L'uke allo sbaraglio 1                                                      Back to Original  Back to Home

 

Quando Karl Leiner, secondo anno, era stato convocato nell’ufficio del Professor Drenan Drake aveva temuto il peggio.

Drenan non era un uomo che perdeva tempo, tanto meno con gli studenti, e quindi una sua convocazione poteva voler dire solo una cosa: guai.

Karl lo sapeva molto bene, seppur senza averlo mai provato sulla sua pelle.

Drake aveva una certa fama, se così la si poteva chiamare, all’interno dell’istituto e, non ne dubitava, anche all’esterno.

Pertanto, come tutti gli altri, Leiner cercava di comportarsi al meglio, o quantomeno di nascondere attentamente le sue malefatte, perchè dalla porta di quell’ufficio si sapeva come si entrava ma mai come se ne usciva.

Il loro professore di biologia aveva un modo molto “artistico” di punire i trasgressori alle semplici regole dell’accademia.

Karl ricordava ancora il suo ex compagno di corso, Greg Saltari che, solo l’anno prima, era stato beccato mentre fumava, dietro la scuola.

Il poveretto era entrato nell’ufficio di Drenan alle dieci del mattino ma ne era uscito solo alle sei di sera!

Ed era scarmigliato e rosso di vergogna.

 

Aveva zoppicato per quasi due settimane.

 

Karl aveva avuto il buon senso di non chiedere che cos’era accaduto dietro quell’uscio di legno scuro, ma poteva, anche se decisamente non voleva, immaginarlo.

Tuttavia lui non aveva mai dovuto temere un richiamo dal loro terrificante Responsabile della Disciplina poichè era risultato il migliore della sua classe in ben due discipline sportive, se la cavava discretamente nello studio e aveva la stima di un buon numero di studenti, tanto che, pur essendo una matricola, l’anno prima gli era stato chiesto di entrare nel consiglio studentesco. Proposta che lui aveva cortesemente rifiutato. Non amava le responsabilità, era un ragazzo pacato e tranquillo a cui non importava emergere e a cui non piaceva attacar briga. E, visto che il suo ragguardevole metro e ottanta e la sua muscolatura possente, non suscitava, in chi che fosse, la voglia di prendersela con lui, fino a quel momento la sua vita scolastica era stata relativamente piacevole.

Era quindi diviso tra reverenziale timore e insana curiosità quando aveva bussato alla porta maledetta, sentimenti che si erano velocemente tramutati in sospetto e poi in panico quando aveva incontrato il sensuale, sornione, sorriso con cui Drake lo aveva invitato ad entrare.

L’insegnante era stato rapido e preciso, come sempre: era arrivato un nuovo studente e avrebbe diviso la stanza con lui, era suo dovere di compagno “anziano” occuparsi del ragazzo.

 

Niente di strano.

Niente di nuovo.

 

Era prassi comune affiancare alle matricole dei ragazzi più grandi per aiutarli ad inserirsi nel mondo dell’accademia.

Questo almeno in teoria.

In realtà lo scopo di quegli accoppiamenti era schiavizzare la matricola fino allo sfinimento per temprarne il carattere.

A Karl era accaduto lo stesso l’anno prima quando lui era la matricola.

La notizia non giustificava che l’Altissimo, come qualcuno chiamava Drenan, si fosse scomodato a riferirgliela personalmente.

Quindi, dov’era l’inganno?

 

“Sì tratta di uno studente... speciale

 

La sospensione, seppure infinitesimale, nella frase, aveva avuto il potere di far venire la pelle d’oca al ragazzo.

Speciale?

Speciale in che senso?

Era figlio di qualche pezzo grosso del governo?

Magari era il primogenito di qualche famiglia nobile?

No, se così fosse stato la voce sarebbe già girata a scuola.

 

Dunque?

 

Karl non si era azzardato a chiedere spiegazioni, sarebbe stato folle da parte sua, ma si era concesso di sollevare un po’ lo sguardo per incontrare quello grigio dell’insegnante.

Quello che aveva visto gli era bastato.

