Nucleo 6                                                                                          Back to FanFic  Back to Home

Nucleo: parte vitale, centrale, di qualcosa, di cui in genere ha costituito... l’origine.

 

Hanamichi aveva seguito distrattamente il silenzioso susseguirsi del paesaggio dietro il suo finestrino prima di cedere alla stanchezza ed addormentarsi, il capo appoggiato al vetro trasparente, i capelli rossi arruffati sul volto abbronzato che nell’innocenza del sonno rivelava tutta la sua bellezza.

Rukawa non riusciva a staccargli gli occhi di dosso.

Ci aveva provato ma inevitabilmente il suo sguardo tornava verso di lui.

Non riusciva a capire.

Dopo quanto era avvenuto al negozio di articoli sportivi sentiva violenta la necessità di proteggerlo.

Eppure era un pensiero assurdo.

Da cosa poteva essere protetto Hanamichi?

Per quanto si ripetesse come  un mantra quelle parole  la sua attenzione tornava inevitabilmente a lui.

Come se ormai fosse una prassi.

Qualcosa di consolidato e abituale.

Controllare Hanamichi.

Vegliare sul suo sonno.

Vederlo dormire aveva un effetto devastante sulle sue difese.

Sembrava così indifesa quella furia rossa una volta che si addormentava.

Mitsui seduto davanti a lui diede un colpetto al fianco di Kogure indicandogli con un cenno del capo il rossino.

“Ma guardalo...” mormorò divertito “...sembra un angioletto quando dorme, non trovi?”

Kogure annuì con un sorriso dolce che non piacque per nulla al volpino.

Che aveva il Megane da guardare così il rossino?

E a lui, che importava di come il vice capitano osservava Sakuragi?

Kogure trattava tutti con molta gentilezza.

Anche quell’ex teppista di Mitsui.

Ma a lui non dava fastidio.

Non aveva mai dato fastidio.

 

Fino ad allora....

 

Che gli stava succedendo?

La colpa era sicuramente da dare a Mitsui, possibile che di tutti i termini che poteva utilizzare il numero quattordici aveva scelto proprio quello?

 

Un angioletto...

 

Si morse le labbra nervosamente ma non potè fare a meno di voltarsi nuovamente a fissare il ragazzo addormentato.

Sembrava davvero un angelo.

Il sole del mattino s’infilava dolcemente tra i capelli traendovi riflessi scarlatti, scivolava sulla sua pelle dorata, illuminandola, accarezzando quel corpo forte, rilassato.

Abbandonato.

Si voltò di scatto verso il proprio finestrino sentendosi improvvisamente accaldato.

Perchè quella parola aveva creato in lui una simile reazione?

 

Abbandonato.

 

Un’immagine si fece largo a forza tra i suoi pensieri.

Quello stesso ragazzo addormentato in un grande letto, tra le lenzuola candide.

Quella sua stessa espressione innocente disegnata contro il guanciale.

Quello stesso corpo forte scompostamente disteso sul materasso.

Quella sua pelle dorata... nuda... su cui far scorrere le mani...

 

Rukawa spalancò gli occhi di scatto scuotendo il capo con forza prima di incassarsi nel sedile ed imporsi di dormire.

Il coach del Ryonan li aveva avvertiti che il viaggio sarebbe stato lungo.

Lanciò un’ultima occhiata al rossino, maledicendosi perchè, semplicemente, non aveva potuto farne a meno.

“Un lungo viaggio...” mormorò a mezza voce, chiudendo gli occhi.

A lui, sicuramente, lo sarebbe sembrato.

 

Akira sbadigliò per l’ennesima volta.

Koshino si era addormentato contro la sua spalla ma lui stava osservando qualcosa di troppo interessante per lasciarsi scivolare nel sonno.

Rukawa stava guardando Hanamichi.

Probabilmente sicuro di non essere visto, il volpino stava studiando il volto addormentato di Sakuragi.

Akira sorrise soddisfatto quando vide il moretto arrossire e voltarsi di scatto verso il suo finestrino, incassandosi nel suo sedile, risoluto ad addormentarsi.

Far loro da cupido non sarebbe stato poi così difficile pensò lasciando che Morfeo accompagnasse anche lui nell’oblio.

 

 

La Falce Bianca ansimava pesantemente.

Aveva un braccio ferito e una gambe inutilizzabile.

Un fugace sguardo al collega vestito di nero gli confermò che anche l’altro era ormai allo stremo.

