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“Angelo.

Così mi chiamano.

Ma io non ho ali e il mio unico potere è il fuoco dell’inferno.”                             

                                                            Roxane Heinzer

 

Brand ascoltava distrattamente il suo interlocutore, mentre il paesaggio scorreva al di là del finestrino, l’attenzione catalizzata dalla figura di quel ragazzo sottile che osservava il lento migrare della pianura con uno sguardo lontano. Sembrava turbato. Si chiese chi o che cosa l’avesse infastidito cercando attorno a lui, ma sembrava tutto tranquillo. Si concesse di ammirare la sua figura sottile per qualche secondo ancora

 prima di riportare l’attenzione sul professore di scienze. Quando il preside gli aveva chiesto di accompagnare gli studenti Brand aveva acconsentito ben volentieri. Avrebbe potuto passare due giorni con lui. Bhe con lui e un’altra  quarantina di studenti pensò tra sé con un sorriso, imponendosi di non fantasticare troppo. Da quando si erano scontrati in corridoio non aveva più avuto modo di  vederlo gran che. 

Giunsero a destinazione poche ore più tardi. I ragazzi si affollarono attorno all’autobus per prelevare i loro bagagli progettando allegramente come occupare quella unica notte che avevano a disposizione. Con grande disappunto Brand non ebbe molte occasioni di vedere il ragazzo che sparì immediatamente insieme agli altri per l’assegnazione delle camere. Deran depositò la sacca da viaggio a fianco del letto nella piccola stanza che divideva con Marc e Lucas. Non ebbero molto tempo per sistemare le loro cose,  il professore di scienze bussò alla loro porta intimando loro di sbrigarsi dovevano ritrovarsi tutti nella piccola hall di quello che più che un hotel era un rifugio, lo zaino in spalla pronti per la prima escursione. “Bha” commentò soltanto Lucas quando il prof spiegò loro l’itinerario che avrebbero seguito. Camminarono a lungo per un stretto sentiero di montagna mentre l’insegnante illustrava le caratteristiche di questa o quella piante ricordando loro che avrebbero dovuto redarre una relazione al loro ritorno a scuola. Presero la funivia e salirono fino a 300 metri. Data l’ora il professore concesse un paio d’ore per il pranzo intimando loro di non perdersi mentre la guida alpina che li aveva accompagnati si recava al piccolo museo di storia naturale che sorgeva sull’altura e che sarebbe stata meta degli studenti dopo il pranzo. Deran si allontanò dagli altri ragazzi alla ricerca di un angolo di tranquillità. Camminò per un po’ tra le rocce e gli arbusti bassi finché non giunse in un piccolo spazio che dava su uno strapiombo. Si sedette sul bordo godendosi il profumo del vento leggero sul volto. Lì sospeso nel vuoto, chiuse gli occhi chiedendosi cosa provava il falco a solcare quel cielo limpido e chiaro. Tornò ad aprire gli occhi fissando con desiderio il vuoto sotto di lui. Chissà cosa sarebbe successo se avesse saltato. “E’ pericoloso stare qui” Deran sussultò voltandosi verso il compagno di classe che contrariamente a quanto aveva affermato si era ora accomodato sul ciglio con lui. Marc gli sorrise tranquillamente lanciando un’occhiata all’abisso ai suoi piedi. “In un certo senso è invitante non è vero?” gli chiese piano con tono stranamente serio che fece correre un brivido lungo la schiena di Deran. Marc lo vide rabbrividire e rise. “Dicevo per dire. Non ho intenzione di buttarmi di sotto!” esclamò. Deran annuì stupidamente alzandosi e spolverandosi i pantaloni, “Il prof ci sta chiamando” balbettò. Marc lo seguì con un sorriso divertito. 

Il museo non era un gran che. Fotografie, qualche animale imbalsamato e disegni di alberi e piante. Gli studenti girarono le sale chiacchierando tra loro. Dopo il primo tentativo di spiegazione il prof di scienze si era arreso e aveva concesso agli studenti di girare a loro piacimento per le sale. Deran si era staccato dagli altri come al solito infilandosi in una piccola saletta dedicata ai rettili di montagna. C’erano fotografie alle pareti come in tutte le altre stanze ma qualcosa in particolare attirò la sua attenzione. Sotto una gigantografia di una vipera comune stava un contenitore di vetro. In un liquido ambrato galleggiava la pelle arrotolata del rettile. 

Brand si guardò intorno cercando con lo sguardo tra gli studenti un paio di occhi dorati. Lo scorse solo per un secondo prima che s’infilasse in una sala laterale, facendosi largo tra i ragazzi si diresse anch’egli da quella parte. 

Deran non riusciva a staccare lo sguardo dai resti dell’animale.  Un corpo che galleggiava in un contenitore di vetro.

Nella sua mente a quell’immagine se ne sovrappose un’altra. In un altro luogo. In un altro contenitore, molto più grande. Un corpo che galleggiava in un liquido denso. Il corpo di un bambino…

Si portò le mani alla testa mentre la stanza prendeva a ruotare furiosamente attorno a lui.

Si sentiva soffocare. Stava sudando copiosamente e i vestiti gli si erano appiccicati addosso.

Doveva uscire, doveva uscire in fretta da quella stanza ma non riusciva a muoversi.

“Hei stai bene?” non l’aveva sentito arrivare. Il professor North gli posò una mano sulla spalla con gentilezza preoccupato dal pallore mortale del ragazzo. Deran non gli rispose continuava a fissare il barattolo di vetro con occhi colmi di terrore, Brand seguì il suo sguardo e capì. “Usciamo di qui!” disse afferrando il ragazzo per un braccio e trascinandolo  letteralmente fuori sulla terrazza. Non appena l’aria fredda colpì il volto pallido del giovane, Deran sembrò riprendersi. Si guardò attorno confuso. “Va meglio?” gli chiese premurosamente Brand chinando il capo per osservarlo negli occhi. Deran rimase immobile a fissare quel volto a pochi centimetri dal suo mentre il cuore cominciava a pulsare violentemente nel petto. Il colore affluì violentemente al volto pallido facendo preoccupare ancora di più il professore. “Non è che hai la febbre?” chiese allungando una mano per poggiargliela sulla fronte ma il ragazzo si scostò in fretta “Sto benissimo!” esclamò balzando indietro e fuggendo letteralmente dalla terrazza e dalla sala. Quasi si scontrò con Lien che stava entrando in quel momento con Ellen e Alissia. “Che faccia!” esclamò Alissia stupita, “Deve aver visto questo!” commentò con orrore Ellen indicando il contenitore di vetro. Lien corrugò la fronte preoccupata tornando a fissare la porta da cui Deran era sparito. “Professore!” cinguettò Alissia riportandola alla realtà. “Buongiorno ragazze state prendendo appunti?” chiese Brand con un sorriso, Alissia annuì veementemente mentre Ellen non poteva fare a meno di arrossire. 

