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Yohei depose il quotidiano dinanzi alla tomba dell’amico.

“Ce l’abbiamo fatta Hana...” sussurrò accarezzando la lapide di marmo candido.

Il giornale portava a chiare lettere la condanna del tribunale.

C’era voluto un anno.

Un lunghissimo anno di processi, accuse, lotte ma alla fine grazie alle prove che lo stesso Hanamichi aveva spedito via lettera a Yohei erano riusciti a scagionarlo dall’accusa di assassinio del suo tutore.

Il ministero aveva richiesto un’approfondita indagine sui suoi ‘assistenti’ e Dan non era l’unico che era risultato essere una persona poco raccomandabile.

Hanamichi aveva perso la vita ma ne aveva salvate delle altre, da quel momento in poi anche i ragazzi nei riformatori sarebbero stati trattati come persone.

Le immagini di quelle fotografie gli balenarono alla mente facendogli stringere i pugni.

Popolavano i suoi incubi da un anno ormai.

Non poteva dimenticarle.

Dalla prima volta in cui gli era arrivata quella lettera con il piccolo rullino nel suo involucro di plastica.

La stanza buia, il letto, e poi il corpo di Hanamichi ricoperto di lividi.

Le parole di Hanamichi in quella lettera straziante, quello che quell’uomo gli aveva fatto....

Non aveva potuto fare a meno che divenisse di dominio pubblico.

Un giornalista particolarmente scaltro ne aveva avuto una copia e le aveva fatte pubblicare.

Così tutta la regione aveva saputo che cose ne era stato di lui.

Che cosa aveva passato.

Fosse anche sopravvissuto allo stupro e all’assassinio del suo carnefice, Hanamichi non avrebbe retto la vergogna.

Al suo funerale c’erano tanti curiosi quanti conoscenti.

Qualcuno aveva scritto una sceneggiatura sulla sua storia.

Avevano sviscerato il suo passato e ne avevano fatto un film.

Gli avevano addirittura chiesto di recitare se stesso ma aveva rifiutato, e, grazie al loro avvocato, erano riusciti a far si che almeno i nomi dei luoghi e delle persone venissero cambiate per tutelare la memoria del suo compagno.

Se avesse potuto fermarli avrebbe anche impedito che facessero il film.

Ma non era stato possibile.

Per un po’ Hanamichi era diventato l’eroe tragico sospirato da tutte le ragazzine, lui che per contro mai aveva attirato l’attenzione di nessuna di loro e poi come per tutte le cose era stato dimenticato.

Da tutti ma non da loro.

Loro che ancora conservavano il suo ricordo.

“E’ passato solo un anno...” sussurrò “...ma sembrano secoli” disse prima di allontanarsi dal cimitero.

Il girono dopo sarebbe ricominciata la scuola.

L’ultimo anno.

E poi ognuno di loro sarebbe andato per la sua strada.

Loro che una strada l’avevano ancora.

 

Rukawa si diresse sbadigliando verso scuola.

Era riuscito a tornare dall’America solo pochi giorni prima.

Il soggiorno era stato piacevole, costruttivo.

Aveva imparato molto, non solo nel campo del basket.

Gli dispiaceva solo che tornando non avrebbe trovato praticamente più nessuno che conosceva.

Bhe a parte Sakuragi.

Sbuffò tra se ripensando alla testa rossa chiedendosi quali casini avesse nel frattempo combinato.

Una volta partito aveva perso quasi completamente i contatti con lo Shohoku.

Lo studio e l’ambientarsi avevano richiesto per lui un tale impegno che non aveva avuto tempo per altro.

Il fatto che poi, sua madre e suo padre si fossero trasferiti nella casa di Tokyo subito dopo la sua partenza aveva fatto sì che anche da loro fossero giunte pochissime informazioni.

Si trovò stranamente a desiderare di rivedere la sua scuola.

La palestra.

Hanamichi.

