Il mio capo va a Puttane                                 Back to Original  Back to Home

Il mio capo va a puttane.

O a gigolò. A prostituti. Ad host.

Insomma chiamateli come volete ma PAGA dei MASCHI per farci SESSO.

E, lasciatemelo dire: questo non ha assolutamente senso!

Perché il mio capo è un metro e novanta di muscoli dorati scolpiti da una vita passata a nuotare, a livello agonistico fino alla fine dell’università, e in modo amatoriale poi. Dimostra trenta dei suoi quarant’anni e la leggera brizzolatura che gli schiarisce i capelli neri vicino alle tempie non sminuisce il suo fascino, anzi!

E vogliamo parlare di quei due occhi grigio acciaio che si ritrova? Vogliamo parlarne?!

O di quel suo mento volitivo? O del naso aristocratico? Per non menzionare poi quella sua bocca sempre così seria, tanto seria che ipotecheresti un rene pur di vederla piegarsi in un sorriso anche se, di certo, su quel sorriso dovresti lasciare il cuore d’interessi.

Ebbene sì, ho preso una sbandata per il mio capo.

Un tir con rimorchio doppio e a pieno carico, questo rende meglio l’idea.

E lui… va a puttane!

Cioè, cercate di capirmi!

E’ un ingiustizia mondiale! Intergalattica! Cosmica!

No, no, non fate quelle facce so cosa state pensando.

 

Punto numero uno: lui non sa nemmeno che esisto.

 

Nell’enorme grattacielo che è la sede della Unicorn, la società fondata da suo nonno, la disposizione dei piani indica anche la tua importanza nell’organigramma aziendale.

Al primo la reception e la mensa, al secondo gli uffici, più su la ricerca & sviluppo, poi le vendite e il marketing salendo via via fino al ventunesimo dove regna lui e la donna più invidiata sulla crosta terrestre: la sua segretaria.

Ebbene in questo enorme complesso domandatemi dove lavoro io.

Su, su domandatemelo…

Io sto nell’interrato!

Neanche al piano terra! SOTTO!

E’ qui che c’è il parcheggio per i dipendenti della Unicorn ed è qui che il furgoncino della posta scarica i suoi sacchi di buste, incartamenti, pacchetti e documenti che poi io suddivido in ordinate pile che provvedo a consegnare nei vari uffici alla “guida” del mio unico collega di lavoro: un carrellino di metallo che assomiglia a quello dei supermercati anche se con una pretesa di professionalità in più.

E, prima che vi facciate delle illusioni, la sua posta la ritira la segretaria!

Cominciate a capire?

La mia laurea, seppur breve, in economia è un bel pezzo di carta incorniciato ed appeso nel salotto dei miei.

Ah, OVVIAMENTE vivo ancora con i miei.

Quando mai si è visto un fattorino che guadagna abbastanza per comprarsi, o anche solo affittare, un appartamento?

Non che io mi possa lamentare troppo, sia chiaro. Con la recessione che c’è in questo periodo è un lavoro dignitoso con un orario umano e uno stipendio passabile.

Senza contare il bonus di potermi acquattare in un angolino ed aspettare che lui venga a riprendersi la macchina. La mia silenziosa sbavatina quotidiana.

Sì, sì, sono cotto a puntino. Persino un po’ bruciacchiato!

 

Punto numero due: lui va SOLO a puttane.

 

E’ una cosa che inizialmente trovavo assolutamente inspiegabile.

Credo che lo faccia perché non vuole una relazione seria e perché i suoi soldi fanno gola a troppa gente pronta a giurare amore eterno fino a cinque nanosecondi prima della firma del contratto prematrimoniale.

E poi, non fraintendete, non è che lui si fermi a tirare su i ragazzi sul ciglio della strada.

Nossignori.

Lui frequenta un club.

‘Blu Prince’ si chiama.

Anche il nome è elegante.

Una cosa esclusiva, riservatissima e, ovviamente, mostruosamente costosa.

Ognuno dei… come li vogliamo chiamare? Ognuno di quelli insomma, guadagna in una sera quello che io racimolo in un anno.

E, come potete facilmente intuire, sono uno più assolutamente magnifico dell’altro.

Oltre, immagino, ad essere dotati di tecniche sconosciute a noi comuni, e pudici, mortali.

 

Cominciate a capire?

 

Le speranze del sottoscritto sono ZERO.

Tonto tondo senza neanche un angolino in cui nascondere una speranza od un utopica fantasia.

 

O almeno così credevo prima della BUSTA.

 

Non una busta.

LA busta.

Cartoncino azzurro di alta qualità con l’indirizzo del destinatario elegantemente vergato in argento.

Chiunque riconosce quel tipo di buste al primo sguardo, figurarci io che sono uno ‘del settore’.

Un invito.

Uno dei tanti.

Il grande capo ne riceve continuamente, di tutti i tipi.

Avevo già cominciato a notare questi perché non avevano mittente.

E facevano sembrare gli altri dei meri depliant pubblicitari del supermercato.

C’era una classe, un altera, consapevole, superiorità in quelle buste azzurre che le faceva spiccare come una rosa candida in un campo di papaveri.

Ne erano già arrivati altri.

A dir la verità arrivavano con una certa regolarità.

E mi sarei tenuto la curiosità a vita se non che LA busta, quella della svolta, è arrivata aperta.

Per un fortuito caso del fato il sacco della posta che la conteneva aveva preso la pioggia. Più un diluvio in piena regola per essere precisi. Il cartoncino aveva tentano una strenua resistenza ma alla fine aveva dovuto cedere e si era sfaldato permettendo all’unico altro essere umano che ha accesso alla posta del capo, oltre alla sua segretaria, e, ovviamente lui stesso, di scorgerne il contenuto.

 

Non era un invito.

Era un promemoria dell'appuntamento fissato con uno di quelli.

E’ così che ho scoperto come si chiamava il club e ho avuto la certezza che la conversazione che avevo casualmente origliato (casualmente sia chiaro, non è che fossi lì, a perder tempo con la posta, nella speranza di ascoltare la sua voce da dietro la porta chiusa), tra lui e la sua segretaria, aveva davvero il senso che vi avevo dato io.

 

Il mio capo andava a puttane.

Pagava sul serio qualcuno perché uscisse con lui!

 

Dal “giorno della busta” sono diventato un esperto.

