T.a.p. 3 Back to Original Back to Home
"Il limite che non andava valicato...
il grido della luce...
cosa sono io?"
Deran Recard
Quella leggera piacevole sensazione di galleggiare in uno strano
liquido ambrato, un vociare confuso attorno a lui e delle figure vestite di
bianco che danzavano attorno ad un enorme contenitore di vetro nel quale
galleggiava il corpo di un bimbo, e poi quell’acuto dolore alla testa e milioni,
miliardi di immagini, date, suoni, nomi e quel vociare che diventava
insostenibile, lo schermo del computer che lampeggiava e le fiamme nere che
ruggivano attorno a lui, il grido di un uomo che chiedeva perdono a Dio e ancora
dolore, un mare di dolore che gli toglieva il respiro, che gli schiacciava il petto
impedendogli anche di gridare e poi l’esplosione di luce e l’angelo bianco che
tendeva la mano destra verso di lui, le grandi ali spezzate e sporche di
sangue, quel ragazzo dagli occhi dorati e dallo sguardo spento, infinitamente
triste che piangeva, con un grido la sua figura si spezzò davanti a lui
rivelando cavi metallici e circuiti che schizzarono impazziti ovunque. Deran si
svegliò di soprassalto, aveva fatto di nuovo lo stesso incubo, ormai erano anni
che quel maledetto sogno lo torturava tutte le notti, e con il passare del tempo
diventava sempre più chiaro, sempre più preciso e doloroso. Il volto
dell’Angelo, quel volto intriso di una tristezza devastante era il suo. Si
massaggiò le tempie doloranti cercando di cancellare quelle terribili visioni
dalla sua mente. Perché, perché non poteva avere una vita normale. Si alzò e
andò alla finestra fissando la luna oltre le grosse sbarre della finestra,
un’altra gabbia. Quando l’assistente gli aveva mostrato la sua stanza non aveva
potuto fare a meno di sorridere, le sbarre alla finestra, la porta blindata, le
pareti di cemento armato, come se una sola di quelle barriere potesse fermalo.
Ma lei lo temeva, come lo temevano i suoi genitori e come avevano fatto loro, la
notte l’assistente sociale di turno lo chiudeva a chiave in una stanza scura
sempre uguale ritenendosi così al sicuro. Almeno quella era più grande della
cantina dove suo padre lo aveva gettato quando aveva scoperto i suoi poteri,
almeno quella stanza aveva una finestra, seppur piccola. Sospirò andando alla
scrivania dove aveva lasciato la busta di carta che aveva trovato nella
cartella, prese la mela e la addentò riflettendo. Aveva ricordi vaghi di quanto
era accaduto due notti prima, Brand l’aveva salvato, l’aveva preso tra le
braccia e portato al sicuro. Aveva bisogno d’aiuto ma di chi poteva fidarsi? Si
era fidato una volta ed era stato tradito. Anche se i ricordi erano confusi.
Sospirò osservandosi le mani aperte, da quelle mani era scaturito quel fuoco
scuro e inesorabile che aveva arso vivo il medico che lo aveva in cura. Aveva
solo sei anni ma era rimasto a guardare l’uomo bruciare tra le fiamme scure,
immobile, fissando con i suoi grandi occhi dorati la pelle dello psichiatra
accartocciarsi e sfrigolare, le sue ossa annerire e bruciare finché non era
rimasta che cenere. Appoggiò la fronte alle ginocchia abbracciando le gambe e
stringendosele al corpo proprio come faceva allora quando dopo una giornata di
visite e test l’infermiere lo riportava nell’asettica camera imbottita che gli
avevano riservato. Aveva sopportato ogni genere di controllo e di test ma i
farmaci che gli davano non cambiavano le sue visioni e per quanto si sforzasse
ogni volta che il medico gli chiedeva “Cosa vedi?” l’unica parola che poteva
proferire era “Distruzione”. E allora arrivava un altro specialista e
ricominciavano, le terapie, i farmaci i test. E alla fine era venuto Zaccary,
quell’uomo dallo sguardo strano che era stato così gentile, quel medico diverso
dagli altri che gli stava sempre accanto, che gli accarezzava i capelli e gli
baciava le guance, di lui si era fidato. Finché non era andato da lui quella
notte e allora Deran l’aveva bruciato. Ricordava ancora il volto pallido di suo
padre che era venuto a prenderlo e i discorsi frenetici del proprietario della
clinica, bisognava assolutamente evitare lo scandalo, avrebbero mantenuto
segreta la morte del medico purché non si sapesse che cosa aveva fatto il loro
più illustre specialista infantile. Nessuno si era preoccupato di lui, di come
si sentisse, di che cosa avesse provato. E così si erano trasferiti, avevano
cambiato casa, città e paese. Ma da quando erano giunti nella nuova casa di
campagna Deran aveva visto solo la cantina. Sua madre gli passava il cibo
attraverso una feritoia piangendo, ricordava solo quello di lei, il suono del
suo pianto. Deran cominciò a tremare, aveva disperatamente bisogno d’aiuto.
Lascia che io ti protegga… Ancora quella voce metallica, la voce dell’Angelo
Bianco. Da quando si era trasferito nella nuova città avvertiva giorno dopo
giorno montare quella forza misteriosa che aveva dentro di sé, lo sforzo che
faceva per trattenerla lo consumava come un cancro rendendolo sempre più debole.
