Oh my God!! 2                                    Back to Original  Back to Home

Erano comparsi direttamente nella grande camera da letto di Allhanirayas.

Lo aveva fatto sedere sull’ampio letto matrimoniale mentre apriva le ante dell’armadio di noce alla ricerca di vestiti da prestare al suo illustre ospite.

Non poteva mica girare per casa con quella veste addosso.

Anche se doveva ammettere che l’idea un po’ gli dispiaceva.

Era veramente maestoso con quel lungo abito nero.

“Ecco metti questi” disse con un sorriso mettendogli tra le braccia un maglione color panna dall’ampia scollatura,  un paio di boxer e dei pantaloni neri.

Faceva abbastanza caldo in quel periodo quegli abiti leggeri e confortevoli erano l’ideale.

Clhavishineriyas spostò su di lui gli occhi protetti da una sottile striscia di seta nera con un espressione molto chiara sul bel volto.

 

Non aveva la più pallida idea di che cosa doveva fare con quei pezzi di stoffa.

 

“Devi cambiarti Clavis non puoi girare per casa vestito così!”

“Clavis?” chiese perplesso il Dio con la sua sensuale voce profonda.

Allhanirayas gli sorrise “Nel Dominio degli Uomini nessuno porta nomi come Clhavishineriyas” gli spiegò.

“Mia figlia mi chiama Allan e chiama Victorgorth zio Victor.”

“Victorgorth abita con voi?” chiese sempre più perplesso il Dio.

“Ogni tanto viene a trovarci ho detto a Valery che si tratta di mio cugino” spiegò.

Clavis corrugò la fronte ma non aggiunse altro.

 

“Su adesso spogliati”.

 

Allan trattenne il respiro nel momento stesso in cui finì di proferire la frase arrossendo involontariamente.

Clavis invece non parve trovare nulla di strano in quella richiesta e alzandosi in piedi con grazia cominciò a sciogliere i lacci sottili che fermavano le sue vesti.

Il Dio dell’Amore rimase immobile, il fiato in gola, mentre il cuore cominciava a tamburellargli violentemente nelle orecchie.

Forse avrebbe dovuto voltarsi.

Forse… ma la danza di quelle dita candide sulla seta nera aveva un che di ipnotico.

E poi lentamente, con un fruscio così delicato da somigliare ad un sospiro, la stoffa scura scivolò lungo il corpo tornito accasciandosi con delicatezza ai piedi del Dio.

In quello stesso istante Allhanirayas smise definitivamente di respirare.

 

Avrebbe dovuto porgergli i vestiti.

 

La sua mente registrò quel pensiero saggio relegandolo poi in un angolino lontano dove non l’avrebbe infastidito mentre tutto il suo essere veniva ammagliato dalla creatura che aveva davanti. Non riusciva a muoversi, il suo cervello si era semplicemente bloccato dinanzi alla visione di quel corpo slanciato. Come se si rifiutasse di fare qualsiasi altra cosa per timore di perdere il ricordo di quella figura statuaria ora completamente nuda dinanzi a lui. La pelle candida e trasparente, sembrava così delicata che si stupiva di non vederla arrossire sotto il suo sguardo di fuoco.

I lunghi capelli corvini scivolavano splendenti sulle spalle larghe fino a terra, allargandosi sul pavimento attorno a lui in un mare di tenebra dai liquidi riflessi blu.

“Allhanirayas..?” lo chiamò Clavis notando che l’altro non si era mosso di un passo.

“Allan…?”

 

Niente.

Nessuna risposta.

 

Clavis scostò le vesti ai suoi piedi con un gesto elegante prima di avvicinarsi all’altro Dio per capire in quale strano stato di trans era caduto.

“Allhanirayas?” lo chiamò allungando una mano pallida per sfiorare il volto immobile del Dio dell’Amore.

Questi si riscosse di scatto quando avvertì il tocco leggero di quelle dita sottili sulla guancia e saltò indietro, fulmineo, riprendendo a respirare violentemente.