Le prime volte era difficile ma ormai potrei farlo ad occhi chiusi.

Conosco quel cartoncino azzurro così bene che ho pensato di dargli un nome. Ok, ok, non v'interessa, comunque sfido chiunque a capire che le buste sono già state aperte quando arrivano a destinazione!

Sì, è illegale, lo so.

Ma sapete come recita il detto: in guerra e in amore tutto è permesso!

E poi così ho scoperto diverse cose interessanti.

Tanto per cominciare il mio capo diversifica molto i suoi amanti.

I nomi sui cartoncini raramente si ripetono e se accade è sempre con lunghi intervalli di tempo nel mezzo, inoltre il più delle volte l’appuntamento non è a casa sua o in un hotel.

Li porta a cena, a teatro, con alcuni va pure in vacanza.

Vita infame!

Io spasimerei per stargli a meno di tre metri di distanza e lui PAGA per portarli alle Maldive una settimana!

Non trovate anche voi che sia MOSTRUOSAMENTE ingiusto?!

Ho spiato alcuni dei loro incontri.

Sapevo a che ora si erano dati appuntamento, e dove, così ho deciso di togliermi la curiosità e di vedere che ‘tipo’ gli piace.

Somma tristezza, avevo ragione: sono uno più bello dell’altro.

Sono invece rimasto colpito dalla loro diversità somatica.

A quanto pare il mio capo si potrebbe definire ‘onnivoro’.

Non sembra esserci un ‘tipo’ che preferisce in modo particolare.

Questo non esclude nessuno ma non mi aiuta neanche, se avessi scoperto che gli piacevano i biondi avrei sempre potuto provare a tingere i miei banali capelli castani nella speranza di farmi notare da lui, se avessi capito che amava gli occhi azzurri avrei potuto comprare un paio di lenti a contatto colorate per trasformare le mie iridi verde bosco in due distese di cerulea adorazione per lui.

Così sono punto e a capo invece.

O meglio potrei essere punto e a capo.

E invece… come potrei definirla?

Sono certo che un esperto del marketing troverebbe un’elaborata, elegante, perifrasi per spiegare la mia attuale situazione.

Ma io sono una persona semplice e non vi voglio tediare ulteriormente quindi vi dirò le cose esattamente come stanno.

 

Ho fatto una mastodontica cazzata!

 

Chiamatela follia, chiamatela disperazione, sul momento mi era sembrata un idea geniale anticipare l’appuntamento sul cartoncino di un ora (e non sapete la fatica per far sì che non si notasse la correzione) e presentarmi al posto del “Kevin” che avrebbe dovuto incontrare il mio capo.

Grande idea!

Un mese e mezzo di stipendio investito in un elegante completo e una seduta costosissima da un tizio che mi ha pettinato i capelli in modo da rendermi praticamente cieco (andranno anche di moda che cadono sugli occhi ma ho già chiesto scusa a cinque pali della luce da casa mia a qui) e che, oltre tutto, mi ha palpato il culo, sono serviti solo a farmi sembrare una brutta copia di una fotocopia venuta male di uno dei ‘ragazzi del club’.

 

Non ci crederà mai!

 

Senza contare un piccolissimo, insignificante, particolare.

Alle medie era tutto un studia-studia-studia.

Alle superiori anche era tutto un studia-studia-studia.

I tre anni di laurea hanno presentato l’eccitantissima variabile del studia-lavora part time-studia-lavora part time.

Appena mi sono laureato è cominciata la frenetica ricerca di un posto di lavoro.

E quando ho trovato occupazione è comparso lui e tutto il resto del mondo è diventato insignificante.

Risultato?

Al mio attivo ho qualche bacio, due carezze in croce e le palpate del parrucchiere di cui vi parlavo prima.

 

Non ci crederà M.A.I!

 

‘Un inaspettata situazione negativa da cui riemergere potrebbe risultare particolarmente difficile’.

Così direbbero quelli del marketing.

Tradotto?

Sono nella merda!

 

Ok adesso scappo!

 

“Ciao…”

 

Mi volto lentamente, sono sicuro di avere le guance in fiamme e gli occhi sgranati ma… è così bella la sua voce!

E parla con me!

E’ la prima volta che mi rivolge la parola.

 

Mi squaglio! Ma mi squaglio felice!

 

E mi guarda pure.

Quei suoi occhi grigi sono puntati su di me.

Mi vedono!

Mi vedono e… si scuriscono.

 

“Tu non sei Kevin…”

 

‘Un inaspettata situazione negativa…’ la traduzione la sapete già vero?

La mia bocca si muove in automatico a recitare la scusa che avevo preparato per questo momento.

“Sono Alec, Kevin ha avuto un contrattempo e hanno mandato me.”

Dargli il mio vero nome non mi preoccupa, di Alec ce ne sono un miliardo al mondo e non c’è modo per lui di risalire a me, al vero ‘me’ intendo.

Il suo sguardo scivola dalla punta delle mie scarpe alla testa, lentamente.

Deglutisco a vuoto.

Non c’è assolutamente nessuna possibilità che io passi per uno dei ‘ragazzi del club’.

Chiamerà l’agenzia per sapere perché gli hanno mandato un ragazzino troppo magro che dimostra a malapena diciotto dei suoi ventiquattro anni.

Loro gli diranno che Kevin si sta preparando per il loro appuntamento da lì ad un ora e io sarò fottuto!

Persino quelli del marketing avrebbero difficoltà a metterla giù con un giro di parole forbite.

“So..sono nuovo…” balbetto chiedendomi in preda al panico che cavolo sto dicendo “…hanno pensato che le sarebbe piaciuto qualcosa di… diverso” pigolo disperato.

“A lei piace cambiare!” aggiungo con quella che, più che un affermazione, sembra una supplica.

 

Il suo sguardo si fa ancora più scuro, nei suoi occhi lampeggia qualcosa che non riesco a riconoscere.

Sono finito.

Morto.

Defunto.

Eliminato.

Game over!

 

“E’ vero… mi piace cambiare” mormora e il sollievo che mi travolge è tale da illuminarmi come se mi avessero acceso una lampadina da mille watt nello stomaco.

Annuisco con enfasi, felice come un cucciolo di fronte al suo primo osso, prima di ricordarmi che nessuno dei ‘ragazzi del club’ si muove in maniera così poco elegante.

