Il Patto 4        Back to FanFic  Back to Home

“Kit.. kitsune... ” quello di Hanamichi fu a malapena un ansito sorpreso ma l’udito fine della volpe lo colse facilmente spingendo la belva a spostare lo sguardo verso di lui.

E ancora una volta il rossino si ritrovò prigioniero di quello sguardo oscuro e luminoso al contempo.

Quegli occhi blu, enormi, gli trapassarono l’anima piantandosi nel suo cuore e il ragazzo, inconsapevolmente si strinse di più nelle vesti stracciate, cercando di coprire il proprio corpo che ancora portava, così chiaramente, i segni del suo possesso.

Seguendo quel suo gesto tuttavia Hanamichi portò la volpe a concentrare la propria attenzione sulla veste strappata.

Sui lividi che i colpi del mercenario gli avevano lasciato.

 

Macchie scure su quel corpo che gli apparteneva.

Sulla quella pelle calda, che era soltanto sua.

 

E poi...

 

Un segno rosso...

Un bacio, quasi un morso, sulla sua gola dorata.

Un marchio.... che non gli aveva lasciato lui.

 

Con un basso, ringhio, il demone sputò il corpo di Krag gettandolo con disprezzo contro i resti dell’alta palizzata che aveva incenerito per entrare nel villaggio, prima di spostare lo sguardo su l’uomo, che armato di lancia, lo fronteggiava, insieme agli altri mercenari.

 

Ma quell’umano... quello era speciale.

 

Perchè quell’ammasso di muscoli dal volto ispido di barba e dallo sguardo torbido era uscito dalla piccola casetta alla sua destra, riabbottonandosi in fretta i pantaloni.

 

E ora....

 

Hanamichi....

Il suo Hanamichi....

Era uscito da quella stessa casa....

 

... con gli abiti stracciati e quel segno....

 

Gli occhi della volpe scintillarono d’argento mentre le fauci candide si spalancavano per liberare un ruggito terrificante.

La terra tremò, spaccandosi, inghiottendo quanto vi si trovava sopra, risucchiando dentro la sua bocca oscura tutto ciò che poteva.

Un sicario, ancora intontito dall’alcool e dalle poche ore di sonno, sparì nella voragine scura con un grido di terrore che rieccheggiò a lungo scomparendo nel buio della voragine prima che questa si richiudesse con lo schiocco secco di una mandibola che si serra.

 

I soldati fissavano sgomenti quell’essere spuntato da chissà dove, increduli.

 

La neve danzava attorno al corpo candido della volpe in un turbinio d’ira impazzita mentre i raggi del nuovo giorno colpivano i piccoli fiocchi trasformandoli in miriadi di frammenti di luce, lame scintillanti che avvolgevano il demone tramutandolo in un’unica sfavillante, magnifica, stella di potere e collera.

In quel mare d’argento accecante due abissi neri, socchiusi, sottili.

Vuoto assoluto nel caos.

 

Nessuna pietà.

Nessuna compassione.

Nessun sentimento.

 

Solo un nulla definitivo.

 

Con un grido elettrico la luce esplose davanti agli increduli abitanti del paese che, nascosti dentro le case fissavano, immobili, da dietro le finestre chiuse, quella creatura magnifica e terrificante al contempo, perpetrare la loro vendetta.

Hanamichi, stesso, immobile ai confini della piazza, non poteva staccare lo sguardo da lui.

Quella luce candida era ipnotica, stupenda, eppure quegli occhi scuri, quel rivolo di sangue rosso che macchiava la gola pallida della volpe scivolando fino a terra, denso, scintillante, non gli permetteva di dimenticare che cosa aveva davanti.

 

Un demone.

 

I mercenari che si aggrappavano alle loro lance con mani tremanti, immobilizzati dal terrore, nel momento stesso in cui la belva, lentamente, senza nessuna traccia di fretta si avvicinava loro.

 

“Non esiste luogo..” “... in cui potresti nasconderti... da me...”

 

Le parole che il demone gli aveva rivolto solo alcune ora prima, nella caverna.

Solo ora ne capiva il profondo significato.

 

In quel passo elegante e inesorabile.

In quegli occhi neri che distruggevano l’anima della loro preda prima che le sue fauci bianche ne straziassero il corpo.

 

Non c’era scampo.

Non c’era via di fuga.

Non c’era modo di salvarsi.

 

Lo capirono anche i sicari che presi dalla follia lasciarono cadere le loro lance, fuggendo.

 

La volpe osservò quei piccoli topolini scappare, impazziti, con tranquillo divertimento.

Balzò di lato, potente ed elegante, atterrando con grazia silenziosa tra la neve candida che si sollevò in morbide nuvole, volteggiando soffice ad accarezzare le sue lunghe code.