Ancora quella stupidissima sensazione di calore allo stomaco. Perché ogni volta che quell’uomo si avvicinava a lui Deran provava l’irresistibile tentazione di buttarglisi tra le braccia e allo stesso tempo di scappare il più velocemente possibile? Nessuno era mai riuscito a turbarlo tanto. E questo lo spaventava. Credeva di aver imparato a tenere tutto e tutti a distanza, ma a quell’uomo che nemmeno conosceva bastava uno sguardo per abbattere i suoi muri, distruggere le sue difese. E poi ci si mettevano pure le visioni. Non riusciva ancora a capire che cosa aveva visto ma era riuscita a terrorizzarlo, che cosa sarebbe successo se il professore non lo avesse cercato? Era stato così sollevato nel vederlo! In qualche modo il professore l’aveva salvato, salvato dai suoi stessi ricordi. Forse stava impazzendo. Non doveva farsi sconvolgere così. Nessuno doveva aver quel potere su di lui. Aveva già sofferto tanto. Ogni volta che abbassava la guardia il colpo giungeva duro e preciso. Non avrebbe più commesso lo stesso errore. A nessuno avrebbe permesso di turbare ancora la sua leggera pace di ghiaccio. A nessuno. 

Quella sera Marc e Lucas partirono per le loro scorribande notturne armati di torcia e macchina fotografica. Avevano chiesto a Deran se desiderava unirsi a loro ma il ragazzo aveva rifiutato. Era stanco e confuso, aveva voglia di dormire.

Eppure prendere sonno fu difficile, si girò e rigirò nel letto irrequieto ripensando a quanto era successo al museo, mentre visioni confuse gli si accavallavano nella mente. Alla fine la stanchezza ebbe la meglio e Deran si addormentò ma i suoi sogni furono popolati da rettili, enormi contenitori di vetro e occhi viola che si ammassavano uno sull’altro creando visioni prive di senso. Deran si svegliò di soprassalto madito di sudore, un’occhiata alla sveglia gli confermò che era prestissimo, le quattro del mattino. Aveva fatto un incubo terribile. Lo avevano rinchiuso in un enorme contenitore di vetro e messo in una grande sala dove i suoi compagni di classe giravano armati di blocchetto per gli appunti e camice bianco annotando tutto quello che lui faceva. Scosse il capo con forza cercando di allontanare la sensazione d’inquietudine che gli dilaniava l’anima. Marc e Lucas non erano ancora tornati . Si alzò e raccolta la giacca a vento decise di fare due passi per schiarirsi le idee. Il corridoio era deserto e lo portò direttamente alla piccola sala da pranzo. Aprì una delle ampie porte finestre e uscì sul terrazzo ad osservare lo spettacolo dei monti intagliati su uno sfondo si stelle. “Che cos’è successo oggi Brand?” una voce leggera, femminile, la voce della capo classe veniva da sotto il portico. Che cosa ci faceva in piedi a quell’ora?! “Non lo so di preciso” Deran non riusciva a vederli ma riconobbe subito la voce del Professor North. Il professore e Lien????? “Dobbiamo fare molta attenzione temo che anche loro siano qui” mormorò Lien, Deran non riusciva proprio a capire di che cavolo parlavano quei due. Sentì il professore sospirare e poi lo scricchiolio della porta che si apriva e richiudeva. Non ci aveva capito niente. Gli sembrava di aver appena ascoltato qualcosa che lo riguardava ma non aveva  idea del perché. Rabbrividì stringendosi nella giacca a vento, doveva tornare in camera. 

Il mattino seguente il gruppo si preparò per un’altra interminabile scampagnata. Deran sorrise quando Lucas fece l’ennesimo sbadiglio. “A che ora siete tornati ieri sera?” chiese divertito Marc posò su di lui due occhi cerchiati “Saranno state le cinque” borbottò “Cinque e mezzo” rettificò Lucas con l’ennesimo sbadiglio “Non vedo l’ora di tornare a casa per buttarmi a letto!” “Io invece correrò dal fotografo!” esclamò Marc emergendo dal suo torpore con un sorriso e battendo un colpetto sul suo zaino con un sorriso. “Sono proprio curioso di vederle queste fotografie!” commentò divertito Deran. Il resto della giornata si svolse senza intoppi e alle nove e mezza l’autobus depositò gli

 studenti di nuovo davanti all’ingresso scolastico. Il giorno dopo il preside li aveva esentati dalle prime ore di lezione ma probabilmente nessuno si sarebbe presentato.

 

Marc portò le foto tre giorni più tardi. A parte un paio di paesaggi erano tutti soggetti femminili. Ce n’era qualcuna mossa ma nel complesso i ragazzi furono soddisfatti. Nella maggior parte di esse poi c’era la biondina che l’aveva quasi colpito con il pallone il primo giorno. “Faremo un  sacco di soldi!!” esclamò Lucas osservando una foto particolarmente riuscita. Deran lo fissò confuso “Come scusa?” chiese “Ma sì vendendole ai ragazzi di prima!” disse Marc sventolandogliele sotto il naso. “Anche la nostra capoclasse è molto richiesta” disse Lucas abbassando la voce ad un sussurro “Ma non siamo proprio riusciti a trovarla quella sera sembrava scomparsa!” Deran annuì distrattamente ricordando il dialogo che aveva sentito casualmente. Chissà se tra la studentessa e il professore c’era qualcosa. Avevano un modo di parlare molto complice anche se a scuola non si salutavano neanche quella sera lei lo aveva chiamato addirittura per nome. Chissà

 perché ma quel pensiero gli dava fastidio. Scacciò il pensiero com’era venuto riportando la sua attenzione sui discorsi dei ragazzi. 

