Futuro        Back to FanFic  Back to Home

 

Hanamichi osservò la pioggia picchiettare dolcemente sulle cime verdi degli alberi che circondavano la tenuta.

L’acqua cadeva sulle foglie delle viti producendo un suono ovattato e dolce che aveva il potere di calmare il suo animo in tumulto.

Non se l’era aspettato.

Quando era uscito dal palazzetto ed era salito in moto li aveva visti tutti lì, fermi.

La sua vecchia squadra e Yohei.

Si era messo a fissarli senza nemmeno rendersene conto.

E poi Mito si era voltato e l’aveva guardato.

Eppure nemmeno allora si era mosso.

Qualcosa dentro di lui aveva gridato, lottato per farsi riconoscere.

Per ritornare da loro.

Aveva tolto gli occhiali da sole ben sapendo che era un gesto stupido e aveva infilato il casco.

E allora aveva visto gli occhi del suo migliore amico spalancarsi.

L’aveva sentito gridare il suo nome.

L’aveva visto correre verso di lui.

Ed era stato preso dal panico.

Non voleva tornare dagli assistenti sociali.

Si era costruito una nuova vita in quella piccola cittadina.

Aveva trovato due persone meravigliose che nel giro di due anni avevano preso un posto speciale nel suo cuore.

Non poteva rischiare di perdere tutto di nuovo.

Era scappato.

Fuggito.

Però sapeva che loro lo avevano visto.

Li aveva guardati per un momento, sfrecciando accanto al marciapiede mentre si allontanava.

Aveva guardato lui.

Il suo volto era rimasto inespressivo ma i suoi occhi...

I suoi occhi era diventati così scuri.

Enormi.

“Merda!” sbottò lasciandosi cadere sul letto.

Un leggero bussare lo distrasse dalle sue elucubrazioni.

“Seji tutto bene?” gli chiese May entrando nella sua stanza.

L’aveva sentito tornare ma quando aveva sbirciato dalla finestra della cucina l’aveva visto con una faccia scura che l’aveva preoccupata.

La donna sapeva che si prendeva troppe libertà con quel ragazzo.

Che non aveva il diritto di fargli la predica o di preoccuparsi se stava male ma non poteva farne a meno.

Le veniva naturale.

Era tanto chiaro il disperato bisogno di affetto che aveva quel bambino dall’aspetto di un uomo.

Il ragazzo la fissò con un sorriso triste.

Seji l’aveva chiamato.

A loro aveva detto che quello era il suo nome.

Fissò quella donna minuta con dolore.

Aveva mentito.

Li aveva ingannati.

Però se avesse detto loro la verità...

Quello che aveva fatto.

Lui... lui aveva ucciso un uomo.

Anche se il tribunale lo aveva assolto definendo il suo come un caso di autodifesa restava il fatto che lui aveva tolto la vita ad un’altra persona.

E l’aveva fatto premeditatamente.

Una lacrima scintillò senza che potesse fermarla e la donna gli si avvicinò abbracciandolo dolcemente.

“Senti se ti va di parlarne... io non sono tua madre ma per me e Radek sei come un figlio ormai...” gli sussurrò piano passandogli una mano tra i capelli scuri con dolcezza.

Fu la goccia che fece traboccare il vaso.

Hanamichi scoppiò in singhiozzi tra le braccia della donna.

 

Era lui.

L’aveva visto per una frazione di secondo.

Aveva il casco.

Ma era lui.

Lo sapeva.

L’aveva riconosciuto.

La sua anima aveva ritrovato quella metà che credeva perduta per sempre.

Aveva visto i suoi occhi.

Quei pozzi scuri carichi di dolore, paura, rabbia.

Hanamichi.

Hanamichi era vivo.

“Vivo” mormorò per la seconda volta Yohei.

Nella sua voce vibrava tutto lo sconcerto, la sorpresa, la gioia e la rabbia per quella scoperta.