I sicari si arrestarono arretrando, nel ritrovarsi nuovamente di fronte quell’incubo argenteo.

Kaede saettò in avanti afferrando il primo sicario tra le zanne candide spezzando, con un suono secco, la spina dorsale di quel piccolo corpo che si agitava e gridava tra le sue fauci.

Lo sputò di lato, mandandolo ad infrangersi contro la parete di una delle piccole case seguendone con pigra curiosità la traiettoria sgraziata prima di tornare a voltarsi verso gli altri.

 

Stavano di nuovo correndo cercando di mettersi in salvo.

Il demone sbuffò scuotendo le spalle con indifferenza.

 

Stupidi essere umani.

Pensò tra se e se tagliando nuovamente la loro strada.

 

Credevano davvero di poter fuggire?

Credevano davvero che li avrebbe risparmiati?

Anche se, in un certo senso, doveva loro la riconoscenza di aver spinto il rossino fino alla sua grotta, non avrebbe perdonato che quegli animali avessero messo le mani su ciò che era suo.

 

Che avessero preso ciò che doveva essere concesso solo a lui.

 

Ne sbattè uno a terra sotto una grossa zampa candida e questi cominciò a piangere ed implorare agitandosi, in vano, per fuggire.

Con assoluta indifferenza lo volpe fece pressione sulla zampa, sfondandogli lo sterno.

L’ultima supplica uscì dalla gola dell’uomo con un gorgoglio che si spense nel sangue che l’aveva soffocato.

 

Hanamichi osservava immobile quella carneficina senza riuscire a muoversi.

La sua coscienza gli gridava di fermare quello scempio ma la sua mente non faceva che ripetergli mille immagini:

Le ragazza violentate, i suoi amici uccisi, mandati a morire nel bosco.

Le loro case distrutte, le provviste sprecate.

Le torture...

 

Non riusciva a fermalo.

Non voleva fermalo.

 

Osservò la furia distruttiva del demone abbattersi sui sicari, immobile, silenzioso.

Ormai Kaede li aveva uccisi tutti.

Ne rimaneva in piedi uno solo.

 

La volpe fissò il suo sguardo scuro su colui che aveva appositamente risparmiato perchè assistesse alla morte di tutti i suoi compagni.

Gli si avvicinò con passo lento, i grandi occhi ridotti a due fessure scure, nero insondabile in quell’abisso di luce inafferrabile.

 

“Tu...”

 

La voce del demone vibrò attraverso il villaggio facendo tremare l’aria, scuotendo la terra.

 

L’uomo lo fissò con occhi enormi, immobile, gelato dal terrore.

La volpe lo colpì con una zampata leggera, buttando a terra, tra le neve.

Il corpo dell’uomo rimbalzò sul terreno, l’urto attutito dal bianco manto gelido, prima di arrestarsi contro il muro di una casa.

Il mercenario scosse piano la testa, cercando di snebbiarsi la vista, prima di tentare di alzarsi.

La volpe gli si avvicinò di nuovo e lo colpì ancora.

Hanamichi vide il demone farlo rotolare e poi gettarlo in aria, come un gatto che gioca con il suo topolino.

Sembrava accanirsi su di lui ma con attenzione.

 

Quasi ad assicurarsi che non morisse subito.

 

L’uomo tentò di fuggire per l’ennesima volta e il demone lo lasciò zoppicare un po’, dandogli l’illusione che poteva sfuggirgli prima di schizzare in avanti, facendo schioccare le fauci aguzze.

Un grido disumano tagliò l’aria quando la volpe gli strappò il braccio destro, lavando di rosso la neve bianca.

Arrancando disperatamente il mercenario si rimise miracolosamente in piedi ma fu raggiunto dall’ennesima zampata che lo ributtò a terra.

Rukawa chinò il muso appuntito su di lui, fracassandogli la gamba sinistra nel metterci sopra una possente zampa candida.

Un’altro urlo squarciò l’aria mentre il demone sguainava le fauci ringhiando piano, a pochi centimetri dal volto del mercenario, in preda al terrore.

Lo stava facendo a pezzi, frammento per frammento, con terrificante metodo.

 

“Basta!!!” gridò Hanamichi non sopportando oltre quella scena  “Adesso basta!!” ansimò facendo faticosamente alcuni passi in avanti.

La testa gli scoppiava, il freddo attanagliava il suo corpo a malapena protetto dalle vesti stracciate e la febbre, ormai altissima, gli offuscava i sensi rendendo il suo passo incerto e ondeggiante.

Avvicinandosi alla volpe e a ciò che restava del suo aguzzino, afferrò una lancia dimenticata a terra frapponendosi tra il demone e il mercenario.

“Adesso basta...” ansimò, piantando la lancia nel petto del sicario, concedendogli infine di sottrarsi alle torture della volpe.