Eppure proprio lì per la prima volta aveva incontrato qualcuno che sembrava
capirlo davvero, aveva trovato degli amici e Brand, Brand per cui provava
qualcosa di più dell’amicizia. Non voleva andarsene. L’aria prese a vibrare
attorno a lui, mentre leggere spirali di fumo scivolavano attorno a lui
avvolgendolo, com’era accaduto dieci anni prima quando la scossa di terremoto
aveva fatto crollare il soffitto della sua prigione, alimentata dalla paura che
non riusciva a controllare allora e che gli attanagliava il cuore ora, la fiamma
che bruciava nel suo petto prese ad espandersi. Lascia che io ti protegga…
Deran strinse i denti e cercando disperatamente di controllarsi.
Lien gridò
svegliandosi “Sorellina?” la chiamò preoccupata Roxane entrando nella stanza
della ragazzina e avvicinandosi premurosamente al letto a baldacchino
“l’Arcangelo” mormorò Lien senza fiato per il terrore “l’Arcangelo si sta
svegliando”. Disse osservando il computer accanto al suo letto lampeggiare.
Brand volò di tetto in tetto sfruttando l’energia bionica come non aveva mai fatto prima. Doveva fare presto o sarebbe stata la fine, questa volta nessuno sarebbe riuscito ad arrestare la sua forza.
Entrò
nella stanza sfondando la finestra e gran parte della parete, non aveva il tempo
di passare per l’entrata principale o di usare un traslatore per attraversare la
roccia. La stanza era piena di fumo, rannicchiato sul letto avvolto dalle fiamme
nere come la notte Deran tremava, la mascella serrata, le unghie conficcate
nelle palme serrate nel disperato tentativo di non esplodere. Brand si avvicinò
lentamente al letto, “Deran?” lo chiamò piano, il ragazzo sollevò il volto
osservandolo con occhi privi di qualsiasi espressione, “Deran va tutto bene
calmati” cercò di tranquillizzarlo arretrando di un passo quando una scintilla
gli si posò sulla mano ustionandolo. Deran abbassò lo sguardo sulla mano del
ragazzo, dove la carne era stata toccata la pelle stava cristallizzandosi
tramutandosi in cenere. Cenere. Ancora cenere, gli ritornò alla mente lo
spettacolo della sua casa distrutta, sua madre, suo padre, la cantina
nient’altro che cenere e poi l’angelo bianco che gridava il suo eterno
inesorabile dolore. Le fiamme esplosero attorno a lui e Brand fu scagliato
indietro. “Deran cerca di calmarti” gridò Brand avvicinandosi di nuovo, le
fiamme gli bruciarono la pelle ma il ragazzo continuò ad avanzare stringendo i
denti finché giunse vicino a lui, allora lo abbracciò e lo tenne stretto a sé
“Va tutto bene” ripeté dolcemente. Il leggero profumo di lavanda, la sicurezza
di quell’abbraccio. Deran scosse la testa con forza riscuotendosi dal suo
incubo, “Br…Brand” mormorò guardandosi intorno mentre i suoi occhi si riempivano
di terrore. Le fiamme persero d’intensità e si spensero, sul corpo del ragazzo
la cristallizzazione s’interruppe. “L’ho fatto di nuovo” mormorò Deran
guardandosi intorno sconvolto, la sua stanza era un cumulo di macerie annerite,
la porta bruciata rivelava la sua anima in ferro. “Che cosa sono io?” gli chiese
con voce incrinata Deran guardandosi intorno “Andiamo via di qui” mormorò Brand
stringendolo a sé, la stanza tremolò attorno a lui e Deran perse i sensi.
Comodamente seduto sul tetto di una delle case vicine Greg rimase a guardare
l’Angelo portare via il ragazzo, ormai mancava poco, presto non sarebbe più
stato in grado di resistere all’azione dei microchip sparsi ovunque nella città
e allora loro lo avrebbero catturato. “Presto, molto presto” mormorò osservando
le stelle “ti renderai conto di quanto valgo”.
Deran aprì
lentamente gli occhi, era di nuovo a casa di Brand, riconobbe il tavolino di
legno con il vaso di margherite e la sensazione di pace che traspiravano quelle
mura dai colori tenui. L’orologio a muro segnava le due del mattino. Si alzò
faticosamente uscendo dalla stanza. L’appartamento era immerso nel silenzio,
probabilmente il suo salvatore era a letto. Brand spuntava sempre nel momento
del bisogno, conosceva così poco di lui eppure gli si sentiva anche così legato.
