Il Dio delle Tempeste                                    Back to FanFic  Back to Home

 

 

Uno squarcio viola nel cielo nero.

Una pugnalata elettrica tra le roboanti nubi oscure.

Enormi, incombenti.

 

Masse nere di rabbia ruggente.

 

Il cielo esplose facendo sussultare i sacerdoti che sollevarono le mani sottili, piccoli spettri ossuti che si agitavano frenetici nell’aria cupa, mentre le loro voci si innalzavano tremanti ad intessere gli antichi canti di lode.

Il vento sferzò furioso le loro vesti bianche schiaffeggiandoli con derisione mentre il suo ululato si levava possente a coprire quelle parole che avevano osato spingersi tra le sue correnti fatte di tenebra  vischiosa e luce elettrica.

Gli uomini incappucciati deglutirono a vuoto, la voce resa stridula dalla paura, imponendo comunque ai loro passi di non arrestarsi, continuando a condurre la processione verso il grande tempio di marmo candido, una pallida luna levigata sullo sfondo nero del cielo, sulla scogliera irta.

Come manti di seta lacerata, le onde, si squarciavano contro le rocce acuminate, ai suoi piedi, in miriadi di piccole stelle lucenti che incatenavano per un momento la collera furente dei fulmini per poi precipitare nuovamente tra le tenebre liquide.

I canti dei sacerdoti si fecero più deboli sopraffatti dal lamento straziante dei grandi alberi, secolari guardiani incatenati ai due lati del tempio bianco, che si contorcevano in agonia sotto le frustate del vento, le fronde strappate dagli artigli dell’aria gelida che le sferzava senza tregua, i rami tesi in una muta supplica verso quel cielo impietoso che continuava a scaricare su di loro ghiaccio e fuoco.

La processione si fermò dinanzi alle porte d’oro massiccio del grande edificio cercando stoicamente di ignorare quell’inferno d’aria, acqua, tenebra e luce che si abbatteva intorno a loro.

 

“Onore! Onore al più potente tra i potenti!” gridò il gran sacerdote sollevando entrambe le mani con gesto solenne.

 

Il cielo ruggì minaccioso mentre la notte veniva squartata dal disegno spezzato delle saette.

La luce infranse le tenebre mandandole in mille pezzi geometrici mentre il vento urlava la sua cieca follia.

 

“Gloria! Gloria al più grande tra gli dei!” gridò ancora il sacerdote sollevando una mano per trattenere l’enorme copricapo d’oro e gemme che indicava la sua carica e che, la furia degli elementi, stava seriamente rischiando di strappargli.

“Portate il sacrificio!” urlò ad uno dei discepoli facendo un gesto impaziente della mano.

 

Il loro dio sembrava furioso e per placarlo conoscevano solo un modo.

 

Gli uomini vestiti di bianco si spostarono per permettere ai portantini di avanzare.

Sulla piccola piattaforma di legno dipinto sedeva un giovane dalla pelle dorata e dai lucenti capelli rossi.

 

Una folgore cadde poco lontano dal tempio facendo tremare l’intera radura con la sua detonazione scagliando erba e terriccio lontano, incendiando gli alberi.

Il fuoco ruggì spalancando le sue fauci per divorare quanto le lunghe fiamme riuscivano a lambire, contorcendosi, gridando e schiumando fumo, nello scontrarsi con la pioggia gelida, mentre le querce secolari si tramutavano in ondeggianti fiaccole lucenti.

La luce rossa, selvaggia e fluida, si mescolò a quella candida, elettrica, geometrica, delle saette mentre il rombo dei tuoni cresceva, minaccioso come il pesante passo di migliaia di cavalieri in marcia.

I sacerdoti tremarono violentemente affrettandosi ad avvicinarsi al uscio per porre fine al rito e potersene tornare in fretta nelle loro dimore, nella città poco lontana.

 

Solo gli occhi dorati della giovane vittima rimasero immobili, vacui.

 

Gli assistenti si affrettarono a farlo scendere dalla portantina e il ragazzo li seguì docilmente, il passo pesante e lievemente instabile.

Il pesante portale d’oro venne faticosamente spinto fino ad aprire un sottile, altissimo, passaggio e il sommo sacerdote riprese a cantilenare la sua nenia mentre cielo, mare e terra gridavano, scuotendosi con quanta forza avevano in corpo.

 

“Sull’altare!” ordinò il ministro e il giovane dalla capigliatura carminio salì i pochi gradini, meccanicamente, adagiandosi sulla pietra liscia e candida.

L’anziano capo dell’ordine fece quindi un cenno brusco con la testa, ai suoi discepoli, che si affrettarono a bloccare mani e piedi del ragazzo alle possenti catene d’oro che adornavano i quattro angoli della piattaforma di marmo pregiato.

 

“Oh nostro signore e sovrano...” gridò l’uomo, tentando di dare una nota solenne e possente alla voce appesantita dagli anni, “Oh nostro padrone e maestro..” cantilenò prendendo dal cuscinetto di raso, che gli porgeva il suo servitore, un affilato pugnale d’oro massiccio “...accetta il sacrificio del tuo popolo e placa la tua furia!” gridò sollevando l’arma che regalò migliaia di riflessi iridescenti alle pareti pallide del tempio.

 

Il vento ululò impazzito, spalancando l’enorme porta dorata, entrando prepotentemente nella grande stanza adorna, spegnendo con il suo soffio gelido tutte le candele faticosamente accese dai discepoli, sprofondando il tempio, e i sacerdoti, in una tenebra innaturale, tinta della luce elettrica delle saette e dell’ansimo morente del fuoco che infine soccombeva alla pioggia.

I tuoni ripresero la loro possente marcia spingendo le nuvole ad ingrossarsi, agglomerandosi sopra il tempio candido, mentre le folgori saettavano veloci, tutt’attorno all’antico luogo sacro, cercando la posizione migliore per vedere, aprendo tra le coltri bramosi occhi gialli e seghettate fauci.

Il mare si avventò sulla costa mandando gli spruzzi salati sempre più in alto quasi anch’egli volesse salire la ripida scogliera per poter entrare nell’edificio e presenziare al sacrificio mentre il cielo si apriva con un grido straziante, riversando il suo carico di grandine sul suolo già martoriato.

 

“In tuo onore... Dio delle Tempeste!”  gridò l’anziano sacerdote abbassando la lama con decisione sul petto del giovane, immobile, accanto a lui.

Con un suono secco la leggera veste candida del ragazzo venne lacerata dal colletto fin sotto ai fianchi aprendola in due pallide metà che si accasciarono ai lati del corpo dorato del giovane, lasciandolo completamente nudo, esposto alla carezza del vento e allo sguardo scintillante delle saette.

 

I sacerdoti ripresero la loro litania uscendo con passo solenne dal tempio lasciando la vittima sacrificale legata sull’altare.

Sarebbe stato il Dio a decidere se prendere la sua vita oppure rifiutarla.

 

....

 

L’effetto della droga cominciò a svanire un paio di ore più tardi.

Hanamichi emerse dallo stato di appannata confusione muovendo piano il capo.

Uno sguardo al portone, rimasto spalancato, gli confermò che era ancora notte fonda.

Faceva un freddo terribile lì dentro ed essere sdraiato su una lastra di marmo gelido non lo aiutava certo.

Provò a muovere braccia e gambe con poco risultato, le catene erano troppo corte per permettergli di sistemarsi meglio.

Sbuffò inferocito mentre fuori il ruggito del mare e lo scrosciare potente delle pioggia, che aveva sostituito la grandine, facevano da eco al suo umore tetro.

“E’ tutta colpa tua, padre!” sbottò per la milionesima volta.

Era tutta colpa di quel bastardo che aveva messo incinta sua madre e poi era scomparso nel nulla, abbandonandoli al loro destino, se lui si ritrovava in quella ‘simpatica’ situazione.

Se lui fosse rimasto, se avesse sposato sua madre... un rumore sordo, diverso dal frastuono prodotto dalla tempesta, lo distrasse dai suoi borbottii.

 

“Chi è là?”  chiese sollevando un poco il capo per fissare l’abisso nero che si apriva oltre la soglia.

Non gli giunse nessuna risposta ma un ombra più scura delle altre scivolò in avanti, silenziosamente.

“Chi sei?” gridò Hanamichi scuotendo le catene.

Non gli piaceva quella situazione.

Era incatenato, nudo e intontito dalla droga.

 

Completamente inerme.

 

E si sentiva stranamente intimorito da quella presenza muta e scura che aveva cominciato ad avanzare sinuosamente verso l’altare a cui lui era legato.

Sperava vivacemente che si trattasse di qualche stupido novizio venuto a ridicolarizzarlo ma la grazia mortale che permeava quella creatura sfuggente e la silenziosa eleganza con cui egli si spostava tra le ombre, sue sorelle, lo spingevano a propendere per un’altra, spiacevole, soluzione.

 

Un ladro.

Un profanatore di templi.

 

“Non ti avvicinare! Non sfidare l’ira del Dio!” lo minacciò Hanamichi “Io sono un dono per lui!” tentò di intimorirlo, sperando che l’altro fuggisse.

 

Oh davvero?” fu la placida, divertita, risposta.

 

Appena un sussurro serpentino.

Malizioso.

 

Hanamichi rabbrividì agitandosi.

Quella voce era così bassa, profonda.

Sembrava il sibilo stesso del vento.

 

Di nuovo un piccolo rumore e con un altro passo lo sconosciuto emerse dalle tenebre, spostandosi in una zona illuminata dall’aritmica furia delle saette, consentendogli di vederlo.

 

Liquide ciocche di oscurità profonda.

Nere.

Come lo sguardo cieco e maestoso di quel cielo che li osserva con superiore altezzosità, dall’alto del suo scranno tra i venti.

 

Iridi di cobalto screziato.

Blu.

Come l’oceano che ruggiva, tendendosi, arcuandosi, infrangendosi in mille scintille di affilata luce, irrequieta e furente, contro gli scogli acuminati.

 

Liscia, perfetta, lunare.

Candida.

Come seta, trasparente e pregiata, la sua pelle, rivaleggiava con l’immacolata purezza del marmo, parimenti gelida, altera e pura.

 

Era... bello.

 

Bello da togliere il fiato.

Bello al di là del significato del termine stesso.

Bello oltre ogni... umana... concezione.

 

Il cielo si scosse con un tremito convulso spezzandosi in due, un’unica fiammeggiante folgore candida, straziò il manto della notte illuminando per un momento, il tempio, l’altare e... lui.

Quel demone maestoso da cui Hanamichi non riusciva a staccare gli occhi, incredulo.

 

Con eleganza felina il giovane gli si avvicinò facendo scorrere lo sguardo sul suo corpo nudo, allungando, con indolente lentezza, una mano pallida, per far scivolare i polpastrelli gelidi sulla cute dorata, calda, mentre in quei suoi occhi scuri luci viola intessevano contorte danze, screziando le iridi blu di desiderio.

 

“Non toccarm...” l’esclamazione di Hanamichi si spezzò in un lamento incredulo quando quelle dita pallide affondarono tra le sue gambe.

S’inarcò spalancando gli occhi, senza fiato, mentre quella mano fredda si richiudeva sul suo membro in una stretta intima e possessiva.

 

“Che... che vuoi... fare...?” boccheggiò spaventato ma al contempo affascinato da quella creatura che sembrava partorita dalla tempesta stessa.

“Sono venuto a prenderti...” fu la laconica risposta del moro mentre il suo volto calava inesorabile su quello incredulo del ragazzo legato.

 

Hanamichi avrebbe voluto lottare.

Gridare.

Avrebbe dovuto opporglisi.

 

Come poteva pretende quell’emerito sconosciuto di entrare nel tempio e prendere ciò che era stato destinato al Dio?

 

Ma la sua volontà s’infranse nelle iridi scure dello straniero.

 

Affondò in quelle tenebre screziate dalla luce elettrica delle saette.

Smarrì il respiro al tocco di quelle dita pallide, leggere e gelide, come il vento che innalzava il suo canto attorno a loro.

Assordato dal rullo inconsulto del suo cuore che faceva da timido eco al battito possente del tuono.

 

Ipnotizzato.

Completamente irretito da lui.

 

In silenzio Hanamichi reclinò il capo, offrendogli le labbra.

 

...

 

“Hana...”

“Hanamichi apri gli occhi...”

Il rossino socchiuse a fatica le palpebre richiudendole con un gemito di fastidio quando il sole caldo del mattino gli ferì le iridi dorate.

“Yohei...” sussurrò con voce roca e stanca, fissando stranito l’amico d’infanzia.

Il ragazzo gli sorrise dolcemente ma non riuscì a nascondere una profonda tristezza.

Il rossino lo fissò senza capire.

“Mi dispiace...” mormorò il moretto abbassando lo sguardo.

