Nucleo 4                                                                                            Back to FanFic  Back to Home

Nucleo: parte vitale, centrale, di qualcosa, di cui in genere ha costituito... l’origine.

 

Hanamichi si svegliò un’ora più tardi quando Karen andò a bussare alla sua porta.

Mugolò aprendo gli occhi lentamente, mettendosi a sedere di scatto sul letto nel rammentarsi dove si trovava.

“Buongiorno!” lo salutò la donna porgendogli un sorriso “Seji ha riparato la tua bicicletta, mi spiace svegliarti così presto ma se vuoi fare in tempo ad andare a casa e cambiarti devi partire subito”.

Hanamichi annuì ancora mezzo assonnato.

Si vestì e scese i gradini che separavano i due piani dell’abitazione, guardandosi attorno, terribilmente imbarazzato.

Se avesse incontrato il volpino che gli avrebbe detto?

“Kaede è uscito per andare ad allenarsi” lo informò Karen, quasi avesse letto nei suoi pensieri.

Il rossino tirò un sospiro di sollievo che non sfuggì alla donna.

“Non siete amici voi due, vero?” mormorò.

Sakuragi arrossì passandosi una mano sulla nuca “Non propriamente amici... in effetti...” ammise.

Karen sospirò prendendo ad armeggiare con le scodelle che stava lavando mentre Hanamichi faceva colazione.

“Mio figlio non è una persona facile eh?” chiese voltandosi per dare un’occhiata al ragazzo che mangiava.

Il rossino scosse il capo “La kits... hemm... volevo dire Rukawa ha un carattere un po’ particolare” mormorò facendola ridacchiare.

Fortunatamente la donna non insistette con le sue domande, così terminò di fare colazione, ringraziò i coniugi Rukawa e recuperata la sua borsa e la bicicletta, Hanamichi, se ne ritornò verso casa pedalando lentamente, respirando l’aria del mattino.

Si sentiva meglio dopo quella colazione ‘in famiglia’.

“E domani si parte...” mormorò parlando a se stesso.

Il coach del Ryonan non aveva comunicato loro la meta ma poco gli importava.

Cinque giorni con Rukawa.

Mangiare, dormire, allenarsi.

Con Rukawa.

Inferno e Paradiso.

“Speriamo di sopravvivere” borbottò tra se.

 

“Dottoressa!!” gridò la Falce Bianca mentre il suo collega si lanciava di lato per trapassare uno degli uomini in divisa scura.

Con precisione la falce fece saltare la testa ad un’altro che aveva tentato di colpire il compagno alle spalle.

Erano sempre stati antagonisti su tutto, lui e la Falce Nera.

Però in battaglia riuscivano a trovarsi anche con gli occhi chiusi ed erano i  migliori.

Per questo erano stati scelti come guardiani del Nucleo.

Così come la dottoressa e lo scienziato, nonostante la giovane età erano stati assunti dal Centro appena usciti dall’accademia militare.

 

Impedire ai terroristi di avanzare si stava rivelando un’impresa ardua anche perchè sembrava che questi ultimi non avessero nessuna paura di colpire la capsula.

“Ma sono impazziti?” gridò la Falce Bianca buttandosi di lato per evitare una granata che fece saltare metà del laboratorio, lasciando, fortunatamente, integri i cavi di alimentazione energetica del server.

Possibile che quegli uomini fossero tanto stupidi da non sapere che cosa sarebbe successo se la bara fosse stata aperta ora che il ragazzo che vi riposava non era sigillato?

 

“Purificatori!” gridò la Falce Nera togliendo il casco ad uno dei terroristi che aveva fermato e notando il tatuaggio che questo portava poco sotto l’orecchio destro.

La Falce Bianca sentì il sangue gelarsi nelle vene.

 

Purificatori!

Una setta di pazzi che aveva come unico scopo la ‘purificazione’ dell’universo.

 

Ossia...

 

....la distruzione, totale e assoluta di tutto.

 

 

Il suono degli spari laser riscosse violentemente Yohei che aprì gli occhi di scatto guardandosi attorno come se si aspettasse di venir colpito da chissà chi.

Ci mise qualche secondo a capire che il rumore veniva dal televisore della sua camera, davanti al quale stava seduto suo fratello intento ad una partita di Unreal con la playstation.

“Takao...” borbottò scuotendo la testa cercando di riprendersi dalle visione del sogno.

“Che c’è?” gli chiese il fratello senza distogliere lo sguardo dallo schermo della tv.

Dato che, stranamente, dal fratello non giunse la solita sfuriata, tipica di tutte le mattine in cui lo svegliava così, Takao si volse mettendo in pausa il gioco.

“Che faccia che hai Yohei che hai sognato???” chiese visibilmente sorpreso il ragazzino, di poco più piccolo del moretto.

Mito scosse lentamente il capo.

“Era un sogno così... così...” mormorò a mezza voce prima d’interrompersi, interdetto.

 

Così come?

 

Improvvisamente le sensazioni che l’avevano sconvolto mentre dormiva erano scomparse.

Eppure pochi minuti prima erano così vivide.

Non riusciva a capire.

“Non me lo ricordo...” borbottò alzandosi per vestirsi.