Imprecò mentalmente contro quel pensiero che l’aveva ossessionato in quel lungo anno.

Sempre lui.

Sempre lì al limite dei suoi ricordi pronto a risbucare ogni volta che vedeva una capigliatura carminio.

Ogni volta che sentiva il suono di una risata.

Riconobbe una sagoma familiare che camminava di buon passo sul marciapiede e rallentò fino ad accostarsi alla ragazza.

“Ayako?” la chiamò sorpreso.

La moretta si volse e gli sorrise.

“Rukawa!” esclamò felice di vederlo.

Il volpino notò distrattamente che in quel solo anno sembrava molto maturata.

O forse il termine giusto era invecchiata.

Come se avesse vissuto qualcosa che l’aveva improvvisamente strappata dalla giovinezza per catapultarla nell’età adulta.

“Quando sei tornato?” chiese.

“Ieri” le rispose lui scuotendo le spalle.

Lei annuì ma sembrava pensierosa.

“Stai andando al club di basket?” le chiese, osservando i fogli che aveva in mano pensando che probabilmente erano i moduli d’iscrizione delle nuove leve.

La moretta sussultò violentemente, spalancando gli occhi.

“Non... non lo sai?” chiese piano.

Rukawa sollevò un sopracciglio sorpreso.

“Bhe certo... non lo sai... sei stato via...” sussurrò lei parlando tra se e se.

Il suo sguardo era infinitamente triste quando sollevò il capo.

“Lo Shohoku non ha più un club di basket” mormorò.

Rukawa spalancò gli occhi incredulo “Cosa? Perchè?”

Ayako si guardò intorno indicandogli un parchetto lì vicino.

Si inoltrarono tra gli alberi mentre Rukawa si chiedeva incredulo che cosa poteva essere successo per far sciogliere il club.

Posò la sua bicicletta contro un albero e si sedettero sull’erba, alla sua ombra, uno accanto all’altro.

Ayako prese fiato un paio di volte prima di parlare, non sapeva da che parte cominciare per dargli quella notizia.

“Due mesi dopo che tu partissi gli assistenti sociali sono venuti a prendere Hanamichi” mormorò cominciando dall’inizio.

Rukawa spalancò gli occhi.

Gli assistenti sociali?

Che cosa avevano a che fare gli assistenti sociali con il do’hao?

Intuendo il suo stupore Ayako gli raccontò ciò che Yohei aveva spiegato loro quel brutto giorno in cui il loro incubo era cominciato.

Non sollevò il capo per vedere la reazione di Rukawa, sapeva che se si fosse interrotta non avrebbe avuto la forza di continuare.

Rukawa d’altronde non parlò, non chiese nulla rimase in silenzio ad ascoltare.

“Quell’uomo Dan, a cui venne affidata la tutela di Sakuragi era un mostro” Ayako sputò quella parola con rabbia mentre il volpino sentiva lunghi brividi scivolargli lungo la schiena.

“Credo che tu abbia sentito dai telegiornali che proprio ieri si è conclusa l’inchiesta sui riformatori” mormorò.

Rukawa annuì distrattamente ricordando di aver sentito qualcosa di simile alla radio mentre tornava a casa in taxi.

Sembrava che un anno prima fosse scoppiato uno scandalo tremendo che aveva spinto il ministero a fare una accurata indagine su tutti i suoi componenti, scoprendo diverse cariche comprate. Solo due giorni prima l’inchiesta si era conclusa con una riforma piuttosto drastica.

Però che aveva a che fare questo con...

“Lo stuprava, Rukawa”

Kaede boccheggiò un paio di volte ma l’aria si rifiutò di entrargli nei polmoni.

Non poteva... non doveva essere vero.

“Hanamichi raccolse prove su di lui per tre mesi, organizzò la fuga e aspettò, aspettò finchè non fu pronto. Uccise Dan e fuggì con la sua auto dopo aver spedito a Yohei le prove che aveva.”

Rukawa cominciò a tremare.