“Migliori a vista d’occhio!” si complimentò Marc una settimana più tardi sul campo da basket. “Ormai potresti giocare già una partita.” Aggiunse Lucas ma il ragazzo scosse il capo, “Non mi sembra il caso” “Perché no?” disse Jack avvicinandosi al gruppetto, “Comunque quella di sabato è solo un amichevole, non devi preoccuparti anche se combini qualche disastro” disse il capitano facendo spallucce. Alla fine decise il coach per lui. E così sabato Deran fu reclutato per la partita. “Vedrai che ci divertiremo!” esclamò Marc entusiasta, Deran era un po’ preoccupato non gli andava di fare brutte figure.   

Giunse a casa che erano quasi le otto di sera, tuttavia Melany non fece nessun commento intenta com’era a guardare la tv, seguì il passaggio del ragazzo con aria distratta dicendogli che forse trovava ancora qualcosa nel frigo. Deran prese una mela e un pacchetto di crecker e andò in camera sua. Buttò la cartella su una sedia e si sedette sul letto sgranocchiando il suo spuntino, accese la tv e prese a zizzagare tra i canali alla ricerca di qualcosa di interessante, si fermò quando vide la telecronaca di una partita di pallacanestro. All’inizio la guardò semplicemente perché non c’era nient’altro di interessante, ma lentamente si ritrovò a studiare i movimenti dei singoli giocatori e più guardava più gli sembrava che i loro passaggi rallentassero permettendogli di cogliere ogni singolo gesto. I rumori attorno a lui divennero mano a mano più lontani finche non rimase solo la voce del cronista e uno strano tintinnio metallico di sottofondo. “Abbassa il volume di quell’affare!” tuonò l’assistente sociale piombando improvvisamente davanti a lui e spegnendo la tv. Deran alzò lentamente il capo spostando uno sguardo grigio ghiaccio su di lei. La donna sussultò ritraendosi. “E non guardarmi così” gridò con voce resa stridula dalla paura. Alzò una mano e lo schiaffeggiò con forza. Deran si portò una mano alla guancia ma quando alzò di nuovo il capo i suoi occhi erano tornati normali. “Fuori!” mormorò di rimando e la donna se ne uscì sbattendo la porta e chiudendola a chiave dall’esterno. Deran si stese e chiuse gli occhi con un sospiro. Stava succedendo sempre più spesso. 

Il sabato seguente giunse al campo abbastanza nervoso. Era da tanto tempo che non provava una sensazione simile. Era da tanto tempo che non provava qualche sensazione era quasi piacevole scoprire di esserne ancora capaci. “Tranquillo!” esclamò Lucas battendogli una manata sulla schiena che gli tolse quasi il respiro. Fortunatamente sugli spalti della palestra c’erano ben poche persone. Un paio di amici e parenti dei giocatori e qualche insegnante delle scuole vicine che era venuto a vedere come se la cavavano gli avversari. Tuttavia Deran sussultò nell’incontrare un paio di occhi viola fissi su di lui. Non l’aveva più visto dal giorno della gita, non voleva ammetterlo nemmeno con se stesso, ma lo aveva cercato. Si era ritrovato spesso senza volerlo nei pressi della sala professori a guardarsi intorno alla ricerca della sua alta figura. L’arbitrò fischiò facendolo sussultare e il gioco iniziò. Marc riuscì quasi subito a impadronirsi della palla anche se non riuscì a fare canestro. Anche Deran ebbe qualche occasione ma preferì passare la palla a Lucas o a Jack perché tentassero di segnare, non era ancora sicuro di riuscire a centrare il canestro. Tuttavia verso la fine del secondo tempo, quando ormai era chiaro che la partita era persa, gli capitò di trovarsi con la palla in mano e senza nessuno a cui passarla. D’un tratto mentre guardava l’avversario venire verso di lui per soffiargli la palla gli tornarono alla mente i giocatori che aveva visto alla tv. Se fosse riuscito a fare come loro…

Cominciò a muoversi senza nemmeno rendersi conto di quello che faceva, passò il primo dei ragazzi che si fece avanti e poi il secondo e il terzo, mentre nella sua mente passo dopo passo si ripeteva l’immagine del giocatore che aveva visto e quando fu sotto il canestro saltò. Deran si riscosse solo nel momento in cui la palla rimbalzò sul pavimento. Dal silenzio che c’era in palestra capì che era successo qualcosa.  Aveva di nuovo perso il controllo. Si voltò verso Lucas che lo fissava ad occhi sgranati. Poi qualcuno applaudì e l’arbitro fischiò segnando la fine dell’incontro. “Incredibile” mormorò Jack facendosi avanti “uno slam dunk” mormorò. Anche il coach gli fece i complimenti per l’azione, Deran voltò il capo verso gli spalti cercando inconsapevolmente il suo sguardo, ma il posto del ragazzo biondo era vuoto. “Non mi sembri felice” mormorò Marc quando si ritrovarono nello spogliatoio. Erano rimasti soli dato che gli altri erano andati a festeggiare al bar, Deran aveva rifiutato il loro invito e Marc intuendo che c’era qualcosa che lo turbava aveva deciso che li avrebbe raggiunti solo più tardi. “C’è qualcosa che non va?” gli chiese un po’ preoccupato Marc. Deran scosse il capo “Non è niente” disse. “Sai quando ti sei lanciato verso il canestro mi è sembrato …” s’interruppe e sorrise “Bhe è una stupidaggine!” commentò riponendo la maglia nella sacca “Cosa?” gli chiese Deran avvertendo una morsa allo stomaco, “Bhe” mormorò Marc sedendosi accanto a lui e fissandolo negli occhi “Mi è sembrato che qualcosa fosse cambiato” disse cercando di spiegarsi “La tua espressione è diventata fredda e i tuoi occhi, mi è sembrato che cambiassero colore” arrossì “Sto parlando a vanvera” commentò alzandosi e dirigendosi verso l’uscita. “No, è successo davvero” le parole di Deran lo bloccarono sulla soglia, Marc si voltò a guardarlo e sussultò nel vedere il dolore negli occhi dorati dell’amico. “Non so perché, non so come ma a volte succede….” Deran s’interruppe e sospirò scuotendo il capo. Marc tornò nella stanza “Ti è successo anche il primo giorno di scuola vero?” gli chiese. Deran annuì, “Di solito succede se ho paura o sono particolarmente sotto tensione” mormorò. “E’ come se ci fosse qualcun altro dentro di me che prende il sopravvento” mormorò tormentandosi le mani. “Bhe capita a tutti qualche volta di concentrarsi tanto su qualcosa da estraniarsi da tutto il resto” disse Marc scuotendo il capo e poggiandoli con fare rassicurante una mano sulla spalla. Deran annuì cercando di riacquistare una parvenza di serenità mentre accompagnava Marc al parcheggio dov’era rimasto solo il suo scooter e la sua bicicletta. “Se fossi in te non mi preoccuperei!” gli disse con un sorriso prima di abbassare la visiera del casco e sparire lungo la strada. Deran lo guardò allontanarsi e sospirò tristemente, Marc non poteva sapere che cosa sarebbe successo se avesse davvero perso il controllo. 