Accese la luce della cucina e si sedette su una sedia, nascose il capo tra le
mani con un sospiro. Era così stanco, stanco di soffrire. Non voleva tornare a
letto, sapeva che non appena avesse chiuso gli occhi i sogni sarebbero tornati a
tormentarlo, e se avesse perso il controllo di nuovo questa volta nemmeno Brand
sarebbe riuscito a fermarlo. “Che cosa fai in piedi a quest’ora?” Deran si voltò
di scatto, Brand era in piedi sulla soglia, la giacca del pigiama mezza
sbottonata e un po’ storta, i capelli biondi sciolti e arruffati. “Non volevo
svegliarti” mormorò Deran in tono di scusa, Brand si avvicinò alla credenza e ne
estrasse un paio di bicchieri, vi versò un’abbondante dose di latte e ne tese
uno al ragazzo. Deran non commentò, prese il bicchiere e sorseggiò il liquido
freddo lasciando che gli scorresse in gola. Quando Brand allungò il braccio per
mettere via la bottiglia di vetro Deran notò che aveva la mano fasciata e
impallidì, “Mi dispiace” mormorò, Brand si osservò la mano fasciata e sorrise,
“Non mi fa male” mormorò scuotendo le spalle. Deran annuì, faceva fatica a
tenere gli occhi aperti e sentiva la testa pesante ma non voleva, non doveva
assolutamente addormentarsi. Brand gli sfilò il bicchiere di mano e lo prese
delicatamente tra le braccia, “Cerca di dormire un po’” gli sussurrò
accarezzandogli il capo con dolcezza, Deran era troppo stanco per scostarsi e
poi era così rassicurante stare in quell’abbraccio protettivo, non ricordava
nemmeno più l’ultima volta che si era sentito così bene, forse non era mai
successo. Brand si mosse sollevandolo e trasportandolo attraverso la stanza, la
luce della cucina si spense e poco dopo Deran si ritrovò steso sul grande letto
matrimoniale che dominava la stanza di Brand. Questi gli rimboccò premurosamente
le coperte dopo essere scivolato al suo fianco, “Brand” mormorò Deran
arrossendo, Brand gli passò una mano tra i capelli scuri con dolcezza “Sssh,
piccolo dormi” gli sussurrò attirandolo contro di se. Deran si addormentò pochi
minuti più tardi il capo appoggiato alla sua spalla.
Si svegliò molto tardi il giorno seguente ma finalmente riposato dopo tanto tempo, Brand doveva essersi già alzato da un paio d’ore. Accanto al letto in perfetto ordine c’erano alcuni vestiti puliti, i pantaloni erano i suoi, Brand doveva averli recuperati nella sua stanza, il maglione invece portava lo stemma di un’università del nord e per di più gli era piuttosto grande dal che ne dedusse che doveva appartenere al suo ospite. Socchiuse la porta sbirciando nel salotto attiguo, non c’era traccia del suo ospite. Accese la tivù per distrarsi, e il notiziario attirò subito la sua attenzione. Parlavano di un misterioso incendio che aveva colpito una delle palazzine del quartiere residenziale. Riconobbe l’assistente sociale che parlava con il giornalista dicendo di non sapere cosa avesse potuto scatenare il fuoco. Deran la fissò stupito era sicuro che avrebbe accusato lui snocciolando tutta la sua infelice storia di donna stressata. Strano. E poi notò qualcosa di ancora più strano, un uomo vestito di nero che osservava l’assistente parlare con i giornalisti tenendo tra le mani un blocchetto per gli appunti, non sembrava un giornalista e c’era qualcosa di familiare nel suo modo di vestire. Il giovane alzò il capo fissando la telecamera, e Deran avvertì una strana sensazione di intorpidimento, dove l’aveva già visto? “Spegni subito!” Deran sussultò non aveva sentito Brand rincasare e rimase stupito dalla preoccupazione che lesse sul suo volto quando vide il telegiornale, o meglio l’uomo al telegiornale. Deran si affrettò a fare quello che gli aveva chiesto ma osservò stupito Brand che con un sospiro depose la spesa sul bancone della cucina e andò a sedersi sulla poltrona davanti alla sua. “Scusami” mormorò passandosi una mano tra i capelli biondo cenere e poi sollevando il capo con uno sguardo triste “E’ ora che tu sappia chi sei” disse. “O meglio che cosa sei.” Deran rimase in silenzio, d’un tratto non sapeva più se voleva veramente conoscere la verità. Avvertiva una profonda sensazione di gelo acuita dal fatto che Brand sembrava incapace di guardarlo negli occhi. “Esiste una società segreta chiamata T.E.C, essa è composta dalle menti più geniali del nostro pianeta che vengono reclutate, volenti o nolenti, per la costruzione di armi. Essi riforniscono con le loro invenzioni tutte le nazioni vendendo morte al miglior offerente.” Deran lo fissò senza capire e Brand proseguì “Vent’anni fa uno scienziato di questa associazione, il professor Omar Heinz concepì un progetto che venne chiamato T.A.P Tecnological Angel Project, si trattava di installare nel corpo di esseri umani dei microchip e dei meccanismi metallici che avrebbero donato loro poteri simili a quelli di una creatura celeste. Il consiglio della T.E.C rimase così soddisfatto dai risultati dei primi esperimenti che chiese loro di creare qualcosa di ancora più potente, un Arcangelo. Venne concepito un apposito materiale ibrido l’Angel Skeen con una struttura molto simile a quella della cellula umana ma costituita di un speciale materiale molto più