Devo stare attento a come mi comporto, sono un raffinato, esperto, e professionale gigolò adesso.

Sarei probabilmente più convincente se i capelli non mi fossero appena piovuti sulla faccia.

Sto per soffiarmeli via con nervosismo, senza considerare quanto poco “raffinato, esperto, e professionale” sia un gesto del genere, quando lui solleva una mano e me li scosta con delicatezza, portandomeli dietro l’orecchio.

 

Black out.

Addio cervello è stato un piacere conoscerti.

 

Mi ha toccato.

Lui mi ha toccato.

 

Non mi laverò mai più i capelli, e le orecchie e la guancia.

 

Lui mi ha sfiorato.

 

Lo guardo come la protagonista di uno shojo manga farebbe con il suo principe azzurro.

Riesco quasi a scorgere i fiori che sbocciano dietro le mie spalle mentre i miei occhi si riempiono di stelle e io mi esibisco nella mia miglior interpretazione di una triglia lessa.

Lui mi guarda perplesso per un istante, quasi sorpreso, poi le sue labbra si piegano in un morbido sorriso che ha qualcosa di dolce e una punta di malizia (ecco il mio rene come promesso, il cuore se l’è già preso da un pezzo, mi spiace).

“Vieni?” mi chiede indicandomi la strada da cui è arrivato.

 

Oh sì vengo!

 

Anche adesso.

Anche nei pantaloni.

 

Santo cielo come sono ridotto!

 

Gli trotterello dietro come un cagnolino al padrone fissandolo con la stessa totale, innocente, adorazione finchè non arriviamo ad un piccolo parcheggio.

Lui ogni tanto mi lancia un occhiata, nelle iridi grigie di nuovo quelle ombre che non riesco a comprendere, ma non dice niente.

Riconosco subito la sua auto, da bravo maniaco so la targa a memoria, ma faccio finta di niente quando lui me la indica e mi apre la portiera per farmi salire.

E bella anche dentro.

Tutta mogano, pelle e acciaio.

Ha un che di caldo, di elegante e di potente al contempo.

Come lui.

Mi accoccolo nel sedile color panna trattenendo un sussulto quando la cintura scivola automaticamente in avanti per aiutare il passeggero ad allacciarla.

Wow! Altro che la mia sgangheratissima utilitaria di secondo mano.

Il motore ronza come se facesse le fusa quando gira la chiave nel cruscotto. Lo capisco, anch’io farei le fusa così se mi toccasse lui.

 

Ha preso la tangenziale e poi l’autostrada.

Siamo usciti ad un casello con un nome che non avevo mai sentito accompagnati solo dalla musica soffusa dal complicatissimo impianto hi-fi della sua auto.

Ed ora stiamo percorrendo un enorme stradone a due corsie che taglia… il nulla.

A destra e a sinistra si vedono solo campi e vigneti, per chilometri e chilometri. In lontananza, davanti a noi, la siluette di morbide colline ondula l’orizzonte.

 

Il mio primo pensiero è stato: se finiamo la benzina qui, siamo spacciati.

 

Il secondo è stato: siamo soli, completamente, assolutamente, soli.

 

Ad esclusione di flora e fauna locale non c’è anima viva per miglia.

Gioco distrattamente con un lembo della mia giacca.

Dovrei trovare qualcosa da dire, qualsiasi cosa andrebbe bene.

Di cosa parla un gigolò con il suo cliente?

Non ne ho la più pallida idea!

E poi parlano o devo aspettare che sia lui a cominciare una conversazione?

Vorrei chiedergli almeno dove stiamo andando ma è una domanda che ho paura di porre.

“Pensieroso?” la sua voce vellutata mi riporta al presente con un sussulto.

“Ah no, io…”

Fantastico adesso balbetto pure! E sento il mio viso scaldarsi inevitabilmente.

Grande! Bravo! Ottimo! Balbettare ed arrossire sono certamente due delle cose che un ‘accompagnatore’ fa più spesso!

Gli lancio uno sguardo, dal basso, leggermente timoroso di scoprire la sua reazione alla mia uscita ma lui non sembra sospettoso.

 

Meno male!

Da qui, tornare a casa a piedi, sarebbe drammatica!

 

Il suo sorriso si fa dolcemente malizioso “Preoccupato per la nostra destinazione?” mormora.

 

Merda! Mi legge anche come un libro aperto!

 

“No… io…” accidenti non sono mai stato uno da grandi discorsi ma possibile che con lui non riesca a mettere in fila più di due pigolii?

“Sta tranquillo…” soffia con quella sua voce calda che dovrebbe essere vietata per legge “…ti piacerà”

 

Oddio…

 

Lo fisso con gli occhi sgranati e le labbra socchiuse a metà di una risposta che si è azzerata nel mio cervello un istante dopo la sua affermazione.

 

Mi piacerà? Oh sì… sono sicuro che mi piacerà!

 

No calma, aria… Ossigeno… respira. Respira cavolo!

Intende il posto, giusto?

Intende che mi piacerà il posto dove mi sta portando, vero?

 

Perché il tono che ha usato… il modo in cui mi guarda…

 

La sua mano destra si sposta dal cambio alla mia coscia ed è come metallo rovente sulla mia pelle anche se tra noi si interpone la sottile barriera dei vestiti.

E’ grande la sua mano, abbronzata, forte e calda… così calda che ustiona. Mi sfugge un guaito prima che riesca a trattenerlo. Mi mordo le labbra traditrici troppo tardi ma non ho il tempo di rimproverarmi quanto io sia ‘poco professionale’ in questo momento perché lui sposta la mano cominciando una lenta, ipnotica carezza.

 

Oddio…

 

“Slacciati i pantaloni”

La sua richiesta straccia la nebbia ovattata che aveva avvolto tutti i miei pensieri come una katana che taglia a metà una parete di carta di riso.

 

Co..co.. cosa ha detto?

 

Oh fantastico! Adesso balbetto anche nei miei pensieri.

Che faccio? Che faccio? Che faccio!?

La risposta è una sola ovviamente: obbedisco.

Devo ricordarmi che qui io interpreto uno che lui sta pagando proprio per fare questo!

Ottima logica che tuttavia non impedisce alle mie dita di tremare mentre ottempero alla sua richiesta.