Il giorno dopo Alissia non perse occasione per punzecchiare Lucas. “Allora avete perso anche ieri?” gli chiese andando ad appollaiarsi sul suo banco. Lucas le lanciò un’occhiataccia “Tranquilla il numero delle nostre sconfitte non sarà comunque mai pari al numero dei tuoi fidanzati!” la ragazza arrossì indignata e i due cominciarono a bisticciare. Deran li fissò stupito mentre gli insulti volavano dall’uno all’altro “Fanno sempre così” commentò Marc ignorando i due e andando a sedersi sul suo banco. “Hei Ellen” chiamò invece, la ragazza che stava copiando gli appunti di storia per l’amica alzò il capo dal libro, Marc le fece cenno verso i due litiganti e lei alzò gli occhi al cielo. “Tutte le mattine la stessa storia” commentò alzandosi “Sono due anime gemelle” le rispose Marc con un’alzata di spalle, lei sbuffò di nuovo e andò a recuperare l’amica mentre Marc distraeva Lucas. “Quella vipera!” esclamò questi, Marc rise, “Se non ci foste voi due questa classe sarebbe un mortorio” commentò “Se i suoi due fratelli non fossero grandi e grossi come armadi, le insegnerei io ad offendere.” Borbottò. “E’ il suo modo di attirare la tua attenzione” gli disse Marc con un’alzata di spalle. Lucas borbottò qualcosa di incomprensibile allontanandosi. “Sono sicuro che finiranno per mettersi insieme” disse Marc e poi colto da un pensiero improvviso si voltò verso Deran che aveva seguito tutta la scena in silenzio. “Di un po’” disse con un sorriso che non prometteva niente di buono “A te piace qualcuno?” Deran lo fissò stupito “In che senso?” chiese senza capire “Dai hai capito, hai adocchiato qualche bella ragazza che ti piacerebbe conoscere qui a scuola” Deran arrossì affrettandosi a scuotere il capo. Perché cavolo gli erano venuti in mente dei capelli biondo cenere lisci come la seta? “Che ne dici di Ellen?” gli chiese ancora, Deran lo fissò corrugando la fronte, di che cosa stavano parlando? Ah sì giusto, ragazze. “Bhe è una ragazza carina” commentò distratto, non riusciva proprio a toglierselo dalla testa. Marc annuì “secondo me lei sarebbe proprio il tuo tipo!” esclamò “Che ne dici se ti combino un appuntamento?” “Tu sei pazzo” borbottò Deran riscuotendosi di scatto dai suoi pensieri “Sarebbe perfetto!” commentò Marc partito in quarta “Potremmo andare al luna park tutti e sei insieme.” “Sei?” chiese Deran a cui non tornavano i conti “Tu, Ellen, Lucas, Alissia, io e Lien!” “La capo classe?” chiese Deran stupito Marc annuì “Lei m’interessa in modo particolare” nello sguardo gli brillò per un attimo una strana luce, “Non trovi che sia bellissima” chiese con un sorriso  “Lascia stare non hai speranze!” commentò con un sogghigno Lucas  prendendo il quaderno di Deran “Hei non hai fatto gli esercizi di matematica!” esclamò offeso “e io da chi li copio” “Non guardare me” disse Marc alzando entrambe le mani in segno di resa “Andrò a chiederli all’arpia” commentò Lucas dirigendosi verso il banco di Alissia. La porta della classe si aprì annunciando l’arrivo del professore. Deran rimase paralizzato, nel momento stesso in cui entrò in classe. Ci fu un bisbiglio meravigliato tra gli studenti. “La vostra professoressa ha chiesto un periodo di ferie per cui per i prossimi due mesi la sostituirò io” spiegò con voce profonda il nuovo arrivato scrivendo il proprio nome alla lavagna. Aveva una bella voce. Deran non capì neanche una parola di quello che disse era troppo impegnato a guardarlo e a sentirlo. Si accorse di essere ridicolo quando Marc gli diede una gomitata “Hei Deran ti sei incantato?” gli chiese con un sorriso scuotendolo. Deran scosse il capo in fretta cercando si schiarirsi le idee, perché proprio lui? 

Brand spiegò conscio per tutto il tempo del suo sguardo fisso su di sé. Deran era incosciente quando si erano incontrati per la prima volta, allora era solo un bambino spaventato adesso invece era un ragazzo e il suo sguardo dorato  lo trapassava carico di domande. Possibile che ricordasse? Sono passati dieci anni, pensò tra sé,  dieci anni che ho passato a cercarti.  Deran uscì di scuola pensieroso ma non appena oltrepassò il cancello scolastico avvertì uno  strano suono metallico che lo fece sussultare. “Cosa c’è?” gli chiese Lucas osservandolo

 stupito “Non hai sentito?” “Sentito cosa?” gli chiese il ragazzo, Deran scosse il capo  “Me lo sarò immaginato” mormorò, “E’ la scuola che ci rovina così!” esclamò Lucas  avviandosi verso casa. Deran invece si allontanò nella direzione opposta, nella sua

testa riecheggiava ancora quello strano tintinnio metallico. Un fastidioso cigolio che si ripeteva all’infinito nella sua mente a cui andavano sommandosi man mano tutti i rumori della città come se ci fosse qualcosa che li amplificava. Si portò le mani alla testa tappandosi le