Quando l’aveva visto venire verso di sé, i muscoli torniti che guizzavano sotto quella pelle diafana, quella sua grazia felina così sensuale in ogni suo movimento…aveva desiderato… aveva desiderato spingerlo sul letto e fare l’amore con lui.

Arrossì, distogliendo il volto, ringraziando che Clavis non poteva vederlo.

 

Accidenti a lui e alla sua bellezza!

 

Era quasi venuto, come un ragazzino alla sua prima cotta, quando aveva sentito quel tocco incerto e fresco sulla pelle del viso.

Non era mai stato tanto sconvolto in vita sua.

Doveva vestirlo!!!

Doveva assolutamente mettergli qualcosa addosso prima di fare qualcosa che sarebbe stato difficile da spiegare al candido Signore delle Due Maschere.

“Ecco infila questa!” disse con voce quasi isterica infilandogli in malo modo l’ampio maglione dalla testa.

Clavis corrugò la fronte non riuscendo a comprendere il motivo di tanta agitazione nel compagno.

Fortunatamente l’indumento era abbastanza lungo da coprire anche l’intimità del Dio.

Però sembrava un sacco di patate con i capelli arruffati e le braccia ancora intrappolate nel corpo del maglione.

Tutta la tensione accumulata poco prima uscì dal petto di Allan in una calda risata.

“Tu mi farai morire...” mormorò, il fiato ancora un po’ corto, avvicinandoglisi di nuovo per aiutarlo ad infilare le braccia nelle maniche.

Toccare quella pelle liscia gli mandò tutta una serie di brividi lungo la schiena che si sforzò stoicamente di ignorare. “Ecco...” mormorò con voce ancora leggermente incerta evitando di guardare Clavis per non perdere il controllo, il respiro lievemente affannoso.

L’operazione più complicata fu invece quella di liberare i capelli.

Erano così lunghi che doveva fare attenzione a dove camminava per non pestarli.

“Accidenti Clavis sembra che tu non li abbia mai tagliati in vita tua” borbottò quando finalmente riuscì a liberarli dal maglione.

“Infatti” gli rispose candido il Dio.

Allan spalancò gli occhi verdi sorpreso “Mai ?” chiese allibito.

Clavis scosse le spalle con indifferenza. “Non ce n’era motivo”

Il Dio dell’Amore osservò quella massa scura che si allargava attorno ai piedi del moro come tentacoli di tenebra.

“Non ti davano fastidio quando uscivi dal castello?” gli chiese aggrottando la fronte mentre cercava di valutarne la lunghezza, se non li aveva mai tagliati e tenendo conto dell’età di Clavis che era molto più antico dei Dieci Dei Superiori... la sua mente lavorava, contorcendosi, nel tentativo di effettuare quel calcolo assurdo.

“Non sono mai uscito dalla sala del trono” gli rispose il Dio della Morte distogliendolo bruscamente dalle sue valutazioni matematiche.

 Allan lo fissò con attenzione pensando che scherzasse ma Clavis era serissimo.

“Non sei mai uscito di lì?” chiese rabbrividendo all’idea di passare la sua vita millenaria in quell’enorme stanza vuota. “Perché?” gli chiese stupito

“Io non...” il moro s’interruppe mentre una strana espressione gli oscurava il volto.

La sua mascella si contrasse per un momento prima che egli scuotesse il capo facendo ondeggiare il lungo manto scuro.

Era chiaro che non ne voleva, o non ne poteva, parlare.

Anche se Allan avrebbe voluto sapere che cosa aveva il potere di tormentarlo preferì dunque non insistere.

Sospirò tornando a guardare le ciocche notturne cercando nuovamente di allontanare i pensieri cupi occupandosi di cose pratiche.

“Dovremo tagliarli sai, non mi erano accorto di quanto fossero lunghi”

Clavis scosse le spalle con indifferenza.

Sembrava non importargli molto.

 

Sembrava che non gli importasse niente di tutto.

 

Forse si era imbarcato in un’impresa disperata... Allan accantonò quel pensiero con un gesto di stizza.

Lanciò un’occhiata ai boxer  e ai pantaloni ancora ripiegati sul letto.

“Siediti” gli sussurrò prendendolo per mano e accompagnandolo fino al letto.