Lui sposta lo specchietto retrovisore in modo da guardare me, una mano sul volante e l’altra…

 

Oddio…

L’altra…

 

Mi scappa un suono strozzato a metà tra il singhiozzo e il gemito quando le sue dita scivolano sulla mia biancheria.

Un moto di vertigine mi coglie completamente impreparato, non posso fare a meno di reclinare il capo all’indietro sul sedile e chiudere gli occhi.

Un istante più tardi la macchina ha un brusco sobbalzo.

Spalanco le palpebre solo per ritrovarmi ad affondare lo sguardo nel suo. C’è una luce in essi, una luce vorace che non vi ho mai visto.

Lui allunga la mano oltre il mio sedile ed un secondo più tardi mi trovo praticamente disteso.

 

Maledette auto di classe e maledettissimi sedili reclinabili.

Lui scivola su di me e io lo fisso immobile ed incredulo.

 

Vuole farlo qui?!

 

Ogni altro pensiero svanisce quando le sue labbra catturano le mie.

Mi sta baciando.

Mi sta baciando!

Quanto ho fantasticato su questo momento!

Quante volte ho provato ad immaginare che cosa avrei provato, come mi sarei sentito.

Come sono stato stupido! Come sono stato ingenuo!

 

Niente può descrivere questo.

 

Miagolo qualcosa contro la sua bocca mentre le mie braccia si sollevano a cingergli il collo e il mio corpo s’inarca contro il suo. Rispondo al bacio con tutto me stesso, privo di raziocinio o controllo, finchè non mi manca l’aria.

Lui si stacca dalle mie labbra e mi guarda.

C’è sorpresa nelle sue iridi grigie e qualcos’altro che non riesco a comprendere.

Da parte mia sono certo che lo sto guardando come… bhe come il gatto di Shrek!

A silenziosa conferma lo specchietto retrovisore mi rimanda l’immagine di uno sconosciuto con i capelli castani arruffati, due occhi verdi troppo grandi e troppo liquidi, le guance arrossate e le labbra, umide, socchiuse, esattamente come lui le ha lasciate.

Sono io? Quello sono io?!

“C’è qualcosa in te…” sussurra lui piano, sfiorandomi una guancia con attenta curiosità “…qualcosa di…” s’interrompe incapace di trovare le parole ma io ho già sentito abbastanza.

 

Sono stato scoperto!

Sono fregato!

 

Sto per lanciarmi in deliranti giustificazioni quando lui si china di nuovo su di me e mi accarezza il collo con le labbra per poi salire verso il lobo dell’orecchio.

Il suo respiro s’infrange nel mio padiglione auricolare spendendomi una serie di brividi elettrici lungo tutta la colonna vertebrale.

Gemo incapace di trattenermi, gemo stringendo più forte le braccia intorno al suo collo, quasi con disperazione, e lui torna a sollevare il capo, fissandomi.

Sembra cercare qualcosa quando mi guarda.

C’è una muta, intensa, domanda nelle sue iridi d’acciaio.

Ombre cupe, che non comprendo, gli tingono lo sguardo, voraci, predatrici.

Mi manca il fiato e il mio cuore batte così forte che ho l’impressione che rimbombi nell’abitacolo dell’auto come un tamburo impazzito.

 

Vorrei scappare.

Vorrei restare qui per sempre.

 

Mi sento completamente perduto, nudo, nonostante i vestiti, indifeso tra le sue braccia eppure… non mi sono mai sentito così al sicuro come ora.

E’ tutto troppo complicato perché io riesca ad esaminare quello che provo e, a dirla tutta, non ho nemmeno voglia di farlo.

Non ora che lui è qui, davanti a me, sopra di me, a occupare tutto il mio campo visivo come già da tempo occupa tutti i miei pensieri.

 

“Perché mi guardi così?” mi chiede piano e sembra confuso, forse addirittura arrabbiato.

 

Scuoto il capo e gli porgo un timido sorriso.

Che cosa gli posso rispondere?

 

Il mio cervello non è in grado di collaborare al momento ma dal cuore mi sale alle labbra un semplice, candido: “Perché sei tu”.

 

E’ lui.

E’ sempre stato lui.

Solo lui.

E’ questa l’assoluta, assurda, verità ma… cavolo! Che risposta cretina!

 

Lo vedo sgranare gli occhi e sono certo che sta pensando che gli hanno mandato un emerito idiota ma non ho il tempo di elaborare un'altra risposta, od una giustificazione, perché con quello che è quasi un ringhio lui cala di nuovo sulla mia bocca.

E questa volta non si limita a baciarmi, uno dopo l’altro mi libera dei vestiti, le sue mani sono ovunque sul mio corpo, la sua bocca segna la mia pelle con marchi infuocati.

 

Potrei dire che mi sono abbandonato a lui con fiducia ma mentirei.

 

La verità è che non ho capito più niente.

 

Quello che è successo dopo è stato un tornado di sensazioni, un maremoto di emozioni, un cataclisma che ha rovesciato le fondamenta di quello che credevo di sapere, di quello che pensavo di poter provare, la realtà si è capovolta, è rotolata su se stessa per poi infrangersi in un milione di frammenti di luce, lasciandomi aggrappato a lui come un naufrago nel bel mezzo della tempesta del secolo, a recuperare un respiro che non ricordavo di aver perso.

Non esiste un parola per definire quello che è accaduto in quella macchina e non lo sminuirò cercandone una.

 

Di una cosa posso darvi però la certezza.

 

Non sono stato professionale.

Neanche un po’.

 

Né quando ho cominciato a tremare come una foglia perché aveva inserito il primo dito dentro di me, né quando mi sono messo a singhiozzare contro la sua spalla supplicandolo di non fermarsi.

Sono stato un totale, assoluto, disastro, su tutta la linea.

Eppure lui mi sta accarezzando i capelli spettinati, con una dolcezza che potrebbe liquefare l’intero Polo Nord e mi guarda con una tenerezza che mi fa sentire la persona più fortunata dell’intero globo terrestre.

Si china a sfiorarmi le labbra con un bacio lieve “Scusa…” soffia “…sono stato un po’ brusco.”

Scuoto il capo in fretta, il viso irrimediabilmente incandescente.

Lui sorride in quel modo malizioso e gentile al contempo che ha il potere di distruggere quel poco che resta del mio sistema nervoso.

“Avremo tempo per farlo come si deve quando saremo arrivati” promette e io sento il cuore fare un doppio salto carpiato con avvitamento nel petto.