 orecchie mentre il rumore cresceva d’intensità, voltò per un vicolo scuro cercando di fuggire a  quel fracasso che gli otturava la mente, camminava sempre più in fretta infilandosi tra le stradine  del quartiere mentre il cuore gli tamburellava in petto dolorosamente. Cominciò a correre senza nemmeno rendersene conto, cercando disperatamente di scappare da quella strana sensazione che si sentiva montare dentro. Giunse ad un cantiere abbandonato. Lì almeno i suoni giungevano con meno forza, tuttavia quella fastidiosa sensazione di nervosismo si rifiutava di abbandonarlo, l’odore della morte era tanto forte da rendergli  quasi difficile respirare, qualsiasi cosa guardasse marciva e si riduceva in cenere davanti ai suoi occhi, sapeva che quanto stava vedendo non era reale ma  non riusciva a liberarsi da quelle visioni. Cercò rifugio in un  palazzo che era stato  cominciato e mai finito per mancanza di fondi dal comune. Alcuni attrezzi erano  rimasti tra le impalcature ormai arrugginite, come un enorme scheletro con le dita  tese verso il cielo indifferente per chiedere pietà. Ignorò i numerosi gatti randagi che sonnecchiavano sui muretti sdruciti di quella che sarebbe dovuto diventare una fontana. ‘Edificio pericolante’ diceva un vecchio cartello scarabocchiato con lo spray. Lo sorpassò e cominciò a salire i gradini uno ad uno fino a che raggiunse l’ultimo piano. Si sedette su una vecchia lamiera lasciando la cartella tra la polvere e cercando di riprendere fiato, alcuni piccioni presero a litigare furiosamente per qualcosa trovato tra la spazzatura facendolo sorridere, da lì poteva ammirare gran parte della città, sorrise di nuovo quanto erano piccoli gli uomini, quant’erano fragili le loro case, con un unico gesto avrebbe potuto cancellarli tutti. Non ci sarebbe stato più dolore e finalmente quegli inutili insetti avrebbero finito di correre, costruire, riprodursi producendo quel fastidioso rumore. Quel ronzio che gli dilaniava l’anima. Tese la mano destra verso il paese, sarebbe bastato un solo gesto. Scosse il capo con forza, ma cosa stava facendo? pensò atterrito abbassando in fretta la mano tesa. Si stese tra le macerie respirando l’odore della polvere e del ferro cercando di calmarsi, chiuse gli occhi e serrò i pugni allontanando ogni pensiero, ogni sensazione, il rombo nella sua testa crebbe d’intensità e Deran strinse la mascella, non devo, non devo farlo, gridò a sé stesso cercando con tutte le sue forze di allontanare quella fredda voce interiore che gli sussurrava, brucia.

Era ormai buio quando riaprì gli occhi, si massaggiò le braccia indolenzite e spolverò i pantaloni della divisa scolastica. Era stanco e aveva freddo ma almeno era riuscito a calmarsi. Scese al buio i gradini sdruciti evitando i pezzi di muro crollati. Che cosa gli era successo? Era andato così vicino a ripetere quanto era successo dieci anni prima che il solo pensiero gli metteva i brividi. Avvertiva ancora quella fredda determinazione e il distacco con la quale aveva deciso di sterminare l’intera cittadina.

Stava per dirigersi verso la staccionata che l’avrebbe riportato sulla strada principale quando con un rumore di pneumatici e di risate un gruppo di motociclisti non del tutto sobri, giunse sgommando nella piazza antistante al palazzo. Il faro del capo banda inondò con la sua luce dorata Deran immobile davanti a loro. “Guarda, guarda” esclamò con voce secca il motociclista che veniva davanti agli altri e che evidentemente era il capo del piccolo gruppo. “Ti sei perso ragazzino?” gli chiese con ironia, Deran rimase immobile in silenzio. “Bhe il gatto ti ha mangiato la lingua?” gli chiese ancora puntandogli il faro della grossa motocicletta in pieno viso. Deran rimase immobile a fissare la luce. Ricordava una luce simile a quella, molto tempo prima in un enorme laboratorio. Uno schermo enorme. Un computer gigantesco in una sala dalle pareti blindate.

I suoni attorno a lui vennero annullati da quel terribile grido metallico che credeva di aver allontanato, quel suono che sembrava volergli perforare la testa e una parola che lampeggiava furiosamente davanti ai suoi occhi: DELETE. Quella forza che con tanta fatica era riuscito a controllare esplose dentro di lui in tutta la sua potenza, il dolore divenne insopportabile “Lasciatemi in pace bastardi! ” disse scuotendo il capo, rivolto più alle voci che sentiva nella testa che al gruppo di teppisti. “Che cosa?” tuonò l’uomo smontando di sella imitato dai compagni “Il pulcino ha del fegato!” esclamò uno di loro con un ghigno “Dovrebbe imparare a trattare con più rispetto i ragazzi più grandi di lui” suggerì un altro rimboccandosi loquacemente le maniche della giacca di pelle. Deran non si mosse, non disse nulla rimase semplicemente a fissarli con due glaciali occhi grigio argento mentre venivano verso di lui. Tese la mano destra spinto da un impulso e da una volontà che non riusciva più controllare, il rumore metallico aumentò d’intensità divenendo un vero e proprio canto di gioia, il sangue prese a pulsargli nelle vene divenendo incandescente, dolore, un dolore insostenibile che gli lacerava le carni e di cui si sarebbe liberato solo se avesse colpito, brucia!, brucia!, gridava ogni più piccola particella del suo essere. Lo schermo del computer esplose e mentre i suoi occhi venivano abbagliati dalla luce

lo scorse di nuovo, com’era accaduto dieci anni prima quando i suoi genitori erano morti.

Quell’angelo bianco con le grandi ali spalancate e quegli occhi grigi così simili ai suoi.

Lascia che io ti protegga…

mormorò con una terrificante voce metallica che aveva qualcosa di intimamente familiare.

Aveva già dato ascolto a quella voce.  Quando il primo pugno lo colpì alla guancia Deran lo accolse come una liberazione, quel dolore reale che andava a coprire quello che gli lacerava l'anima offuscandogli i sensi. 