Si erano seduti nel salottino dell’hotel cercando di radunare le idee, di pensare, o semplicemente di convincersi a vicenda che non avevano sognato, che l’avevano visto davvero.

“Perchè non ci ha detto niente?” mormorò Myaghi sconvolto.

Yohei scosse il capo “Mettiti nei suoi panni....” sussurrò e l’ex playmaker annuì lentamente.

Rukawa rimase in silenzio ma capiva.

Ci aveva pensato anche lui.

Hanamichi aveva  inscenato il suicidio ed era fuggito.

Non poteva sapere che Yohei avrebbe vinto la causa.

Probabilmente era terrorizzato dall’idea che potesse succedere di nuovo.

Si era nascosto.

Da tutti e da tutto.

Era ancora minorenne.

Gli assistenti sociali avrebbero potuto cercarlo di nuovo.

E lui aveva deciso di rimanere nascosto.

Chissà dove.

Kaede si passò una mano tra i capelli osservando la pioggia sottile cadere silenziosa chiedendosi quante lacrime, quanto dolore avesse sopportato Hanamichi.

Era preoccupato per lui.

Pregò che non fosse solo.

Che ci fosse qualcuno accanto a lui per proteggerlo e aiutarlo come lui non aveva fatto mai.

 

Hanamichi aveva chiesto loro di ascoltarlo.

E aveva cominciato a raccontare la sua storia.

Dall’inizio.

Senza omettere nulla.

Nemmeno il suo amore per Rukawa.

Parola dopo parola aveva sentito il suo cuore liberarsi e loro non l’avevano interrotto.

Mentre solo il suono della pioggia riempiva la stanza cullando le sue parole, Hanamichi parlò loro di Dan.

Di quello che aveva fatto.

Della sua morte.

Del suicidio.

Dei mesi passati allo sbando cercando di sopravvivere con i soldi che aveva rubato all’assistente sociale.

Dell’annuncio che aveva letto per sbaglio in un bar.

Del fatto di aver loro mentito.

Dei compagni che aveva incontrato nuovamente quel giorno.

Terminò con la sua fuga.

E rimase immobile attendendo.

Si aspettava delle accuse.

Delle domande.

Invece sentì solo il suono soffocato dei singhiozzi.

Sollevò il capo sorpreso e preoccupato.

Ma non ebbe modo di analizzare la situazione.

May gli si fiondò addosso abbracciandolo con forza come se volesse non lasciarlo mai più.

Lo strinse a se soffocando le lacrime nei suoi capelli scuri mentre Radek si alzava lentamente.

Avvolse la moglie e il ragazzo nel suo abbraccio stringendoli entrambi e Hanamichi chiuse gli occhi.

Con un lento, tremulo, sospiro.

Forse aveva trovato un’angolino anche per lui.

Un po’ di pace.

 

“Questa era l’ultima.” Disse il notaio sorridendogli.

Hanamichi fissò i fogli e poi Radek e May.

I suoi nuovi genitori.

L’avevano adottato.

Il giorno dopo la sua confessione, insieme, erano andati dalla polizia.

Il commissario era un amico di vecchia data di Radek e aveva ascoltato la storia del ragazzo in silenzio.

Alla fine grazie al suo aiuto e a quello del ministero stesso che non aveva nessun interesse a provocare un’altro scandalo le carte erano state preparate.

In soli tre giorni.

Hanamichi li fissò commosso e incredulo.

Era tutto così bello.

Libero.

Libero in un modo che non avrebbe mai potuto credere possibile.

“E adesso...” disse May afferrandolo per un braccio “...passiamo alla seconda parte del piano!” esclamò.

Hanamichi la fissò corrucciato.

Non riusciva a capire a quale seconda parte del piano si stava riferendo.

E poi... quale piano??

Quella mattina l’aveva trascinato dal barbiere costringendolo a riprendere la sua vecchia capigliatura.

“Non hai più bisogno di nasconderti ora” gli aveva sussurrato dolcemente l’allegra signora.