Prese i boxer e si chinò dinanzi a lui.

Il maglione sfiorava la pelle alabastrina accarezzandola dolcemente formando una serie di morbide pieghe sul ventre piatto del Dio, allungandosi quel poco che serviva a coprire la sua virilità.

Allan afferrò i boxer con mani tremanti e prendendo una delle gambe del Dio per la caviglia gliela fece passare all’interno dell’indumento scuro. Non potè trattenersi da far scivolare languidamente le dita su quella pelle serica.

Così splendida, cosi candida da sembrare argentata.

Fece scorrere le dita abbronzate sull’altra caviglia prima di fargli passare anche l’altra gamba all’interno della biancheria.

Rimaneva la parte più difficile....

Prendendo i boxer per l’elastico li fece scivolare lentamente verso l’alto accompagnando il loro percorso con entrambe le mani, i palmi aperti per catturare più sensazioni possibili.

La stoffa leggera produsse un suono delicato, quasi un ansito di piacere contro le lunghe gambe del Sovrano dalle Due Maschere mentre le mani tremavano scivolando inesorabilmente verso l’alto, il viso così vicino al suo ventre.

Poteva avvertire il suo profumo, leggero eppure così sensuale e conturbante...

Li accompagnò fino alle ginocchia prima di fermarsi.

Non poteva andare oltre.

Non senza compromettersi irrimediabilmente.

Non senza cedere alla tentazione di continuare con le labbra il percorso iniziato con le mani.

Si allontanò di qualche passo senza parlare, la sua voce l’avrebbe sicuramente tradito.

Clavis tuttavia parve comprendere e alzandosi nuovamente in piedi completò l’opera del Dio dell’Amore, coprendosi. Allan sospirò lievemente prima di allungargli i pantaloni. Il Signore delle Due maschere li prese dalle sue mani tremanti apparentemente senza notare il suo turbamento, ripetendo i gesti fatti poco prima da lui per infilarseli. Vedere le lunghe dita candide scivolare in modo così sensuale sulle gambe tornite gli strappò un gemito involontario.

“Va...vado a prendere un paio di gamb... cioè di forbici” si corresse arrossendo violentemente mentre cercava di fare chiarezza nella sua mente offuscata dalla fantasia di quelle dita sottili sulle proprie gambe.

Si allontanò in fretta chiudendosi la porta alle spalle e appoggiandovicisi sopra per riprendere fiato.

Se vestire Clavis aveva quell’effetto su di lui  che cosa sarebbe successo il giorno che l’avrebbe spogliato?

 

Quando tornò in camera lo trovò finalmente pronto.

Emise un sospiro di sollievo e lo fece accomodare dinanzi allo specchio.

Osservò con aria dispiaciuta le splendide ciocche scure prima di cominciare a tagliare.

Emettevano un fruscio delicato quando cadevano leggere spargendosi sul pavimento.

Dato che Clavis non aveva espresso opinioni in merito Allan decise che avrebbe tagliato solo il minimo indispensabile. Quand’ebbe finito prese una spazzola dal comodino e la fece scivolare tra i capelli neri e lisci trattenendo a stento l’impulso di passare le dita tra quelle tenebre dai riflessi notturni.

Il Dio rimase immobile, lasciandosi pettinare in silenzio, finché Allan non terminò di intrecciargli i capelli con un lungo nastro di seta viola dai riflessi blu così simili a quelli naturali di quelle ciocche incredibili.

“Ecco fatto!” disse soddisfatto osservando la lunga treccia che arrivava fino ai polpacci del Dio. Clavis scosse la testa lentamente come a saggiare la mancanza di quel lunghissimo strascico nero a cui ormai era abituato ma non disse niente.

“Bene manca soltanto una cosa adesso” disse portandosi davanti al moro e aprendo una scatolina scura prima di allungare le mani per sciogliere la fascia di seta nera che Clhavishineriyas aveva legato attorno agli occhi per impedire alla luce del giorno di ferirli e a se stesso di aprirli liberando la maschera e, con essa, il suo potere.