Sakuragi si mise faticosamente a sedere rendendosi conto solo in quel momento che non si trovava più sull’altare. Le catene erano state slacciate ed era stato adagiato tra le sete colorate, uno dei tanti doni preziosi custoditi in un angolo del tempio.

Qualcuno si era premurato di mettergli un morbido cuscino sotto il capo e di coprirlo con uno grosso mantello di velluto rosso foderato di pelliccia.

Sentiva il corpo indolenzito e  pesante, le tempie gli pulsavano lievemente diffondendo un basso fastidio nel cervello che gli impediva di concentrarsi come avrebbe voluto.

Scosse il capo cercando di snebbiare la vista ma ottenne solo un moto di vertigine.

Devo avere la febbre, pensò, passandosi una mano tra i capelli spettinati mentre l’altra scivolava a massaggiare il ventre.

Gli faceva male.

“Cos’è successo?” sussurrò cercando di ricordare.

Il moretto l’aiutò ad avvolgersi nel mantello “Non lo so...” mormorò porgendogli una coppa piena di un forte vino speziato perchè l’aiutasse a recuperare un po’ d’energia.

Mito l’osservò bere la bevanda a piccoli sorsi prima di continuare.

“Sono corso qui stamattina per liberarti ma quando sono arrivato...” scosse il capo arrossendo “Ti ho trovato addormentato qui, tra i cuscini...” mormorò “L’abito da cerimonia è ancora sull’altare...” sussurrò con voce via via più flebile.

“Hana.... è sporco di sangue e di...” s’interruppe senza il coraggio di fissare negli occhi il rossino.

Il bicchiere oscillò pericolosamente tra le mani di Hanamichi mentre frammenti d’immagini attraversavano la sua mente annebbiata come fulmini che squarciavano le nubi scure.

Yohei si affrettò a prendere dolcemente le mani del ragazzo tra le sue, trattenendo la coppa per evitare che l’amico la facesse cadere.

“Ricordi qualcosa?” chiese a bassa voce, timoroso di riportare a galla cose che il compagno probabilmente preferiva dimenticare.

“Io...” il rossino scosse il capo confuso “... mi sono svegliato... era ancora buio ma aveva smesso di grandinare e... è entrato... lui...” sussurrò.

“Lui?” cercò d’incitarlo Yohei.

Sakuragi annuì “Era giovane... credo avesse la mia età.... ed era... era bellissimo Yohei..” mormorò arrossendo e abbassando il capo.

Mito lo fissò sorpreso da quel suo gesto imbarazzato.

“Pensavo che fosse un ladro ma... non ha toccato niente....” sussurrò stringendo con forza la coppa.

“Niente... a parte... me.” terminò con un brivido a cui non avrebbe saputo dare un significato.

 

Paura?

Disgusto?

O piuttosto...

 

“Ti ha... ti ha...” le parole di Yohei gli permisero di riportare l’attenzione al presente evitando di cercare risposte a domande che ancora non voleva porsi.

Il moretto si morse le labbra prendendo un profondo respiro, incapace di continuare ma Hanamichi sollevò il capo guardandolo negli occhi.

“No...” disse soltanto arrossendo di nuovo.

“Cioè io... io non volevo farlo però... non volevo nemmeno fermarlo...” sussurrò incerto cercando di definire la malia che l’aveva irretito in quel momento “... non riuscivo a sentire niente... niente se non... lui....” mormorò piano, stringendo inconsciamente il mantello contro il proprio corpo.

Yohei lo aiutò a scendere dal grande nido fatto di stoffe pregiate e cuscini di seta, facendo attenzione che non cadesse, Hanamichi sembrava completamente privo di energie e a giudicare dalla sua temperatura corporea doveva avere la febbre alta.

“Vieni ti accompagno all’abbazia...” disse “...quando avrai riposato un po’ dovremo andare dall’alto sacerdote. Se un ladro ha profanato il tempio troveremo quell’uomo e lo uccideremo per ciò che ha osato fare!!” sentenziò duro, poco convinto dalle parole dell’amico.

Forse era vero che lo sconosciuto non l’aveva violentato ma aveva comunque approfittato di Sakuragi, probabilmente facendogli respirare qualche strana droga senza che l’altro se ne accorgesse, per domare la sua volontà.

Hanamichi si stese sul carro lasciando che l’amico prendesse posto sulla cassetta mentre il suo sguardo spaziava nel cielo limpido e azzurro, sopra di lui.

 

Un ladro... era davvero un ladro?

 

Non aveva rubato nulla.

Nulla...  a parte....

 

Fece scivolar e le mani attorno ai fianchi ricordando quel momento.

 

Quel attimo di unione profonda in cui il suo corpo si era spezzato sotto quello dello sconosciuto, nell’accoglierlo dentro di se.

 

Hanamichi chiuse gli occhi lasciando che il sole gli accarezzasse dolcemente il viso, scivolando nuovamente in un sonno stanco e privo di sogni.

 

....

 

Hanamichi ansimò violentemente, mordendosi le labbra per non urlare.

Strinse con forza le palpebre intrappolando le lacrime di vergogna e dolore per poi accasciarsi, con il fiato corto, contro l’ampio materasso bianco mentre il medico si allontanava dal letto, tranquillamente.

Un giovane paggio dagli occhi sgranati e dalle guance arrossate si affrettò a porgergli un piccolo catino colmo d’acqua chiara nel quale l’uomo di ripulì con cura le lunghe mani sottili.

 

“Allora...?” chiese l’alto sacerdote con voce gelida mentre Yohei copriva il corpo tremante del rossino, passandogli dolcemente una mano tra i capelli rossi.

“E’ tutto finito Hana, sta tranquillo...” gli sussurrò dolcemente avvolgendolo con attenzione nelle coperte mentre il rossino affondava il volto nel cuscino cercando di nascondere le lacrime e di soffocare i singhiozzi.

 

Perchè dovevano umiliarlo in quella maniera?

Perchè convocare tutto il consiglio nella sua stanza?

Non bastava che il medico accertasse ciò che Yohei aveva già detto loro senza per forza che quei vecchi bastardi assistessero a tutta l’operazione?

Strinse le mani intorno al ventre rannicchiandosi su se stesso, maledendo con tutta la forza di cui era capace quella creatura magnifica che aveva preso ciò che desiderava per poi lasciarlo in quella situazione tremenda.

 

La sorte delle vittime del Dio delle Tempeste era una sola.

 

Se restavano in vita significava che il Sovrano dei Cieli aveva voluto concedere loro la grazia ed essi divenivano per tanto suoi adoratori.

La loro vita, la loro anima e il loro corpo veniva consacrata al dio.

Pertanto i Figli del Vento dovevano essere rigorosamente vergini.

Il Signore delle Tempeste non avrebbe mai accettato che uno dei suoi adepti fosse impuro.

 

“Il nobile Yohei dice la verità...” mormorò il medico con voce professionale riportando l’attenzione dei presenti su di se “...il ragazzo non è più vergine.” sentenziò asciugandosi le mani su un piccolo telo di spugna chiara.

“Inconcepibile...” ansimò indignato il Secondo sacerdote.

“Non era mai avvenuta una cosa simile..” mormorò il Terzo, incredulo, stropicciandosi la veste nervosamente.

“E’ inaudito!! Il Sommo Sovrano dei Cieli si infurierà!” gemette un altro lanciando sguardi nervosi fuori dalla piccola finestra.

“Dobbiamo trovare il dissacratore e offrire il suo cuore al dio!!” ululò il Quarto, fervente “Solo così la sua ira non si abbatterà su di noi!!” sentenziò.

 

Hanamichi avvertiva le loro voci discutere concitatamente attraverso il velo pesante della febbre.

A nessuno di loro importava minimamente come si sentisse lui.

Infondo chi era lui?

Nessuno, solo il Sacrificio.

Uno dei tanti che ogni cinque anni venivano incatenati all’altare del tempio.

Eppure non era mai successo, mai, che qualcuno avesse il coraggio di entrare tra le bianche mura senza essere accompagnato da un Ministro.

Che poi egli avesse anche osato profanare il ‘dono’ per il Sovrano delle Tempeste era assolutamente inconcepibile.

 

I membri del consiglio lasciarono finalmente la sua camera decidendo di riunirsi per deliberare e Hanamichi trasse un lungo sospiro quando la porta si chiuse alle loro spalle.

“Vuoi che ti porti qualcosa da mangiare?”  gli chiese piano Yohei.

Il rossino scosse il capo piano “No, grazie... ho solo bisogno di dormire un po’...” sussurrò con gli occhi chiusi.

“Allora ti lascio riposare...” disse il moro dirigendosi a sua volta verso l’unica porta della stanza.

“Se ti serve qualcosa suona la campanella...” disse e il rossino annuì meccanicamente accoccolandosi sotto le coperte lasciando che il sonno l’avvolgesse nel suo caldo abbraccio.

 

Non seppe per quanto riuscì a dormire, fu il rumore della pioggia che tamburellava dolcemente contro il vetro della finestra a farlo emergere dal sonno per cullarlo in un leggero dormiveglia nel quale percepiva le cose attorno a se senza tuttavia essere ancora del tutto cosciente.

Si mosse a disagio tra le coperte, aveva caldo e sentiva le lenzuola, pesanti, soffocanti.

Fece per allungare una mano oltre il bordo del letto per suonare il campanello e chiedere a Yohei che gli portasse da bere quando avvertì qualcosa di fresco e bagnato che gli veniva delicatamente posato sulla fronte.

Dita leggere scostarono le ciocche rosse dal suo viso per impedire che si bagnassero a contatto con il fazzoletto mentre il rossino tirava un lieve sospiro di sollievo sentendosi immediatamente meglio.

Yohei doveva essere tornato indietro per vegliare il suo sonno, ipotizzò, lasciandosi accarezzare dal tocco lieve di quelle dita gentili e fresche.

Le sentì scivolare sulla pelle accaldata portandole refrigerio mentre il sonno rischiava nuovamente di catturarlo ora che si sentiva nuovamente così bene.

Il materasso emise un mugolio di protesta quando Yohei si sedette alla sua destra, rimboccandogli le coperte prima di togliere il fazzoletto e alzarsi per bagnarlo nuovamente.

Il rumore dell’acqua che veniva rovesciata sul fazzoletto gli rammentò che aveva la gola secca e automaticamente la sua lingua scivolò a bagnare le labbra.

Pochi minuti dopo avvertì nuovamente il materasso piegarsi leggermente e quelle dita delicate deporre il fazzoletto sulla sua fronte.

Stava per aprire gli occhi e rivelare all’amico che era sveglio quando un paio di labbra vellutate accarezzarono le sue lasciando che un filo di acqua fredda scivolasse nella sua gola, refrigerandola.

 

Quelle labbra...

Quel tocco sensuale eppure quasi riverente...

Quella sensazione incandescente, elettrica che era scivolata giù per la sua schiena infrangendosi in mille brividi...

 

Hanamichi sbatté le palpebre stupito, spalancando gli occhi solo per specchiarsi in due laghi azzurro cupo.

 

“T..tu?” ansimò cercando di mettersi a sedere ma lo sconosciuto lo fece adagiare nuovamente tra le coltri senza una parola.

“Che cosa ci fai qui?” chiese “E come hai fatto ad arrivare fino alla mia camera?” domando incredulo.

“Non puoi stare qui!! Se ti trovano ti uccideranno, devi andartene!” aggiunse subito dopo ricordando dove si trovavano.

 

Nonostante solo pochi istanti prima l’avesse maledetto, nonostante per colpa sua il suo futuro fosse incerto e il suo presente sgradevole.. non riusciva a desiderare che gli fosse fatto del male.

Quel ragazzo aveva smosso qualcosa dentro di lui.. qualcosa di doloroso e al contempo piacevole a cui non sapeva dare un nome ma che si rifiutava di lasciarlo andare.

 

Il moretto gli pose l’indice sulle labbra, zittendolo.

“Shh...” sussurrò piano “...dormi...” mormorò con quella voce bassa e ipnotica che il rossino ricordava ancora fin troppo bene.

“Ma...” cominciò a protestare il ragazzo, cercando nuovamente di rialzarsi nonostante il vorticare confuso della stanza tutt’intorno a lui.

Il moretto sollevò gli occhi al cielo, con uno sbuffo tra l’esasperato e il divertito, prima di chinarsi a sfiorargli le labbra con le sue, in un lungo, caldo, bacio.

Quando lo lasciò andare il rossino lo fissava con gli occhi sgranati, le guance arrossate, incapace di proferire parola.

“Ora..” sussurrò il moro “...dormi” ripetè con una lieve nota di comando nella bella voce profonda e un momento più tardi il rossino era nuovamente scivolato nel sonno.

 

.... 

 

“Era qui...” mormorò Hanamichi piano, all’amico che lo fissava incredulo.