La luce che era lampeggiata in quelle iridi d’acciaio aveva qualcosa di pericolosamente divertito e minacciosamente interessato.

 

Dunque era “speciale” in quel senso.

 

“Mi occuperò di lui personalmente, Signore!” aveva detto con voce chiara e decisa, come gli era stato insegnato, riuscendo appena in tempo a non farla tremare quando aveva visto il sorriso da squalo che aveva tirato le labbra di Drake a quella sua risposta.

Aveva sentito, quasi distintamente, il suono della tagliola che si chiudeva.

Era in trappola.

Drennan lo aveva fregato, non sapeva ancora come, ma era certo di essere fregato.

“Ottimo” aveva mormorato l’uomo, con il tono basso e soddisfatto di un leone che ha agguantato la preda e si appresta a divorarla “Puoi andare”.

 

E Karl se n’era andato.

 

O, per dirla meglio, era dignitosamente fuggito.

E ora, mentre il sole tramontava sanguigno dietro i grandi finestroni del corridoio, si trovava di fronte alla porta chiusa della sua camera, nell’ampio dormitorio maschile, chiedendosi chi avrebbe trovato dietro quell’uscio.

 

Per suscitare l’interesse di Drake doveva essere un tipo spaventoso!

 

Come minimo doveva aver già ucciso una o due persone e probabilmente, prima di farlo, le aveva torturate!

Trasse un profondo sospiro e posò la mano sulla maniglia.

Non aveva molta scelta: o faceva quello che gli era stato ordinato o cambiava scuola, sperando che i tentacoli del professore non avessero potuto raggiungerlo in quella nuova.

Drake Drenan era conosciuto per essere influente praticamente ovunque, ed essere altrettanto vendicativo!

Non si sfuggiva a lui.

Si poteva sfuggire alla giustizia, al fisco, a volte persino alla morte... ma a Drake Drennan: no.

 

Karl raddrizzò le spalle, serrò la mascella e strinse i pugni.

Era uno studente del secondo anno ormai.

Uno studente della S.E.M.E.

Era addestrato a quasi tutto e pronto a fronteggiare ogni situazione.

Serial killer o peggio, la matricola con lui se la sarebbe vista brutta.

“Entro fine mese lo trasformerò in un agnellino!” promise a se stesso e poi aprì la porta, deciso.

 

La prima cosa che vide fu il trolley.

 

Un enorme trolley.

Per la precisione un enorme trolley... ROSA!

Anzi no, non solamente ROSA.

ROSA CONFETTO e con stampato sopra un grosso Hello Kitty tutto di strass scintillanti!!

 

C’era qualcosa di profondamente sbagliato.

Di assurdamente sbagliato.

Rimase per un momento paralizzato, poi provò a sbattere le palpebre un paio di volte, e, quando l’abominio non scomparve, tentò con il classico pizzicotto sul braccio con il solo risultato di farsi un gran male.

 

Il trolley restava.

Ed era ROSA!

Lì, vicino al letto che solo il giorno prima era stato libero.

Ed era ROSA!!

 

“Oh ciao!”

 

La vocina musicale e dolcissima che con tanta, candida, familiarità lo apostrofava non poteva appartenere a nessuno degli studenti della S.E.M.E.

Ad un bambino forse o ad una ragazzina ma decisamente non ad uno dei suoi compagni di corso.

Tanto meno non al “serial killer”.

 

Doveva esserci un errore di qualche tipo.

Forse era la stanza sbagliata... forse era la dimensione sbagliata.

 

“Tu devi essere Karl Leiner” cinguettò la stessa voce “Da oggi siamo compagni di stanza!”

 

No, il nome era giusto e quindi doveva esserlo anche la stanza... restava sempre l’opzione dello spazio parallelo.

Non può essere come sembra, si rassicurò mentalmente, e... fece il più grande errore di tutta la sua giovane vita: distolse lo sguardo dal trolley ROSA, su cui i suoi occhi increduli erano rimasti piantati fino a quel momento, e lo spostò sul proprietario della vocina.