Il Dio della Morte fece scattare entrambe le mani verso l’alto bloccando i polsi di Allan che arrossì involontariamente ritrovandosi suo prigioniero.

I loro visi erano così vicini che poteva sentire il respiro fresco di Clavis sfiorargli la guancia.

Allungò inconsciamente il volto verso il suo prima di ritrarsi in fretta imponendosi di mantenere la calma.

Clavis sciolse la fascia di seta poggiandosela in grembo e prese, tenendo le palpebre abbassate, gli occhiali dalla lente a specchio che l’altro gli porgeva.

Li rigirò per un momento tra le mani candide mentre la montatura metallica prendeva a scintillare pervasa dal suo potere.

Leggero, quasi impercettibile, Allan avvertì un piccolo tintinnio quando il Dio li indossò.

Clavis sollevò le palpebre dietro le lenti che impedivano ad Allan di scorgere le sue iridi incredibili, spostando lo sguardo su di lui.

Doveva aver fatto qualche incantesimo agli occhiali dato che il Dio dell’Amore non avvertì il potere dell’altro riversarsi su di lui.

“Biondo” commentò con voce incolore il moro, allungando una mano per passarla con curiosità tra i capelli ondulati di Allan che trattenne violentemente il fiato.

“Pe.. perchè scusa non l’avevi notato prima?” gli chiese stupidamente, la mente scombussolata dal tocco leggero di quelle dita sottili.

Clavis allontanò la mano scuotendo le spalle.

“Quando indosso la maschera per me non siete che luci. Avete colori diversi, dimensioni ed intensità diverse ma siete tutti egualmente luce.”

Allan lo fissò stupito, in effetti quando l’aveva visto al castello Clavis aveva sempre indossato la maschera o tenuto gli occhi chiusi.

“E ora invece riesci a vedermi?” chiese curioso.

Clavis gli sorrise strappandogli il respiro dai polmoni.

“Sì, ora posso vederti” confermò posando le dita per una frazione di secondo sulla sua gota.

“Sei arrossito” constatò tranquillamente, osservando con curiosità la sua pelle dorata.

Allan tossicchiò imbarazzato sfuggendo il suo sguardo, mettendosi alle sue spalle e accompagnandolo dinanzi allo specchio.

“Allora che ne pensi?” disse indicandogli l’immagine che la superficie trasparente gli rimandava.

Clavis si osservò in silenzio alzando una mano per posarla sullo specchio quasi ad assicurarsi che quello fosse davvero lui.

“E’ così che mi vedi tu?” chiese perplesso indicandogli lo specchio.

Allan gli sorrise annuendo e Clavis tornò a fissarsi per un secondo prima di squadrare lui da capo a piedi.

“Non so...” mormorò confuso.

Allan osservò con aria critica il suo lavoro.

Era splendido.

Manteneva quell’aria regale anche con quegli abiti semplici e i capelli legati.

“Mi ricordi un po’ uno yakuza” gli disse con un sorriso.

“Cos’è uno yakuza?” chiese Clavis osservandolo da dietro le lenti scure.

“Un uomo che ammazza altri uomini... Tra le altre cose” gli spiegò.

“Allora credo che sia naturale che io assomigli a una di queste creature” commentò il moro con tranquillità provocando un brivido freddo lungo la schiena di Allan.

 

Giusta osservazione.

 

Lui era il Dio della Morte oltre ad essere quello della Vita.

Se l’era quasi dimenticato vedendolo con quegli abiti normali.

Quasi.

 

“Adesso non ci resta che fare la prova generale.”

“Prova generale?” chiese Clavis perplesso.

Allan annuì prendendolo per mano come se nulla fosse e trascinandolo al piano di sotto.

“Valery!” chiamò cercando la figlia per casa.

“Sono in giardino papà!” gli gridò la ragazza.

Allan la raggiunse in veranda e la trovò che disegnava, immersa in una moltitudine di fogli e tempere sparse un po’ ovunque.

“Vieni un attimo Valery c’è una persona che voglio presentarti!” la ragazza lo fissò stupita prima di seguirlo all’interno.

Sussultò quando vide l’elegante figura ferma dinanzi al camino.