“Qui?” chiese Yohei perplesso “Ma Hana non è possibile!” sbottò “Siamo al quinto piano e le pareti dell’abbazia non offrono certo appigli!” gli ricordò “E non può essere passato dal corridoio senza farsi vedere da qualcuno!!” ragionò “Forse l’hai sognato...” cercò di dire senza offenderlo.

“Non l’ho sognato!” sbottò vivacemente il ragazzo agitando le braccia.

La febbre era scomparsa.

Non sapeva quanto tempo fosse passato dopo che si era addormentato per la seconda volta ma quando Yohei lo aveva svegliato per la cena la febbre era completamente sparita e lui si sentiva nuovamente bene.

Seduto sul letto, la schiena appoggiata ai cuscini, il rossino sospirò esasperato.

Non se l’era sognato!

Ne era sicuro!

Eppure quello che diceva Yohei era vero, era quasi impossibile che fosse giunto alla sua camera senza che nessuno lo vedesse.

 

E poi... per cosa... solo per... lui?

Era folle!

Forse aveva ragione Mito... forse...

 

Scosse il capo allontanando quei pensieri e il ricordo della dolcezza che il moretto gli aveva riservato “Che ha deciso il consiglio?” chiese invece, tornando a fissare l’amico.

Yohei gli sorrise “Ti concederanno di restare...” mormorò “..anche se non potrai fregiarti del titolo di Figlio del Vento e non ti sarà consentito di fare carriera all’interno dell’ordine..” spiegò.

Hanamichi emise un flebile sospiro.

 

Temeva che lo avrebbero cacciato.

 

Per quanto non fosse particolarmente devoto o religioso quella era l’unica casa che aveva, al di fuori delle mura dell’abbazia per lui non c’era niente, non c’era mai stato da quando sua madre era morta, pochi anni dopo averlo dato alla luce.

 

Mei Sakuragi, da cui lui aveva preso il cognome, era una donna bellissima, dal carattere forte e dal sorriso solare.

Tutti l’amavano.

Aveva l’innocenza pura e splendente di una bambina e sapeva sempre come strappare un sorriso o una risata.

Aveva molti corteggiatori in città ma lei... lei era una sognatrice.

Amava fantasticare, raccogliendo fiori attorno al tempio, fuori dalle mura della città, laddove le altre, per timore, non si spingevano.

Poteva passare ore intere a sognare ad occhi aperti magnifiche avventure, principi stranieri, luoghi misteriosi.

E quando, in quel giorno in cui il sole splendeva in tutta la sua focosa, dorata, luminescenza, aveva incontrato quell’affascinante sconosciuto dalla bellezza sconvolgente aveva creduto che i suoi sogni fossero divenuti, infine, realtà.

Lui così splendido, tanto da offuscare il sole, sedeva sui gradini del tempio, lo sguardo puntato nel vuoto.

“Sembrava così.. triste..” era solita ricordare lei quando parlava al piccolo Hanamichi i quel giorno lontano.

Lei gli aveva porto un fiore, appena colto, e lui le aveva regalato un lieve sorriso.

Non avevano parlato, erano rimasti in silenzio a guardare la brezza accarezzare le corolle dei fiori, trasformando il prato in un’ondeggiante mare arcobaleno mentre l’oceano sotto la scogliera sussurrava per loro, finchè lui si era alzato, per andarsene.

E allora Mei lo aveva afferrato per un lembo della veste e gli aveva scoccato un bacio, a tradimento, sulle labbra.

Quante volte sua madre gli aveva ripetuto, sin dalla tenera età, che non doveva biasimare suo padre.

Che era rimasta così, indissolubilmente affascinata da lui, che non aveva potuto lasciarlo andare così.

Che aveva sentito il bisogno di lasciargli qualcosa, di farsi lasciare qualcosa da lui.

La loro passione era durata solo quella notte, poi lo sconosciuto, così com’era arrivato era scomparso, lasciandola però in attesa di un figlio.

Quando gli raccontava di aver scoperto la gravidanza sua madre sorrideva sempre, raggiante, felice, passandogli con dolcezza una mano tra le ciocche ribelli.

“E così sei nato tu...” mormorava con voce sognante “...con i capelli rossi come il sacro fuoco del giorno e la pelle dorata come se il dio del sole stesso avesse posto il suo bacio su di te..” sussurrava incantata e  poco importava che lei avesse la carnagione chiara e i capelli castani e che avere un figlio al di fuori del matrimonio fosse considerato un atto molto grave dal clero.

L’aspetto del piccolo, inoltre, toglieva ogni possibile dubbio sulla sua natura.

Un mezzosangue.

Il figlio di uno straniero.

Nato da un rapporto segreto, vietato.

La madre di Hanamichi era stata completamente  emarginata dal resto del popolo, costretta ad allevare il bambino e a coltivare il suo piccolo campo, da sola.

Nessun uomo andava a caccia per lei, nella foresta poco lontana.

Nessun marito riparava le crepe del loro tetto, ai margini della città.

D’inverno solo poca paglia e qualche straccio li proteggeva dal freddo.

Mei tuttavia non si era mai arresa, mai una volta, nemmeno nei momenti più difficili aveva maledetto quell’uomo che le aveva fatto il più bel dono che avesse mai ricevuto.

Gli stenti tuttavia finirono per indebolire la giovane donna e con il passare degli anni lei divenne sempre più stanca finchè, il giorno del sesto compleanno del suo bambino, ella si recò all’abbazia chiedendo ai sacerdoti di accogliervi suo figlio.

I ministri rifletterono a lungo se accettare o meno tra le loro mura il figlio del peccato ma, alla fine, decisero che fare di lui un buon sacerdote avrebbe reso a tutti palese la loro santità e così aprirono le porte al giovane Hanamichi.

Mei morì pochi mesi più tardi lasciandolo solo al mondo in un luogo dove, tutti coloro che lo guardavano, vedevano chiaro in lui il segno della sua nascita.

Tutti, tranne Yohei.

Secondo genito di una delle nobili famiglie della città, per non essere d’intralcio al fratello, che doveva succedere al padre, il ragazzo era stato destinato alla carriera religiosa.

Tuttavia il moretto non aveva nessuna vocazione e tanto meno interesse, se non quello di divertirsi, e così, ben presto, lui e Hanamichi si ritrovarono frequentemente a colloquio dal Gran Sacerdote o a spazzare il cortile interno dell’abbazia, dalla neve, per fare penitenza per la loro ennesima marachella.

Quando, quell’anno, Hanamichi aveva compiuto i suoi sedici anni, pochi mesi prima dello scadere dei cinque anni di rito per il Sacrificio, al rossino era stato fin troppo chiaro a chi sarebbe toccata la sorte dell’altare.

“Vedila dal lato positivo...” mormorò Yohei quando il ragazzo gli comunicò che il ‘destino’ aveva scelto proprio lui, tra tutti i sedicenni del monastero, per la cerimonia. “..diventerai un Figlio del Vento” aveva cercato di tirarlo su.

“Mi metteranno su un altare... nudo..” aveva protestato il rossino arroventandosi in volto “..e mi lasceranno lì a morire di freddo. Se tutto va bene mi prenderò una polmonite e solo per cosa...?” aveva chiesto gesticolando “Per onorare un Dio, che sono convinto non esista, e per essere costretto alla castità per il resto della mia vita! Almeno ai sacerdoti normali è concesso sposarsi!!”  

Ma c’era stato poco da fare.

Il sorteggio aveva fatto uscire proprio il suo nome.

D’altronde era ormai risaputo che quel compito spiacevole toccava ‘casualmente’ sempre ai ragazzi alle cui spalle non c’era una famiglia in grado di offrire un cospicuo dono al dio, o meglio ai sacerdoti, per evitare al proprio figlio quel destino.

 

“E di lui che ne sarà..” chiese Hanamichi allontanando i ricordi del passato.

Yohei scosse il capo “Hanno messo una condanna a morte sulla sua testa, aspettano solo che tu dia loro la sua descrizione per cominciare a cercarlo..” mormorò.

“Non mi ha violentato..” sussurrò Hanamichi  piano, stringendo le lenzuola tra le dita.

Mito scosse il capo “Questo lo dobbiamo sapere solo tu ed io, Hana..” mormorò “..se il Consiglio sapesse che è stato un atto consensuale... lo sai quale sarebbe al tua pena..” gli ricordò cupo.

“Cento frustate e l’esilio oltre le mura della città..” annuì il rossino, piano.

“Già..” sussurrò il moretto “..e lui sarebbe comunque condannato a morte..” aggiunse.

Sakuragi sospirò piano, chiudendo gli occhi.

“Perchè è capitato a me..?” domandò stancamente ma Yohei non aveva una risposta da dargli.

 

...

 

Hanamichi dovette fornire la descrizione che il consiglio voleva e dovette farlo sotto l’effetto del Siero dell’Obbedienza.

Aveva sperato di dare delle informazioni imprecise ma il Gran Sacerdote pareva aver intuito più di quello che aveva lasciato capire e aveva insistito per far bere ad Hanamichi, prima della confessione, quella droga che già una volta aveva annientato ogni sua volontà.

Tuttavia, fortunatamente, nessuno aveva chiesto al rossino se il loro atto fosse consensuale, intenti solo a tracciare un identikit del profanatore e Sakuragi fu, infine, lasciato libero di tornare ai suoi compiti.

 

La paura che gli comunicassero la cattura del suo amante si affievolì con il passare dei giorni.

Il ritratto che avevano fatto del suo ‘aggressore’ e che ora spiccava, probabilmente, un po’ per tutta la città, era soltanto vagamente somigliante e non poteva minimamente sperare di riprodurre la bellezza irreale del volpino.

Hanamichi aveva cominciato a tranquillizzarsi, dunque, cercando di ignorare i nuovi commenti che giravano su di lui, o nel peggior dei casi, di metterli a tacere a suon di testate, ricominciando a vivere la sua solita vita, divisa tra i lavori per l’abbazia e le convocazioni del Gran Sacerdote per i suoi ‘atti sconsiderati’.

 

Quel giorno stava giusto uscendo dallo studio dell’uomo, borbottando tra se che una testata non aveva mai ucciso nessuno, quando lo scroscio della pioggia attirò la sua attenzione sul cortile interno.

Rimase senza fiato, gli occhi sbarrati, nel notare il suo amante pigramente seduto sotto l’ampio portico, fortunatamente deserto, lo sguardo blu, puntato su di lui.

“Che diavolo ci fai qui!” ansimò, correndo giù per la piccola rampa di scale, afferrandolo per un braccio e affrettandosi a tirarlo in un corridoio laterale.

Si guardò forsennatamente attorno, tirando un sospiro di sollievo quando notò che nessuno sembrava averli visti.

“Sei impazzito!” esplose, cercando tuttavia ti tenere un tono di voce bassa “Ti sta cercando mezza città per farti la pelle e tu vieni QUI!” sbottò gesticolando.

Il moro sollevò un sopracciglio sorpreso prima che le sue labbra si piegassero in un morbido sorriso “Ti preoccupi per me?” chiese facendo scivolare delicatamente un braccio intorno alla sua vita.

Il rossino sussultò facendo un passo indietro ma l’altro fu veloce a spingerlo contro la parete premendosi contro di lui.

“Allora do’aho..?” gli sussurrò sulle labbra “Ti preoccupi per la mia incolumità..?” domandò sinuoso.

Il ragazzo arrossì cercando di sfuggire al dominio di quegli occhi blu.

“Figurati se mi preoccupo per qualcuno di cui non so nemmeno il nome!” sbottò cercando di mantenere un’aria dura ed indifferente nonostante il calore del corpo dell’altro, premuto contro il suo.

“Kaede Rukawa..” mormorò il moro allungando il viso per deporgli una bacio alla base del collo.

Il viso di Sakuragi si arroventò violentemente “Che..che stai facendo!?” ansimò.

Rukawa sollevò il viso e Hanamichi si sentì nuovamente annegare in quelle iridi screziate di luce.

Tu mi appartieni..” mormorò serio, la bella voce profonda, fredda e imperturbabile come la pioggia che continuava a cadere, costante, infinita.

Incatenato a quelle iridi scure in cui lampeggiavano scariche d’ira elettrica Hanamichi fu incapace di negare, o anche soltanto di rispondere.

 

Un tuono rumoreggiò in lontananza riempiendo con il suo minaccioso ringhio il silenzio che si era interposto tra loro mentre il vento si sollevava lieve, scivolando sornione ad attorcigliarsi alla sua veste, infilando le sue dita trasparenti tra i suoi lembi, in impudenti, gelide carezze.

Hanamichi rabbrividì, piano, spingendosi contro il corpo del compagno,  inconsciamente alla ricerca del suo calore, mentre un ansito leggero gli schiudeva le labbra.

 

Il moro sorrise, soddisfatto, chinandosi a chiudere con la bocca del compagno con la propria, in un lungo bacio, mentre il vento, assolto il suo compito, si ritirò, silenzioso com’era venuto.