 

Enormi occhi azzurro cielo, morbidi capelli biondo cenere, un visetto a cuore, lievemente arrossato su cui campeggiava un timido sorriso.

Dimostrava quattordici, al massimo quindici, anni.

E indossava una specie di tuta da ginnastica.

I pantaloni, un po’ troppo lunghi, gli si arrotolavano sulle caviglie, la felpa, con tanto di cappuccio, sollevato a poggiare sulla massa di ciocche bionde, sembrava anch’essa troppo ampia per lui.

O forse era il ragazzino ad essere semplicemente troppo minuto per qualsiasi abito normale.

Ma per il momento Karl scartò quelle considerazioni, in effetti in quel momento non sarebbe riuscito a fare nessuna considerazione, a dirla tutta, probabilmente, non avrebbe potuto fare neanche un semplice due più due.

 

Perchè la tuta del ragazzino era ROSA.

 

Rosa senza possibilità di scampo od appello.

Un bel rosa confetto, come quello del trolley, con intricati inserti bianchi lungo le gambe e le maniche, e, sul davanti, all’altezza del cuore, uno stilizzato CONIGLIETTO BIANCO.

E non era tutto!

Il cappuccio della felpa era dotato di due lunghe, pendule, orecchie, ovviamente... ROSA!

E, a completare il quadro il ragazzo indossava un paio di paffute, morbidissime, ciabatte a forma di CONIGLIETTO R.O.S.A!

 

No, non era come sembrava... era PEGGIO!

 

Karl aprì la bocca e poi la richiuse.

Ci riprovò di nuovo ma non ottenne miglior risultato.

 

Non poteva essere vero.

Non poteva esistere una creatura del genere.

Non in quella scuola comunque!

 

“Tu...tutto bene?” pigolò il piccolo, confuso e leggermente spaventato dal suo atteggiamento, fissandolo con i grandi occhi azzurri leggermente sgranati.

Karl ancora non riusciva a parlare e il ragazzino abbassò, mogio, il capo.

“Io...” mormorò piano, prendendo a cincischiare tra le mani, che a malapena spuntavano dalle maniche della felpa, uno dei lunghi orecchi da coniglietto che gli era piovuto davanti al viso “Io, lo so che non sembro...” tentò di dire ma la voce gli si incrinò pericolosamente e dovette interrompersi, serrando i pugni per poi trarre un profondo, tremante, respiro.

“Io mi sono iscritto a questa scuola perchè voglio diventare un vero uomo!” sentenziò sollevando il visetto arrossato, di scatto, piantando gli oceani blu, umidi ma scintillanti di determinazione, in faccia all’altro, ignorando stoicamente le due scie di lacrime che già gli correvano sulle guance.

 

Karl lo fissò immobile, incredulo e poi, d’un tratto, parve ricordare di essere dotato di un corpo e cominciò a guardarsi attorno.

Si avvicinò alla porta, controllò lo scaffale sopra il suo letto, aprì le ante dell’armadio e i cassetti del comodino, arrivò fino alla porta del bagno per poi tornare indietro.

 

No... niente telecamera.

 

Ma doveva essere uno scherzo!

Quello scriccioletto che, incredibile ma vero doveva avere almeno diciannove anni, quindi un anno solo meno di lui, non poteva essersi davvero iscritto alla sua scuola!

Insomma c’erano milioni, miliardi di università al mondo, certo non tutte prestigiose come la S.E.M.E. ma...

MA!

 

“Ti prego!” mormorò il ragazzino facendo un passo verso di lui e prendendogli le mani.

Erano così piccole, candide e morbide, rispetto alle sue!

“Se tu mi aiuterai sono certo che diventerò un vero duro!” disse con un cenno deciso del capo che fece ballonzolare le orecchie da coniglietto.

 

Karl aprì bocca ed emise un verso vago.

 

Impossibile.

 

Quello?

Un duro?

Come no?

Il giorno in cui l’Antartide si fosse sciolta o il Sahara si fosse congelato!

Meglio ancora: il giorno in cui Drake Drenan sarebbe stato uke!