Ricordava... ricordava di aver visto un film quando era in America..

Una storia tristissima che aveva fatto molto successo in Giappone, in quanto tratta da una vicenda vera, tanto da finire nella videoteca della sua scuola dove lui l’aveva noleggiato dato che era uno dei pochi film in lingua originale.

“Away” sussurrò senza fiato, pronunciando il titolo del film.

Ayako si voltò verso di lui e Rukawa si accorse che aveva gli occhi colmi di lacrime.

“Hai visto il film?” mormorò.

Kaede non riuscì a risponderle.

Non riuscì a muoversi.

Ricordava quell’ultima scena, quell’immagine terribile dove il ragazzo nella sua fuga impazzita si lanciava nel vuoto con l’auto del suo carnefice, piangendo.

 

“Seji mi dai una mano con questa?”

“Arrivo!” disse il moretto avvicinandosi al proprietario per aiutarlo a spostare una grossa botte di vino.

“Oh meno male che ci sei tu!” borbottò Radek stiracchiandosi e Sejii gli sorrise dolcemente.

Doveva molto a quell’uomo.

Gli aveva dato un lavoro e un luogo in cui vivere.

Ma soprattutto gli aveva dato fiducia quando ormai tutte le porte gli erano state chiuse in faccia.

Perchè lui non aveva ne un identità ne un passato da dare come garanzia.

“Direi che per oggi abbiamo finito” disse l’uomo passandosi una mano tra i capelli brizzolati, dirigendosi verso la porta della cantina.

“Vai pure a riposarti” gli disse bonariamente e il ragazzo annuì.

“Ah Seji...?” lo richiamò quando questi era già quasi uscito dalla grande stanza dove tenevano le botti di vino per l’invecchiamento.

“Sì?” chiese il moretto voltandosi.

Radek gli sorrise incoraggiante “E’ venerdì Sejii perchè non esci stasera, ti presto la moto per andare a fare un giro in città”.

Sejii gli sorrise ma scosse il capo “No grazie, davvero è molto gentile, ma sono stanco, me ne andrò a letto” si scusò prima di allontanarsi.

L’uomo lo fissò allontanarsi corrucciato.

Si era molto affezionato a quel ragazzino con la maturità di un uomo, era chiaro che aveva sofferto, i suoi occhi portavano il marchio del suo dolore impresso a fuoco, però viveva lì con loro ormai da tre mesi e mai una sola volta era uscito dalla tenuta.

Sospirò preoccupato, avrebbe chiesto a sua moglie un parere.

 

Sejii salì le scale che portavano al suo piccolo appartamento sopra la cantina.

La moglie dell’uomo lo aveva arredato personalmente per lui quando lo avevano assunto.

Era tutto nei toni caldi del beige e del marrone, un ampio caminetto riscaldava l’ambiente e su alcune mensole erano disposti i libri che la signora gli aveva prestato e il suo unico ricordo, una fotografia un po’ spiegazzata.

Gli piaceva quel piccolo angolino tutto suo.

Li aveva ritrovato un po’ di serenità e di pace.

Fuggire ai ricordi no, non ci riusciva ancora del tutto.

A volte si svegliava ancora di soprassalto convinto di aver sentito il suo passo su per le scale.

Prese il giornale che Radek gli lasciava tutte le mattine e sorrise leggendo della conclusione delle indagini.

Quando quel gruppo di ragazzini avevano cominciato a muovere mari e monti per difendere la memoria del loro amico, che dopo aver ucciso l’uomo che lo violentava si era suicidato, nessuno aveva scommesso un soldo bucato che avrebbero ottenuto qualcosa.

E invece ce l’avevano fatta.

Avevano raccolti i soldi e avevano pagato un avvocato, avevano coinvolto il mister della loro squadra di basket e tramite conoscenze e tanta fortuna alla fine avevano vinto.

