Nucleo 5                                                                                           Back to FanFic  Back to Home

Nucleo: parte vitale, centrale, di qualcosa, di cui in genere ha costituito... l’origine.

 

“Hana ti vuoi fermare!” gli gridò dietro Yohei raggiungendo infine l’amico e afferrandolo per un braccio.

Dovette però lasciarlo bruscamente andare con un sussulto.

La sua pelle era bollente.

“Sta succedendo di nuovo...” ansimò Mito.

“Non è niente” mugugnò Hanamichi massaggiandosi le tempie, stancamente.

La testa gli stava scoppiando.

Voleva solo arrivare a casa il prima possibile e buttarsi sul letto, tuttavia cominciava a dubitare di riuscire ad arrivarci con le sue gambe, uscire dal negozio non era stata una buona idea.

Lo sbalzo di temperatura tra la piacevole frescura data dall’aria condizionata e il sole a picco dell’esterno non aveva fatto che peggiorare le sue condizioni.

Yohei si guardò forsennatamente  intorno e notato l’ingresso di un piccolo parco prese l’amico per il braccio e ve lo trascinò di peso.

Sakuragi camminava con fatica, trascinando i piedi, ormai così frastornato da non capire molto di quello che gli accadeva intorno.

“Ecco siediti qui trono subito!” mormorò Yohei, apprensivo, facendolo sedere sull’erba fresca sotto l’ombra protettiva di un grande albero.

Hanamichi appoggiò la schiena alla corteccia e chiuse gli occhi, con un sospiro.

Il vento gli accarezzò il volto accaldato, scostandogli gentilmente alcune ciocche dal volto, e un passerotto frullò le ali andando ad appoggiarsi sulla sua spalla.

L’uccellino strofinò la testolina delicata contro la guancia del ragazzo dagli occhi chiusi che sorrise debolmente.

“Sono tanto stanco...” mormorò piano.

L’uccellino trillò alzandosi in volo, posandosi su un ramo basso accanto a lui, intonando un dolce melodia per lui.

Hanamichi non riusciva a capire.

Era esausto, sfinito, come non gli era successo mai di sentirsi.

Però non era accaduto nulla.

Almeno niente che lui ricordasse.

Strinse la mascella mentre il cerchio che gli premeva nella testa si stringeva sulle sue tempie in una morsa dolorosa, mentre cercava di ricordare.

Se si fermava a riflettere nei suoi ricordi c’erano dei buchi di qualche minuto.

Che cos’era successo?

Che cosa la sua mente aveva cancellato per lui?

Che cosa non doveva assolutamente ricordare?

E perchè?

Troppe domande.

Dolorose come cunei roventi che affondavano nella sua coscienza già così stanca.

Eppure era importante.

Doveva ricordare...

Prima stava guardando la commessa poi... un lampo di buio....

Cosa aveva dimenticato?

Poi Akira bloccava la ragazza tenendola per la mano...

Di nuovo buio...

Fitto nero, assoluto e profondo.

Un universo insondabile e senza fine in cui si accendevano scintille luminose, frammenti di ricordi ed immagini che non riusciva ad afferrare, come stelle si accendevano accecandolo per poi scomparire troppo in fretta per permettergli di capire.

Infine il porcospino si scusava e Rukawa si avvicinava a loro.

Già Rukawa...

Negli occhi del volpino aveva visto una luce che non conosceva.

La stessa luce che per un momento si era accesa in quelli di Akira.

Quella luce era familiare, eppure non riusciva a ricordare quando l’avesse già vista.

Scosse il capo stancamente.

Non era sicuro che ricordare lo avrebbe aiutato.

Non era sicuro che fosse davvero quello che lui volesse.

Dal negozio era scappato.

Era scappato per non vedere di nuovo quella cosa che l’aveva turbato tanto.

Quella cosa che aveva rotto dentro di lui un sigillo che non andava toccato.

 

Non ancora...” mormorò inconsciamente mentre le pulsazioni nella sua testa diventavano più frequenti e dolorose.

 

Represse un gemito.

Era troppo debole...

Respirò un paio di volte lentamente cercando di ricacciare la nausea mentre la stanchezza l’avvolgeva.

Senza nemmeno rendersene conto scivolò a terra privo di sensi mentre il piccolo passero interrompeva il suo canto e lanciata un’ultima occhiata al giovane svenuto si alzava in volo con un trillo sofferente.

 

 

Yohei si guardò intorno alla ricerca di aiuto quando notò una sagoma conosciuta, seduta su una panchina poco distante.

“Ayako!” la chiamò avvicinandosele di corsa.