A pochi passi da lui c’era il corpo della Dottoressa.

Ormai una pozza di sangue scuro che andava a mescolarsi con quello del suo aggressore a cui, la Falce Nera, aveva fatto saltare le gambe anche se, troppo tardi, per salvare la loro amica.

Quando l’uomo si era accasciato a terra e il casco della tuta gli era scivolato dalla testa avevano capito la portata di quello che stava succedendo.

 

Lo avevano notato nello stesso momento e, in quello stesso istante, avevano saputo che per loro non ci sarebbe stato scampo.

 

Lui.

Proprio lui.

Li aveva traditi.

 

“Attento!!!” gridò la Falce Nera riscuotendo violentemente il collega dai propri pensieri.

Uno degli appartenenti alla setta aveva imbracciato un lancia missili.

Il colpo rimbombò nella stanza seguito da un’irreale momento di silenzio e i combattenti smisero di spararsi a vicenda osservando il proiettile saettare verso la sua ultima destinazione.

 

La capsula.

 

C’era un modo solo di fermarlo.

Le due Falci si mossero in contemporanea.

Ma la Falce Bianca era più vicina.

 

Giunse dinanzi alla capsula solo il tempo necessario per fermarsi.

Voltarsi.

Spalancare le braccia.

 

E ricevere in pieno petto il colpo.

 

 

Akira aprì bruscamente gli occhi con un sussulto svegliando Koshino che si volse a guardarlo scocciato per il brusco risveglio.

Tuttavia il playmaker divenne improvvisamente preoccupato quando notò il pallore e il respiro pesante del suo compagno.

“Akira stai bene?” gli chiese accarezzandogli dolcemente un braccio.

L’asso del Ryonan si volse a fissarlo, gli occhi leggermente dilatati per la paura.

“Un... un incubo” mormorò con voce resa gracchiante dalle emozioni che quel sogno gli aveva dato.

Koshino gli accarezzò una guancia con fare premuroso e Sendoh si volse verso di lui regalandogli un sorriso di ringraziamento.

“Cos’hai sognato?” chiese il compagno cercando di aiutarlo ad affrontare l’incubo.

Akira scosse il capo.

Stava per dirgli che non ricordava quando d’un tratto si accorse che invece...

Invece qualcosa ricordava!

Rimase scioccato da quella rivelazione.

Si era aspettato di non rammentare nulla e invece...

“Io... c’era della gente vestita di nero, con un casco strano... e sparavano...” scosse il capo incredulo.
Seppure i volti delle persone all’interno del sogno fossero sfumati e indistinti lui aveva l’impressione che gli fossero famigliari.

 

Conosciuti.

 

“Io.. io morivo..Hiro... ed era così reale....” mormorò.

Koshino scosse il capo stringendo il suo braccio con forza, obbligandolo a guardarlo.

“Tu non morirai!” disse deciso con una luce scintillante nello sguardo che fece sorridere dolcemente Akira.

Sendoh annuì deciso con il capo e il compagno, lanciatosi uno sguardo attorno per accertarsi che nessuno li vedesse lo attirò a se, baciandolo con dolcezza.

“E ora dormiamo..” borbottò “... un certo rompiscatole stanotte non mi ha fatto chiudere occhio e io ho sonno!” disse burbero accoccolandosi meglio contro di lui, addormentandosi nuovamente.

Akira sorrise passandogli una mano tra i capelli castani con dolcezza.

Sollevò lo sguardo sugli altri ragazzi dormienti e i suoi occhi, per un momento si posarono sulle chiome rosse del ragazzo assopito qualche sedile più avanti.

Perchè se guardava Hanamichi gli sembrava di sentire nuovamente, ancora più vivido, il suono di quello sparo che l’aveva ucciso?

“Tu non morirai!” gli risuonò nella mente la voce di Koshino.

Sorrise scuotendo il capo e chiusi gli occhi, addormentandosi poco dopo, le dita intrecciate a quelle del suo amante.

 

“Dunque non ricordate niente di particolare?” chiese per l’ennesima volta Richard Edmond al medico giapponese che lo fissava con un po’ di timore.

Quell’uomo in completo scuro si era presentato come uno studioso americano appassionato di piante e gli aveva chiesto informazioni sulla crescita miracolosa della sua felce.

Tuttavia Ryo non aveva saputo che ripetergli quanto aveva già detto alla polizia.