E la certezza che quelle parole fossero vere l’aveva riempito di una gioia infinita.

Radek gli sorrise battendogli un colpetto sulla spalla “Non sai in che guaio ti sei cacciato figliolo” gli disse con aria complice mentre si dirigevano verso la macchina.

 

Quando giunsero davanti al palazzetto il rossino sussultò.

“Si gioca la finale oggi, non dirmi che non lo sapevi” gli chiese May porgendoli un talloncino di carta.

Hanamichi fissò il biglietto incredulo.

“Io non so se...”

“Vai” gli disse Radek indicandogli la porta.

“Hai superato tante prove tesoro” gli disse May accarezzandogli dolcemente una guancia e ricacciandogli indietro un ciuffo rosso “...puoi farcela, e poi sono sicura che lui ti dirà di sì”

Radek rise “E se ti dicesse di no potremmo sempre ubriacarlo con il nostro vino!”

Hanamichi li fissò per un momento ancora incerto poi annuì deciso aprendo la portiera.

“Fatti onore!!” gli gridò dietro May e Hanamichi strinse tra le mani il piccolo foglietto di carta mentre si avviava all’entrata.

 

Avevano vinto.

Lo Shohoku aveva finalmente vinto il campionato nazionale.

Hanamichi li osservava da lontano, in alto sulle gradinate, festeggiare.

Osservò la consegna del titolo di mvp a Rukawa e sorrise.

La volpe se lo meritava.

Per tutto quello che aveva fatto.

Li osservò dirigersi verso gli spogliatoi e fatto un profondo sospiro si decise.

Doveva andare ora o non lo avrebbe fatto mai più.

Giunse dinanzi alla porta chiusa e si fermò.

Non sapeva che fare.

Come muoversi.

Non poteva certo entrare e dire “Heilà sono tornato!”

Da oltre l’uscio chiuso sentì la risata di Myaghi e imprecò tra se.

Sperava di non trovarli tutti insieme, avrebbe preferito affrontarli uno alla volta.

La porta si spalancò davanti a lui e Hanamichi sobbalzò spaventato.

“Tu chi cavolo sei?” gli chiese il moretto che era appena uscito dallo spogliatoio.

Hanamichi lo fissò per un momento identificandolo come una delle riserve.

“Hemm... ecco io sono un amico di Yohei me lo chiameresti un momento per favore?” disse cogliendo l’occasione al volo.

Prima di tutto aveva bisogno di parlare con lui.

Il ragazzo gli lanciò un’occhiataccia poi con una scrollata di spalle rientrò nello spogliatoio.

Hanamichi strinse le mani nervosamente, non si era preparato un discorso.

Che cosa poteva dirgli?

Da dove cominciare?

 

“Hey Yohei!” lo chiamò Rei battendogli un colpetto sulla spalla.

Il playmaker sollevò il volto dalla sua borsa dove stava frugando alla ricerca dell’orologio.

“Che c’è?” chiese.

Rei scosse le spalle “C’è un tizio qui fuori che vuole parlare con te.” disse con indifferenza.

Yohei sollevò un sopracciglio sorpreso “Non ti ha detto chi è?” chiese un po’ innervosito.

Rei si passò una mano tra i capelli castani in imbarazzo “Ops... mi sono dimenticato di chiederglielo ero così concentrato su quei suoi assurdi capelli rossi che...”

Rei si azzittì quando si accorse che improvvisamente tutti i suoi sempai erano diventati pallidi come stracci.

“Hana...” ansimò Yohei precipitandosi fuori dello spogliatoio a rotta di collo.

“Ma cosa...?” chiese il ragazzo sorpreso.

Ma nessuno badava a lui.

Tutti gli occhi erano fissi sulla porta che si era chiusa alle spalle di Yohei.

La tentazione di seguirlo era davvero fortissima ma sapevano anche che dovevano concedere ai due amici la loro privacy.