resistente e di un minuscolo chip che la rendeva quasi un organismo pensante a sé, l’A.S avrebbe costituito il corpo dell’Arcangelo donandogli l’immortalità e la possibilità di rigenerarsi e di espandersi in modo da permettergli di assumere qualsiasi forma la T.E.C. gli avrebbe chiesto di prendere. Giocando a fare Dio il consiglio della T.E.C. fece nascere da un ovulo artificiale un bambino generato da questo speciale materiale, nella mente del piccolo vene inserito un chip mutante contenente tutte le informazioni a disposizione della più avanzata scienza odierna e infine nelle sue vene venne iniettato un liquido radioattivo in grado di sviluppare ad un semplice comando un potere di fronte al quale un’esplosione atomica sembrerebbe un fuoco d’artificio.” Deran rimase in silenzio, era assurdo, quello che stava dicendo Brand era assurdo. “Soltanto una volta concluso il lavoro il professor Omar che aveva ideato l’Arcangelo e l’A.S. si rese conto della portata di ciò che avevano generato, i primi test non fecero che confermare le sue ipotesi se l’Arcangelo fosse stato usato non sarebbe sopravvissuto niente. E così decise di prendere l’Arcangelo che allora aveva solo pochi giorni e fuggire, e prima di andarsene cancellò ogni dato relativo al progetto dai computers della T.E.C. Nella mente del bimbo era stato installato un circuito emozionale che gli permettesse di ragionare proprio come un essere umano. Una coscienza artificiale. Purtroppo Omar venne scoperto ed inseguito dalla sicurezza, fu così costretto a liberarsi del piccolo abbandonandolo lungo una strada, preferendone la morte alla caduta nelle mani della T.E.C. Scoprimmo poi che il bambino era stato trovato da un camionista e portato all’ospedale in fin di vita, i medici riuscirono a salvarlo e tale era la perfezione della macchina costruita dal professore che nessuno si accorse di nulla e così la T.E.C. perse ogni traccia del piccolo.” Rimase in silenzio un attimo che a Deran parve un’eternità “Finché dieci anni fa lui non usò il suo potere.” Deran scosse il capo con forza “No” disse alzandosi in piedi senza sapere di preciso cosa voleva negare. Brand osservò il ragazzo con occhi colmi di tristezza “Mi dispiace Deran, tu sei l’Arcangelo, la più sofisticata macchina da distruzione concepita dal genere umano. Sei stato creato per portare morte è per questo che i tuoi occhi vedono soltanto distruzione.” Deran ricadde sulla poltrona e si coprì il volto con le mani, era assurdo, assurdo, continuava a ripetersi mentre nella sua mente le parole di Brand si facevano largo spiegando molte cose. “Che fine ha fatto il professore?” chiese colto da un’improvvisa speranza, forse lui avrebbe potuto fare qualcosa. Brand sospirò. “E’ morto dieci anni fa, egli fu il primo a rilevare le onde di energia provocate dal tuo potere e arrivò poco prima degli uomini della T.E.C. appena in tempo per portarti via ed affidarti all’istituto. Purtroppo gli uomini della T.E.C riuscirono a catturarlo poco dopo e ben conoscendo l’efficacia dei loro metodi di persuasione Omar decise di darsi la morte portando con se ogni informazione riguardante l’Arcangelo. Ora l’unico modo che ha la T.E.C di tornare in possesso dei dati necessari per la creazione di un arcangelo e catturare te. Fu per questo motivo che il professore chiese a me e alle sue due nipoti di proteggerti dotandoci al tempo stesso di alcuni dei meccanismi degli iniziali Angeli.” Tese le mano destra e mostrò a Deran il taglio che aveva sul palmo, con uno strano suono metallico il taglio si aprì rivelando una sfera lucente. Deran sussultò sbiancando. Anche lui aveva quelle cose in corpo? “Purtroppo anche la T.E.C. conservava alcune informazioni sugli Angeli e così ha installato dei meccanismi simili nei corpi di alcuni agenti perché ti dessero la caccia” Deran scosse il capo portandosi le mani alle orecchie, non voleva sentire, non voleva sentire più niente. “Deran” mormorò Brand avvicinandoglisi e scostandogli le mani con gentilezza “Credimi so come ti senti ma ti prego devi ascoltare fino alla fine. Vedi le informazioni in possesso della T.E.C sono poche e poco chiare i loro Angeli sono imperfetti, hanno assolutamente bisogno di poter catturare te per avere le informazioni necessarie. Abbiamo bisogno del tuo aiuto, non possiamo proteggerti se tu ti rifiuti di collaborare” mormorò. “Perché invece non mi uccidi” gli chiese Deran con sfida “Così nessuno potrà più costruire una …” s’interruppe “…. Una cosa, come me” Brand annuì “Ci avevamo pensato anche noi, ma l’unico modo per eliminarti e bruciarti nel tuo stesso fuoco” gli disse con terribile franchezza “e poi c’è un motivo per cui tu devi vivere.” Allungò una mano per accarezzargli con dolcezza il volto “Tu possiedi un potere che va oltre ogni immaginazione Deran, pensa a che cosa potresti fare se potessi usarlo per aiutare gli altri. Il tuo organismo è in grado di riprodurre l’A.S. non solo per il tuo stesso corpo, con il semplice tocco potresti rimarginare qualsiasi ferita semplicemente sostituendo le cellule danneggiate con quelle riprodotte dal tuo organismo, grazie all’enorme sapere che custodisci e