglia anche nei momenti più tristi e dolorosi si trovava la forza per lottare, per non deludere la fiducia delle persone care. Quella forza era l’unica cosa che gli impediva ancora di impazzire. Avrebbe protetto coloro che amava anche a costo di passare la sua vita dentro quel contenitore di vetro.