Non fece niente per scansare i colpi, cadde rovinosamente a terra mentre i ragazzi si chiudevano a cerchio intorno a lui, un calcio gli arrivò allo stomaco togliendoli il respiro, la vista gli si offuscò per il sangue che gli colava da una ferita alla fronte mentre i teppisti infierivano su di lui. Il ragazzo che per primo aveva parlato lo prese per i capelli costringendolo ad alzare la testa “Allora ti basta la lezione?” gli chiese scuotendolo con forza. 

“Adesso basta!”. Accanto alle moto lasciate incustodite dai centauri un ragazzo vestito di grigio li fissava. “E tu chi saresti bellezza?” chiese uno dei teppisti osservando con scherno i lunghi capelli biondi del nuovo venuto. Il ragazzo sorrise assestandosi

gli occhiali da lettura sul naso aquilino. “Il mio nome è Brand” disse facendo un passo in avanti e tendendo la mano destra verso di loro. La risposta pungente salita alle labbra del teppista gli morì sulle labbra quando la scarica elettrica scagliata dal ragazzo

lo fece volare parecchi metri più indietro. “Ma chi cavolo sei?” esclamò  il capo banda lasciando andare rudemente Deran. “Io sono un angelo” disse con voce metallica tendendo nuovamente la mano, la sua figura venne avvolta da piccole scariche luminescenti che fecero sfrigolare l’aria attorno a lui mentre gli occhi di Brand diventavano due polle di luce bianca. I ragazzi se la diedero a gambe abbandonando il compagno svenuto. “Stai bene?” Deran alzò la testa a fatica per osservare il suo professore, di nuovo lui. “Sto bene” disse con voce impastata prima di perdere i sensi. “Ti hanno conciato per le feste” mormorò Brand sollevandolo senza difficoltà e dirigendosi verso l’auto sportiva che aveva parcheggiato poco lontano. 

La testa gli faceva un male tremendo, si mosse a disagio tra le lenzuola, si chiese se fosse finito all’ospedale ma non avvertiva quel stomachevole odore di farmaci che lo contraddistingueva, anzi nell’aria c’era quel familiare odore di lavanda che gli ricordava stranamente la sua infanzia. Una memoria felice. Non ricordava di essere mai stato felice davvero. Forse era il ricordo di un sogno. C’era qualcuno che parlava sommessamente accanto al suo letto ma aveva la vista offuscata e riusciva a malapena a distinguere i contorni di quelle persone, le loro voci erano un mormorio confuso. “L’hanno ridotto male” mormorò una suadente voce femminile, “Se la caverà” commentò un’altra voce, quella voce la conosceva… Lien??. “Non si è difeso.” disse una voce che riconobbe essere quella del professore “Forse il sacrificio del nonno non è stato inutile.”. Stavano parlando di lui ma non capiva il senso dei loro discorsi sembrava che loro conoscessero qualcosa che lui non sapeva eppure…. la testa prese a pulsargli per il dolore, gemette nel sonno. Brand si avvicinò al letto e gli posò una mano sulla fronte “Sta tranquillo, va tutto bene” mormorò, la sua voce gli giunse lontana, sfumata mentre perdeva nuovamente coscienza. 

Doveva essere pomeriggio inoltrato quando si svegliò nuovamente, una calda luce dorata proveniva dalla finestra con le tende tirate. Uno sguardo all’orologio confermò la sua ipotesi erano quasi le quattro del pomeriggio. “Ti sei svegliato” Deran volse il capo dolorante verso destra, seduto su una sedia a dondolo con un grosso libro in grembo il professore lo osservava con un sorriso tranquillo. “Hai fame?” chiese alzandosi. “Dove sono?” gli chiese Deran circospetto “Non ricordi?” chiese d’un tratto preoccupato Brand avvicinandosi al letto e posandogli una mano sulla fronte con gentilezza. Deran arrossì e scosse il capo per allontanare quel tocco leggero che aveva il potere di farlo avvampare. “Ti ho portato a casa mia dopo che quei teppisti di avevano aggredito” Deran annuì tirandosi a sedere non senza sforzo, doveva avere almeno un paio di costole rotte, arrossì quando notò che non indossava più la divisa scolastica. Lanciò un’occhiata interrogativa a Brand “L’ho messa in lavatrice” gli spiegò questi “Era tutta sporca di sangue spero che non ti dispiaccia” Deran scosse la testa in segno di diniego anche se l’idea che lui l’avesse spogliato gli faceva correre uno strano brivido lungo la schiena. “Mi sono anche permesso di chiamare l’assistente sociale per informarla che avresti dormito da me” Deran strinse la mascella, l’unica preoccupazione di quella donna era il compenso che riceveva dal tribunale per la sua custodia. “Bhe vado a prepararti qualcosa da mangiare” disse Brand dirigendosi verso la porta con passo deciso. “Perché?” chiese Deran bloccandolo quando era già sulla soglia “Non hai fame?” gli chiese Brand corrucciandosi. “Non far finta di non aver capito.” Esclamò Deran arrabbiandosi “Perché ieri sera mi hai aiutato?” Brand si voltò ad osservarlo serio in volto “Ho visto uno dei mie studenti in difficoltà, ho fatto quello che avrebbe fatto chiunque altro”. Una risposta logica. Deran si chiese che cosa si era aspettato di sentirgli dire. Brand tornò verso di lui e lo costrinse ad alzare lo sguardo per guardarlo in quei pozzi d’oro. Deran si sentì tremare, era così vicino che poteva sentire il suo respiro caldo contro le guance, bastava che allungasse un po’ il capo e le loro labbra si sarebbero toccate. Tuttavia quegli occhi viola erano imperscrutabili “Volevi morire?” gli chiese Brand serio e Deran distolse lo sguardo incapace di sostenere la domanda presente negli occhi viola di Brand. Sì lui voleva morire. Brand uscì dalla stanza senza aggiungere niente, lasciandolo solo e tremante, vuoto ora che il contatto tra loro si era interrotto. Deran si coprì il volto con le mani mentre un immagine gli tornava alla mente, la sua casa avvolta dal fuoco, suo padre ridotto in cenere e sua madre che

piangeva e gridava tra le fiamme. Gridava contro di lui. Mostro! Lui era un mostro. Scosse la testa con forza, con rabbia, non voleva, non riusciva più a piangere…

 

Brand mise il bollitore sul fuoco con aria pensosa, Deran era sconvolto, se solo Omar avesse avuto più tempo ora il ragazzo non avrebbe sofferto così tanto, se loro lo avessero trovato prima forse avrebbero potuto risparmiargli un po’ di dolore. Dopo il  suo primo risveglio dieci anni prima, quando per un attimo soltanto lo aveva tenuto tra le braccia mentre fuggivano dal luogo dell’incendio, per colpa della T.E.C ne avevano perso le tracce e ora poteva essere troppo tardi. Sospirò doveva chiamare Roxane.