La felce il giorno prima era una piccola pianta, neppure tanto in buona salute, e il giorno dopo si era quasi trasformata in un albero.

Ma che cosa fosse accaduto per dar luogo alla metamorfosi lui proprio non lo sapeva.

Due assistenti del dottor Edmon avevano prelevato un campione di felce e uno di terreno usando dei guanti dall’aria molto strana e delle pinze ancora più inquietanti.

Lui non era un esperto di botanica ma quelli tutto parevano tranne botanici...

Avevano l’aria davvero poco convincente.

Il medico in primis.

Aveva spalle larghe, carnagione scura, di chi passa molte ore all’aperto, e una muscolatura invidiabile.

Gli occhiali da sole gli impedivano di vederne gli occhi.

Quell’uomo non gli piaceva e gli metteva una certa soggezione.

Inoltre quelli che gli erano stati presentati come i suoi assistenti potevano passare tranquillamente per gorilla tanto erano grossi e lui aveva anche notato uno strano rigonfiamento sotto le loro giacche scure.

“Niente” riconfermò all’uomo che ora lo fissava con un certo nervosismo.

Ma lui non stava mentendo.

Quella felce era sempre stata piccola e malandata.

Poi era cresciuta d’incanto.

In mezzo non era accaduto niente.

Niente di particolare.

La fatidica giornata si era svolta con il solito tran tran.

Compresa Kaori che puntualmente aveva rotto le provette....

 

“Le provette!!” esclamò illuminandosi.

 

Richard si tese verso di lui con occhi che scintillavano feroci dietro la protezione delle lenti scure.

“Che provette?” chiese famelico.

“Dei campioni di sangue che avevamo già esaminato...” disse cercando di ricordare “...quella di quel ragazzo è caduta nel vaso della felce...” mormorò a mezza voce.

“Ma non è assolutamente possibile che questo...” cominciò a riflettere ad alta voce.

“Il nome del ragazzo!” lo interruppe bruscamente Richard trattenendosi a malapena da mettere le mani al collo dell’infermiere e scuoterlo con violenza perchè si sbrigasse a parlare.

“Uh?” Ryo lo fissò, confuso e spaventato, da tanta veemenza.

Chi diavolo era quel tizio?

“Non me lo ricordo...” borbottò confuso.

“Se lo faccia venire in mente!!” ringhiò lo ‘studioso di piante’.

Ryo retrocedette spaventato mettendosi velocemente a frugare nel suo archivio dei rapporti.

Estrasse quello del giorno e scorse la lista di nomi in fretta.

“Ah sì, ecco... Hanamichi Sakuragi” mormorò porgendogli il foglio di carta bianca che gli venne letteralmente strappato dalle mani dal dottor Richard.

“Andiamo!” ordinò questi, balzando in piedi, rivolgendosi ai suoi assistenti, prima di dirigersi  a passo spedito verso la porta.

Nella sua testa vibrava un canto di gioia.

L’avevano trovato!!!

 

 

La Falce Nera chiuse gli occhi per non vedere il corpo dell’amico andare in pezzi.

Il sangue schizzò ovunque riempiendo la sala con il suo odore nauseabondo mentre l’uomo che aveva sparato imprecava, preparandosi a caricare un’altro colpo.

La Falce imbracciò il fucile e concentrò la sua volontà.

Il piccolo cavo che collegava la sua arma al diadema dorato, che portava attorno alla fronte, vibrò mentre il potere del ragazzo lo attraversava fino a materializzarsi in una lunga falce di luce candida che si allungò di colpo, staccando di netto il braccio destro dell’assassino, prima che fosse costretto a rotolare di lato ed evitare un colpo diretto al cuore che invece lo prese ad un fianco.

Il dolore lo trapassò, insopportabile e violento, ma strinse i denti trattenendosi dall’urlare.

Era rimasto solo e c’erano ancora quattro Purificatori in vita.

Non sarebbe sopravvissuto lo sapeva.

Ma doveva fare in modo che non sopravvivessero nemmeno loro.

Strappò con i denti la sua casacca e legò il fucile al braccio sinistro, ormai poco più che un ammasso di carne inutilizzabile.

Non poteva contare su altri che se stesso.

Dove impedire che la capsula venisse aperta.

 

A qualsiasi costo.

 

Le sfide erano sempre state la sua passione.

E quella era decisamente la più difficile che avesse mai affrontato.

Fece un profondo respiro e si lanciò.