La ragazza sollevò sorpresa il volto dal libro che stava leggendo.

“Mito buon pomeriggio!” lo salutò e stava per chiedergli il motivo della sua aria preoccupata quando il ragazzo la prese per un braccio.

“Ho bisogno di aiuto Hana sta male!”

La ragazza mollò il libro seguendolo di corsa verso il luogo dove Yohei aveva lasciato l’amico.

Al moretto sfuggì un’imprecazione quando lo vide a terra svenuto.

“Non di nuovo!” esclamò precipitandoglisi accanto, la manager invece non riuscì a muoversi.

Fissò stupita il ragazzo svenuto, guardandolo come se lo vedesse per la prima volta.

Non sembrava nemmeno l’Hanamichi che conosceva.

Il suo viso sempre così volitivo era rilassato, gli occhi chiusi, i capelli rossi, una macchia di fuoco tra l’erba smeraldina, gli accarezzavano dolcemente la pelle dorata ondeggiando allo stesso ritmo ipnotico con cui l’erba danzava, sospinta da una piacevole brezza estiva.

I raggi di sole che, sottili, s’infilavano nella chioma dell’albero disegnavano fasci luminescenti che cadevano come pioggia di luce su quel corpo indifeso avvolgendolo con il loro calore, disegnando su di lui arabeschi instabili.

Il vento scosse le fronde dell’albero facendo sussurrare le foglie mentre Ayako immobile osservava la luce rincorrersi tra l’erba ondeggiante, scintillando sulle chiome carminio, sulla sua pelle abbronzata come se egli stesso l’attirasse e la generasse.

Immobile, improvvisamente estranea a quanto le accadeva attorno Ayako osservò Yohei chinarsi sul rossino e cercare di riscuoterlo dal suo torpore.

E provò l’irrazionale impulso di fermarlo.

Di non permettergli d’intaccare con la sua imperfezione il riposo di Hanamichi.

La ragazza scosse il capo con forza tornando in se prima di chinarsi e mettere una mano sulla fronte del rossino sussultando.

“E’ bollente!” mormorò spaventata.

Yohei slacciò la divisa dell’amico per farlo respirare meglio chiamandolo senza tuttavia ottenere risposta.

“Senti io abito poco distante da qui” disse la manager prendendo in mano la situazione.

“In due ce la facciamo a tirarlo su...” ponderò “...lo portiamo a casa mia e chiediamo a mia madre di visitarlo” disse la ragazza.

Yohei annuì e i due si misero ai fianchi del rossino sollevandolo.

Giunsero a casa della ragazza pochi minuti più tardi e subito Yohei lo fece stendere sul divano mentre Ayako andava a cercare la madre che lavorava nell’ambulatorio annesso alla casa.

“Non sapevo che tua madre fosse medico” mormorò Yohei prendendo con riconoscenza il bicchiere di the che lei gli porgeva, poco più tardi, informandolo che sua madre sarebbe presto venuta a controllare Hanamichi.

Ayako ridacchiò “E’ una ginecologa” specificò.

Yohei spalancò gli occhi e nonostante la preoccupazione non potè fare a meno di sorridere.

“Non diciamolo ad Hana per carità!” mormorò divertito.

Furono interrotti dall’ingresso di una bella donna, dai lunghi capelli ricci, molto simile alla figlia, che senza tante cerimonie li sbattè fuori dal salotto, cacciandoli in cucina.

 

“Prima hai detto: ‘non di nuovo’” ricordò Ayako seduta al tavolo mentre attendeva che la madre tornasse con il suo responso.

Yohei annuì con un sospiro.

Non gli piaceva.

Non gli piaceva per nulla la frequenza con cui stavano succedendo quegli ‘incidenti’.

“L’altro ieri gli è successa la stessa cosa.” mormorò evidentemente preoccupato.

“Ho chiamato un medico ma ha detto che si è trattato di un calo di zuccheri.” Scosse il capo dimostrando quanto poco egli credesse a quella teoria.

“Gli ha anche fatto un esame del sangue ma non ne è risultato niente di strano” si passò una mano tra i capelli, stancamente, non voleva che succedesse qualcosa ad Hanamichi.

Aveva diritto ad avere una vita serena e felice.

Aveva già sofferto tanto.

“Non lo so Ayako eppure... c’è qualcosa che non va...” mormorò affranto “Hana non è tipo da ‘calo di zuccheri’!!” sbottò.

Ayako annui distrattamente mentre sorseggiava il suo the.

“Forse sarebbe meglio che non partecipasse al ritiro...” disse pensierosa.