Rukawa fissava l’uscio chiuso senza riuscire a pensare a niente.

Sakuragi era oltre quella porta.

Dopo due lunghissimi anni l’avrebbe rivisto.

Il suo cuore faceva le capriole ignorando ogni suo tentativo di mantenersi calmo.

 

“Hana...” Yohei non riusciva a pensare mentre fissava il suo migliore amico.

Era cambiato.

In lui restava profondo il segno di quello che aveva vissuto, della maturità che la sofferenza lo aveva obbligato ad acquisire.

In quei due anni era diventato un po’ più alto o forse lo sembrava perchè era un po’ dimagrito.

“Ciao...” sussurrò il rossino con il cuore in gola.

Non sapeva che dire... che fare.

Yohei allungò una mano sfiorandogli il braccio come ad accertarsi che fosse reale.

“Come stai?” mormorò domandando la prima cosa che gli venne in mente.

Si sarebbe morso la lingua subito dopo ma Hanamichi gli sorrise “Bene adesso” mormorò in imbarazzo.

Il silenzio calò di nuovo tra di loro.

“Avete vinto” sussurrò Hanamichi per riempire quel vuoto imbarazzante tra loro.

“Sì” mormorò Yohei.

“Hai giocato bene” mormorò il rossino.

Yohei annuì prima di alzare il volto e fissarlo negli occhi.

Hanamichi rimase immobile attendendo le domande che l’amico voleva certamente porgli.

“Posso abbracciarti?” sussurrò invece il moretto.

Hanamichi gli sorrise annuendo.

“Kami mi sei mancato!” disse Mito stringendolo con forza nel suo abbraccio.

“Anche tu mi sei mancato Yo...” sussurrò Hanamichi ricambiando la sua stretta “....mi sei mancato tantissimo” mormorò.

Si lasciarono dopo diversi minuti e si sorrisero a vicenda.

In quell’abbraccio si erano finalmente ritrovati.

“Bene e adesso tocca a loro!” gli disse l’amico spingendolo verso la porta dello spogliatoio.

Hanamichi fu preso in contro piede e cercò di fare resistenza.

“Bhe aspetta un attimo...” mormorò ma il suo miglior amico non volle saperne e spalancò la porta dello spogliatoio spingendocelo dentro.

Hanamichi rimase immobile per un momento fissando Myaghi, Kogure, Mitsui, Akagi e lui...

Rukawa.

Immobili di fronte a lui che lo fissavano senza sapere che fare.

Prese un profondo respiro e si inchinò.

 

“Scusatemi” mormorò.

 

“Do’hao” la voce di Rukawa vibrò bassa, più spessa e pesante del solito.

Hanamichi si sollevò e gli sorrise “Baka kitsune” gli rispose.

Dopo di che fu il caos.

Riscossi da quello scambio di battute così tipiche gli altri ragazzi si ripresero dallo shock iniziale salutando Hanamichi.

Ryota corse a chiamare Ayako e Haruko che si prodigarono in abbracci e continuarono ad insistere finchè Hanamichi non accettò di uscire con loro.

Quella sera seduti al tavolo del pub, un po’ appartati dal resto della sala Hanamichi parlò loro della sua nuova famiglia, di come lo avessero accolto ed aiutato.

Nessuno osò chiedergli nulla lasciarono che lui raccontasse quello di cui si sentiva di parlare e poi cambiarono argomento sommergendolo con tutto quello che in quei due anni era successo loro.

Parlarono a lungo riscoprendo un’amicizia mai dimenticata ma anzi divenuta più forte una volta superato quello scoglio.

Era ormai molto tardi quando si separarono.

Akagi e Kogure avevano un esame il giorno dopo e dovettero andarsene per primi dopo comunque essersi fatti dare l’indirizzo del rossino, e con loro se ne andò anche Haruko dopo aver promesso di scrivergli il giorno seguente.