 

Il sangue schizzò sui suoi abiti stracciati ma il ragazzo non vi fece caso mentre si voltava, lentamente, a fronteggiare il demone.

Il vento scosse i suoi capelli rossi con dolcezza facendoli danzare in morbide onde di fuoco che, languido, accarezzò la pelle dorata scivolando ad arricchire di riflessi sanguigni i grandi occhi scuri, resi dorati dalla luce del nuovo giorno che baciava quella pelle ambrata con riverenza, scivolando sui suoi muscoli in una calda, lucente, carezza.

Oro incandescente e fuoco scarlatto, tanto in contrasto con il candore della neve che volteggiava attorno a lui, un mare di frammenti di candida luce, gelida e tagliente.

 

Esausto eppure magnifico.

Un angelo dorato aveva perso le sue ali candide macchiandole di sangue.

 

La sagoma della volpe scintillò espandendosi prima di dissolversi in uno scintillio accecante per liberare dinanzi al rossino la figura conosciuta del ragazzo che per primo aveva assaporato le sue labbra.

Si fissarono in silenzio per un interminabile momento poi, con un rantolo, Hanamichi interruppe la loro silenziosa sfida, accasciandosi in avanti.

Kaede scattò stupito, afferrandolo tra le braccia, accorgendosi solo in quel momento di quanto innaturalmente calda fosse la sua pelle.

Con un’imprecazione soffocata lo sollevò con facilità tra le braccia e, lanciato un ultimo sguardo attorno a se, scomparve con lui.

 

 

 

 

Hanamichi emerse a fatica dal mare di morbida ovatta che gli annebbiava i sensi guardandosi faticosamente attorno.

Luci iridescenti, lievi, danzarono dinanzi ai suoi occhi creando per lui magnifiche illusioni colorate mentre il suono argentino di una cascata accarezzava il suo udito.

Si mosse piano tra le lenzuola profumate, calde, morbide.

Conosceva quella sensazione.

L’aveva già provata ma non ricordava quando.

 

C’era qualcosa di sbagliato.

 

La sua mente cercava confusamente di metterlo in guardia.

Non avrebbe dovuto trovarsi lì.

Era pericoloso.

 

Eppure quel calore era così piacevole e lui... lui era tanto stanco.

 

Cercò di mettersi a sedere ma una mano candida lo spinse nuovamente tra le coltri.

“Acqua...” gracchiò a fatica, raschiando la gola secca.

Una mano fresca gli accarezzò la fronte regalandogli un momentaneo refrigerio mentre labbra leggere si chinavano a sfiorare le sue lasciando che il liquido trasparente che esse custodivano lo abbeverasse.

Hanamichi emise un fatico sospiro prima di lasciare che le palpebre pesanti scivolassero di nuovo ad oscurargli lo sguardo.

 

La volpe rimase immobile, pigramente sdraiata accanto all’umano che riposava tra le lenzuola.

Aveva ancora la febbre molto alta.

Lo strinse delicatamente a se, rimboccandogli le coperte scivolate sulle spalle ampie, ascoltando corrucciato il suo respiro faticoso.

Se tra i suoi poteri ce ne fosse stato uno curativo l’avrebbe già usato ma lui era un demone, era nato per distruggere non per salvare.

E poi ancora non riusciva a capacitarsi del perchè si dava tanta pena per quel ragazzo.

 

Certo era speciale.

Aveva qualcosa che non aveva mai trovato in nessun’altro essere umano ma da lì a... preoccuparsi?

 

Poteva accettare di desiderarlo.

Ma preoccuparsi... per lui?

 

Eppure Kaede per la prima volta in tutta la sua vita era preoccupato per un umano.

Un piccolo, fragile, essere umano.

 

Che senso aveva?

Gli uomini erano creature destinate alla morte.

 

Accarezzò la pelle dorata, resa calda dalla febbre che la corrodeva, prima di chinare il volto su di lui e deporre un bacio leggero sulla sua fronte.

I capelli rossi gli accarezzarono le guance mentre il loro profumo leggero gli annebbiava i sensi.

 

Si era infatuato dunque di quella creatura testarda?

 

 

 

 

Hanamichi si ridestò diversi giorni più tardi.

Aveva ricordi vaghi di quanto era accaduto durante la malattia anche se ormai non aveva più dubbi sul fatto che colui che l’aveva accudito era la volpe.

 

Ma i baci?

Quelle carezze leggere tra i suoi capelli?

Quelli se li era sognati od erano reali?

 

Quella sensazione di pace, di benessere?

Quel sentirsi al sicuro?

L’aveva provato davvero tra le sue braccia o l’aveva immaginato la sua mente, per giustificare la sempre maggiore attrazione che quella creatura esercitava su di lui.

 

Ricordava i sogni confusi, fatti nell’incoscienza della febbre.

Sogni in cui lui... lui si concedeva alla volpe.