Che vuol dire ‘come si deve’?

Perché quello di prima cos’era?

 

Mi rivesto goffamente mentre lui rimette in moto.

Sono indolenzito e stanco ma non dolorante come mi sarei aspettato.

Giungiamo alla nostra fantomatica destinazione poco più tardi.

In realtà uno sguardo all’orologio mi informa che è passata quasi un ora, senza accorgemene mi devo essere appisolato sul sedile, che figura!

Ed è lui a svegliarmi, chiamandomi piano per nome.

Sono ancora mezzo addormentato, confuso tra sogno e realtà, ma avvertire il suo calore è più che sufficiente per spingermi ad allungare le braccia e stringermi a lui, alla ricerca supplichevole delle sue labbra.

Lui ridacchia ma mi accontenta chiudendomi la bocca con la sua in un bacio che diventa umido e profondo, lasciandomi senza fiato e completamente, indissolubilmente, sveglio.

Spalanco gli occhi incontrando il suo sguardo lucente di divertimento e di qualcos’altro che non riesco a decifrare.

Un lieve tossire imbarazzato mi scaraventa nuovamente nel presente.

Siamo arrivati a quella che sembra una villa di campagna, probabilmente un centro benessere di super lusso a giudicare dalle auto nel parcheggio e dall’inserviente, in divisa, che mi sta tenendo aperta la portiera attendendo pazientemente che io mi decida a scendere.

Oh cazzo!

Il mio viso diventa un pomodoro e posso quasi vedere il fumo che mi esce dalle orecchie tanto è il mio imbarazzo.

Lui invece mi scompiglia i capelli castani con tenerezza ingiungendomi un ridacchiante “Dai andiamo”.

Lo seguo fissando ostentatamente le mie scarpe cercando di ignorare stoicamente un secondo inserviente che ci sta facendo strada verso la nostra stanza e che, sono sicuro, ci lancia occhiatacce discrete.

Solo quando la porta si chiude alle nostre spalle arrischio uno sguardo attorno a me.

 

Siamo di nuovo soli.

Soli in quello che è, più che una suite, un appartamento in piena regola.

Gironzolo curioso evitando il suo sguardo ma consapevole di averlo addosso finchè dietro un elegante porta di legno chiaro non scopro una mastodontica camera da letto con tanto di letto a quattro piazze!

“Quello lo teniamo per dopo…” soffia nel mio orecchio.

Sussulto facendo un salto di quasi un metro.

Cavolo! E’ silenzioso come un gatto, non l’avevo sentito arrivare.

Lui ride sommessamente notando il broncio che incurva le mie labbra, non si spaventa così la gente!

“Vieni…” mormora tendendomi una mano “Ti resta ancora il bagno da vedere” m’informa divertito.

Gli trotterello dietro un po’ arrabbiato ma troppo stralunato da tutto questo per preoccuparmene realmente. Il ‘bagno’ è enorme ed extralusso come tutto il resto, a cominciare dalla gigantesca Iacuzzi già colma d’acqua profumata e fumante.

Evidentemente ha chiamato qualcuno dell’hotel per fare in modo di trovarla già pronta al suo arrivo.

E sta cominciando a spogliarsi…

 

Oh mamma…

 

Sapete ho sempre pensato che i completi costosi, come le divise militari, potessero, non dico rendere bello chiunque, ma aiutare molto.

Bhe… lui potrebbe indossare anche un sacco di farina!

Il suo corpo è perfettamente muscoloso, magnificamente tonico, elegantemente scolpito e integralmente abbronzato.

 

Dei…

 

Per fortuna che ho la gola completamente secca e la lingua incollata al palato altrimenti sono certo che sarebbe già rotolata a terra, fino ai suoi piedi.

E lo sto fissando di nuovo come una triglia.

Una triglia adorante per di più.

Lui sorride e scuote il capo, scacciando un pensiero che non mi è dato di conoscere.

“Forza vieni qui…” mormora dolcemente facendomi cenno di avvicinarmi.

Vado da lui fluttuando a mezzo centimetro da terra, totalmente ipnotizzato.

Il pensiero di quanto ho speso per la quella giacca non mi sfiora minimante mentre la guardo cadere scompostamente sul folto tappeto, presto seguita dal resto dei miei vestiti.

TUTTI i miei vestiti.

Il suo sguardo scivola su di me e basta la carezza incandescente di quelle iridi d’acciaio a risvegliare il mio corpo.

Lui solleva un sopracciglio sorpreso quando lo nota ma presto nei suoi occhi torna quella luce predatrice, quella fame che mi ha inghiottito in auto. Mi solleva tra le braccia come se fossi una ragazzina e un istante più tardi l’abbraccio dell’acqua si aggiunge al suo. Avverto la sua bocca sulla mia, il suo corpo nudo sopra il mio, il vapore e la sua vicinanza offuscano i miei sensi confondendo la realtà, mi aggrappo alle sue spalle fiducioso e terrorizzato al contempo, consapevole soltanto di essere indissolubilmente perduto.

 

Mi sveglio nel grande letto, tra le lenzuola candide che sanno di pulito e, vagamente, di fiori.

Questa volta non mi sono addormentato… sono svenuto.

Ha mantenuto la promessa.

“Avremo tempo per farlo come si deve quando saremo arrivati” aveva detto.

E, bhe io non sono certo un esperto in materia, ma se quello non era “come si deve”, la prossima volta ci lascio le penne. Ce le lascio felice, sia chiaro, ma ce le lascio di sicuro!

 

Dei…

 

Come ho fatto a vivere così a lungo senza provare questo?

E soprattutto… come farò a farne a meno?

Il solo pensiero ha il potere di intristirmi immediatamente.

Sospiro rigirandomi tra le coperte solo per rendermi conto che lui non è accanto a me.

Il panico mi assale improvviso, scatto a sedere ignorando le proteste del mio corpo, stringendomi addosso il lenzuolo mentre mi avvicino al salotto, alla sua ricerca.

Tiro un sospiro di sollievo quando lo scorgo sulla terrazza della suite.

La mia felicità dura un attimo, il tempo di accorgermi che è al telefono e della riga che gli solca la fronte.

 

Cazzo!

 

Non so come faccio a saperlo per certo.

Forse lo intuisco dalla mandibola serrata, dalla postura rigida delle spalle, dal modo in cui serra il cellulare come se volesse fracassarlo tra le dita.