Yohei annuì “L’ho pensato anch’io” mormorò prima di emettere un sospiro rassegnato “Ma bisognerebbe legarlo per impedirgli di andare!” sbottò facendola sorridere.

Ormai, per quanto Hanamichi facesse spesso e volentieri ancora il buffone, Yohei sapeva quanto l’amico amasse quello sport.

Come sapeva che non sarebbe riuscito a tenerlo a casa quando per cinque giorni avrebbe avuto l’occasione di stare accanto a Rukawa.

Sorrise tra se a quel pensiero.

Hanamichi pensava forse che non se ne fosse accorto?

Si conoscevano ormai da troppo tempo... si chiedeva quando il rossino si sarebbe deciso a dirglielo.

Per il momento non voleva sforzarlo.

La porta della cucina si aprì distraendoli dai loro pensieri.

“Allora?” chiese preoccupato Yohei alla madre della manager.

La signora Yoko li fissò corrucciata.

Mito conosceva quello sguardo.

Lo stesso dell’altro medico.

“Non capisco” ammise la donna “Ha fatto qualcosa di particolare oggi?” chiese.

Yohei la fissò in sbigottito silenzio per un momento.

Anche lei come il dottor Meji non riusciva a capire.

Cominciava seriamente a preoccuparsi.

“Dovremmo fargli fare degli esami del sangue, sembra semplicemente esausto” mormorò confusa.

Yohei e Ayako si scambiarono uno sguardo silenzioso prima che la donna li rassicurasse sul fatto che probabilmente con un po’ di riposo sarebbe tornato come nuovo.

 

 

La dottoressa fece scorrere più velocemente le dita sulla tastiera del pc, mentre alle sue spalle le due Falci tentavano di tenere indietro gli aggressori.

Doveva fare in tempo!

Uno dopo l’altro i piccoli numeri scorrevano sul monitor che, fortunatamente, non era ancora stato colpito dai fucili laser dei Purificatori.

Se fosse riuscita ad inserire tutte e dodici le cifre, fossero anche morti, nessuno, sarebbe riuscito ad aprire la capsula.

“Dai!” pregò rivolta alla macchina che davanti a lei stava passando al controllo delle cifre.

Ne mancava una.

 

L’ultima.

E si sarebbero salvati.

 

Condannando il Nucleo ad un sonno eterno.

 

La sua mano tremò e le sue dita esitarono.

 

Era giusto sacrificarlo ancora una volta?

 

Scosse il capo con forza.

Non era quello il momento di pensare.

Appoggiò le dita sulla tastiera decisa a digitare l’ultima cifra quando un proiettile le attraversò il petto da parte a parte mandando in frantumi il monitor del pc dinanzi a lei.

La donna allungò disperatamente una mano verso la consolle ma cadde pesantemente a terra senza riuscire a raggiungerla.

Non era riuscita a sigillarlo.

Ma non poteva permettere che lo liberassero.

 

Perchè se la capsula fosse stata aperta finchè era attivo...

 

Estrasse lo stiletto che aveva nello stivale e lo abbattè sul grosso tubo che portava l’ossigeno al Nucleo.

“Perdonami...” gorgogliò mentre l’aria che avrebbe dovuto fluire nella bara le sibilava, fredda, accanto al volto, scompigliandole i capelli macchiati di sangue.

 

 

Ayako si svegliò di scatto spalancando gli occhi, guardandosi attorno nella stanza bagnata dai primi raggi del sole mattutino.

Il vento entrando dalla finestra le scompigliò i riccioli portando con se il profumo del mare e la ragazza si rilassò.

“Che razza di sogno” mormorò passandosi una mano tra le ciocche scure.

Le dita rimasero impigliate tra i riccioli scompigliati mentre quelle parole dette distrattamente a voce alta le ferivano l’udito.

Che razza di sogno era?

Non riusciva a ricordarlo.

Eppure era stato tutto così vivido.

Così reale.

Scosse il capo con forza alzandosi dal letto e dirigendosi verso il bagno.

Non aveva il tempo di pensare a quelle cose.

Doveva affrettarsi per andare allo Shohoku.

Quella mattina li aspettava il pulman che li avrebbe condotti al ritiro!

 

“Hana...” cercò di dissuaderlo Yohei mentre accompagnava l’amico, la sacca sportiva e la borsa con i vestiti a tracolla sulla spalla destra, verso lo Shohoku.

“Yohei ne abbiamo già parlato, sto benissimo e non ho intenzione di restarmene a casa!” disse il rossino con sguardo deciso.