Gettò il giornale nel camino guardandolo annerirsi e bruciarsi tra le fiamme prima di dirigersi in bagno per rinfrescarsi un po’ prima della cena.

May, la moglie di Radek, aveva insistito perchè cenasse con loro, l’anziana coppia non aveva figli e la casa era fin troppo grande per loro e i due domestici.

Pensò con affetto a quella signora minuscola che lo aveva minacciato con il mestolo finchè lui non aveva accettato di cenare con loro, mentre si infilava sotto la doccia lasciando che l’acqua calda gli scorresse sulla pelle.

Ormai i lividi non si vedevano più ma le ferite interne, quelle rimanevano e cominciavano a rimarginarsi solo ora.

Si avvolse nell’accappatoio bianco avvicinandosi allo specchio appannato per pettinarsi alla bell’e meglio i capelli bagnati.

“Devo tingerli di nuovo” mormorò scostando alcune ciocche notando che si vedeva nuovamente la radice rossa.

 

Rukawa osservò distrattamente i ragazzi correre in palestra.

Rimettere in piedi il club di basket non era stato facile.

Ma non si era arreso, Myaghi era tornato per dargli man forte prima di iniziare l’università, Ayako e Haruko avevano fatto i salti mortali, Anzai era tornato nonostante fosse andato in pensione e alla fine... ce l’avevano fatta.

Mitsui, Akagi e Kogure li avevano aiutati ad allenare i ragazzi nuovi che attirati dalla fama che si era fatto in America si erano avvicinati al club.

Mito stesso si era iscritto dimostrando delle ottime doti di playmaker.

Se non in tempo per il torneo invernale ma erano riusciti a mettere in piedi una squadra.

Avevano giocato delle amichevoli con il Ryonan e con il Kainan e i risultati erano stati buoni.

Per il campionato sarebbero stati pronti a rifar vivere lo Shohoku.

In tanti si erano chiesti perchè avesse fatto tutto ciò.

Alcuni si erano detti che Kaede Rukawa non poteva vivere senza basket.

Avevano ragione ma per lui a quel punto sarebbe stato più facile iscriversi in un’altra scuola dove il club era già forte, c’erano istituti che se lo erano litigato piuttosto violentemente.

Ma non aveva accettato nessuna delle loro proposte.

E per quanto Rukawa cercasse nella sua testa altre risposte sapeva che l’aveva fatto per lui.

Solo per lui.

Perchè Hanamichi non avrebbe voluto che il club si sciogliesse per colpa sua.

Perchè voleva vincere il campionato e poi mettere la coppa nella teca della scuola vicino alla sua fotografia.

Quella fotografia dove ancora sorrideva.

 

La sua era una pazzia lo sapeva però...

Non aveva resistito.

Quando aveva saputo che la squadra avrebbero giocato una delle partite proprio lì, vicino a casa sua...

Nelle sue ore di pausa non aveva mai smesso di giocare a basket, anche senza anello, anche con una palla che in realtà era una vecchia palla da pallavolo.

E Radek l’aveva scoperto.

Era rimasto di sasso quando pochi giorni più tardi il suo datore di lavoro gli aveva sorriso conducendolo sul retro della cantina.

E lì gli aveva mostrato un canestro appeso al muro.

Un canestro vero con tanto di tabellone su cui May aveva attaccato sopra un grosso fiocco rosso.

Quando l’aveva visto Sejii era rimasto immobile per un momento e poi era scoppiato in lacrime.

Era da quella sera in cui aveva ucciso Dan e aveva inscenato la sua morte che non aveva più pianto.

Ma di fronte a quel gesto.

Le lacrime erano uscite spontanee.

Come spontaneo era stato l’abbraccio dei due coniugi.

Si riscosse dai suoi pensieri osservando il grande palazzetto di fronte a lui.

C’erano un sacco di persone che parlottavano tra loro dirigendosi agli ingressi.