che si sviluppa e moltiplica in te ogni giorno riusciremo a sconfiggere qualsiasi malattia, saresti in grado di prevedere ogni genere di calamità naturale, di creare per gli uomini agricolture che sopravvivano ai climi più svariati, cancelleresti la fame e la povertà, potresti trasformare questo mondo in un paradiso.” gli disse Brand. “Ora tu e l’Arcangelo avete due coscienze separate, ogni qualvolta si risveglia il potere dell’Arcangelo l’istinto predominante è quello di distruggere ma se noi riuscissimo a riprogrammarti eliminando il comando primario…” lasciò la frase in sospeso osservandolo attentamente “Comprendi quello che ti sto dicendo?” gli chiese con dolcezza “Potresti trasformare la tua vita eterna in un dono per il mondo intero”. Riprogrammare? Lui non era un computer! O sì? Nascose il capo tra le mani, una macchina, era soltanto questo? I pensieri turbinavano violenti nella sua testa, se solo avesse potuto avere un po’ di silenzio. Brand aveva parlato di vita eterna, ma se per lui ogni minuto che passava non faceva che accrescere la sua sofferenza come avrebbe potuto… La vita eterna, Deran scosse il capo confuso, spaventato, poteva fare davvero quello che Brand gli stava dicendo, e se avesse perso il controllo, se non avesse sopportato la prova o se non fossero riusciti a bloccare la morte che gli scorreva nelle vene? “Io…” mormorò “Io non voglio, non voglio tutto questo” mormorò facendo un gesto vago col capo. Brand sospirò e gli scompigliò i capelli neri alzandosi “Non possiamo darti una vita normale Deran”. Ma Deran già non lo ascoltava più, aveva sempre saputo di non essere una persona normale ma non era mai arrivato ad immaginare tanto. Accidenti, non era nemmeno un essere umano! Anche l’esistenza che gli prospettava Brand non sarebbe stata che una vita di solitudine. Vita eterna non voleva forse dire eterno dolore, eterna tristezza, poteva sopportare una cosa simile, lui non era un dio, maledizione e non voleva esserlo!
Brand si
avvicinò al bancone della cucina “Hai fame?” gli chiese ma Deran scosse il capo,
come poteva avere fame in un momento del genere? Chissà poi se aveva bisogno di
mangiare, si chiese. Come se gli leggesse nella mente Brand aggiunse “Guarda che
anche tu devi mangiare sai, non sei poi così diverso” era una bugia, ma Deran
ora aveva disperatamente bisogno di appigliarsi a qualcosa. Ripensò con un
brivido a quello che Omar gli aveva detto essere necessario per riprogrammare
l’Arcangelo, anche ammesso che Deran accettasse sarebbe stato in grado di
operarlo per bloccare il suo istinto omicida e soprattutto sarebbe stato in
grado di farlo senza dover cancellare anche la sua coscienza oltre a quella
dell’Arcangelo. Lanciò un occhiata al ragazzo accovacciato sul divano, il capo
appoggiato sulle ginocchia, se avesse fallito Deran sarebbe scomparso lasciando
al suo posto solo la fredda razionalità della macchina che era l’Arcangelo. No,
non l’avrebbe permesso. Dieci anni fa quando avevano trovato il piccolo
sconvolto dal pianto ai piedi di quel che restava della sua casa, della sua
famiglia, della sua vita, Brand aveva giurato che l’avrebbe protetto a qualsiasi
costo. Lui e Roxane erano rimasti a fermare gli uomini della T.E.C mentre Omar
portava via Deran, l’aveva nascosto appena in tempo e poi anche lui era stato
catturato ed era morto. Brand non si dava ancora pace per non essere riuscito a
salvare quell’uomo gentile dai grandi ideali, non avrebbe lasciato che la T.E.C
portasse via anche Deran, la posta in gioco era troppo alta.
Suonarono
il campanello e Brand si affrettò ad andare ad aprire. Deran avvertì Brand
parlare a bassa voce con qualcuno che gli rispose piano, usavano lo stesso tono
che si usa con i malati. Forse era così che lo consideravano, malato. I suoi
pensieri vennero interrotti quando riconobbe una delle due donne che entrarono
nella stanza. La ragazza dai capelli neri e lisci era nella capo classe, Lien,
era una delle ragazze con i voti più alti a scuola e per questo nonostante la
sua bellezza era evitata dai ragazzi, era la ragazza per cui Marc aveva una
cotta. A differenza di tutte le altre volte però Deran notò che anche su di lei
ora mancavano i segni della morte. L’altra donna decisamente più grande era la
ragazza dai capelli di fuoco che aveva visto soltanto una volta venire a
prendere Lien a scuola. “Ti presento Lien e Roxane, sono le nipoti del professor
Omar di cui ti parlavo” Deran posò su di loro uno sguardo spento che fece
irritare la rossa “Su, su ragazzino cos’è quell’aria da funerale!” esclamò
scompigliandogli i capelli. Deran le lanciò uno sguardo assassino e lei rise “Va
già meglio!” esclamò abbracciandolo con calore e facendolo arrossire. Deran si
svincolò a disagio quando notò lo sguardo corrucciato di Brand e il lampo che
gli passò negli occhi. “Smettila Roxane” mormorò Lien rivolta alla sorella
maggiore. Deran spostò il suo sguardo su Lien “Sei diversa” mormorò, lei annuì
traendo da sotto la camicetta un piccolo ciondolo “E’ merito del chip che c’è
nella pietra” spiegò “Inibisce la tua vista, permettendoti di vederci
normalmente” “Li ha costruiti il nonno per permetterti di avere un po’ di