Mito sospirò ma non volle insistere ulteriormente, sapeva comunque che era inutile.

Una cosa che poteva fare, comunque, c’era ancora.

Il coach del Ryonan aveva tassativamente ordinato che il luogo del ritiro restasse segreto, tanto che nemmeno alle famiglie dei giocatori era stato dato di sapere dove esso si svolgeva.

Non capiva quella mania del coach del Ryonan  di tenere tutto così segreto.

Si tratta di un allenamento speciale, gli aveva spiegato Hanamichi.

A lui poco interessava.

Lui doveva sapere dove si sarebbe svolto.

Non poteva lasciare andare così Hanamichi,

E se l’amico avesse avuto bisogno di lui?

Se si fosse ripresentato quello strano malore senza nome?

Lui non credeva alle spiegazioni che aveva ricevuto.

C’era qualcosa di strano, che non andava e lui lo sentiva a pelle!!

Aveva pregato Ayako di controllare per lui Sakuragi, di accertarsi che non si stancasse troppo e la manager gli aveva promesso che lo avrebbe tenuto d’occhio.

Tuttavia lui continuava a sentirsi inquieto.

Hanamichi si era risvegliato poco dopo essere stato visitato dalla dottoressa ma non appena aveva cercato di mettersi in piedi era stato fin troppo chiaro che la sua debolezza non era certo diminuita.

La donna li aveva accompagnati con la macchina a casa del rossino raccomandandogli di riposare e Yohei ancora una volta si era fermato da lui per vegliare il suo sonno.

Quella notte non aveva portato sogni strani ma aveva lasciato comunque con se una fastidiosa inquietudine.

Com’era accaduto l’altra volta, quel mattino, Hanamichi sembrava nuovamente in perfetta forma.

Si era alzato pimpante, aveva preso la sacca e la borsa e non c’era stato modo di dissuaderlo.

Yohei si chiedeva quanta della sua testardaggine derivasse dal suo amore per il basket e quanta da quello per Rukawa.

Seguì con lo sguardo il suo amico scherzare con Ryota prima di spostare la sua attenzione sul ‘volpino’, come lo chiamava Hanamichi.

Appoggiato ad una fiancata dell’autobus il moretto sembrava immerso in uno dei suoi tanti sonnellini.

Yohei si chiese che cosa avesse visto Hanamichi in quel pezzo di ghiaccio per innamorarsene così seriamente.

Oh sì, il suo amico era veramente innamorato quella volta.

Lo capiva dal suo silenzio.

Dai suoi sguardi che, anche il quel momento, sfuggivano nella sua direzione, quasi contro la sua verità.

Lo capiva dalla rabbia che nasceva dal dolore che gli insulti del moro gli provocavano.

Ma Hanamichi si era ostinato a non dirgli nulla e lui avrebbe rispettato il suo silenzio finche l’altro non si fosse deciso a confessargli la verità.

Vide Akira deporre la borsa nel vano bagagli mentre il morettino che era con lui anche il giorno prima sbadigliava, come se non avesse chiuso occhio per gran parte della notte.

Yohei ridacchiò tra se ma il suo riso si bloccò in gola quando Ayako si avvicinò a Ryota per chiedergli qualcosa.

 

Ayako, Akira, Rukawa... Hanamichi.

 

Perchè vederli vicini, insieme, gli faceva provare nuovamente quel forte senso di disagio?

Perchè ora più che mai provava l’istinto di portare via Hanamichi, lontano da quelle persone?

Tutte domande che non avrebbero avuto risposta.

Scosse le spalle allontanando quella sensazione di disagio prima di approfittare della confusione fatta dai ragazzi, che stavano caricando le loro valigie nell’ampio bagagliaio del pulman, per scivolarne all’interno.

Suo padre era un guidatore di autobus e gli aveva insegnato una cosa che non tutti sapevano.

Tutti gli autisti tenevano solitamente un registro delle corse nel cruscotto.

Per lui aprire il piccolo sportello di plastica nera, chiuso a chiave, non fu un problema.

Era diventato un genio nella scassinatura dei lucchetti dato che molto spesso aveva avuto la pessima idea di affidare le chiavi del catenaccio della vespa ad Hanamichi che spesso e volentieri le perdeva!

Trovò il taccuino dell’autista e sorrise quando notò che, come aveva previsto, l’uomo aveva già scritto il nome della loro prossima destinazione.

Annotò mentalmente la località prima di rimettere al loro posto le carte di viaggio e scivolare indisturbato giù dal pulman.

Se ce ne fosse stato bisogno lui avrebbe trovato il modo di raggiungere Hanamichi.