Hanamichi si lasciò violare, ipnotizzare, ancora una volta dal suo tocco, lottando contro di lui solo per qualche momento prima che la carezza sapiente delle sue labbra soggiogasse completamente la sua volontà facendogli piegare le ginocchia.

Rukawa lo lasciò andare delicatamente, sorreggendolo con un braccio, sorridendo dolcemente quando incontrò lo sguardo appannato del compagno.

Sollevò una mano, per passandogliela tra le ciocche rosse e Hanamichi chiuse gli occhi lasciandosi accarezzare, vinto dalla tenerezza di quel gesto rassicurante.

“Perchè io..?” sussurrò senza aprire gli occhi.

Il moro si aspettava una domanda simile ma non aveva una risposta da dargli.

 

Perchè lui?

 

Rukawa se lo chiese a sua volta.

Perchè lui?

Perchè rischiare per quel rossino?

 

Non lo sapeva.

 

Ma dalla prima volta che l’aveva visto, lì, sulla portantina diretta al tempio, in mezzo a quella massa di stupidi sacerdoti, una fiamma viva nella notte, una luce calda sotto la gelida pioggia, non era riuscito a toglierselo dalla mente.

Aveva varcato la soglia del tempo trovandolo caldo e inerte, sull’altare, per lui.

Lo aveva preso senza pensare.

Aveva annebbiato la sua mente, posseduto il suo corpo, sfiorato la sua anima.

E poi, quando tutto era finito, lo aveva guardato giacere lì, svenuto, su quel marmo nato candido al solo scopo di accentuare il colore dorato della sua pelle.

Avrebbe potuto benissimo lasciarlo incatenato al suo destino ed andarsene ma qualcosa dentro di lui era scattato alla vista di quel corpo esausto.

Lo aveva liberato, deposto tra i cuscini, coperto perchè non si ammalasse.

Era rimasto a vegliare il suo sonno in un turbato, perplesso, silenzio finchè Akira non era giunto a richiamarlo, portando con se l’alba di un nuovo giorno.

A lungo, nella comodità del suo grande letto, nella ricchezza della sua dimora aveva pensato a quel ragazzo dai capelli rossi.

 

Il divertimento proibito di una notte.

Nient’altro.

 

Quante volte se l’era ripetuto?

Quante volte l’aveva detto al fratello che, curioso, gli aveva chiesto cos’era accaduto?

 

Eppure... nessuna di quelle volte la sua voce era risultata convincente.

C’era sempre quella nota perplessa.

Quella domanda non posta.

Qualcosa non detto.

 

E più il tempo passava più la voglia di andare a vedere come stava, cosa faceva, come viveva, tornava a tormentarlo.

Lui, che non si era mai curato di niente e di nessuno.

 

Si era intrufolato nel monastero per mettere la parola fine a quella follia.

Vederlo nel suo ambiente, sotto la piena luce del giorno, gli avrebbe mostrato la vera natura del suo sogno notturno.

Nient’altro che un comunissimo ragazzino coi capelli rossi.

Ecco che cos’era.

Ecco che cosa doveva essere.

 

L’aveva trovato nella sua stanza, all’abbazia, come si era aspettato.

L’aveva trovato tra le lenzuola arruffate, con la febbre alta.

Le guance umide di pianto e il volto arrossato.

I capelli scarlatti sparsi sui guanciali candidi.

Le labbra socchiuse, il sonno inframmezzato da qualche debole ansito.

 

Indebolito.

Indifeso.

Ferito.

 

E qualcosa gli si era rovesciato nello stomaco.

Come una colata incandescente un moto di tenerezza lo aveva avvolto spingendolo ad avvicinarsi al suo giaciglio, a placare la sua arsura con un po’ di refrigerio.

Ma, se la febbre del rossino era calata pian piano, svanendo, la febbre che si era impossessata di lui... quella sembrava non trovare sfogo.

Continuava a tormentarlo, a corroderlo, placandosi solo quando il suo sguardo si posava su quelle chiome rosse e le sue mani sfioravano quella pelle dorata.

 

Perchè lui?

 

Non lo sapeva.

Poteva essere affetto il sentimento che provava?

O peggio.. amore?

 

Il rumore di alcuni novizi che si avvicinavano fece sussultare il rossino.

“Devi andartene!” mormorò liberandosi dal suo abbraccio “Scappa di là!!” mormorò indicandogli una svolta del corridoio.

Rukawa lo fissò per un istante, in silenzio, mentre i passi si facevano più vicini.

Socchiuse le labbra per parlare ma poi scosse il capo e si avviò nella direzione indicatagli, fatti pochi passi tuttavia si fermò, afferrandolo per la veste, attirandolo a se.

“Me ne vado...” mormorò posandogli un bacio sulle labbra “...ma tornerò” promise.

“Perchè!?” esclamò il rossino esasperato.

 

Possibile che quel pazzo non si rendesse conto che rischiava la vita ad intrufolarsi nell’abbazia?

Era una follia!

Un’assurda follia!

 

Ma il moro gli sorrise.

Un lieve, leggero, sorriso, carico di qualcosa che Hanamichi non aveva mai visto ma che il suo cuore riconobbe, sussultando.

 

Per te..

 

E Hanamichi rimase immobile a fissare le ombre che avevano inghiottito la sua figura elegante mentre quel sussurro gli accarezzava l’udito e la sua mano destra saliva a sfiorare le labbra.

Erano calde, umide.

Sarebbe tornato.

Quel pazzo sarebbe tornato anche se rischiava la vita.

 

“Perchè!?”

“Per te...”

 

....

 

“Accidenti!!” mormorò Yohei quella sera quando si ritrovarono nella stanza del rossino “Dev’essere davvero abile per essere riuscito ad infilarsi qui dentro senza farsi beccare!” esclamò.

“Non lodarlo!” sbottò il rossino cupo “E’ stato fortunato ma la prossima volta potrebbe non esserlo altrettanto!” esclamò “E se lo catturano lo sgozzeranno!” disse nervosamente, passandosi una mano tra i capelli rossi, con rabbia.

“Ti stai preoccupando per lui?” gli chiese dolcemente Yohei, ponendo inconsapevolmente la stessa domanda che gli aveva già fatto il moro.

Hanamichi arrossì abbassando il capo “Io.. io..” mormorò “Yo.. secondo te... esiste il colpo di fulmine..?” domandò piano.

“Hana!” mormorò preoccupato Mito “Vuoi dirmi che ti sei innamorato di lui!?”  chiese incredulo.

“Non lo so!” sbottò il rossino adirato “Non lo so..” ripetè con un filo di voce “Ma quando lui mi guarda, quando mi tocca... io...” arrossì, sentendosi stupido.

“Non puoi innamorarti di lui..” mormorò Mito preoccupato

“Lo so!” sbottò il rossino “Ma non è una cosa che posso controllare... mia madre mi deve aver lasciato in eredità il brutto vizio di scegliere la persona sbagliata..” sussurrò cercando di scherzare e Yohei non seppe che dire, allungandosi con un sospiro per abbracciarlo.

Era un guaio.

Un grosso guaio.

 

...

 

I giorni successivi passarono in una continua tensione per il rossino.

Rukawa spuntava di tanto in tanto, nei momenti più impensati, nei luoghi che tutti frequentavano abitualmente.

Il rossino continuava a temere che lo catturassero ma l’altro sembrava avere un’incredibile abilità nel defilarsi senza farsi vedere e tutte le volte il tempo che passavano insieme si allungava.

Sempre di più.

Ai baci erano seguite le carezze.

E poi i vestiti avevano cominciato a cadere.

Sempre un po’ di più, sempre un po’ più avanti verso quel confine che non andava raggiunto.

Fino al limite laddove la loro felicità si sarebbe spezzata...

 

Hanamichi mugolò piano, emergendo dalle maglie del sonno.

Si sentiva strano... accaldato.

Qualcosa gli sfiorò la guancia, un gesto leggero e riverente seguito dal fruscio delle lenzuola.

Emise un flebile ansimo nell’avvertire il corpo nudo dell’altro avvicinarsi al suo, gemette piano quando una gamba scivolò tra le sue obbligandole obbedientemente a schiudersi per lui.

Socchiuse gli occhi incontrando lo sguardo blu del moretto. Appoggiato ad un gomito, l’altro lo guardava, la mano libera che scendeva ad accarezzargli il ventre in una lenta carezza circolare.

Erano ormai diverse le notti che Kaede passava con lui.

 

Si baciavano.

Si accarezzavano.

Si erano spinti  reciprocamente al piacere ma non erano mai andati fino in fondo.

 

Come se, questa volta, il volpino volesse rispettare tutte le tappe.

Almeno... fino a quel momento.

 

Hanamichi lo fissò senza sapere che dire e il moro si chinò su di lui sfiorandogli delicatamente le labbra con le proprie, accarezzandogliele prima di obbligarlo a socchiuderle per lui, facendo scivolare la lingua tra esse.

Le forzò dolcemente, allargandole mentre spingeva un po’ di più il viso contro il suo, lasciando che i loro menti si sfiorassero piano, che le ciocche nere gli cadessero sulla fronte a mescolarsi con quelle rosse, arruffate.

Lo baciò lentamente lasciando all’altro il tempo di accettare la sua intrusione e di arrendervisi.

Il rossino sollevò le braccia mentre un sospiro leggero s’infrangeva contro la bocca del moro, cingendogli le spalle, e Rukawa si spostò con attenzione sopra il suo corpo nudo, facendo combaciare i loro bacini, staccando le labbra dalle sue quando lo sentì sussultare.

“Va tutto bene..” gli mormorò piano, chinandosi a sussurrare quelle parole nel suo orecchio, prima di posare un bacio sulla pelle delicata del collo, strofinando delicatamente la punta del naso tra le ciocche carminio, inspirandone il profumo selvaggio, facendolo ansimare.

Hanamichi si tese contro di lui e Rukawa non riuscì a trattenere un gemito quando quel movimento portò le loro virilità a sfiorarsi.

Sollevò il viso fissandolo con passione, intenerendosi nel notare lo sguardo confuso, liquido, del suo prigioniero e le sue labbra socchiuse, ancora umide dal loro ultimo bacio.

Gli porse un lieve sorriso passandogli una mano tra i capelli, dolcemente, osservandolo sospirare e chiudere gli occhi.

Tremava tra le sue braccia.

Lo baciò di nuovo, dolcemente, mentre cominciava a muovere il bacino contro il suo.

Hanamichi sussultò, stringendogli con forza le mani sulle spalle, e Rukawa lasciò che una mano scivolasse in basso ad accarezzargli un fianco.

Sfiorò quella pelle dorata con lenta, ipnotica, riverenza, la passione addolcita dalla confusione che leggeva nel tremore del corpo sotto il suo.

La prima volta che l’aveva avuto l’aveva irretito.

Non voleva fargli male ma sapeva che il ragazzo non gli si sarebbe concesso spontaneamente e così aveva imbrogliato.

Ma ora.. ora il rossino era libero.

Completamente libero di accettarlo o di rifiutarlo.

S’impose di muoversi piano contro il suo bacino facendo strofinare i loro sessi, lasciandogli il tempo di assorbire quelle sensazioni nuove, quel piacere che sembrava sconvolgerlo.

Gli liberò le labbra per lasciarlo respirare continuando ad accarezzargli i capelli spettinati e il rossino affondò il capo nella sua spalla, nascondendo il volto rosso d’imbarazzo contro il suo collo candido.

Rukawa lo strinse dolcemente a se cominciando a muoversi, trattenendolo contro di se quando lo sentì sussultare forte e ritrarsi un poco nel suo abbraccio.

“Lasciati andare..” mormorò piano sollevando un po’ il bacino per permettere al proprio sesso teso di stimolare meglio quello del compagno.

Hanamichi ansimò contro il suo collo stringendo inconsciamente le gambe.

“Così..” lo istruì Rukawa accarezzandogli una coscia, facendogliele aprire nuovamente.

Il ragazzo gemette piano ma lentamente assecondò il suo movimento lasciando che l’altro gli divaricasse le gambe per posarsi meglio contro di lui.

Il volpino lo obbligò a sollevare il viso soffiandogli un “Bravo piccolo...” contro le guance arrossate prima di spingere delicatamente il proprio corpo contro quello del compagno facendogli sbarrare gli occhi a quel contatto così intimo, così caldo, spingendolo ad inarcare la schiena, per gemere forte.

Rukawa gli baciò la gola, lasciata scoperta da quel movimento sensuale, scendendo poi a deporgli una lunga scia di baci e lievi morsi sulla pelle dorata, spingendo il ragazzo a gemere ancora, il capo che si agitava sconnessamente sul cuscino mentre il volpino scendeva sotto le lenzuola.