 

Deran si guardò intorno analizzando la stanza e cercando così di allontanare i cupi pensieri che affollavano la sua mente. Le pareti e le tende di un tenue verde acqua traspiravano la stessa tranquillità che aveva letto sul volto di Brand, sussultò ricordando improvvisamente, sul volto del ragazzo non aveva scorto nessun segno di morte. Si guardò attorno confuso, anche quella stanza non portava i segni del disfacimento che ovunque andasse  vedeva attorno a sé. Lì sembrava che il tempo si fosse fermato,  una strana sensazione di pace gli riscaldò il cuore. Bussarono alla porta facendolo sussultare. Brand armato di vassoio con viveri, entrò nella stanza con un sorriso. Deran gli piantò in faccia  gli occhi dorati cercando inutilmente, nessuna ruga, nessuna crepa. “Che c’è?” gli chiese questi sorpreso dal suo attento esame arrossendo impercettibilmente. “Niente” mormorò il ragazzo spostando lo sguardo sul cibo, in effetti aveva fame.

Brand lo guardò mangiare soddisfatto. Sembrava stare meglio.

 

“Sembra che ci sia stata la solita rissa tra teppisti” commento l’agente che era arrivato al cantiere chiamato da uno dei vicini disturbati dai rumori. “Non era una rissa, era un pestaggio” commentò l’anziana signora che l’aveva chiamato e che ora stava in piedi vicino all’agente Axon “Quel povero ragazzino” commentò preoccupata “Bhe se è riuscito a tornare a casa sulle sue gambe non stava così male” commento l’alto poliziotto scribacchiando alcuni appunti per il verbale sul suo blocchetto. “Hei Axon, sembra che il bell’addormentato si sia svegliato!” commento il suo collega che aveva soccorso il teppista a terra “ma guarda chi si vede Carlos!” esclamò Axon avvicinandoglisi, il ragazzo era già finito un paio di volte al piccolo comando di polizia della cittadina per qualche piccola rapina e atti di vandalismo. “Sembra che finalmente qualcuno sia riuscito a stenderti!” esclamò con un sorriso, il teppista scosse la testa “Quello non era un uomo! Ha teso una mano e mi ha fatto fare un volo di tre metri senza neanche toccarmi” disse il ragazzo concitato “Sì come no, hai incontrato Superman, quanto avevi bevuto ieri sera Carlos?” gli chiese con scherno “Senti un po’ sbirro una birra non basta per mandarmi K.O so quello che ho visto, quel tipo che ha salvato il ragazzino non era normale!” esclamò serio. “Sì, sì Carlos come no!” disse il collega di Axon conducendo il ragazzo alla macchina di pattuglia, “Lei ha visto niente?” chiese invece Axon all’anziana signora stupito dalla serietà che per una volta il teppista aveva dimostrato, ma la donna scosse il capo “Appena ho visto che si stavano picchiando sono corsa a chiamarvi e quando sono tornata alla finestra ho visto solo i ragazzi che scappavano in moto.” Strano, la banda di Carlos non era conosciuta per ritirarsi con la coda tra le gambe. Molto strano, pensò Axon raggiungendo il collega alla macchina. 

 

Brand fermò l’auto sportiva nel parcheggio scolastico suscitando non poco scompiglio tra le ragazze che stavano chiacchierando vicino ad esso. “Grazie” mormorò Deran scendendo dalla vettura non senza provare una fitta al fianco ferito. “Sei sicuro che non vuoi che ti accompagni a casa?” gli chiese vedendolo impallidire “Va bene così” disse recuperando la cartella dal sedile posteriore. Il professore lo guardò allontanarsi con un sospiro, aveva passato tutto il pomeriggio e la notte precedente nel suo appartamento, lui non gli aveva chiesto se voleva tornare a casa e Deran non aveva fatto nessun accenno in quel senso, sembrava restio ad abbandonare quella stanza dove per la prima volta non si sentiva circondato dalla distruzione. E lui non desiderava certo vederlo andare via. Vederlo riposare nella stanza degli ospiti, potergli rubare qualche carezza nel sonno era una dolce tortura. Ma alla fine aveva deciso che era ora di farlo tornare a scuola e quella mattina dopo aver fatto una silenziosa colazione erano usciti di casa. Lo aveva visto sbiancare e probabilmente se non lo avesse sorretto Deran sarebbe caduto. Non doveva essere piacevole per lui vedere soltanto morte. Lanciò un’occhiata al ragazzo che si dirigeva a passo lento verso l’entrata come se fosse schiacciato da un peso enorme e sospirò di nuovo. Maledetta T.E.C! Come avrebbe voluto rincorrerlo e prenderlo tra le braccia, tenerlo stretto a sé e giurargli che nessuno gli avrebbe più fatto del male. Deran passò accanto ad una ragazza dai morbidi capelli neri che seguì il suo passaggio con gli occhi azzurri pieni di tristezza, Brand incontrò lo sguardo di lei che annuì. Adesso era compito di Lien proteggere l’Arcangelo. 