 

“Signore!!”

Edmond Richard, attuale dirigente dell’E.T.C, sollevò il volto dal dossier che stava esaminando richiudendo con cura la cartellina in modo che l’agente appena entrato nel suo ufficio non avesse modo di leggervi i dati contenuti.

L’uomo in completo nero addestrato all’obbedienza e al silenzio, nell’arco degli anni, non diede tuttavia nemmeno un’occhiata alla cartella su cui spiccava a caratteri cubitali la scritta: TOP SECRET, prima di porgere una pagina stampata al suo superiore.

Edmond scorse quello che aveva tutta l’aria di essere un articolo di giornale, in silenzio, mentre negli occhi grigi solitamente metallici ed inespressivi si accendeva una luce scintillante.

L’articoletto era scritto in giapponese, ma per lui, bambino prodigio nonchè esperto di lingue, non era certo un problema, come d’altronde non lo sarebbe stato per la maggior parte degli agenti presenti nel centro.

Non erano molti i suoi uomini.

Ma ognuno di loro era un genio.

Suo nonno e suo padre prima di lui ci avevano messo anni per mettere in piedi il centro impiegando in esso ogni dollaro e ogni minuto della propria vita.

In molti li avevano chiamati folli visionari ma loro avevano comunque perseguito con ostinazione il loro obbiettivo, riuscendo infine a costruire il Centro lì, nella periferia di Los Angeles.

E poi avevano cercato per tutto il continente coloro che sarebbero stati adatti per quel compito delicato e impegnativo.

Avevano trovato e addestrato personalmente gli agenti che ora costituivano l’E.T.C.

Era stato loro insegnato il combattimento corpo a corpo e l’utilizzo delle armi.

Dal semplice coltello al sofisticato lanciamissili.

Ognuno di loro sarebbe stato in grado di costruire con i materiali adatti, una bomba, in pochi minuti, non c’era rete o password che essi non potessero oltreppassare con facilità ed ognuno di loro parlava con correttezza almeno cinque lingue.

Ottanta anni dopo la sua fondazione l’E.T.C era ormai al pieno del suo fulgore.

Al massimo della sua potenza.

Nessuna organizzazione governativa poteva vantare la loro disponibilità di capitali e mezzi.

I loro uomini, seppure in numero ridotto, erano delle macchine da combattimento talmente perfette da non aver nulla da invidiare al quanto mai fittizio James Bond.

“Dove e quando?” chiese alzando il volto verso il suo sottoposto, cercando di mantenere il tono della voce fermo.

La sua impassibilità e freddezza, che alcuni avrebbero potuto chiamare crudeltà, erano note a tutti gli agenti del centro.

Tuttavia in quel momento le sue mani tremavano.

Dopo tanto tempo l’avevano ritrovato!

Aveva aspettato per tutta la vita quel momento.

Da quando otto anni prima avevano disgraziatamente perso le tracce della prova assoluta che loro non erano dei folli visionari!

“Kanagawa, Giappone” dichiarò l’agente immobile, sull’attenti, dinanzi a lui “E’ successo ieri alle sedici e zero cinque del pomeriggio” disse preciso e freddo come ci si aspettava da lui.

Edmon annuì alzandosi.

“Raduna tutti gli uomini e fa preparare gli elicotteri e i jet” ordinò.

“Fate montare la Gabbia e preparate le tute speciali, questa volta non ci sfuggirà!” disse mentre sul volto aquilino gli si allargava un sorriso soddisfatto.

“Vi voglio pronti alla partenza in due ore!” disse congedando così l’ufficiale che aveva dinanzi.

“Sì Signore!” scattò sull’attenti  questi, prima di ruotare sui tacchi e andarsene chiudendosi la porta alle spalle.

Richard sorrise sornione prima di afferrare nuovamente l’articolo di giornale.

Per prima cosa avrebbero trovato e interrogato quel dottor Ryo di cui si parlava.

Dopo di che avrebbero analizzato la felce.

Anche se era superfluo.

Sapeva che cosa avrebbero trovato!

“Questa volta non scomparirai di nuovo...” mormorò accartocciando il foglio di carta e lanciandolo con un ghigno all’interno del cestino prima di alzarsi e dirigersi verso l’ampia finestra che dava sul cortile, dove gli uomini, in fermento, stavano facendo i preparativi per la partenza.

Il sole mattutino strappò uno scintillio dorato sulla fiancata di un elicottero su cui spiccava gloriosa la scritta:

                                                                    E.T.C, Extra Terrestre Center.

 

 

continua............                                                                                            

 

 

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