tranquillità” aggiunse Roxane indicandogli il lampadario, anche quello aveva
incastonato nel vetro quelle strane pietre, adesso si spiegava perché in casa
non vedeva macerie ovunque. “Sai lui pensava a te in continuazione” disse Roxane
“Per lui eri come un figlio” mormorò. Deran la fissò sorpreso, non poteva
credere che quell’uomo che l’aveva maledetto per tutta la vita lo amasse, anche
se aveva sacrificato la sua vita per proteggere il suo segreto. “Ti abbiamo
portato questi” disse Lien cambiando discorso e prendendo delle borse sulle
quali era impresso il simbolo di un noto negozio di abbigliamento. “Ormai la
T.E.C sa dove abiti perciò dovrai trasferirti qui.” “Ma…” cominciò a protestare
Deran “Niente ma!” esclamò Roxane con un sorriso “Noi abbiamo il compito di
proteggerti e tu devi lasciarcelo fare” esclamò sventolandogli un dito sotto il
naso. Deran sospirò e lei gli diede le borse che aveva con sé “E adesso vai in
camera e sistema questa roba nell’armadio!” ordinò “Non pensare di lasciare la
stessa confusione che c’era a casa tua!” “Siete state a casa mia?” chiese
provando un certo imbarazzo “Già!” esclamò la rossa, Deran impallidì ricordando
il fuoco e lo sguardo di Roxane si addolcì “Sei stato fortunato i libri di
scuola si sono salvati quasi tutti!” disse con il sorriso di chi la sapeva
lunga.
Roxane e
Lien non rimasero a lungo, Deran aveva bisogno di restare un po’ solo e le due
ragazze se ne andarono dopo aver scambiato qualche altra raccomandazione con
Brand. “Ti va di parlarne?” gli chiese questi sedendosi sul divano accanto a
lui. Deran scosse il capo, non avrebbe saputo cosa dire. “Vorrei piangere”
mormorò in un sussurrò massaggiandosi le tempie, Brand allungò una mano e lo
costrinse ad alzare il capo “Non hai bisogno di nasconderti davanti a me”
mormorò avvicinando il viso al suo, Deran allungò il capo verso di lui e le loro
labbra si incontrarono in un bacio leggero. Lo aveva desiderato così a lungo.
Aveva desiderato quel contatto da quando si erano scontrati a scuola il primo
giorno. Deran emise un sospiro tremulo e Brand lo strinse dolcemente a sé, “Qui
sei al sicuro” mormorò e Deran scoppiò in singhiozzi nascondendo il capo contro
la sua spalla. Brand lo cullò finche non si fu calmato e poi lo rimise a letto.
Rimase accanto a lui accarezzandogli il capo con dolcezza, asciugandogli le
lacrime con baci leggeri finché non fu sicuro che si era addormentato. “Che
guaio” mormorò Brand osservando il ragazzo addormentato accanto a sé “Finirò con
l’innamorarmi di te….”.
“Che cosa
ne pensi?” chiese Roxane spazzolandosi i capelli distrattamente, Lien scosse il
capo “E’ un peso troppo grande per lui” mormorò “Temo che impazzisca e allora
dovremmo ucciderlo” Roxane scosse il capo “Adesso non è più solo, sono sicura
che riusciremo a salvarlo.”
Il giorno
dopo Brand lo svegliò alle sette in puntò spalancando il balcone “Forza è ora di
andare a scuola!” esclamò, Deran gli lanciò un’occhiata assonnata da sotto le
lenzuola “Su la colazione è di là che ti aspetta!” esclamò avvicinandosi per
scoccargli un bacio sulle labbra prima di sparire in cucina. Deran arrossì
destandosi del tutto, scivolò fuori dal letto e indossò i vestiti che Brand gli
aveva lasciato sulla sedia e andò in cucina per fare colazione. Brand sembrava
perfettamente a suo agio nel fare la chioccia e tutto sommato a Deran non
dispiaceva per una volta di non essere lasciato a sé stesso anche se si sentiva
un po’ a disagio, sembravano una coppia di sposini. Si ritrovò ad arrossire
constatando che l’idea non gli dispiaceva affatto. Nessuno dei due accennò a
quello che era successo la sera prima. Brand doveva andare fino all’università
quella mattina così sarebbe stata Roxane ad accompagnarli in auto a scuola. “Mi
raccomando non cacciarti nei guai in mia assenza” si raccomandò Brand prima di
uscire, era già sulla soglia quando d’un tratto tornò indietro, Brand chinò il
capo verso di lui ma Deran si scansò in fretta arrossendo “Brand smettila di
fare così!” protestò, Brand gli sorrise con dolcezza, “Ti dispiace?” gli chiese
con voce soave fissandolo negli occhi, Deran arrossì ancora di più, “Ecco, non …
insomma” balbettò incerto. “Vieni qui” lo chiamò con dolcezza Brand tendendo la
mano verso di lui, nonostante quello che aveva appena detto Deran non riuscì a
fare a meno di avvicinarglisi, Brand lo strinse tra le braccia e chinò il capo
fino quasi a sfiorargli le labbra “Br..Brand” sussurrò Deran ma era una protesta
debole, reclinò il capo e si lasciò baciare. Brand gli accarezzò le labbra con
le proprie, quasi con riverenza. Deran gemette quando avvertì la lingua di Brand
disegnarli i contorni delle labbra e si strinse di più a lui facendo aderire il
proprio corpo a quello di lui. Brand rabbrividì staccandosi da lui “Devo andare
o farò tardi” mormorò a malincuore lasciandolo libero, Deran annuì, le guance in
fiamme, le labbra socchiuse. Brand si passò una mano tra i capelli imprecando
tra sé, doveva andarsene se Deran avesse continuato a fissarlo con quello
sguardo dorato avrebbe sicuramente fatto qualcosa di cui poi si sarebbe pentito.