Parcheggiò la moto, che Radek gli aveva prestato ben volentieri, felice che finalmente lui si decidesse ad uscire un po’ dai confini del vigneto, poco distante da un’uscita secondaria e tolse il casco passando una mano tra i capelli scuri.

Una serie di grida attirò la sua attenzione e per poco non si mise a ridere nel vedere le fans di Rukawa schiamazzare i loro slogan osceni mentre si dirigevano verso l’ingresso.

Gli sembrava di essere tornato indietro.

Prima...

Quand’era ancora solo un ragazzino... quanto le aveva odiate quelle scalmanate!!

Perchè veneravano il volpino e non lui.

Il suo volpino.

Nonostante fossero passati ormai due anni l’immagine di Rukawa era ancora indelebile nella sua mente.

L’ancora a cui si era appigliato, gli occhi blu che lo tiravano fuori dai suoi incubi, il do’hao che lo riscuoteva quando stava per fare qualche stupidaggine.

Il sentimento che in quegli anni aveva imparato a chiamare con il giusto nome era lì da tanto tempo.

Da quei giorni in cui chiudeva la porta in faccia a Ru Ka e Wa.

Ora quelle pazze riportavano alla memoria momenti felici quando ancora era tutto semplice.

Entrò nel palazzetto cercandosi un angolo tra i sostenitori dello Shohoku evitando lo strepito delle fans.

In campo le due squadre si stavano scaldando.

Vide Yohei sistemarsi la divisa e sorrise, a quanto pareva il suo migliore amico aveva deciso di seguire le orme del tensai, pensò.

Vide Ayako parlare con Haruko.

La sua Harukina cara, la nuova manager della squadra.

Era diventata bella.

Era cresciuta.

Forse parte del merito, o della colpa, era anche sua.

Vide un ragazzo che non conosceva brontolare qualcosa a proposito del fatto che lui avrebbe fatto più punti di tutti e Haruko tirargli una ventagliata.

Rise sommessamente mentre una lacrima gli scivolava lungo la guancia.

Era tutto così cambiato eppure così uguale.

La vita continuava anche senza di lui.

Lo cercò con lo sguardo e lo trovò che scambiava osservazioni con Mitsui.

L’ex tiratore da tre punti era seduto sui primi posti delle gradinate, accanto ad Akagi, Kogure e Ryota che non staccava gli occhi dalla sua bella Ayako.

E lì dinanzi a loro c’era la volpe.

Era ancora più bello di come se lo ricordava.

Le sue movenze ancora più sinuose, il suo copro più sviluppato, la sua determinazione centuplicata.

“Rukawa è in gran forma” sentì commentare una ragazza pochi posti più sotto di lui mentre questa fissava il campo con occhi sognanti.

“Bhe d’altronde è stato lui a rimettere in piedi la squadra praticamente da zero quest’anno”

Hanamichi rizzò le orecchie sorpreso.

Che storia era mai quella?

Fortunatamente la studentessa continuò con le sue spiegazioni senza che lui dovesse chiedere delucidazioni.

Nonostante i capelli neri e gli occhiali da sole temeva infatti che qualcuno potesse riconoscerlo, per la legge era ancora minorenne.

Altri tre anni si ripeteva tutte le mattine pensando a quel sospirato giorno in cui sarebbe stato finalmente libero.

“Sai dopo il suicidio di Sakuragi il club si sciolse, erano tutti molto addolorati e poi le indagini e i processi li tennero impegnati per un bel po’ ” spiegò all’amica.

Hanamichi si morse le labbra, in colpa.

Non se l’era aspettato.

Però era logico.

Yohei ma anche Ayako, Mitsui e Ryota si erano buttati a capofitto nella sua difesa e alla fine tra gli scandali, le inchieste e quel maledetto film, era logico che non ce l’avessero fatta a tenere in piedi il club di basket.

L’arbitro fischiò e il telecronista cominciò la presentazione delle squadre, non si stupì molto quando dissero che il volpino era diventato capitano.

 

Avevano vinto.