Ricacciando lacrime, sangue e dolore, ricominciò a sparare.

 

 

Rukawa si mosse a disagio sul sedile mugolando prima di aprire gli occhi e guardarsi attorno cercando di ritornare al presente.

Si passò la mano destra sull’avambraccio sinistro quasi ad accertarsi che su di esso non vi fossero ferite.

Ricordava... riusciva a ricordare, frammenti di quell’incubo.

Un’esplosione violenta e sangue.

Sangue ovunque.

Il dolore che gli lacerava le carni, la disperazione che tentava di impadronirsi di lui.

Eppure la certezza che non poteva  arrendersi.

Che aveva ancora qualcosa da fare.

Qualcuno da proteggere.

Si passò una mano tra i capelli scuri con nervosismo.

Se solo si fosse ricordato CHI doveva proteggere, era sicuro che tutti i tasselli sarebbero andati a posto.

Sospirò spostando uno sguardo sui ragazzi addormentati.

 

E inevitabilmente i suoi occhi si posarono su di lui.

 

Seguendo un impulso che non riuscì a trattenere Rukawa si alzò spostandosi lentamente nell’autobus silenzioso, fino a sedersi accanto a lui, chinandosi per guardarlo meglio.

Dormiva, avvolto profondamente nel suo riposo, le labbra leggermente socchiuse, i capelli rossi sparsi sul viso.

Incapace di pensare, Rukawa allungò una mano e scostò una ciocca, con dolcezza, dalla sua fronte.

Così tiepida la sua pelle, così luminosa.

Così rossi i suoi capelli, così vivi.

Come se... egli stesso fosse vita e luce.

“Che cosa sto facendo?” mormorò piano, stringendosi al petto la mano che l’aveva sfiorato, prima di alzarsi e tornare, confuso, ad occupare il suo poso.

 

“Allora?” chiese impaziente Edmond.

Il suo sottoposto scosse le spalle infastidito.

“L’appartamento è vuoto signore e pare che il ragazzo abbia fatto le valige in fretta e furia, stamattina stessa” gli riferì l’uomo che insieme ai colleghi stava perlustrando la casa del rossino, in cui si erano introdotti.

“Maledizione!” imprecò Richard.

“Dobbiamo trovarlo non possiamo arrenderci ora!”  sbottò furioso.

“Signore!” lo chiamò un uomo dalla porta.

Edmond andò da lui camminando nervosamente.

“Cosa c’è?!” abbaiò.

“Ho parlato con l’amministratrice del condominio...” riferì il sottoposto “... pare che il ragazzo sia partito stamani per un ritiro con la sua squadra di basket, lo Shohoku, ma non mi ha saputo dire per dove.” Lo informò.

“Shit!” imprecò Richard con sguardo cupo.

Ormai erano così vicini al catturarlo!

“Qualcuno deve sapere dove sono andati in ritiro no?” sbraitò.

Il sottotenente scosse il capo.

“Ronand ha telefonato alla scuola ma pare che l’allenatore della squadra abbia voluto tenere segreto il luogo dell’allenamento.” Borbottò cupo.

Richard si accese una sigaretta con gesti nervosi e rigidi.

Non si sarebbe arreso.

Non poteva!

Non ora che erano così vicini!!

Fumava aspirando ampie boccate, camminando nervosamente aventi e indietro mentre cercava di fare mente locale.

Per giungere all’appartamento del ragazzo avevano dovuto interrogare un’altro medico, il dotto Meji, di cui gli aveva parlato Ryo, dato che Sakuragi non compariva sull’elenco.

Avevano invaso il suo appartamento a fucili spianati solo per scoprire che la maledetta creatura se l’era già svignata.

E ora ancora una volta tutte le strade si perdevano nel nulla.

Strinse la mascella e venne colto da un’illuminazione.

“Rintracciatemi quel Yohei Mito! Il dottor Meji ha detto che è il miglior amico dell’alieno! Lui sicuramente saprà dove si trova e noi ce lo faremo dire!!!” disse soddisfatto.

Il suo sottoposto scattò sull’attenti mentre lui ordinava ai suoi uomini di ritirarsi.

Lì non avevano nulla da fare.

Salì sul furgone nero, che fungeva anche da base mobile di controllo, in tempo per prendere dalle mani del loro esperto di pc il foglio su cui spiccava l’indirizzo del miglior amico di Sakuragi.

“Non mi scappi maledetto!” sussurrò soddisfatto dando le direttive all’autista.