 

E non c’era paura, dolore o disgusto in essi.

C’era solo calore.

Pace.

 

Completezza.

 

Non poteva.

Non poteva davvero aver ceduto il suo cuore a quella creatura.

Non aveva senso.

 

In virtù di cosa?

Cosa aveva avuto da lui?

Che cosa aveva fatto scattare in lui per spingerlo a credere....

 

A credere..... di esserne....

 

 

“Hai fame?”

 

 

Hanamichi balzò di lato con un sussulto, lasciando incompleti i suoi pensieri, quando la volpe si materializzò accanto a lui, nella sua forma animale.

Il rossino spostò velocemente lo sguardo dalle fauci aguzze macchiate del sangue al corpo del cervo che la volpe aveva deposto a terra.

L’immagine di altri corpi, straziati, si fece bruscamente largo nella sua mente facendolo rabbrividire.

Sollevò lo sguardo, fissandolo in quello blu del demone che aveva ripreso le sue sembianze umane e ora lo fissava in attesa di una risposta.

 

“Perchè?” chiese piano.

 

La volpe sollevò un sopracciglio reclinando la testa sulla spalla destra, un gesto curioso, quasi infantile, mentre cercava di capire a che cosa si riferiva il rossino.

 

“Perchè sei venuto al villaggio?” specificò il ragazzo.

 

Il demone scosse le spalle “Era la mia parte del patto...” mormorò avvicinandoglisi lentamente.

Hanamichi si spostò inconsciamente indietro mentre la volpe afferrava con la mano destra il lembo opposto del lenzuolo che copriva il rossino, tirandolo lentamente verso di se.

Sakuragi sussultò quando la frizione leggera della stoffa sfiorò il suo corpo in una velata carezza, facendolo fremere.

Afferrò saldamente il lenzuolo con entrambe le mani per impedire alla volpe di denudarlo ma Kaede sorrise soddisfatto nel notare quel gesto dando un forte strattone alla coperta attirandola a se insieme al ragazzo che vi era aggrappato.

Hanamichi sussultò ritrovandosi tra le sue braccia, lottò per districarsi ma un po’ per l’intontimento di quei lunghi giorni passati a dormire, un po’ per la debolezza che gli aveva lasciato la febbre, un po’, semplicemente perchè il volpino era decisamente più forte di lui, si ritrovò sdraiato tra le lenzuola arruffate, il corpo nudo, separato da quello del demone, solamente dalla seta leggera della veste che quest’ultimo indossava.

 

“Ora...” sussurrò il moretto “...perchè tu non rispetti la tua...?” sussurrò malizioso, chinandosi a sfiorargli con labbra leggere la guancia.

Hanamichi rabbrividì involontariamente.

 

Perchè gli faceva quell’effetto?

Era la sua bellezza ad incantarlo?

Oppure usava qualche incantesimo per ottenebrare la sua volontà?

 

Perchè ogni volta che quelle labbra si posavano sulle sue, lui si sentiva perso?

 

“A...avevamo...” Hanamichi ansimò tendendosi piano quando la mano sinistra della volpe che era scivolata a sfiorargli la pelle del fianco, seguendo con le dita la morbida curva delle anche.

“A...ve.. vi...” il rossino venne zittito da un bacio intenso eppure.... dolce?

 

Sakuragi cercò di liberare le labbra ma senza metterci poi tutta la forza che avrebbe voluto.

Perchè il tocco della volpe era così attento e riverente?

Perchè la lingua nella sua bocca era così dolce e lenta?

 

Non c’era traccia di urgenza, possesso o violenza.

 

Lo stava.... amando.

Kaede lo stava.... amando!

Sentì la mano destra del volpino salire ad accarezzargli dolcemente i capelli facendogli reclinare con delicatezza il capo per permettere al loro bacio di divenire profondo.

 

Quelle carezze leggere....

Le conosceva.

Quante volte durante l’oblio confuso della malattia aveva sentito quelle dita fresche tranquillizzarlo?

 

Allora non aveva sognato!!

 

La volpe si era presa cura di lui.

Eppure il loro patto era sciolto.

 

Aveva liberato il villaggio.

Ma non aveva più nessun obbligo con lui.

 

Sollevò le mani affondandole tra le ciocche scure, lisce.

Non si sentiva a disagio, ora, tra le sue braccia.

Si sentiva al sicuro.

Esattamente come aveva sognato.

 

Rukawa s’immobilizzò stupito quando sentì le dita dorate accarezzarlo piano.

Spontaneamente.

Staccò le labbra dalle sue cercando il suo sguardo, affondando in esso.

 

Possibile?

Possibile che il rossino si sarebbe finalmente arreso a lui?

Poteva sperarci?

 

 

E’ un sì?” chiese con un sussurro.

 

continua............                                                                                            

 

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