Il rossino ansimò, contorcendosi, ignorando le coltri che scivolavano, dimenticate, a terra, mentre dietro le palpebre socchiuse osservava il moro ridisegnare i muscoli del suo corpo, con la lenta, meticolosa, attenzione di un pittore.

“No!” gridò quando il volpino, ormai giunto al suo ventre, gli posò entrambe le mani contro le cosce, abbassando il viso verso il suo sesso.

“Rilassati... non ti farò male..” gli sussurrò il moro prima di chinarsi a baciargli la punta del membro.

Hanamichi ansimò pesantemente, incapace di distogliere lo sguardo dalle iridi blu del compagno che si chinava, nuovamente, sul suo sesso.

Morse un gemito, trattenendolo tra le labbra gonfie, quando l’altro appoggiò di nuovo la sua bocca contro il suo membro.

Questa volta però il volpino non si allontanò ma premette il viso, piano, verso il basso, lasciando che il sesso turgido del compagno si aprisse delicatamente un varco tra le sue labbra chiuse, strofinando delicatamente contro la sua pelle sensibile, lasciandolo appoggiare contro la superficie dura dei denti prima di permettergli di proseguire nella sua bocca, fino in fondo, alla gola.

Hanamichi ansimava pesantemente, gli occhi sbarrati fissi su un soffitto che non vedeva, il ventre in fiamme, incapace di muoversi, trattenuto contro il materasso dalle mani candide del suo carnefice.

“Ti prego..” supplicò cercando di far forza sugli addominali per spingere il proprio membro dentro quella bocca così calda e bagnata.

Il volpino acconsentì alla sua preghiera, lasciandogli le cosce, facendo scivolare le mani più su, sulle sue anche, e Hanamichi si mosse piano, irrigidendosi subito dopo, quando la frizione della pelle contro le labbra morbide del moro gli scatenò una violenta scarica elettrica nel ventre.

Rukawa allora sollevò il viso obbligando il rossino a tendersi e a gemere, il ventre che si sollevava inconsciamente ad inseguire quel calore che lo lasciava, l’aria calda della stanza gli parve gelida contro quei pochi centimetri di pelle umida che il moro  andava liberando dalla prigionia della sua bocca.

Gemette allungando le mani, che aveva serrato contro le lenzuola, per affondare le dita nei suoi capelli scuri, quando l’amante lo liberò completamente per deporre un altro, lieve, quasi tenero, bacio, sulla punta del suo sesso ormai teso allo spasimo.

“Tutto bene piccolo...?” gli domandò sulla pelle tesa, mandando una lunga scarica di brividi lungo il corpo del ragazzo.

Rukawa sorrise nel vedere la sua pelle incresparsi sotto il suo fiato e soffiò di nuovo, delicatamente, proprio laddove piccole goccioline perlacee avevano cominciato a rilucere.

Sakuragi ansimò pesantemente stringendogli con forza le mani tra i capelli e Rukawa l’accettò come una risposta positiva prima di chinarsi ad assaggiare il sapore del compagno.

Il ragazzo gridò quando quella lingua impertinente violò delicatamente la sua carne laddove era più sensibile, premendo con decisione sulla sua punta per ottenerne altro nettare.

Cominciò a tremare con forza mentre il suo sesso si bagnava di più e il volpino decise che l’aveva torturato abbastanza nel sentire il respiro del compagno spezzarsi in un piccolo singhiozzo.

Lo prese nuovamente in bocca facendolo affondare completamente dentro di se prima di ritrarsi, stringendo le labbra sulla sua carne gonfia, lasciando che la lingua stuzzicasse le vene tese, prima di farlo riaffondare ancora.

Hanamichi gridava.

Gridava, gemeva, ansimava, incapace di dare una priorità al respirare o allo sfogare ad alta voce il piacere che gli stava esplodendo nel ventre, serpeggiandogli in un incendio incontrollato su per il petto per poi piantarsi nella sua mente, proprio dietro gli occhi, in acuminati lampi di luce incandescente che gli riempivano le iridi di lacrime.

Il volpino si abbassò ancora spingendo la mano destra sulla schiena del compagno, approfittando che questi, incapace ormai di controllarsi, aveva preso a sollevare il bacino per inseguire le sue labbra.

Gli accarezzò i glutei con riverenza e poi fece scivolare le dita tra le natiche trovando ciò che cercava, affondandovi due dita con forza.

Hanamichi gridò sbarrando gli occhi, venendo nella sua bocca con un fiotto violento e caldo.

Il volpino  lo ripulì con cura prima di liberarlo dalla sua bocca, lasciando però le dita dov’erano, cominciando a muoverle piano mentre il ragazzo sotto di lui ancora riprendeva fiato.

Il rossino ansimava pesantemente stringendo gli occhi quando queste affondavano dentro di lui, troppo debole tuttavia per ritrarsi, la mente ancora così ottenebrata dal piacere che il dolore gli arrivava lentamente, confuso.

Rukawa si sollevò a chiudergli le labbra martoriate con le proprie lasciando che i loro sapori si mescolassero, mentre la sua mano lo allargava delicatamente, soffocando le sue fievoli proteste nella propria bocca.

Quando lasciò le sue labbra trovò il rossino che lo fissava con occhi liquidi, sulla guancia destra la trasparente scia di una lacrima silenziosa. Gli sorrise dolcemente chinandosi a raccogliere quella traccia salata mentre la sua mano gli strappava un fievole ansimo che il rossino tentò di soffocare contro il suo petto.

Il moretto stuzzicò nuovamente quel punto sensibile, lasciando che le proprie dita affondassero in quel calore così stretto e accogliente, e questa volta il rossino emise un vero e proprio gemito, facendo sorridere l’amante nel vedere come si era morso le labbra, troppo tardi, per soffocare quell’ansito di piacere.

Rukawa lo obbligò a sollevare di più il viso per riappropriarsi della sua bocca e Hanamichi gli strinse le braccia attorno al petto, cominciando incerto a saggiare con le dita quella pelle serica, scintillante e umida.

Il moro gli soffiò un gemito contro le labbra e Hanamichi si mosse piano, andandogli incontro, sussultando quando avvertì un terzo dito farsi strada dentro di lui.

“Rilassati..” mormorò il volpino contro la sua guancia deponendo una pioggia di baci sul suo volto arrossato.

Hanamichi deglutì un paio di volte prima di annuire con il capo, piano, ritrovandosi un attimo più tardi a gettare indietro la testa, con un lungo lamento inarticolato, quando il moro ricominciò a muovere la mano dentro di lui.

Rukawa fece scivolare la mano libera tra le gambe divaricate dell’amante riprendendo ad accarezzare il suo sesso teso finchè lo sentì nuovamente ansimare di piacere, allora lo liberò delle dita, posizionandosi il proprio membro contro di lui, ma il rossino lo bloccò, piantandogli entrambe le mani sul petto, allontanandolo.

“Che cosa c’è?” gli chiese perplesso, preoccupato di aver fatto qualcosa che aveva spaventato l’altro.

Ma non c’era timore negli occhi del rossino solo... imbarazzo.

Senza una parola Hanamichi si scostò da lui, prima di voltarsi per mettersi supino.

“Perchè..?” gli chiese il moro stendendosi sulla sua schiena, facendogli scorrere una mano sulle natiche per poi sfiorare il contorno della sua apertura, arrossata e allargata, per lui.

“Vuoi nasconderti..?” gli soffiò nell’orecchio con voce maliziosa osservando il pudore con cui il ragazzo nascondeva il volto nel cuscino.

Spinse delicatamente il proprio membro contro il suo corpo, facendolo ansimare pesantemente, spingendolo a sollevare la testa di scatto, dal suo nascondiglio, per lanciare un lungo lamento.

Rukawa gli baciò il collo teso allungando il viso per mordicchiargli il lobo sinistro “Mi.. senti..?” gli ansimò contro l’orecchio mentre il suo sesso scivolava qualche centimetro ancora, dentro l’altro.

“Non c’è modo per te di fuggire da me..” gemette con voce roca, contro il suo collo, sentendolo tendersi sempre di più sotto di se, mentre, centimetro dopo centimetro, affondava nel suo calore.

Rukawa appoggiò i fianchi contro i glutei dell’amante, ormai completamente avvolto dalla sua carne, tesa, stretta, incandescente e Hanamichi rimase immobile, il corpo inarcato sotto il suo, il sesso dolorosamente premuto contro il materasso, il peso del moretto che lo schiacciava contro le coltri, il suo membro, a fondo, nel proprio corpo.

“Sei mio...” ansimò Kaede e il rossino si rese pienamente conto, in quel momento, che aveva ragione.

Non c’era modo di sfuggire al sentimento che lo sconvolgeva ogni volta che l’altro lo toccava, lo guardava, gli parlava.

Non c’era modo di negare il possesso dell’altro sul suo corpo e sulla sua anima.

Una lacrima scivolò oltre i suoi occhi spalancati e Rukawa si spinse in avanti, muovendosi sopra di lui, dentro di lui, per raggiungergli il viso e cancellarla con un bacio.

“Ti amo..” gli sussurrò contro i capelli arruffati prima di sollevarsi un poco e assestare una prima, lieve, spinta.

Hanamichi emise un piccolo lamento e il volpino lasciò che la mano, che teneva sul suo fianco, scivolasse in avanti ad accarezzare la sua virilità, mentre si muoveva di nuovo, violando quel calore troppo stretto.

Il rossino ansimò pesatamente e il volpino prese a muoversi dapprima piano poi con maggior impeto nel sentire i gemiti del compagno diventare grida.

Erano ormai entrambi al limite, le spinte del moro erano diventate violente e profonde, affondava con forza impellente, premendo il rossino contro il materasso, facendo gemere anche il letto al ritmo del loro amplesso, quando bussarono alla porta.

Il suono deciso e secco vibrò nell’aria scuotendo Hanamichi.

Il ragazzo si irrigidì violentemente, stringendo le cosce proprio mentre il volpino affondava in lui.

Rukawa sbarrò gli occhi sentendosi stringere improvvisamente, così, il suo sesso si fece brutalmente strada dentro il calore del compagno, aprendolo fino in fondo, vincendone la resistenza bollente, regalando ad entrambi un orgasmo violento che fece gridare il rossino con tutto il fiato che aveva in gola mentre il moretto, per la prima volta, si lasciava andare ad un lungo lamento di piacere.

Si accasciarono uno sull’altro senza fiato, esausti e completamente stremati.

“Kami...” ansimò il moro “...dove diavolo hai imparato a fare una cosa simile..?” gemette con voce roca, irriconoscibile persino alle sue orecchie.

Il rossino non gli rispose, troppo preso nel disperato tentativo di riprendere fiato.

“Hey, stai bene?” gli chiese dolcemente scivolando fuori dal suo corpo, strappandogli un piccolo lamento e un’altra lacrima.

 

“Hana!!”

 

La voce dietro la porta fece sussultare il moro che si lasciò sfuggire un’imprecazione, si era completamente dimenticato di dov’erano.

 

“Hana ti ho sentito gridare!!”

 

La voce dietro l’uscio suonava preoccupata.

Il rumore di veloci scalpiccii avvertì il moretto che al primo seccatore se ne stavano aggiungendo altri.

La maniglia vibrò pericolosamente ma la porta era fortunatamente chiusa a chiave.

“Vai..” mormorò il rossino con voce ancora provata, cercando di darsi stancamente una sistemata.

“Non se ne parla neanche..” ringhiò il moro chinandosi a sfiorare le labbra gonfie dell’amante, cancellando con le dita la traccia delle lacrime dalle sue guance.

 

“Hana che sta succedendo!? Apri questa porta o la sfondo!”

 

Alcuni tonfi sordi lo avvertirono che le persone dietro l’uscio stavano mettendo in atto quanto appena minacciato.

“Vai!” sussurrò il rossino con voce incrinata “Vai, ti prego!” mormorò “Se resti ti uccideranno!” disse con voce spezzata.

Rukawa si morse le labbra a disagio, combattuto.

Non gli andava l’idea di lasciarlo lì così.

Non dopo quello che avevano appena condiviso.

Ma se fosse rimasto la situazione del rossino si sarebbe aggravata ancora di più.

“Riposa piccolo...” sussurrò raccogliendo le coperte per rimboccargliele con cura “...tornerò a vedere come stai..” gli promise con dolcezza, regalandogli un ultimo bacio nel momento in cui la porta si schiantava, aprendosi, rivelando un trafelato e preoccupatissimo Yohei, seguito da alcuni novizi curiosi.

Hanamichi ebbe una fugace versione del pallore di Mito, del guizzo con cui Rukawa saltava fuori dalla finestra e della faccia cadaverica degli altri Figli del Vento prima di perdere i sensi.

 

....

 

“Kaede...”

“Kaede svegliati...”