 

“Siamo arrivati!” disse loro Taoka, molto più tardi, battendo le mani per riscuotere i ragazzi dal loro tepore.

Erano quasi le tre del pomeriggio, la maggior parte degli atleti era sveglia da tempo a parte alcuni tra cui: Rukawa, Akira, Koshino e Hanamichi che, per motivi diversi, avevano parecchio sonno da recuperare.

Il volpino mormorò un: “Non perdono che disturba il mio sonno” tirando un pugno al sedile dinanzi a lui, facendo ridacchiare Ryota mentre Sakuragi si stiracchiava sul proprio, guardandosi attorno.

Il rossino tuttavia dopo un momento di silenzioso esame del paesaggio fuori dal finestrino sbarrò gli occhi spalancando la bocca incredulo.

“Che cavolo ci facciamo qui!!!” Esplose stupito.

 

Per un momento regnò il silenzio nel piccolo autobus mentre tutti gli occhi si volgevano verso Sakuragi che sembrava felice e triste allo stesso tempo.

Non ebbero modo, tuttavia, di chiedere spiegazioni perchè la porta dell’autobus si aprì e un ragazzo di poco più vecchio di loro, con un bel sorriso gentile sul volto e la divisa delle guardie forestali salì sull’autobus per dare loro il benvenuto all’interno del parco.

Il ragazzo notò che tutti gli occhi erano puntati su una persona e automaticamente anche il suo sguardo si spostò su di essa.

Gli occhi del bel giovane si allargarono a dismisura quando inquadrarono l’alto giocatore dai capelli rossi e sotto lo sguardo sempre più allibito di tutti i presenti la guardia forestale gridò: “Hanaaaaa!” fiondandosi tra le sue braccia.

 

“Voi vi conoscete?” chiese Anzai fissando il guardia boschi incollato come una piovra ad Hanamichi che ricambiava l’abbraccio con gioia.

“Siamo cresciuti insieme!” spiegò il ragazzo lasciando andare il rossino.

Gli occhi di tutti si sgranarono e Hanamichi sospirò “E’ una storia lunga” borbottò a disagio.

Non gli andava di parlare dei suoi genitori però doveva dar loro delle spiegazioni giunti a quel punto.

“Prima di trasferirmi a Kanagawa, otto anni fa, io ho vissuto qui” disse dando loro la minor quantità di notizie possibili.

Fortunatamente Kei parve intuire il suo pensiero e, rivelandosi l’amico prezioso che era stato quand’erano piccoli, non aggiunse nulla, inchinandosi invece per presentarsi.

“Scusate la maleducazione era tanto tempo che non vedevo Hanachan!” disse con un sorriso felice.

“Il mio nome è Kei, Kei Ruiko” disse con un inchino “Sono una delle guardie forestali di questo parco e ho il compito di scortarvi al vostro rifugio”.

“Bene!” disse Takato riprendendo il controllo della situazione “Allora sarà bene metterci in marcia!”

I ragazzi scesero dall’autobus mentre Hanamichi si attardava un momento con l’amico.

In quegli anni di lontananza si erano spesso scambiati lettere lunghissime quindi erano entrambi molto informati sul conto dell’altro anche se non si erano certo aspettati che il destino li facesse reincontrare.

 

Kei aiutò il rossino a portare la sua borsa incamminandosi insieme al ragazzo, che sembrava ricordare ancora con precisione ogni sentiero, dirigendosi a passo sicuro verso la piccola stradina che li avrebbe portati al rifugio per gli ospiti del parco.

Il moretto sorrideva allegramente parlando del più e del meno con Hanamichi quando questi cominciò ad indicargli i membri della sua squadra.

Solo allora Kei prestò attenzione agli altri ragazzi.

 

E si sentì morire.

 

Le due Falci e la Dottoressa” ansimò a mezza voce prima di spostare la sua attenzione su Hanamichi che impegnato a raccontargli aneddoti sulla sua squadra di basket non si era accorto del pallore mascherato in fretta dall’amico d’infanzia.

Kei annuiva di tanto in tanto con il capo ma non sentiva più nessuna delle parole del rossino.

Nella sua mente un milione di domande.

 

Perchè erano lì di nuovo, tutti insieme?

Era dunque giunta l’ora del risveglio?

 

Si sarebbe, inevitabilmente, ripetuto quanto era successo in passato?

 

 

continua............                                                                                            

 

 

 

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