Rukawa sistemò meglio la sacca sulla spalla sospirando.

Ormai la meta del campionato nazionale era vicina e ce l’avrebbero fatta.

Per difendere il nome dello Shohoku.

La loro voglia di vincere.

La determinazione con cui erano rinati dalle ceneri.

E per lui.

Lui che le matricole nemmeno conoscevano se non per quello che avevano visto al cinema o letto sui giornali.

Una volta la loro nuova ala, un ragazzo un po’ esuberante e impiccione che per certi versi gli ricordava fin troppo dolorosamente Hanamichi, lo aveva avvicinato e gli aveva chiesto com’era  Sakuragi.

Era rimasto in silenzio per un momento.

Un’immagine dolorosa di quel ragazzo dalla fiammante capigliatura rossa così come l’aveva visto l’ultima volta prima di partire per l’America si era delineata limpida nella sua mente.

Quando per una frazione di secondo si era concesso di fissarlo da lontano prima di partire.

E per un momento qualcosa dentro di lui era scattato e aveva prova l’impulso irrefrenabile di restare.

Lì.

Con lui.

Aveva scacciato quel pensiero con una scrollata di spalle indifferente, se avesse saputo...

Se avesse potuto sapere che gli restava poco più di un mese...

Si era riscosso per non ricadere in quel dolore sordo ormai a lui così familiare fissando la matricola che ancora attendeva, aveva scosso le spalle “Era un do’hao” aveva sussurrato.

Do’hao.

Non l’aveva più usata quella parola.

Gli feriva la gola nel venir pronunciata.

Gli torturava l’udito quando non seguiva l’immancabile “Baka kitsune” pronunciato con rabbia da quella voce calda.

Scosse il capo obbligandosi a tornare al presente.

Non voleva pensarci.

La voce di Ayako che lo chiamava lo fece voltare.

Erano ormai in strada, sul marciapiede, quando la manager insieme a Mitsui, Ryota, Akagi e Kogure andò a fargli i complimenti, mentre gli altri membri della squadra, a parte Yohei, cominciavano a salire sull’autobus che li avrebbe riportati al loro hotel.

“E’ stata un gran bella partita” si congratulò Akagi con il nuovo capitano.

Rukawa accettò i complimenti con il suo solito “Hn” mentre Ayako lo prendeva bonariamente in giro chiedendogli come lo pronunciava in inglese.

Yohei li ascoltava scambiarsi impressioni sulla partita con un sorriso leggero sul volto quando uno strano formicolio alla nuca lo spinse a voltarsi.

Poco distante da un’entrata secondaria un ragazzo alto, fasciato in un paio di jeans scuri e un corto giubotto di pelle nera stava seduto sulla sua moto.

Corrugò la fronte osservando i capelli neri del giovane senza capire.

Era come se in loro ci fosse qualcosa di sbagliato.

In quel momento il ragazzo parve riscuotersi, sfilò gli occhiali da sole mettendoli nella tasca della giacca prima di infilare il casco.

Yohei sussultò violentemente attirando tutta l’attenzione su di se.

 

“Hana!!!” gridò pallido.

 

Rukawa si voltò di scatto a quel grido.

Yohei doveva essere impazzito!

Il rombo della moto attirò la sua attenzione sul motociclista che era partito a razzo non appena aveva sentito chiamare il suo nome.

Yohei aveva cominciato a correre per raggiungerlo ma non aveva fatto in tempo.

La moto saettò tra le auto a gran velocità sfilando per un secondo che parve eterno accanto al marciapiede dove lo Shohoku era fermo.

Hanamichi si voltò a fissarli incontrando i loro occhi.

L’avevano riconosciuto.

Lo sapeva.

Sollevò una mano guantata e abbassò la visiera scura sul volto, accelerando bruscamente facendo stridere le ruote mentre si chinava in avanti sulla forcella, sparendo lungo la strada.

 

Ho infranto il presente....

 

continua............                                                                                            

 

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