“Io non perdono chi disturba il mio sonno!” ringhiò il moro facendo scattare un pugno in avanti, Akira sorrise afferrando prontamente la mano del fratello, evitando con grazia il diretto al suo volto.

“Non cambi mai, eh?!” gli chiese divertito.

Il moro si mise seduto sul grande letto dalle lenzuola di seta, lasciando che queste scivolassero sul suo corpo nudo con negligenza.

Sendoh non si scandalizzava di certo.

“Che vuoi?” gli chiese scocciato passandosi una mano tra i capelli corvini.

“Si tratta del tuo rossino...” mormorò il ragazzo dai capelli a punta catturando immediatamente l’attenzione dell’altro.

“Che fai lo spii?” gli chiese sospettoso il volpino.

L’altro gli sorrise, sedendosi accanto a lui su l’ampio giaciglio “Suvvia Ru!” mormorò “E’ un po’ di innocente curiosità!” si giustificò “Credevi che non ci saremo accorti di come è diventato importante per te?” disse “Ti comporti in modo diverso dal solito, e l’ultima volta sei tornato a casa decisamente... hmmm..” mugolò il porcospino alla ricerca del termine esatto “..arruffato..” terminò con un ampio sorriso.

“E’ ovvio che ci siamo incuriositi!” mormorò.

“Hn..” sbottò il moretto cupo.

“Non sarò io a ricordarti che quello che stai facendo è proibito..” mormorò improvvisamente serio il ragazzo più alto.

“Tu sei l’ultimo che può parlare..” borbottò Kaede.

“Lo so, lo so..” disse Akira sollevando le mani in segno di resa “...però io non sono nella TUA posizione..” gli ricordò.

Rukawa sbuffò scendendo dal letto, raccogliendo una voluminosa vestaglia di seta azzurro cupo “Non ho scelto IO di essere quello che sono e comunque non ho nessuna intenzione di rinunciare a ciò che voglio per questo!” ringhiò gelido.

Sendoh sorrise con più calore, soddisfatto nel notare la luce scintillante che aveva acceso gli occhi del fratello.

“Io e Ayako siamo dalla tua parte..” gli assicurò “..e anche Hiro..”

“Hn..” mormorò il volpino in quello che, Akira ormai aveva imparato a decifrare, come un grazie.

“Allora, perchè mi hai svegliato?” chiese riconducendo il discorso al punto da cui era partito.

Sendoh tornò serio, ricordandosi che non aveva buone notizie da dargli, “Lo hanno esiliato..” mormorò.

“COSA!?” esplose Rukawa sbarrando gli occhi.

Akira annuì “L’ho saputo solo pochi istanti fa...” mormorò “...pare che l’abbiano cacciato dalla città per aver offeso il Dio delle Tempeste” borbottò cupo.

“Questa poi!” ringhiò Kaede cominciando a vestirsi in fretta “Dov’è adesso?” chiese infilandosi un mantello da viaggio sopra la semplice camicia bianca e i pantaloni neri.

“Hiroaki lo ha visto ai confini della foresta, qualche chilometro a sud dalla sua città...” mormorò.

Rukawa annuì dirigendosi verso la porta “Ti devo un favore...” sussurrò prima di varcare la soglia in fretta.

Akira lo fissò allontanarsi incredulo.

Rukawa... Rukawa che diceva... ‘ti devo un favore’???

“Per tutti gli dei..” ansimò incredulo “...è innamorato!” mormorò senza sapere se l’idea lo rendeva più felice o più spaventato.

 

....

 

Rukawa trovò il rossino rannicchiato sotto un albero, avvolto in un vecchio mantello, troppo logoro per proteggerlo dal freddo della sera che stava calando.

“Hana..” lo chiamò piano posandogli una mano sulla spalla.

Il ragazzo sussultò sbarrando gli occhi, facendo un salto indietro prima di mettere a fuoco lo sguardo su di lui.

Ha di nuovo la febbre, constatò Rukawa preoccupato.

“Kaede...” sussurrò con voce resa debole dalla stanchezza, il moro lo abbracciò stringendolo a se.

Voleva solo dargli un po’ di calore non si aspettava l’ansito di dolore che spezzò il respiro dell’amante.

“Che ti è...” cominciò a chiedere prima di impallidire violentemente nel notare, sotto il mantello, le macchie di sangue che sporcavano la stoffa logora della veste del ragazzo.

I suoi occhi blu si sbarrarono passando velocemente dall’azzurro cupo al più insondabile e pericoloso dei blu notte.

“Che cosa ti hanno fatto?” ringhiò con voce spaventosamente bassa.

“E’ colpa tua!” esplose il ragazzo “Che cosa credevi?!” gridò “E’ la pena per chi offende il dio: cento frustate e l’esilio!!” sussurrò con voce improvvisamente stanca, barcollando pericolosamente in avanti.

Rukawa scattò verso di lui, afferrandolo, facendo attenzione a non toccare la schiena ferita.

“Mi dispiace...” sussurrò stringendolo delicatamente a te.

“Mi dispiace tesoro..” ripetè sollevandolo tra le braccia come se fosse privo di peso “Adesso penso io a te..” mormorò ma il rossino non lo sentì, aveva nuovamente perso i sensi.

 

...

 

Hanamichi si svegliò in un grande letto pieno di cuscini.

Si mosse con cautela ma scoprì che la schiena non gli dava più nessun fastidio.

Arrischiò ad allungare una mano, sfiorandosi una spalla trovando la pelle cicatrizzata, pulita.

Per quanto aveva dormito?

Come avevano fatto le sue ferite a guarire così in fretta?

Si passò una mano tra i capelli arruffati, guardandosi attorno.

Si trovava in una camera, non molto grande, lo spazio era sufficiente per l’ampio letto matrimoniale su cui era sdraiato lui, un armadio e un comodino su cui era posata un brocca con dell’acqua.

Se ne versò un bicchiere, grato alla freschezza del liquido che gli ristorava la gola arida e la bocca impastata, prima di cercare di alzarsi.

In quel momento la porta si aprì e una bella donna dai capelli ricci fece il suo ingresso con un vassoio carico di vivande.

“Oh sei sveglio!” disse con un sorriso meraviglioso “Ti ho portato qualcosa da mangiare..” esclamò “Sarai affamato! Hai dormito per due giorni di seguito!!” lo informò.

Hanamichi la fissò cauto e lei gli sorrise di nuovo in quel modo materno e amorevole che lo faceva sentire incredibilmente al sicuro.

“Dove sono?” volle sapere guardandosi attorno.

“Oh, questa..” disse Ayako posando il vassoio sul comodino accanto alla brocca “..è la casa che usa Rukawa quando scende qui, e io sono Ayako, la sorella minore di Kaede” spiegò con un sorriso “..come va la schiena?” volle sapere poi.

“Sei stata tu a medicarmi?” le chiese il rossino perplesso.

In città solo gli uomini potevano diventare guaritori e, per quanto ne sapeva, nessuno sarebbe riuscito a far scomparire il dolore così in fretta.

Lei tuttavia annuì in conferma e Sakuragi la fissò sempre più stupito “Come hai fatto? Non mi fa più male..” constatò.

“La nostra sorellina è una vera... dea... della guarigione!” disse una voce allegra precedendo un giovane dalla carnagione candida e dai capelli a punta.

“Akira!” protestò la ragazza dandogli una leggera gomitata nel fianco.

Il porcospino sollevò entrambe le mani in segno di resa mentre il rossino li fissava sorpreso.

Erano uno più bello dell’altro.

Certo erano i fratelli della volpe, gli fece notare la sua mente, spargendo un istantaneo rossore sulle sue guance.

“Lui dov’è?” si lasciò sfuggire prima di riuscire a mordersi la lingua.

Akira gli porse un sorriso solare “Oh.. il nostro Kaede sta facendo tuoni e fulmini!!” disse con una scrollata di spalle.

Hanamichi li fissò perplesso “Non capisco..” ammise.

“Era molto arrabbiato per quello che ti hanno fatto..” gli spiegò Ayako.

“Arrabbiato è un eufemismo..” borbottò Akira togliendosi il mantello e solo allora Hanamichi si rese conto che era zuppo di pioggia.

“Volete dire che è andato a parlare con il Gran sacerdote!” esclamò preoccupato.

Akira scosse il capo “Più o meno..” mormorò.

“Ma se lo trovano lo uccideranno!” protestò il rossino, pallido, cercando di alzarsi dal letto.

Ayako però fu più veloce, intuendo le sue intenzioni si era avvicinata a lui e lo costrinse dolcemente, ma con risoluzione, a mettersi sdraiato.

“Rukawa non corre nessun pericolo..” gli assicurò con dolcezza passandogli una mano tra i capelli rossi “..e tu devi riposare ancora un po’...” mormorò.

“Ma...!!” protestò il rossino ma la ragazza non volle sentire ragioni e, per quanto la preoccupazione per Kaede restasse latente nel suo animo, Hanamichi non riuscì ad opporsi alla volontà della donna.

Possibile che i fratelli Rukawa riuscissero sempre a fargli fare quello che volevano loro? Pensò contrito.

“Cerca di dormire ancora un po’..” gli disse la donna quando lui ebbe finito di mangiare e, come gli era già accaduto con il volpino, non appena lei ebbe pronunciato quelle parole la stanchezza lo sopraffece facendolo scivolare nel sonno.

Ayako lo fissò riposare prima di voltarsi verso il fratello maggiore.

“Che sei venuto a fare qui?” chiese rimboccando le coperte al rossino.

“Ero solo curioso...” mormorò Sendoh “..non ero ancora riuscito a vederlo..” disse osservando il ragazzo più da vicino, la fronte leggermente aggrottata.

“Che c’è?” gli chiese la ragazza notando quella sua strana espressione.

“Non so...” mormorò il moro perplesso “E’ come...” si aggrottò ancora di più “...ti sembrerà stupido ma.. mi pare di averlo già visto da qualche parte...” borbottò aggrottando la fronte mentre cercava di ricordare.

Lei lo fissò senza capire mentre osservava Sendoh allungare una mano e sfiorare la fronte del ragazzo addormentato facendo scivolare le dita tra le ciocche rosse.

“Non può essere...” mormorò ritraendo la mano di scatto, come se si fosse scottato.

“Akira..?” lo chiamò Ayako posandogli una mano sul braccio “..che sta succedendo?” domandò perplessa ma il moro si limitò a scuotere il capo allontanandosi dal letto a grandi passi “Devo chiedere a Hiroaki di fare delle ricerche per me...!” borbottò prima di afferrare di nuovo il suo mantello e uscire in fretta lasciando la sorella a fissarlo sorpresa.

Non l’aveva mai visto così turbato.

 

....

 

“Buon giorno..”

Hanamichi sbattè le palpebre un paio di volte fissando lo sguardo in quello blu del volpino.

“Kaede..” sussurrò arrossendo violentemente quando si rese conto che il moro si era sdraiato a letto, accanto a lui.

“Come stai?” gli chiese il volpino passandogli con dolcezza una mano sulla guancia.

“Bene..” mormorò il ragazzo in imbarazzo “...ho conosciuto i tuoi fratelli..” disse dopo pochi istanti di silenzio.

Rukawa sollevò un sopracciglio sorpreso “Avevo chiesto ad Ayako di medicare le tue ferite..” mormorò “...ma nessun altro doveva essere qui..” disse.

Hanamichi scosse il capo “C’era anche un’altra persona, con una strana pettinatura..” mormorò cercando di ricordare il nome del ragazzo.

“Akira!” sbottò il moretto togliendolo d’impaccio.

“Non è tuo fratello?” chiese perplesso Hanamichi e Rukawa sbuffò “Sì, lo è..” borbottò “...anche se dovrebbe imparare a non ficcanasare negli affari miei!” disse burbero, tuttavia nella sua voce non c’era rabbia o risentimento, e, nonostante le parole Hanamichi non ebbe difficoltà ad immaginare quanto si volessero bene quei tre.

Quel pensiero gli riportò alla mente il volto dell’unica persona che gli era sempre stata amica e che per lui era quasi un fratello.

“Yohei...” sussurrò piano.

Kaede lo fissò con un lampo di tristezza negli occhi blu.

Per colpa sua il rossino era stato cacciato dalla sua casa, separato dai suoi amici.

“Mi dispiace..” sussurrò “..non volevo farti del male..” disse piano.

Il rossino sospirò chiudendo gli occhi per poi riaprirli lentamente “Mi ami davvero?” domandò.

Rukawa gli sorrise, passandogli con dolcezza due dita sulla guancia destra “Sì, ti amo” mormorò.

“Anch’io ti amo..” confessò il rossino facendo spalancare gli occhi del moro.

Ormai Kaede aveva capito di non essergli indifferente ma non sperava di essere già arrivato al suo cuore.

Lo strinse a se con gioia e Hanamichi ridacchiò “Adesso che sono un dissacrato...” mormorò piano “...che ne farai di me?” chiese “Mi insegnerai a rubare nei templi come fai tu?” domandò.