Non aveva avuto modo di vedere bene il suo misterioso salvatore, la febbre le offuscava i sensi e, per quanto si sforzasse, i ricordi di quei momenti erano confusi, soffusi di una perlacea luce argentea che le impediva di scorgere i lineamenti dell’uomo eppure... quella sensazione... di pace e confusione, di tristezza e gioia... la stessa sensazione...

“Lei è il dottore che mi ha salvato!” esclamò andandogli incontro e tendendogli la mano. “La ringrazio tanto!!!!”

Clavis rimase un momento perplesso dinanzi alla mano tesa prima di allungare la propria e stringere quella della ragazzina che gli sorrise.

“Valery, Clavis si fermerà ad abitare da noi per un po’ spero che non ti dispiaccia” lo informò Allan.

Valery osservò il padre sorpresa ma annuì in fretta “Ma certo papà. Non ci sono problemi fa sempre comodo avere un medico in famiglia! Soprattutto se cucini tu.” Aggiunse con un sorriso birichino.

“Come ti permetti!!” si finse offeso Allan incrociando le braccia sul petto.

La ragazza rise allegramente prima di lanciare uno sguardo al grande orologio appeso al muro. “Cavoli è tardissimo! Devo andare o non arriverò in tempo!” esclamò.

“Sta attenta per strada...” si raccomandò Allan osservando la figlia raccogliere la propria borsa e uscire.

La osservò allontanarsi con un sorriso carico d’affetto “Quella ragazza è sempre di corsa”

“Una creatura piena di vita” commentò Clavis e Allan annuì.

“Non ti ringrazierò mai abbastanza per quello che hai fatto per me... ”

Clavis scosse le spalle a disagio, non era abituato a ricevere dei ringraziamenti, anzi non era nemmeno abituato a parlare con la gente, però con Allan si sentiva stranamente a suo agio.

“Vieni usciamo anche noi, c’è un parco poco lontano da qui” disse con un sorriso allegro conducendolo verso l’ingresso.

“Ti mostrerò un po’ di umanità”.

Clavis annuì e lo seguì in silenzio.

 

...

 

Fuori il sole era caldo ma una leggera brezza rendeva il passeggiare per le strade del quartiere piacevole.

Clavis camminava in silenzio guardandosi attorno con curiosità mentre Allan gli descriveva le abitudini umane, le poche persone che incrociavano non potevano fare a meno di voltarsi per fissare quei due uomini bellissimi che sembravano uno il negativo dell’altro.

Giunsero al parco dopo alcuni minuti e Allan si sedette su una panchina di legno facendo segno a Clavis di fare altrettanto. Poco lontano da loro alcuni bambini giocavano rincorrendosi, seguiti dallo sguardo vigile delle rispettive madri. Un gruppo di ragazze stava pranzando, chiacchierando allegramente, distese su un’ampia coperta su cui era stesa una cartina spiegazzata. Un cane passò accanto a loro correndo inseguito da una ragazza che sfrecciava in pantaloncini sui suoi roller blade mentre un vecchietto poco lontano leggeva il giornale su una panchina all’ombra.

“Ecco credo che tu qui abbia un vasto campionario di esseri umani da esaminare” gli disse Allan con un sorriso.

“Cosa stanno facendo?” gli chiese Clavis curioso.

Il Dio dell’Amore sorrise prendendo a descrivergli le varie attività degli esseri umani.

Il concetto di scuola e lavoro sembrava difficile da comprendere per il Dio ma ancor di più sembrava non capire il termine svagarsi.

“Hmm... vuoi dire che sono costretti prima a studiare per apprendere e poi a lavorare per sopravvivere?” chiese stupito e Allan annuì con un sorriso.

“Dev’essere stancante...” borbottò facendolo ridere e attirando su di se lo sguardo delle studentesse che, già da un po’, lanciavano occhiate ai due prima di tornare a confabulare tra loro.

“E’ per quello che appena possono gli esseri umani si riposano e si svagano” disse indicando con un gesto i bambini che si rincorrevano gridando.

“Ognuno di loro ha un modo particolare e tutto personale per divertirsi” gli spiegò e il moro annuì vagamente anche se non sembrava molto convinto.