 

Sono stato scoperto.

 

Corro in bagno, la gola chiusa e il cuore che mi pulsa nella testa.

Ho poco tempo, pochissimo.

Raccolgo i vestiti e schizzo fuori dalla suite con indosso ancora solo il lenzuolo. Mentre corro per il corridoio maledico il mio imbarazzo al nostro arrivo. Se invece di fissarmi le scarpe avessi guardato dove stavamo andando adesso avrei almeno una vaga idea di come uscire da qui!

Corro per i corridoi ignorando lo sguardo allucinato di un cameriere e quello divertito e malizioso di un cliente finchè non trovo una porticina e mi ci infilo senza pensare.

E’ uno sgabuzzino.

Prendo fiato a grossi respiri mentre mi rivesto alla bell’e meglio cercando di riacquisire una parvenza di controllo.

Tutto inutile.

Lui starà tornando in camera da letto… cosa farà quando non mi troverà?

Merda siamo nel bel mezzo del nulla!

Come faccio ad andarmene da qui?!

E soprattutto senza farmi prendere da lui?

 

M’impongo di mantenere il sangue freddo mentre spingo il naso fuori della porta.

A destra nessuno, a sinistra nessuno.

Sgattaiolo fuori fingendo una tranquillità che non provo affatto scendendo rampe di scale su rampe di scale, appiattendomi al muro come uno zero zero sette e strisciando da una zona d’ombra all’altra come un provetto ninja finchè non raggiungo quella che ha tutta l’aria di essere la cucina.

Un via vai di cuochi si affaccendano attorno a lunghi tavoli, grosse pentole borbottano sul fuoco, ed eccola, lì infondo, la porta che dà all’esterno.

Attraverso la cucina ostentando una calma che non provo e gli inservienti o sono troppo occupati o sono troppo discreti per chiedermi che cosa cavolo ci fa un cliente lì.

Una volta fuori mi concedo una boccata d’aria fresca che sa un po’ di sollievo un po’ di senso di colpa anche se ancora non so come farò ad andarmene da qui.

Mi guardo attorno alla disperata ricerca di aiuto quando noto lui, l’inaspettato miracolo, la mia salvezza: il furgoncino delle consegne!

Non so dove va ma di sicuro si allontanerà da qui dato che è vuoto.

 

E non c’è nessuno nei dintorni.

 

Grazie Dio, grazie! Prometto che cercherò di venire a messa più spesso e di limitare i pensieri impuri.

Ok, forse il secondo proposito è più difficile da mantenere soprattutto dopo…

Non ci devo pensare!

Non ora!

 

Ignoro la coscienza mentre sgattaiolo dentro il van bianco, andando ad accucciarmi dietro una fila di cassette verdi e nere che, a giudicare dai rimasugli, contenevano frutta.

Resto lì immobile, con il cuore che mi martella nella testa, per quella che mi sembra un eternità e poi, sulla ghiaia, avverto distintamente il suono di passi.

Il mio respiro si blocca, per un infinito istante immagino lui salire sul furgone scostare le casse e… oddio non riesco nemmeno ad immaginare come potrebbe reagire se devo essere sincero.

Non credo che mi prenderebbe a pugni… forse.

Di sicuro basterebbe una sola occhiata di disprezzo per uccidermi.

Non che non me la meriti, sia chiaro.

Con un tonfo le porte del furgoncino si chiudono riportandomi bruscamente alla realtà e scaraventandomi al buio.

Ancora qualche istante ed ecco il rumoroso avviarsi del motore.

Il sollievo e la stanchezza mi calano addosso come una coperta pesante quando con un paio di scossoni li sento prendere la strada, con un sospiro mi appoggio alla parete di metallo e stringendomi le braccia intorno al corpo scivolo in un sonno agitato.

 

Il furgoncino mi ha portato in città, non la mia, ma pur sempre una città.

Quando sono sceso mi hanno scoperto ma sono riuscito a filarmela senza farmi prendere, trovare la stazione dei treni non è stato facile ma alla fine, diverse ore più tardi, eccomi finalmente a casa.

Per fortuna i miei non ci sono, un occhiata veloce allo specchio del bagno è bastata per togliermi il respiro: ho l’aria distrutta.

In effetti sono distrutto.

Il ragazzo che mi ricambia lo sguardo non è lo stesso che è uscito di casa questa mattina.

Ora conosco il suo sapore, so cosa vuol dire stare tra le sue braccia, essere accarezzato dal suo sguardo.

Potrò vivere senza?

Potrò tornare ad ammirarlo da lontano come facevo prima?

Mi trascino in camera e mi lascio cadere sul letto ancora vestito.

Domani è domenica, ho un giorno per mettere ordine nei miei pensieri, nei miei sentimenti, prima di tornare a lavoro.

 

Un giorno non è servito.

Ovviamente.

Smisto buste e incartamenti infilandoli nel mio carellino, divise per reparti, distrattamente.

Di notte lo sogno, di giorno lo penso.

E’ stata una pessima idea.

Sospiro mestamente, cominciando il mio giro.

Salgo piano, dopo piano, distribuendo la posta e rispondendo con pallidi monosillabi ai saluti cortesi dei colleghi, il cuore che batte sempre più forte man mano che mi avvicino al suo.

Era impensabile che non ci fossero dei documenti per lui ovviamente.

Mai un colpo di fortuna, mannaccia!

Raggiungo la scrivania di Caroline con i nervi a fior di pelle e il cuore che batte così forte che non sento nemmeno quello che mi dice.

“Sc… scusa?” balbetto.

Lei scuote il capo “Ti ho chiesto se è arrivata la lettera dall’amministrazione della filiale Nord.” borbotta “Ma che avete tutti oggi? Non bastava il signor Blade?” commenta quasi fra sé.

La guardo confuso, incapace di trattenere la domanda “Pe… perchè che ha?”

“Che ha?!” chiede lei sventolando le mani esasperata “Dovevi vederlo! Una nuvola temporalesca è meno scura di lui e fa meno paura!”

 

Oh fantastico!

Oltre ogni mia aspettativa.

E’ incavolato nero.

 

Neanche l’avessimo evocato nominandolo, la porta del suo ufficio si spalanca di colpo.

“Caroline!” tuona lui “Mi vuole spiegare che cosa…” ringhia un istante prima di paralizzarsi.