Rukawa scosse il capo con un sorriso.

“Do’aho..” mormorò.

Era ora di spiegare qualcosa al suo piccolo rossino.

Tuttavia fece appena in tempo ad aprire bocca che delle grida furiose li fecero sussultare.

Rukawa balzò in piedi vestendosi in fretta, seguito a ruota dal rossino.

Davanti alla piccola radura, in cui sorgeva l’abitazione del moretto, stava l’intero consiglio dei sacerdoti con una decina di soldati armati di picca alle loro spalle.

“Tu!” gridò il Gran Sacerdote indicando Hanamichi con un dito tremante di rabbia “Ti abbiamo risparmiato la vita e tu che fai?” chiese con voce stentorea “Ti ritiri qui con.. con.. lui!” gracchiò indicando Rukawa che li fissava tra lo scocciato e l’infastidito.

“Sparite!” sbottò con un gesto noncurante della mano, voltando loro le spalle.

“Maledetto!” gridò uno dei sacerdoti dall’abito bianco “Che l’ira del dio ti punisca!” tuonò.

Il moro si volse lentamente.

 

Molto lentamente.

 

Gli occhi blu due pozzi scuri, tempestosi.

 

Adesso basta!” ringhiò con voce spaventosamente bassa.

Le fronde degli alberi intorno a loro rabbrividirono spaventate, sussurrandosi avvertimenti concitati mentre lontano il rombo di un tuono si faceva minacciosamente sentire.

 

“Uccidetelo!” tuonò il Gran Sacerdote impallidendo e facendo un passo indietro senza nemmeno rendersene conto.

“Aspettate!” gridò Hanamichi cercando di fermarli in qualche modo.

 

Successe tutto in un momento.

 

Uno dei picchieri sollevò la sua arma e, con uno scatto del braccio possente, la lanciò contro il volpino.

Sotto gli occhi increduli di Sakuragi la lunga asta di legno dalla punta acuminata tagliò l’aria con un sibilo feroce conficcandosi con uno disgustoso suono lacerante nel petto del volpino.

Hanamichi sbarrò gli occhi osservando la scena come se si svolgesse al rallentatore, in un luogo mille miglia lontano da lì.

 

Il rumore della carne lacerata, lo scricchiolio delle ossa spezzate.

Il moretto venne sbalzato indietro dalla forza del lancio e cadde pesantemente a terra con un tonfo pesante.

 

“Kaede!!” gridò Hanamichi riemergendo improvvisamente dal suo stato catatonico per lanciare un grido di puro terrore, osservando l’amante giacere a terra, inerte.

“E’ la giusta punizione per lui!” gracchiò il sacerdote con una nota di esaltata soddisfazione nella voce “Prendetelo!!” gridò subito dopo, indicando Sakuragi.

Il rossino non riuscì a muoversi neanche quando vide il picchiere farsi avanti.

Lo sguardo incredulo piantato sul corpo del volpino.

 

Immobile.

A terra.

 

Kaede... il suo Kaede era...

 

Morto.

 

Il soldato lo colpì dietro la nuca e Hanamichi perse i sensi, nella mente l’ultima immagine del corpo senza vita del suo compagno.

 

....

 

“Hana...”

Il rossino sollevò le palpebre a fatica, per un lungo istante speranzoso di trovare Kaede chino su di lui, ma quello inginocchiato accanto a lui era Mito

Un Mito dagli occhi rossi di pianto e dall’abito marrone.

Già, il suo amico era stato scacciato dall’ordine quando aveva cercato di impedire l’esilio di Hanamichi.

“Hana..” ripetè Yoehi abbracciandolo con foga, singhiozzando.

“Cos’è successo...” sussurrò il rossino mettendosi a sedere, massaggiandosi la nuca, lì, dov’era stato colpito.

Il moro sospirò pesantemente “Da quando sei stato esiliato qui ha cominciato a piovere..” prese a raccontare “...ma non una pioggia normale..” sussurrò “...grandina, piove, nevica.. tutto insieme..” mormorò ricordando il terrore che quel fenomeno gli aveva causato la prima volta che l’aveva visto “..il cielo tuona incessantemente e i fulmini cadono in continuazione.” Mormorò e Hanamichi tendendo l’orecchio notò che, effettivamente sentiva il rumoreggiare del tuono, fuori dalle mura della sua prigione.

“Molti hanno colpito il monastero e i nostri campi...” continuò Mito “...il granaio è stato letteralmente polverizzato, gran parte delle stanze del consiglio sono state distrutte o allagate e non c’è una finestra intera in tutto l’edificio..” raccontò “...fortunatamente ancora nessuno è stato ucciso ma diverse persone si sono ferite e il gran sacerdote ha chiamato il consiglio d’urgenza.” sospirò piano ricordando quei momenti.

“Hanno cominciato a dire che si trattava dell’ira del Dio delle Tempeste. Che egli era furioso perchè ti avevano semplicemente punito con l’esilio invece di donargli la tua vita...” singhiozzò “...hanno mandato delle sentinelle a cercarti e poi sono venuti a prenderti..” sussurrò “...hanno deciso di giustiziarti domani all’alba, di fronte al tempio...” terminò.

Hanamichi abbassò il capo con un sospiro.

 

Stranamente l’idea della morte non lo terrorizzava tanto.

 

“Kaede è morto..” comunicò all’amico.

Yohei sussultò sollevando il capo di scatto “Cosa?” sussurrò.

“Quando sono venuti a prenderci.. uno dei soldati lo ha.. lo ha..” Hanamichi strinse la mascella mentre lacrime roventi gli scivolavano lungo le guance.

“Ti eri innamorato di lui..” constatò Yohei piano.

Il rossino non annuì, la sua disperazione parlava per lui.

“Mi dispiace Hana..” mormorò stringendolo in un abbraccio gentile.

Rimasero così a lungo prima che Mito si staccasse delicatamente da lui “Hana.. troverò il modo di farti uscire di qui.. di farti scappare...” mormorò ma il rossino scosse il capo.

“Nessuno ti aiuterà Yohei..” mormorò “..se è vero quello che mi hai raccontato..” sussurrò “...saranno così spaventati dall’idea dell’ira del dio che nessuno ti aiuterà..” ragionò, incredibilmente freddo, “...finirai solo per essere giustiziato insieme a me..” disse.

Yohei lo fissò incredulo “Vuoi andare incontro alla morte senza fare niente?” chiese.

“Questa storia finirà qui Yohei..” sussurrò “..raggiungerò Kaede...” mormorò piano spezzando il cuore dell’amico.

“Ti prego.. non voglio avere sulla coscienza anche la tua vita.. promettimi che non farai cose stupide!!” lo supplicò prendendo le mani di Mito tra le sue.

“Hana!” gridò il moretto scuotendolo “Come puoi chiedermi questo!!” singhiozzò “E’ stata colpa mia.. se non fossi piombato così in camera tua...” mormorò ma il rossino lo interruppe posandogli una mano sulla spalla.

“Non è stata colpa tua...” sussurrò “..prima o poi sarebbe successo lo stesso...” lo rassicurò dolcemente.

“Non voglio che tu faccia niente Yohei! Promettimelo!” lo pregò ancora “Non voglio più vedere nessuno morire..” sussurrò coprendosi il volto con le mani “Ti prego... esaudisci il mio ultimo desiderio...” singhiozzò e la sua voce era così affranta, così spenta, che Yohei chiuse gli occhi e abbassò il capo.

“Te lo prometto..” sussurrò con il cuore a pezzi.

Hanamichi gli porse in risposta il suo ultimo, lieve, sorriso.

 

....

 

Pioveva.

 

La grandine e la neve sembravano aver deciso di smettere di cadere quel giorno, quasi a dar ragione al consiglio.

I fulmini saettavano fugaci, tra le nuvole, curiosi, mentre i tuoni rumoreggiavano sommessamente seguendo il corteo che procedeva verso il tempio candido, sulla scogliera.

Hanamichi sollevò il volto stanco verso quella pioggia furente, lasciando che permeasse i suoi abiti, che bagnasse il suo corpo.

Presto... presto quell’acqua avrebbe cancellato anche le tracce della sua linfa vitale lasciando finalmente libero di andare.

Sulla sommità della collina, con alle spalle l’incombente sagoma bianca del tempio, il consiglio attendeva.

Accanto al gran sacerdote un giovane novizio reggeva il cuscino su cui riposava la lama sacra, in attesa del suo sangue.

Tutt’attorno alla radura il popolo era accorso numeroso a presenziare all’esecuzione di colui che aveva offeso il più potente tra gli dei.

Il vento urlò e il gran sacerdote si volse verso il tempio sollevando entrambe le braccia.

La sua veste svolazzò enorme e incredibilmente candida contro il cielo scuro mentre egli rivolgeva la sua voce al cielo.

“Oh potente tra i potenti!” gridò “Siamo qui, di fronte alla tua casa per consegnarti il sangue e la carne dell’impuro che ha osato insultare il tuo nome!” gridò mentre la folla gli faceva da eco con un basso mormorio di assenso, gli occhi pieni di biasimo e paura rivolti verso il rossino che aveva causato la rabbia del loro dio.

 

Ma Hanamichi non li vedeva.

Non sentiva niente.

 

Intontito dal freddo si limitava a rimanere immobile, in piedi, i polsi incatenati, trattenuti da due picchieri.

Ad un gesto del gran sacerdote i due uomini lo sospinsero in avanti fino a portarlo di fronte alle porte del tempio, sotto gli occhi di tutti.

Il gran sacerdote afferrò dunque il coltello, con fermezza, mentre un terzo uomo faceva piegare all’indietro il capo ad Hanamichi.

Il rossino si ritrovò così a fissare il cielo, attraverso le palpebre poteva vedere la pioggia cadere da quel manto scuro mentre attendeva che la lama straziasse la sua gola.

“O potente!” gridò il gran sacerdote sollevando il coltello.

Il cielo si aprì, spezzandosi in fulmini violenti, lampeggiando minaccioso sulla lama lucente.

“Per te, o potente!” gridò l’uomo fervente spingendo l’arma contro la pelle dorata.

 

 

“Per me..?”

 

 

La voce attraversò la valle bassa, vibrante e fredda.

La lama si bloccò ghiacciata a pochi centimetri dalla carne viva.

Il gran sacerdote sbarrò gli occhi mentre il silenzio bloccava il respiro in gola ai presenti.

 

Il vento innalzò in un ululato di gioia mentre il cielo veniva squarciato da una stilettata di luce incandescente e la pioggia si tramutava in neve, svolazzando come tantissime, minuscole, anime candide, nella valle incredula.

 

 

Per me...?!

 

 

Ripetè quella voce senza tempo, che sembrava provenire da ogni luogo e da nessuno.

Le nubi presero a vorticare, furiosamente, mentre il vento gridava senza sosta.

Il cielo si aprì, spezzandosi, con un ansimo violento.

La prima folgore cadde in mare, contorcendosi tra le acque scure improvvisamente tramutate in un fumante oceano di luce e vapore.

La seconda si schiantò a terra, facendo volare alberi, zolle, massi, con una detonazione spaventosa che assordò i presenti e fece gemere di dolore l’intera scogliera.

La terza accese il cielo, intrappolando le correnti d’aria nella sua ira, accendendole con le sue spire elettriche, disegnando acuminate lame tra le nubi nere.

 

L’ultima, maestosa, gigantesca, colpì il tempio.

 

Il marmo bianco sfrigolò per un lungo, eterno, istante, pervaso dalla furia elettrica della saetta e poi.. semplicemente.. divenne cenere.

 

Nel silenzio, attonito, irreale che seguì quella domanda vibrò nuovamente.

Bassa.

Gelida e al contempo rovente.

 

Per me..?!?!?!

 

Come un sol uomo, con un unico, delicato, fruscio delle vesti, il popolo si accasciò a terra, le gambe incapaci di sorreggerli, gli occhi sgranati a fissare il punto in cui, prima, si ergeva la casa del loro dio.

 

Solo Hanamichi rimase fermo.

In piedi.

 

Perchè quella voce...

Quella voce che portava in se la profondità della notte, la freddezza del vento e la collera del fulmine...

 

Quella era...

 

Il vento vorticò ululando, sollevando la cenere e la polvere, turbinando, ringhiando, ingrossandosi sino a tramutarsi in un’enorme tromba d’aria.

Dalle nubi scure un fulmine, un unico fulmine del candido color della neve, si staccò piantandosi al centro dell’uragano.

Le correnti d’aria intrappolarono la luce e l’elettricità danzò con esse per un eterno, perfetto, momento, prima di esplodere in milioni di scintillii iridescenti.

 

La neve smise di fluttuare.

Il vento smise di soffiare.

I tuoni zittirono.

Le folgori si cristallizzarono nel cielo nero.