“Stai attento alla guida di Roxane ok?” bofonchiò prima di sparire
nell’ascensore, senza nemmeno aspettare una sua risposta.
La rossa possedeva un enorme fuoristrada nero, completamente diverso dall’auto sportiva di Brand. Mentre faceva manovra per uscire dal vialetto che portava al garage del palazzo Deran e Lien aspettarono accanto al cancello. “Salve dottore!” salutò allegramente Lien vedendo Oscar, il veterinario, padrone del palazzo, uscire di casa accompagnato dal suo cane. “Buongiorno Lien chi è il tuo giovane amico?” le chiese con un sorriso tendendo la mano a quel ragazzo sottile. Aveva uno sguardo profondo e triste che colpì il medico facendogli corrugare la fronte per un attimo. Il ragazzo strinse la sua mano con fermezza “Sono Deran Recard” si presentò “Sì è trasferito da Brand” gli spiegò Lien con un sorriso “E’ un amico di famiglia.” “Wolf vieni o faremo tardi!”
esclamò il dottore richiamando il cane che gironzolava per il giardino, “E’ un piacere conoscerti Deran” disse “Se ti servisse qualcosa io abito al piano terra. Conoscendo Brand probabilmente ti chiuderà fuori di casa!” disse con un sorriso “Quel ragazzo dimentica sempre le chiavi non so dove abbia la testa” In effetti pensò Deran non aveva accennato niente in proposito. Il pastore tedesco raggiunse il padrone scodinzolando ma a pochi metri dai tre cominciò a fiutare l’aria e abbassò le orecchie. Si avvicinò lentamente digrignando i denti, “Wolf cosa ti prende?” chiese meravigliato Oscar osservando l’amico puntare con aria minacciosa Deran, Oscar si mise tra il ragazzo e il cane “Non capisco non l’ho mai visto fare così” mormorò confuso “Wolf lui è un amico non devi avere paura” disse accarezzandogli la testa, il cane uggiolò lanciando uno sguardo al ragazzo da dietro le gambe del padrone. Deran si avvicinò lentamente e tese una mano verso il cane che l’annusò circospetto, ma non cercò di morderlo fintanto che la mano del suo padrone gli era posato sul capo. Deran accarezzò l’animale che parve tranquillizzarsi e poco dopo
prese a leccare la mano del giovane. Oscar sorrise “Forse non gli piaceva il tuo odore” scherzò il medico, il suono del clacson li distrasse e Lien e Deran si affrettarono a salire in auto. “Cos’è successo?” chiese Roxane vedendo l’espressione corrucciata di
Lien. Wolf si è accorto che Deran non è un essere
umano, pensò la ragazza, ma scosse il capo e sorrise “Deran ha fatto la
conoscenza di Wolf” spiegò “E come è stato?” gli chiese Roxane immettendosi nel
traffico, “Umido” commentò il ragazzo asciugandosi la mano sul fazzoletto e
provocando l’ilarità delle ragazze.
Axon
rilesse il rapporto della scientifica corrucciandosi, l’assistente sociale che
abitava nella villetta aveva detto che doveva essersi trattato di una fuga di
gas, la scientifica aveva comunque fatto dei campionamenti ma il loro rapporto
non era mai stato esaminato, era venuto un uomo vestito di nero aveva parlato
con il comandante e quando se n’era andato questi aveva loro categoricamente
ordinato di non interessarsi ulteriormente alla cosa. Ma Cristian aveva fatto
una copia dei documenti e glieli aveva fatti avere prima che venissero fatti
sparire. Rilesse stupefatto quello che l’amico gli scriveva, il muro era stato
sfondato dall’esterno e quanto al fuoco era scaturito da una fonte di energia
che non erano riusciti ad esaminare, la cenere passata al microscopio presentava
minuscole tracce radioattive. E poi una delle vicine aveva detto di aver visto
un ragazzo biondo saltare sui tetti, e la sua descrizione corrispondeva bene o
male a quella di Carlos. Che cosa stava succedendo in città? Perché il suo
comandante aveva rinunciato così frettolosamente alle indagini. Chi era l’uomo
vestito di nero che tanto lo aveva spaventato? E quest’altro ragazzo biondo che
sembrava possedere poteri incredibili. Prese la foto sbiadita che gli era stata
data dell’istituto per il quale lavorava l’assistente sociale. Ritraeva un
ragazzo di circa dieci anni di nome Deran Recard. Che fine aveva fatto il
ragazzo che doveva dormine nella stanza che aveva preso fuoco, e perché la
finestra della sua stanza era sbarrata? “Chi sei?” chiese rivolto all’immagine
che aveva davanti.