 

Per un eterno istante restiamo tutti e tre pietrificati.

In tanti anni che lavoro qui lui non è mai, e ripeto MAI, uscito dal suo ufficio mentre stavo consegnando la posta.

E invece eccolo qui.

Bello come me lo ricordavo, torvo come non l’ho mai visto, un plico di fogli in mano di cui, presumo, volesse chiedere spiegazioni alla sua segretaria, che ora giace dimenticato tra le sue dita e gli occhi grigi sgranati, puntati su di me.

 

Mi ha riconosciuto.

Nonostante la felpa e i jeans.

E il capellino con lo stemma della Unicorn calcato, a rovescio, sulla testa.

Mi ha riconosciuto.

 

Oh merda!

 

Il tempo riprende improvvisamente a scorrere, lui fa un passo in avanti, Caroline fa passare lo sguardo tra noi, sorpresa, e io… bhe io faccio l’unica cosa davvero razionale, saggia e matura che uno come me potrebbe fare in una situazione simile: mi volto e scappo!

 

“Alec!”

 

Ohhh… si ricorda il mio nome…

Scaccio quell’adorante pensiero irrazionale con rabbia.

Si ricorda il nome di quello a cui vuole fare la pelle! Gli serve giusto per sapere cosa scrivere sulla lapide.

 

“Alec!!”

Ignoro il suo grido nell’inforcare la porta delle scale di servizio mentre mi precipito giù saltando i gradini due alla volta.

Dietro di me sento la porta sbattere e poi venire riaperta con violenza.

Mi sta inseguendo!

 

“ALEC!!!”

 

E, a giudicare dal tono della sua voce, dire che è arrabbiato è usare un eufemismo!

Cerco di scendere i gradini ancora più in fretta ma passano solo pochi istanti prima che la sua mano si serri sul mio braccio sinistro e lui mi strattoni indietro.

Mi trovo sbattuto contro la parete di cemento bianco, il viso ad un soffio dal suo, le braccia bloccate dalle sue mani.

“Voglio una spiegazione!” tuona.

 

Siamo soli sul pianerottolo tra due piani, entrambi senza fiato per la corsa eppure lui è bello anche così, ansimante e arrabbiatissimo.

 

Vuole una spiegazione?

E che cosa potrei dirgli?

Come potrei solo tentare di fargli capire?

 

“Vuoi una spiegazione?” domando e uno strano risolino isterico mi sale dalla gola.

Ormai che cos’ho da perdere?

Niente, assolutamente niente, ho già perso tutto.

Questo pensiero mi rende euforicamente folle e incredibilmente furioso.

 

Vuole una spiegazione?

Gliela do io la spiegazione!!

 

“Vuoi una spiegazione?!” ripeto e questa volta è più un ringhio che una frase di senso compiuto.

Mi libero con uno strattone violento dalla sua presa.

“Vai a PUTTANE! Ecco la spiegazione!” gli grido contro “A PUTTANE! Paghi la gente per scoparci! Lo sai da quanti anni ti amo in silenzio? Lo sai da quanto tempo ti ammiro da lontano?!” gli chiedo puntandogli un dito contro il petto con fare accusatore “NO, non lo sai!” tuono senza lasciargli il tempo di rispondere “Io ti amo disperatamente e tu nemmeno sapevi che ESISTO! Avrei dato un rene per un tuo sorriso e tu pagavi degli sconosciuti per portarli in vacanza! Quante probabilità aveva uno come me di avvicinarti?! Ho scoperto i promemoria degli appuntamenti per caso e ho pensato… Dei ho pensato che sarebbe stata la mia unica occasione!” esclamo con voce che trema di rabbia ma non solo “Era la mia prima volta in quella tua dannata macchina sai? La mia prima volta in assoluto ma eri tu e quando hai cominciato a toccarmi non ho capito più niente! E’ l’effetto che mi fai. Sempre tu, notte e giorno, solo tu! Lo sai cosa vuol dire? Te ne rendi conto! Non è normale! E non è giusto! Perché io ti amo, ti amo così tanto e tu... tu… vai a puttane!” strepito e a degna conclusione di questa incongruente valanga di parole che gli ho scaricato addosso… scoppio a piangere.

 

Ah, fantastico!

Sublime!

L’apice della crisi isterica.

Se non mi ammazza lui mi suicido io.

 

Ma lui non tenta di ammazzarmi, anzi, allunga le mani e mi attira a se, abbracciandomi.

Sono così sorpreso che smetto persino di piangere sollevando il viso per guardarlo incredulo.

“Ti sei sfogato?” chiede e sembra divertito lo stronzo.

Annuisco con il capo, imbronciato.

“Quando ci siamo incontrati sabato ho pensato subito che eri diverso da tutti gli altri” mormora passandomi una mano tra i capelli castani.

“Perché sono più brutto?” pigolo piano, mogio.

Lui solleva un sopracciglio sorpreso “No, perché sei vero” dice “Continuavo a guardarti convinto di scoprirti a fingere. E, per la cronaca, ti trovo bellissimo” mi soffia in un orecchio facendomi diventare rosso come un peperone.

“Credi davvero che avessi intenzione di fare l’amore con te in auto?” chiede piano, lo sguardo d’acciaio nuovamente nel mio, mentre riprende ad accarezzarmi i capelli con fare rassicurante.

 

Cavoli… quasi, quasi faccio le fusa.

 

“Avevi un aria così sperduta, così incerta, eppure tutte le volte che il tuo sguardo si posava su di me sembravi illuminarti. Ho cominciato a toccarti perché volevo stuzzicarti un po’, volevo vedere se la maschera si sarebbe incrinata nel farti perdere il controllo e invece quello che ha perso completamente la testa sono stato io. Cazzo Alec ho quasi distrutto la macchina per accostare in fretta quando ti ho visto tenderti in quel modo sotto le mie carezze, non te ne sei accorto?”

Lo fisso senza parole.

 

No, non me n’ero accorto.

Cioè ho sentito il sobbalzo dell’auto ma...