 

Lì, immobile, laddove prima c’era il tempio, lì, dove ancora le faville dell’esplosione danzavano come piccoli spettri lucenti, una figura regale, vestita di nero, blu e viola, volteggiava a pochi metri da terra.

 

I capelli neri come quella notte che li schiacciava con il suo dominio.

La pelle candida come quel tempio che si era eretto altezzoso, in quello stesso punto, pochi istanti prima.

Gli occhi blu come l’oceano che aveva smesso di infrangere le sue onde, accucciato, tremante, sotto la scogliera.

 

Per me...?” mormorò egli mentre un sorriso ferino gli incurvava le labbra perfette.

Il gran sacerdote aprì e richiuse la bocca, gli occhi fuori dalle orbite, il corpo intero pervaso da un violento, inconsulto, tremore.

 

“Kaede..” sussurrò Hanamichi, incredulo, mentre l’amante in tutta la sua maestosa, altera bellezza, poggiava piede a terra, muovendosi verso di lui.

Il moro ignorò i picchieri inginocchiati e il gran sacerdote che lo fissava cinereo sollevando la mano per posarla sulle catene che serravano i polsi del compagno e queste caddero con un debole tintinnio.

 

“Tu..?” sussurrò il rossino senza fiato.

“Do’aho..” mormorò dolcemente Rukawa allungando una mano per accarezzargli la guancia, cancellando una lacrima che il rossino non si era nemmeno accorto di versare.

Si tolse il mantello e lo mise sulle spalle del compagno avvolgendolo nella suo tepore di velluto nero.

“Tu..?” ripetè il rossino con una nota di panico nella voce roca.

Il volpino sollevò gli occhi al cielo e poi si chinò chiudendogli le labbra con le proprie, attirandolo nel proprio, protettivo, abbraccio, mentre il popolo osservava con occhi sgranati e il consiglio si accasciava privo di sensi tra l’erba bagnata.

 

....

 

Hanamichi si mosse lievemente tra le braccia del compagno, assaporando il calore della sua vicinanza.

“Ti ho creduto morto...” mormorò piano sfiorando il petto candido, coperto dalla veste regale del dio.

Rukawa sospirò “Mi dispiace..” mormorò.

“Perchè non li hai fermati allora..?” gli chiese il rossino curioso sollevandosi su un gomito.

Il moro arricciò le labbra “Avrei voluto farlo ma quella picca mi ha colpito di sorpresa..” borbottò scocciato “Vedi noi dei..” spiegò divertendosi a vedere gli occhi del suo compagno sbarrarsi nel sentirgli usare quel termine “..per scendere sulla terra dobbiamo condensare la nostra aura in un corpo umano” spiegò “..e questo corpo ha sensazioni umane...” continuò “...non ero mai sceso a lungo sulla terra prima e non mi era mai capitato di essere ‘ucciso’...” spiegò “...per questo mi ci è voluto qualche momento per riprendermi...” disse con una scrollata di spalle.

“Nel nostro regno il tempo passa in maniera diversa da qui..” mormorò “..quelle che per noi sono poche ore qui sono giorni...” sussurrò “...per questo ci ho messo tanto a tornare da te..” terminò.

Hanamichi rimase in silenzio rimuginando su tutte quelle informazioni.

 

Kaede era un dio.

Anzi.. era il dio delle tempeste!

Il suo dio.

 

“Kami sama..” mormorò piano.

“Sì?” mormorò il moro voltandosi verso di lui “Che cosa c’è?”

Hanamichi lo fissò per un secondo prima di impallidire.

“Non mi ci abituerò mai..” gemette.

Rukawa ridacchiò divertito “Dovrai farlo, ti ricordo che tu eri un dono per me...” mormorò malizioso “..dono che io ho accettato!” disse rovesciandolo contro il materasso per sdraiarsi su di lui.

Hanamichi gli allacciò le braccia al collo per baciarlo ma un timido bussare alla porta lo fece desistere.

Il moro ringhiò qualcosa ma il rossino mormorò un divertito “Avanti!” sistemandosi la veste che il compagno gli aveva fatto indossare per sostituire la sua, lacera e zuppa di pioggia.

Yohei fece capolino da dietro la soglia fissando l’amico prima di spostare lo sguardo sul moretto e diventare pallido come un cencio.

“Si..siete ancora qui..” ansimò sprofondandosi in un inchino.

 

Rukawa aveva portato il compagno negli appartamenti del gran sacerdote per farlo riposare e per potergli finalmente parlare in pace.

Le finestre si erano perfettamente rimarginate al suo comando e Hanamichi si era seduto sul letto guardandosi attorno stupito.

Non si aspettava che il loro rigido capo vivesse in un lusso simile.

 

“Perchè dovrei andarmene?” domandò serafico il moro facendo tremare Mito.

Hanamichi però gli rifilò una gomitata nelle costole e il dio sbuffò addolcendo il tono “Non ho intenzione di tornare a casa a breve comunque..” comunicò.

Mito si azzardò a sollevare lo sguardo incontrando gli occhi blu di Kaede per un fugace istante “Credevo.. visto che è uscito il sole..” mormorò.

“Hn?” chiese sorpreso il moro lanciando un’occhiata fuori dalla finestra.

 

In effetti aveva smesso di piovere e tra le nubi spuntavano grossi fasci di luce.

Poteva voler dire una cosa sola...

 

“Kaede!” Akira comparve nella stanza in uno scintillio di luce incandescente.

Ecco appunto... pensò il moretto passandosi una mano tra i capelli corvini.

Tuttavia il commento velenoso che gli era salito alle labbra sparì nello scorgere il livido rosso che si stava allargando sulla guancia del fratello.

 

Aveva la forma di cinque dita...

 

“Hai litigato di nuovo con Hiroaki?” chiese il moro sorpreso, sollevando un sopracciglio.

“Già..” mormorò massaggiandosi la guancia offesa “..però ho una buona notizia per te!” disse cambiando velocemente argomento.

“Oh salve!” disse notando solo in quel momento gli altri due che lo fissavano con occhi sbarrati.

“Il dio.. del... del.. sole?” ansimò Yohei mortalmente pallido.

“Chiamami pure Akira!” disse tranquillamente il moretto sventolando una mano con indolenza.

Mito emise un gemito accasciandosi in avanti e Hanamichi scattò in suo aiuto, afferrando l’amico svenuto.

“Ops..” esclamò Sendoh divertito.

“Che cosa sei venuto a dirmi?” volle sapere Rukawa, riportando la sua attenzione su di se, conoscendo il vizio del fratello di divagare.

“Ah sì!” disse l’altro “Tu sai che ci è proibito portare del mortali nel nostro regno ma che al contempo non possiamo passare troppo tempo qui, nel loro mondo...” cominciò facendo impallidire il rossino.

Rukawa sospirò “Dovevo ancora spiegargli questa parte..” borbottò.

 

Avrebbe preferito spiegarglielo con più calma, dopo.

Senza contare che il rossino era mortale mentre lui.. no.

Dovevano ancora discutere del loro futuro.

 

Lui poteva scatenare una tempesta, distruggere intere città, comandare la luce e l’acqua ma non cambiare il ciclo vitale della persona che amava.

 

Che cosa avrebbe fatto quando il rossino sarebbe inesorabilmente giunto alla fine dei suoi giorni?

 

“Bhe.. non ti devi preoccupare!” esclamò Sendoh giulivo.

“Hn??” chiese perplesso il moretto.

“Ho scoperto chi era il padre del rossino!!” sentenziò con uno strano lampo nelle iridi blu.

“Mio padre!” esclamò Hanamichi sbarrando gli occhi, deponendo con cautela Yohei su una poltrona prima di voltarsi verso Akira.

Il ragazzo dalla strana capigliatura annuì con il capo “Sì. Ho scoperto chi è...” disse tornando improvvisamente serio.

“Akira..” sussurrò Rukawa fissandolo incredulo “Vuoi dire che.. suo padre era..” ansimò.

“Era un dio” concluse per lui il fratello.

“UN DIO?!” ansimò Hanamichi, cinereo.

 

Credeva che niente, dopo la scoperta della natura di Rukawa, sarebbe riuscito a sconvolgerlo tanto... ma si sbagliava.

 

Akira annuì mentre Rukawa lo fissava attento “Vuoi dire che lui ha sangue divino nelle vene?” chiese.

“Proprio così!” disse Sendoh soddisfatto e Kaede lasciò andare un incredulo sospiro.

 

Voleva dire che il rossino.. il rossino avrebbe vissuto quanto lui!

E avrebbe potuto andare con lui nel loro regno.

Certo non poteva passarci tutta la vita perchè anche la sua metà umana avrebbe avuto bisogno di passare del tempo sulla terra ma quello... non era certo un problema!

 

“Chi era..?”

 

La voce di Hanamichi lo riscosse dai suoi pensieri.

Akira aveva detto di aver scoperto l’identità dell’uomo.

Ma non aveva fatto nomi.

 

Kaede si voltò a fissare il fratello notando nuovamente il grosso livido rosso.

“Oh Kami..” ansimò.

“Temo di sì..” borbottò Sendoh arrossendo.

“Hey mi spiegate che diamine succede?” volle sapere il rossino che li fissava senza capire.

Kaede scosse il capo incredulo, gli occhi sbarrati e una strana espressione sul volto più pallido del solito “Mi sono innamorato di mio nipote..” gracchiò.

 

Hanamichi fissò prima lui poi Akira.

 

Questi sospirò facendo un piccolo passo verso di lui “Io...” sussurrò “Io sono tuo padre”.

Il rossino sbarrò gli occhi.

“Tu.. tu?” gemette piano.

Akira annuì con il capo.

“Papà..” sussurrò Hanamichi, basito, saggiando il suono di quella parola che non aveva mai potuto pronunciare.

Sendoh annuì facendo un altro passo verso di lui “Mi dispiace io non sapevo che Mei fosse rimasta incinta..” mormorò.

Il rossino lo fissò scuotendo il capo, sotto shock.

“Papà..” ripetè con un pigolio incredulo.

Akira sorrise teneramente allargando le braccia per stringere a se il figlio ritrovato ma il ragazzo fu più veloce.

“Papà!” esclamò facendo partire un diretto che mandò il dio del sole lungo disteso sul pavimento.

 

....

 

“Hiro quante volte ancora te lo devo ripetere..” mormorò Akira seguendo da presso il ragazzo dalla carnagione candida e dall’aria imbronciata “Era durante quel periodo in cui TU mi avevi lasciato..” cercava di farlo ragionare mentre il ragazzo continuava imperterrito per la sua strada, ignorandolo.

Hanamichi li fissò passare con uno sguardo divertito, Kaede sbuffò, la testa appoggiata sulle gambe del compagno.

“Fanno sempre così?” volle sapere il rossino riprendendo a passare le mani tra i capelli dell’amante.

Stare sdraiato su un prato di soffici nuvole bianche non era poi molto diverso che stare sdraiato su un prato d’erba e i grandi castelli di cristallo non erano poi così diversi, sebbene molto più belli, dei templi.

Aveva fatto presto ad abituarsi alla casa di Kaede e a vedere la gente che svolazzava invece di camminare.

Lui in quello non era ancora un gran che.

Scoperta la sua duplice natura Ayako e gli altri dei lo avevano accolto tra le loro schiere e ora Hanamichi stava imparando i ‘fondamentali’ nell’uso di quei poteri che non sapeva nemmeno di avere.

“Ogni due o tre secoli si lasciano per qualche mese..” mormorò il moretto con voce assonnata “...ma si amano troppo per stare a lungo l’uno senza l’altro..” mormorò.

“Credi che lo perdonerà?” domandò il rossino che dopo il primo pugno era comunque stato felice di riscoprire una propria famiglia.

“Probabilmente lo ha già fatto...” disse il moretto, aprendo gli occhi “...ma è giusto che lo faccia patibolare un po’..” borbottò.

“Povero papà..” mormorò divertito il rossino.

“Non chiamarlo così, che mi fa impressione..” sbottò Kaede con una smorfia.

“Scusa zio..” ridacchiò il rossino ben sapendo che effetto faceva quella parola sul compagno.

“Do’aho!” esclamò infatti il volpino balzando a sedere per sbatterlo contro la soffice consistenza delle nuvole “Usa questa tua boccaccia per qualcosa di più piacevole..” gli soffiò sulle labbra prima di chiudergliele con le sue.

Due minuti più tardi Kaede li smaterializzò entrambi per farli atterrare con un morbido tonfo sul loro grande letto matrimoniale.

“Non riesco ancora ad abituarmici..” mormorò il rossino, guardandosi sorpreso attorno.

“Non importa...” sussurrò il moro cominciando a slacciargli la veste “...avrai tutta l’eternità per farlo..” sussurrò chiudendogli nuovamente le labbra con le proprie.

 

 

Fine....

 

 

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