Giunsero a
scuola in anticipo, la guida di Roxane era alquanto discutibile ma Deran si era
ben guardato dal fare commenti, effettivamente stava pensando a tutt’altro, si
passò un dito sulle labbra soprappensiero. Lien raggiunse un gruppo di sue
compagne di classe e Deran andò a sedersi al proprio banco, la prima ora era
proprio quella di lettere e non aveva nessuna voglia di sentire i commenti del
professore soprattutto quella mattina. “Hei Recard, cos’è questa novità?” Deran
alzò lo sguardo su Marc che si era seduto sopra il suo banco “Che novità?” gli
chiese stupito “Fa finta di non capire!” esclamò Lucas, “Siamo curiosi, ti
abbiamo visto arrivare con quella sventola di Roxane e volevamo sapere cosa
bolle in pentola” disse Marc avvicinandosi con aria cospiratrice “dai racconta!”
Deran riportò la propria attenzione sul quaderno “Dai!” rincarò Lucas, Deran
sospirò e fissò il compagno di scuola “La mia casa ha preso fuoco per colpa di
una fuga di gas” disse ripetendo la versione ufficiale, “Non si tratterà di
quella di cui parlavano sul giornale?” chiese Marc sbiancando, Deran annuì cupo.
“E tu eri in casa?” gli chiese preoccupato Marc “Sì” mormorò il ragazzo
ricordando le fiamme scure attorno a sé. “Fantastico!” esclamò Lucas, “Come
fantastico?” chiese Marc allibito, “Sai che bello, il fuoco, il calore..”
descrisse Lucas entusiasmandosi. “Ignoralo!” esclamò Marc tornando a volgere la
sua attenzione verso Deran. “Adesso tutte le ragazze sbaveranno ancora di più
per lui” commentò Lucas, “Potrei dare fuoco anch’io a casa mia magari verrebbe a
salvarmi una bella pompiera con la biancheria di pizzo rosso” Marc sospirò
esasperato e Deran arrossì. “Ma tu pensi solo alle ragazze!” “No penso anche
alle moto” gli rispose il ragazzo candido. “Ma non ci hai ancora detto come hai
fatto a finire nella stessa auto di Roxane” “Mi sono trasferito vicino a casa
loro” spiegò Deran pur rimanendo sul generico “E così adesso abiti vicino a Lien
e a quella dea di sua sorella” esclamò Lucas con un sospiro melodrammatico
“Beato te!” “Sarei anche disposto a dar fuoco alla casa!” ripeté con occhi
sognanti “Io darei fuoco anche a tutta la città!” rincarò Marc. Deran riuscì
persino a ridere quando Lucas propose di dare fuoco alla scuola per fare colpo
sulla bella Roxane, così avrebbero preso due piccioni con una fava. I due non
persero l’occasione di appostarsi sul cancello di scuola in sella ai loro
scooter in attesa che la rossa sorella di Lien venisse a prendere i ragazzi e
quando questa arrivò a bordò del suo fuoristrada rimasero lì a guardarla con
occhi sgranati. “Sembra che tu abbia fatto amicizia con i due ragazzi più
stupidi della scuola” commentò Lien lanciando ai due un’occhiata sbieca. Roxane
sorrise e salutò i due ragazzi con la mano prima di andarsene sgommando, per
poco Lucas e Marc non caddero dai loro scooter.
Raian
fermò la Land Rover accanto alla stazione di servizio e aspettò, all’inizio non
riconobbe il suo vecchio compagno di scuola, all’epoca era molto più grasso e
poi con la divisa faceva un certo effetto. “Ciao Axon” gli disse con un sorriso,
Axon ricambiò il suo saluto “Come va la vita nella grande metropoli” gli chiese
ricevendo in risposta una scossa di spalle “Caotica come sempre” rispose con un
sorriso malizioso “ma è per questo che mi piace e poi è il luogo ideale per un
giornalista come me!” Axon annuì, “Vieni” disse “Facciamo due passi”. Raian lo
seguì accendendosi una sigaretta. Risalì in auto un paio d’ore più tardi con un
ampio sorriso sul volto affilato, finalmente! Finalmente li aveva trovati.
Guardò la foto sbiadita che gli aveva dato l’amico, non gli restava che trovare
il ragazzo, era certo che la chiave del mistero era lui, avrebbe girato tutte le
scuole della città fino a che non avesse scoperto dove si nascondeva. Mise la
foto nel portafoglio accanto a quella di Karen, “Presto amore mio avremo la
nostra vendetta” le sussurrò avviando l’auto.
Elisabeth si lasciò cadere con un sospiro nella poltrona imbottita. “Stanca?” le chiese Marc con un sorriso tranquillo. “La vita della studentessa non fa per me!” sbuffò la bionda aggiustandosi i capelli. “E’ che tu non sai come divertirti!” la rimproverò lui bonariamente. La ragazza fece spallucce. “Ho sentito che Deran si è trasferito” “Già dopo il bel lavoretto che ha fatto a casa sua mi sembrava ovvio che gli Angeli se lo portassero via” “Non credi che sia il caso di muoversi ora?” chiese spostando lo sguardo sul ragazzo magro seduto davanti al fuoco. Greg ripiegò il giornale che stava leggendo e lo gettò tra le fiamme.