Deran si sedette all’ombra di un albero e respirò l’aria profumata senza provarne piacere, le costole non gli facevano quasi più male e nonostante il mal di testa fosse diminuito era ancora piuttosto stanco. Poggiò la schiena al tronco dell’albero osservando i suoi compagni di scuola pascolare come tante pecore per il giardino sbocconcellando merendine piene di veleno. Spostò la cartella per stare più comodo e notò il sacchetto di carta bianco. Al suo interno una mela e un panino erano avvolti con cura in alcuni tovaglioli di carta, rivoltò sorpreso la busta, su un lato con un pennarello nero Brand aveva scritto ‘Mangia mi raccomando’. Rilesse la frase incredulo e gli sfuggì un sorriso, quello era tutto pazzo. “Ciao” Deran alzò il capo riparandosi con la mano dai raggi del sole per osservare la ragazza che gli aveva rivolto la parola. Non la degnò di molta attenzione ma lei gli si sedette accanto e sorrise “Ti ricordi di me? Sono Elisabeth, sono nella classe di fronte alla tua.” lui la ignorò in modo irritante. “Sei arrivato da poco, vero?” proseguì lei imperterrita, lui annuì “E’ per questo che te ne stai sempre in disparte?” gli chiese “Anche per questo” rispose lui serafico “Insomma si può sapere cosa vuoi?” le chiese fissandola direttamente negli occhi. Lei abbassò lo sguardo in grembo e notò la busta aperta accanto a lui. Sorrise “Il professore ti ha preparato il pranzo” gli chiese attirando improvvisamente la sua attenzione “Come fai a saperlo?” lei scosse il capo facendo ondeggiare i riccioli biondi “Vi ho visti arrivare insieme.” “E poi tutto quello che fa lui mi interessa particolarmente” Deran avvertì una leggera fitta allo stomaco che si rifiutò di classificare come gelosia, era assurdo! Elisabeth si chinò improvvisamente su di lui “Ma anche tu m’interessi” gli sussurrò accarezzandogli una guancia, Deran si scostò di scatto e lei scoppiò a ridere di gusto “Sai è da un po’ che ti osservo sei sempre così depresso” lui fece spallucce e alzò il volto per osservare le fronde del grande albero che li teneva sotto la sua ombra protettrice, a quell’immagine serena se ne sovrappose un’altra, un albero marcio con i rami consumati da un fuoco scuro e malsano e cenere, cenere dovunque. Tornò ad abbassare lo sguardo con un sospiro. “Sono soltanto stanco” mormorò e lei annuì tornando seria come se capisse davvero quello che le stava dicendo. La campanella suonò tagliando il silenzio che li separava e Deran si alzò per ritornare in classe senza dire una parola ma raccogliendo il cibo che non aveva toccato. 

“Potevi anche evitare questa scenetta” Elisabeth si alzò a sua volta spolverandosi la gonna blu che contraddistingueva la divisa scolastica e sorrise a Marc. “Mi piace, mi piace vederlo così afflitto fa tenerezza non trovi?” chiese con un sorriso malvagio, “E poi non è giusto che ti diverta solo tu” Marc sorrise “Hai ragione” mormorò. “Dobbiamo sbrigarci a recuperarlo” Elisabeth annuì in silenzio. 

“Hei Deran dov’eri finito?” gli chiese Lucas quando lo vide rientrare in classe, Deran scosse le spalle e andò a sedersi. Il compagno corrugò la fronte “Non so cosa gli sia successo ma sembra di nuovo distante”. Non appena lo aveva visto arrivare quella mattina Lucas gli era andato incontro pronto a fare una battuta sulla sua assenza il giorno prima ma si era fermato quando aveva visto che il ragazzo aveva di nuovo quello sguardo. Lo stesso sguardo che aveva il primo giorno che era arrivato, quell’impotente rabbiosa disperazione e quella profonda fredda tristezza che avevano spinto lui e Marc a cercare con ogni mezzo di aiutarlo. “Bene voglio che facciate l’analisi dei versi che abbiamo letto, domani ne discuteremo in classe” disse il professore di letteratura distraendo Lucas dai suoi pensieri, l’insegnate lanciò un’occhiata a Deran che aveva l’aria più cupa del solito “Sempre che noi poveri mortali arriviamo a domani” disse con scherno, Marc lanciò un occhiata di fuoco al professore e Lucas si alzò addirittura in piedi “Non mi sembra il caso di sfidare la fortuna” esclamò. Il professore divenne paonazzo “Come osi Andras!” gridò “Ti farò mandare dal preside!” “Sai che novità.” rispose con un’alzata di spalle il ragazzo suscitando qualche risata qua e là. Deran ascoltò distrattamente il professore e Lucas litigare, aveva di nuovo mal di testa e sentire i due lanciarsi improperi non migliorava certo la situazione, fortunatamente la campanella che indicava la fine delle lezioni suonò dandogli modo di andarsene. Si diresse verso casa a malincuore, non aveva voglia di tornare in quella cupa villetta tappezzata di foto e quadri, ma non poteva nemmeno tornare a casa del professore anche se lo desiderava con tutte le sue forze. Sorpassò il cancelletto cigolante camminando distrattamente tra le aiole, quando entrò in casa trovò l’assistente sociale intenta a cucire l’ennesimo cuscino, in casa c’erano cuscini dovunque, più di una volta aveva avuto la tentazione di usarne uno per soffocarcela. “Oh è tornato il figliol prodigo!” esclamò questa vedendolo “La prossima volta dovresti stare via più a lungo.” lui non le rispose e si diresse invece verso le scale che portavano alle sue stanze. La porta della sua camera era aperta, gli abiti buttati un po’ ovunque i libri scolastici ammassati sul pavimento, si erano trasferiti ormai da un po’ ma non aveva ancora avuto il tempo di mettere in ordine, in fondo tutta quella confusione non gli dispiaceva. 

Lien si sedette sul divano “Com’è la situazione?” chiese rivolgendosi direttamente a Brand, il ragazzo dal volto sottile scosse il capo “E’ molto confuso” “Ha bisogno di un po’ di tempo” intervenne Roxane “Ma gli uomini della T.E.C. sono già in città” commentò Lien “Ho avvertito la presenza anche di almeno tre Angeli e ieri sul cancello scolastico ho trovato i resti di un circuito elettronico, stanno cercando di sbloccarlo” “Maledizione!” esclamò Brand alzandosi “Allora è meglio che vada a fare un giro di controllo” disse uscendo di casa. “Sei pensierosa sorellina?” le chiese Roxane, Lien scosse il capo, “Non è giusto” mormorò chiudendo gli occhi e massaggiandosi le tempie, Roxane allungò le braccia e la strinse a sé “Lo so” mormorò. 

continua......                                                                                                                

 

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