 

“Ed è stato…” scuote il capo incapace di trovare la parola adatta. “Non mi ero mai sentito così in vita mia” sussurra sfiorandomi una guancia con le dita “Ti osservavo riposare sul sedile mentre raggiungevamo il Resort e mi chiedevo da quanto tempo qualcuno non mi guardava come facevi tu. Credo che non sia mai successo Alec” confessò “La mia posizione, il mio denaro, il mio potere. Ho allontanato tutti senza rendermi conto di quanto fosse grande il vuoto che avevo dentro finchè non ho incontrato te che l’hai riempito con un solo sguardo. Lo sai perché ero al telefono quando te ne sei andato?” chiede sommessamente.

Scuoto il capo, il cuore in gola.

“Quando ti ho portato a letto ti sei accoccolato contro di me e hai chiamato il mio nome, piano, nel sonno. Non ce l’ho più fatta. Era assurdo, totalmente illogico e persino controproducente ma… mi sono alzato e ho chiamato il proprietario del club, qualunque fosse stato il prezzo da pagare o i fili da tirare, dovevi essere mio, soltanto mio, per sempre. Non avrei permesso a nessun’altro di averti. E ci conoscevamo da quanto Alec? Tre ore?” mormora con dolcezza.

Sento un'altra lacrima scivolarmi lungo la guancia ma questa è una lacrima diversa dalle precedenti.

Lui china il viso e la raccoglie con le labbra scivolando poi lungo la guancia per raggiungermi la bocca.

Ci scambiamo un lungo, lento bacio.

“Quando mi hanno detto che non c’era nessun Alec tra i ragazzi del club non sapevo più cosa pensare.” continua piano, appoggiando la fronte alla mia “E poi sono tornato in camera e non ti ho trovato. Ho fatto rivoltare l’hotel per cercarti!” borbotta “Ma niente, eri sparito nel nulla. Credevo d’impazzire! Ah, tra parentesi stamattina ho ingaggiato un investigatore privato per trovarti!”

Sussulto e lui mi sorride divertito.

“E poi, esco dal mio ufficio e ti ritrovo lì, davanti a me.” scuote il capo “E tu cosa fai? Scappi! Scappi di nuovo!” mi rimprovera.

Mi mordicchio le labbra a disagio senza sapere che dire.

“E quando finalmente riesco ad acchiapparti, quando ormai non so più cosa credere, che ipotesi costruire, tu mi scaraventi addosso la più assurda dichiarazione d’amore che io abbia mai sentito in vita mia!” esclama.

Stavolta arrossisco fino alla punta dei capelli.

“Ti sei accorto di quante volte mi hai detto ‘ti amo’ mentre mi urlavi contro?” soffia dolcemente mettendomi due dita sotto il mento per costringermi ad alzare il viso e guardarlo negli occhi.

 

L’ho detto, vero?

Mi sa di sì…

 

“Sei la persona più incredibile che io abbia mai incontrato!” mormora “Sarà per questo che mi sono innamorato di te”

 

Ecco… che fregatura!

Cazzo lo sapevo!

Era troppo bello per essere vero.

Sto sognando.

Questo spiega tutto.

Oppure sono inciampato sulle scale e mi sono rotto l’osso del collo.

Dev’essere così.

 

Mi tiro un pizzicotto sul braccio.

Fa un male boia.

 

Oh…

 

Lui guarda le mie manovre tra lo stupito e il divertito, io lo ricambio con gli occhi sgranati, enormi, incredulo.

“Non é un sogno” soffio “Tu… tu…” ansimò senza fiato, il cuore che rischia di esplodermi nel petto.

Lui mi sorride con tenerezza “Ti amo Alec” mormora piano prima di chiudere di nuovo le labbra con le mie.

Resto paralizzato per un lungo istante e poi… semplicemente mi avvinghio su di lui come un rampicante.

Mi spinge contro il muro e fa scivolare un ginocchio tra le mie gambe mentre io gli stringo le braccia attorno al collo quasi con disperazione.

 

Lui ha detto… ha detto davvero…

Sono assurdamente, incredibilmente, eccezionalmente felice!

 

Ci stacchiamo un lunghissimo istante più tardi.

“Quindi… non sei arrabbiato” pigolo piano, ancora incapace di credere che le cose si siano sistemate così bene.

Lui scuote il capo “Dovrei immagino, ma è la prima volta che qualcuno fa carte false, letteralmente, per venire a letto con me, e poi scappa!” esclama divertito “Sono lusingato” ghigna.

Gli tiro la cravatta borbottando qualcosa sull’autostima di certa gente ma non riesco a pensare in maniera razionale.

Lui mi ama.

E’ tutto quello che conta.

Lui mi ama e… che cavolo sta facendo?!

“Hey!” protesto mentre mi carica su una spalla come fossi un sacco di patate.

“Sia mai che cerchi di scapparmi di nuovo” sentenzia lui divertito, scendendo un’altra rampa di scale e aprendo la porta che dà sugli uffici.

Divento viola quando tutto il settore marketing si paralizza fissandoci con gli occhi a palla.

Lui li ignora raggiungendo gli ascensori e ci entra senza mettermi giù, premendo il tasto per il ventunesimo piano.

Boccheggio incapace di formulare un pensiero coerente.

“Tu... tu…” ansimo.

Lui ridacchia mentre con un ‘tling’ la porta dell’ascensore si apre di fronte alla scrivania di Caroline.

Lei ci fissa incredula mentre lui la sorpassa con calma, diretto al suo ufficio.

“Caroline chiami la Blu Prince, e dica loro di cancellare la mia iscrizione al club, non necessito ulteriormente dei loro servigi” ordina con professionale tranquillità, quasi non avesse ME, sulla spalla destra, in stile ‘stola’. “E informi l’investigatore che ha contatto stamani che il suo incarico è revocato. Ho trovato ciò che stavo cercando” mormora con una punta di dolcezza nella voce nel lanciarmi un fugace sguardo.

Caroline dopo il primo momento di sconcerto s’illumina di gioia e comincia ad annuire con entusiasmo.

“Certo Signor Blade! Lo faccio subito Signor Blade!” trilla felice.

“Ottimo” dice lui afferrando la maniglia della porta del suo ufficio “Ah, Caroline” mormora dopo un istante di pensieroso silenzio “Che nessuno mi disturbi per le prossime tre, quattro ore” decide con un sorriso predatore.

“Tre, quattro ore?!” gracchio incredulo.

La porta si richiude alle nostre spalle con un tonfo sordo sull’estatico: “ASSOLUTAMENETE Signor Blade!” di Caroline.

 

fine...

 

 

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