Ayako e Ryota se ne andarono insieme mentre con enorme sorpresa di Hanamichi fu un sorridente Sendoh che passò a prendere Mitsui.

L’ex capitano del Ryonan che era stato preventivamente informato dal suo ragazzo abbracciò con calore Hanamichi.

“Sono contento di vederti” disse sinceramente e Hanamichi seppure un po’ in imbarazzo ricambio l’abbraccio ringraziandolo.

L’ultima volta che l’aveva visto per lui Sendoh era solo il ‘porcospino’ ritrovarlo ora dopo due anni era strano.

Con Rukawa e Yohei si diresse infine al parcheggio del pub.

“Bhe io vado” disse Mito montando sul suo inseparabile scooter “Mi raccomando Rukawa accompagnalo a casa sano e salvo!” si premurò, schivando per miracolo un pugno da parte dell’amico, prima di partire.

 

Hanamichi lanciò un’occhiata di sottecchi al volpino.

Non aveva parlato molto per tutta la serata però aveva avvertito spesso il suo sguardo su di se.

“Ru io...” mormorò Hanamichi piano ma il volpino gli pose un dito sulle labbra dolcemente.

Senza una parola lo prese per mano e lo accompagnò poco distante.

Si sedettero sul muretto di cinta del parcheggio, uno di fianco all’altro in silenzio.

“Sono felice che tu stia bene” mormorò Rukawa.

Hanamichi annuì “Sì e lo devo in parte anche a te” sussurrò prendendo al volo quell’occasione per confessare i suoi sentimenti al moro.

Il volpino sussultò voltandosi.

“A me?” chiese sorpreso e Hanamichi annuì.

“Ho scoperto di essere innamorato di te solo quando tu eri già partito...” sussurrò “...i tuoi occhi mi accompagnavano sempre, quel sorriso che rivolgesti a tua madre all’aereoporto continuavo a rivederlo.” Sospirò arrossendo, senza il coraggio di alzare lo sguardo per fissarlo in quegli occhi blu che aveva finalmente davanti.

“Mi ci ancoravo per non impazzire quando lui... lui..” la voce di Hanamichi si spezzò e Rukawa lo prese tra le braccia stringendolo a se.

Il rossino poggiò il capo sulla sua spalla inspirando quel profumo particolare, leggermente speziato.

“Sai che cos’era che mi mancava di più in America?” mormorò Rukawa passandogli dolcemente una mano tra i capelli rossi.

Il capo di Hanamichi si mosse in un piccolo segno di diniego contro la sua spalla.

Rukawa gli sollevò il viso e gli sorrise dolcemente.

Quel sorriso bellissimo che Hanamichi aveva visto una volta sola.

Quel sorriso che allora, senza nemmeno rendersene conto, aveva desiderato per se.

“Mi mancava il tuo casino...” mormorò Rukawa.

“Baka kitsune” protestò il rossino offeso.

Kaede allungò una mano accarezzandogli dolcemente una guancia “do’hao...” lo prese benevolmente in giro felice di poter nuovamente utilizzare quell’insulto “....lasciami finire...” lo rimproverò.

“Mi mancavano i tuoi insulti, i tuoi occhi arrabbiati, la tua energia.... mi mancavi tu” sussurrò.

Il rossino gli sorrise allacciandogli le braccia al collo e Rukawa chinò lentamente il capo per sfiorare le labbra con le sue.

Fu solo una carezza lieve.

Kaede aveva il terrore di spaventarlo ma Hanamichi socchiuse le labbra cercandolo con la propria bocca e il volpino decise di rischiare stringendolo a se e baciandolo con passione.

Si separarono ansimanti fissandosi per un momento negli occhi poi Rukawa si alzò tendendogli una mano.

“Vieni ti accompagno a casa.” mormorò.

Hanamichi annuì alzandosi, intrecciando le sue dita con quelle candide del volpino seguendolo lungo la strada.

 

Verso il futuro....

 

fine....                                                                                                            

 

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