 

Allan studiava le sue reazioni cercando di comprendere qualcosa della personalità di quel Dio solitario.

Se non era mai uscito dalla sala del trono che cosa faceva tutto il giorno in quella lugubre stanza vuota?

Possibile che gestire il suo potere gli richiedesse uno sforzo tale da impiegare tutte le sue energie? Che anche in quel momento dietro quei lineamenti indifferenti stesse lottando con quella forza antica?

Clhavishineriyas  conosceva le risposte a quelle domande o semplicemente si era lasciato incatenare in quel maniero cupo obbedendo silenziosamente al suo destino?

Soffriva per quella sua condanna o provava solo indifferenza come per tutto il resto?

 

“Sc… scusate”

 

Allan sollevò il capo allontanando quei pensieri per osservare la ragazza ferma dinanzi a loro.

Aveva parlato con un forte accento straniero.

La identificò subito come una turista.

Probabilmente si trattava di una ragazza in vacanza studio, la loro cittadina era rinomata per gli scambi culturali, era anche per quel motivo che l’aveva scelta. In quel luogo Valery avrebbe potuto imparare a vivere a contatto con persone dalle abitudini e dai modi diversi dai suoi senza crescere con troppi pregiudizi e schemi fissi.

“Io e le mie amiche volevamo chiedervi se possiamo farvi una fotografia” disse arrossendo violentemente.

Allan le sorrise gentilmente provocandole un principio di svenimento.

“Non siamo abitanti tipici del luogo...” le disse “...ma se ti fa piacere…”

La ragazza non se lo fece ripetere due volte e allontanatasi di pochi passi inforcò la sua macchina fotografica.

“Che cosa fa?” gli chiese Clavis mentre osservava stupito la ragazza armeggiare con una scatolina nera.

“Vuole farci una foto” gli disse Allan “Prende un’immagine di noi” spiegò poi quando vide Clavis corrugare la fronte. “E perché?” gli chiese sollevando un sopraciglio sorpreso.

Allan sorrise “Probabilmente perché le piace il nostro aspetto” il rumore del flash  li distrasse entrambi.

La ragazza li ringraziò con le guance in fiamme prima di tornare dalle sue amiche che l’aspettavano trepidanti.

“Sembra una cosa molto importante qui.”  mormorò Clavis riflettendo.

“Che cosa?” chiese Allan non comprendendo.

“L’aspetto” spiegò Clavis.

“Bhe la prima impressione la si riceve sempre dall’aspetto esteriore con cui ci si presenta dinanzi agli altri, questo lo facciamo anche nel Dominio del Cielo”

“Davvero?” gli chiese Clavis stupito.

“Certo”

Oh” mormorò soltanto, tornando a voltarsi per seguire il volo di un uccello poco lontano.

“Cosa vuol dire ‘Oh’?” gli chiese un po’ preoccupato Allan.

“Credevo che per voi fosse diverso” mormorò e Allan arrossì di fronte a quella semplice constatazione.

Non ci aveva mai pensato ma Clavis aveva ragione.

Lui era rimasto incantato dalla sua bellezza prima che da qualsiasi altra cosa.

Ma per Clavis che fino ad allora aveva vissuto in un mondo di tenebra dovendo tenere gli occhi chiusi per non liberare il suo potere e indossando la maschera quando li apriva, era diverso.

Per lui la parola ‘bellezza’ non aveva lo stesso significato.

Rimasero a lungo seduti in quell’angolo del parco mentre Allan gli illustrava le varie abitudini umane, i loro ritmi così diversi da quelli del mondo divino.

Il sole aveva cominciato a tramontare quando il Dio dell’Amore smise di parlare.

“E’ meglio andare ora, Valery si chiederà che fine abbiamo fatto” mormorò e Clavis annuì in silenzio.

Sembrava nervoso... bhe lui non era certo abituato a tutta quella confusione, probabilmente aveva bisogno di un po’ di calma per mettere ordine nei suoi pensieri.