 

Aveva tentato di dirglielo.

Ma gli era uscito solo quel suono distorto.

Era senza parole... letteralmente.

Ma il ragazzino parve fraintendere perchè il suo visetto adorabile s’illuminò di pura gioia e, prima che Karl avesse modo di capire che stava facendo, si alzò sulla punta dei piedi e gli scoccò un bacio sulla guancia.

“Grazie! Grazie!” trillò felice.

 

Karl era una statua di sale.

L’aveva ba... ba... ba...

Non riusciva nemmeno a formulare il pensiero!

 

“Oh ma che stupido! Non mi sono ancora presentato: io sono Luke, Luke Rapeme!” esclamò l’altro non cogliendo lo stato del compagno di stanza, saltellando poi, allegro, fino alla sua valigia.

 

Fortunatamente si era appena voltato, per aprirla, quando il cervello incenerito di Karl analizzò il significato del suo cognome.

Rantolò, boccheggiò e ponderò quanto poco virile sarebbe stato svenire prima di riuscire a riprendere un barlume di controllo su se stesso e tornare a fissare lo “studente speciale” che Drenan gli aveva affidato.

Quel lurido figlio di... pensò tra sé e sé, prima che il fiato gli venisse completamente strappato di gola.

 

Credeva di aver visto tutto ormai.

Credeva che peggio di così...

 

Si sbagliava.

 

Luke si era chinato sulla sua valigia e vi stava rovistando dentro con foga, il viso e le mani mezze affondate nell’involucro e il sedere per aria, sodo, tondo, fasciato di rosa, che sventolava proprio sotto il suo naso.

 

E lì, in mezzo, tra i glutei, c’era... un grosso pon-pon bianco.

 

Non solo la maglia della tuta aveva le orecchie, i pantaloni avevano la coda!

 

“Trovato!” esclamò Luke rialzandosi di scatto, voltandosi poi verso di lui per tendergli, festoso come un cucciolo che accoglie il suo padroncino, un coniglietto di pelusche azzurro.

Karl guardò il pelusche, guardò Luke e notò che ne aveva uno identico a quello che gli tendeva, ma, ovviamente, rosa, tra le braccia.

“Lui è Ci!” esclamò Luke invitante, continuando a tendergli il coniglietto azzurro “Questo rosa invece è Puc” disse indicandogli il proprio “Insieme sono PucCi! Sono fratellini! Fanno parte della mia collezione, ma te ne regalo uno così avremo qualcosa di uguale!” gli spiegò con voce carica di infantile entusiasmo.

 

Karl guardò Pika e Ciù, o come cavolo si chiamavano, e poi si chiese se aveva controllato davvero bene... magari sotto il letto, o dietro l’armadio... DOVEVA ESSERCI UNA TELECAMERA!!

 

“Non lo vuoi?” pigolò Luke riportando l’attenzione dell’altro su di se, il labbro che cominciava preoccupantemente a tremare, gli occhi azzurri, enormi, piantati nei suoi.

 

Bene e ora?

 

Si chiese Karl immobile.

Che cosa doveva fare?

Drenan gli aveva “affidato” quello che evidentemente poteva essere solo il suo giocattolino e questi gli stava offrendo un pupazzetto.

 

E stava per mettersi a piangere.

 

Correva il rischio che lo scricciolo andasse a singhiozzare da Drenan?

Il pazzo sadico poteva essere un riferimento per quella creatura dolce e tremante?

Gli sembrava davvero improponibile ma non poteva giocare d’azzardo.

 

Di sicuro il professore se la sarebbe presa con lui!

 

Quindi allungò la mano, come un robot, e prese il coniglietto azzurro gracchiando qualcosa che si poteva vagamente decifrare come un: “Grazie”

Luke lo ricompensò con il più luminoso dei suoi sorrisi e, per un momento, il cuore di Karl fece una capriola, temendo che il piccolo lo baciasse di nuovo.

 

O sperando che lo facesse?

 

Fu la volta dello studente più vecchio di sgranare gli occhi.