Una volta giunti, in silenzio, a casa lo accompagnò nuovamente al piano superiore

“Questa sarà la tua stanza” gli disse aprendo una porta che dava su una sobria camera da letto.

“Sei libero di fare quello che vuoi qui Clavis però ti prego, Valery non sa niente di noi e non voglio che sappia niente.”

“Va bene” sussurrò il moro, Allan si voltò per uscire dalla stanza prima di fermarsi sulla soglia

“Ceniamo alle otto, di solito, se ti va di unirti a  noi…” lasciò la frase in sospeso uscendo chiudendosi la porta alle spalle.

Clavis emise un flebile sospiro andando a sedersi su una piccola poltroncina davanti ad una scrivania vuota.

Gli mancava l’ululato del vento e il freddo della pietra del suo castello.

In quella casa, in quel mondo, c’erano troppi oggetti, troppa tappezzeria, per non parlare della confusione... anche ora che la porta e la finestra della sua camera erano chiuse poteva avvertire le voci e le risate dei mortali seduti in giardino, la melodia di una radio, il canto di alcuni uccelli che svolazzavano fuori dal vetro della finestra.

Eppure se in un certo senso lo innervosivano, tutti quei suoni riempivano anche il suo animo di una strana sensazione di appartenenza che non aveva mai provato.  

Abbassò la tapparella immergendo la stanza nella penombra, tolse gli occhiali da sole e liberò lentamente gli occhi dalla costrizione in cui il suo incantesimo li aveva bloccati.

 

Vedere come un essere umano.

 

Vedere come vedevano tutti gli altri.

Scoprire il suo aspetto gli aveva fatto uno strano effetto.

Non aveva mai pensato a se stesso se non in termini di una qualche entità indefinita seppure fosse conscio di avere un corpo materiale.

Assomigliava ad un essere umano.

 

Era strano.

 

Non se l’era aspettato.

 

Come non si era aspettato di provare quella strana sensazione quando aveva guardato Allhanirayas.

Il Dominio degli Uomini si presentava scolorito alle sue iridi così abituate all’abbagliante luce multicolore delle anime però aveva un suo fascino, catturava la sua curiosità e il suo interesse.

 

Interesse...

 

Lui che non conosceva altro sentimento che l’indifferenza.

 

Lasciò che la maschera gli scivolasse sul volto candido mentre il suo potere ruggiva finalmente libero dalla prigionia in cui l’aveva costretto per tutta la mattinata.

Era difficile tenerlo rinchiuso e ancor più difficile era controllarlo una volta libero.

Si passò una mano sul volto gelido con stanchezza.

A lui non era concesso di svagarsi come agli esseri umani, non poteva smettere mai di esercitare quel ferreo controllo su se stesso pena l’annullamento di tutto.

A volte aveva davvero ponderato quell’idea.

Si alzò e andò a sedersi sull’ampio materasso del letto matrimoniale. Ne saggiò le coltri con la mano, non aveva mai dormito su un letto, seppure nel suo castello non mancassero le stanze non era mai uscito dalla sala del trono.

Si chiese per la prima volta che cosa contenevano quelle camere che non aveva mai aperto.

Non aveva mai avuto la curiosità di farlo.

Non c’era mai stato niente che l’avesse colpito così forte da spingerlo ad alzarsi dal suo scranno di gelida pietra.

 

Nulla che valesse la pena.

 

Niente finchè non era giunto il Dio dell’Amore.

 

Con la sua luce.

 

La sua forza.

 

A strapparlo dalla sua apatia.

 

Le lenzuola risultarono fresche e morbide al tatto. Vi si distese sopra e chiuse nuovamente gli occhi facendo scomparire la maschera che gli attanagliava le carni.

Fece scivolare lentamente una mano fino a posarla sul petto ed emise un flebile sospiro.

 

Di tutti gli Dei proprio l’unico che era in grado di renderlo vulnerabile era andato da lui.

 

Stai giocando con me?” chiese a voce alta rivolto al soffitto bianco di quella camera silenziosa.

 

Sotto le sue dita il suo cuore batté un unico colpo sordo.

 

Clavis scosse il capo e poco dopo si addormentò profondamente.

 

continua....                                                                                       

 

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