Ricordava ancora il tocco delicato, morbido, caldo di quelle labbra che ora si aprivano per lui in un sorriso di tenera gioia.

 

No, si disse, assolutamente no.

 

Luke era proprietà di Drake Drennan e solo un uomo che desiderasse una morte lenta, dolorosa e terribile, avrebbe allungato le mani su di lui.

No, Luke Rapeme era territorio vietato.

 

Per lui e per ogni altro studente dell’accademia.

 

Quel pensiero gli fece girare la testa.

Gli altri studenti!

Ci pensava ora per la prima volta.

Si lasciò cadere sul proprio letto sotto lo sguardo confuso e curioso del suo nuovo compagno di stanza.

 

Avrebbe dovuto difenderlo dall’intero corpo studentesco!

 

“Sono molto stanco” disse con voce atona, deponendo il coniglietto sulla mensola sopra il suo letto per prendere poi dal cassettone un cambio d’abito e dirigersi al bagno.

 

Aveva bisogno di una doccia.

Una doccia calda e una bella dormita.

 

Con il nuovo giorno tutto gli sarebbe sembrato migliore.

Si voltò verso Luke che aveva preso a trarre i vestiti dalla sua valigia per riporli nell’armadio.

Rosa, rosa, bianco e ancora rosa.

C’era qualcosa di giallino e qualche macchia di tenue azzurro.

Intravide altre orecchie e forse delle code.

 

Domani, si disse, sentendo la testa girare, ci penserò domani.

 

Posò la mano sulla maniglia della porta del bagno e poi ci ripensò voltandosi: “Non uscire di qui!” intimò all’altro.

Luke inclinò il capo facendo penzolare un orecchio rosa ma si limitò ad una piccola frullata di spalle ed ad un cenno del capo.

“Domani ci alzeremo all’alba, va a letto presto!” gli ordinò e poi, deciso che, per quella sera, aveva fatto anche troppo si infilò in bagno.

 

Quando Karl uscì, leggermente più calmo e un po’ rasserenato, vide che Luke si era obbedientemente infilato sotto le lenzuola e dormiva beatamente.

Il ragazzo del secondo anno fece del suo meglio per ignorare il fatto che l’altro dormiva abbracciato al coniglietto rosa e che indossava un pigiama giallo ad orsacchiotti marroni.

Riuscì persino a fingere di non aver visto la trapuntina di Winnie the pooh che il ragazzino aveva steso sopra il proprio letto.

Mi serve solo un po’ di allenamento per abituarmici, si disse, e si infilò risolutamente sotto le coperte, voltando le spalle al ragazzino, ordinandosi di addormentarsi.

 

Domani, si ripetè, domani tutto questo mi sembrerà migliore.

 

Karl non pregava molto, normalmente, ma quella sera si addormentò, supplicando con fervente ardore, di avere ragione.

Tuttavia scoprì, poche ore più tardi, quanto poteva essere capriccioso il fato: era quasi mezzanotte quando si svegliò con qualcosa di caldo, morbido e profumato, che gli si strusciava affettuosamente contro.

Sobbalzò sbarrando gli occhi, scorgendo a fatica la piccola sagoma scura del suo compagno di stanza accoccolarsi tra le sue braccia con un sospiro soddisfatto e un mormorio indistinto.

“Lu... Luke?” gracchiò con una vocina isterica che fece fatica a riconoscere come propria.

In tutta risposta l’altro gli porse un sorrisone ad occhi chiusi e gli fuseggiò qualcosa nell’orecchio prima di strofinare il naso contro il suo collo e nascondere il viso contro la sua spalla.

 

Domani, si era detto, domani tutto gli sarebbe parso migliore.

 

L’orologio scandì le dodici mentre Karl rimaneva immobile, nel proprio letto, lo sguardo sbarrato puntato sul soffitto, il tepore del corpicino di Luke contro il proprio fianco.

Luke Rapeme, il suo nuovo compagno di stanza, segni particolari: troppo piccolo, troppo carino e... SONNANBULO!

 

continua...

 

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