Si bloccò con la manica della maglia mezza infilata quando rammentò una scena simile, avvenuta solo il giorno prima a casa del suo migliore amico.

Anche Hanamichi aveva fatto un sogno strano...

Ricordava il suo volto corrucciato e poi...

 

“Che cosa hai sognato?” gli aveva chiesto curioso..

Ma Hanamichi lo aveva fissato confuso e poi era scoppiato a ridere imbarazzato passandosi una mano tra i capelli.

“Non me lo ricordo!”

 

“Non me lo ricordo...” sussurrò più a se stesso che al fratello.

Le stesse parole di Hanamichi.

Cha avessero fatto anche lo stesso sogno?

Ma poi... era davvero un sogno?

Quando si era svegliato per un momento aveva cercato al suo fianco un’arma per difendersi, anche se non riusciva a rammentare da cosa avrebbe dovuto difendersi.

La sua mano era corsa veloce e precisa ad impugnare... solo aria.

Lui non aveva mai posseduto un’arma.

Non aveva la più pallida idea di come si impugnasse e, tanto meno di come si usasse, un fucile laser.

Nemmeno esistevano i fucili laser!!!

E poi... perchè gli erano venuti in mente dei fucili?

Al massimo sarebbe stato logico pensare ad un coltello o ad una pistola di quelle che si vedono nei film.

Invece gli era venuto così naturale pensare ad un oggetto che non esisteva se non nei videogiochi di Takao.

Non riusciva a capire.

Finì di vestirsi e si alzò uscendo senza fare colazione.

Aveva voglia di prendere una boccata di aria fresca, di distrarsi e... di sincerarsi che Hanamichi stesse bene.

 

Rukawa osservava di sottecchi il rossino.

Se era riuscito in così poco tempo ad accattivarsi il ben volere di tutta la sua famiglia un motivo doveva esserci.

Lo fissò arrestarsi di fronte alla stoppata di Mitsui, scattare di lato, piegando le gambe.

I muscoli dorati si tesero rilucendo di sudore mentre il ragazzo si spostava velocemente di lato, accelerando il ritmo del rimbalzo.

Lo vide fare un passo indietro accompagnato dallo stridere delle scarpe sul palchè e poi scattare in avanti, sfrecciando di fianco al senpai.

Giunse sotto canestro e si piegò, saltando.

Il suo corpo si tese nell’aria luminosa della palestra, i suoni scomparvero mentre Hanamichi inarcava la schiena, concentrava la propria potenza sul braccio e infine schiacciava con forza la palla a canestro in uno splendido slam dunk.

Lo vide atterrare e passarsi una mano tra i capelli rossi tirandone indietro le ciocche umide mentre il ghigno del tensai gli deformava il volto.

“Ah ah ah! Ammirate l’unico grande genio del basket!” tuonò esaltato.

“Do’hao” mormorò più per riflesso che per altro, Rukawa.

Anche perchè in effetti il rossino aveva compiuto davvero una bella azione.

Forse proprio perchè immerso nel suo attento studio Rukawa notò un lampo di emozione passare negli occhi nocciola del suo compagno di squadra prima che questi, come da prassi, si avventasse contro di lui, per la loro consueta rissa.

Che cos’era quell’ombra che per un momento aveva offuscato lo sguardo luminoso del do’hao?

Sembrava... tristezza.

Non ebbe tuttavia modo di analizzare la cosa dato che il ciclone umanoide che rispondeva al nome di Hanamichi Sakuragi gli si piombò contro a tutta velocità.

 

“Un svendita di articoli sportivi?” chiese Sakuragi interessato mentre si avviava con Yohei lungo la strada di casa.

L’allenamento si era concluso da poco con suo enorme sollievo.

Aveva avuto la strana impressione di essere osservato.

Osservato da Rukawa.

Naturalmente era impossibile.

Figurarsi se il volpino perdeva il suo preziosissimo tempo a guardare lui quando poteva dedicare anima e corpo alla palla!

“Dato che domani parti pensavo fosse il caso di cogliere l’occasione!” gli disse Yohei con una scrollata di spalle e un sorriso.

“Mi sembra un’idea degna del tensai!” disse il rossino, entusiasta, facendo ridacchiare Yohei.

Il moretto non riusciva a spiegarsi perchè si era preoccupato tanto.

Hanamichi stava benissimo.

Era il solito ragazzo allegro e forte di sempre.

Aveva tirato un sonoro sospiro di sollievo quando era giunto in palestra e lo aveva trovato intento ad allenarsi, o meglio a litigare con Rukawa, come il solito.

Era tutta colpa di quello stupido sogno e della malinconia che gli aveva lasciato dentro.

Finito l’allenamento gli aveva comunque proposto quell’uscita, loro due soltanto per sincerarsi della sua completa guarigione dal malanno e del giorno precedente ma non solo.

Non riusciva a togliersi di dosso la sensazione che stesse succedendo qualcosa.

Qualcosa di legato a quel sogno che non ricordava.

“Hana senti...” mormorò Yohei.

“Dimmi..” chiese il rossino guardando distrattamente le vetrine del centro.

“Quel sogno...” mormorò il moretto senza sapere bene da che parte cominciare.

Hanamichi si volse verso di lui fissandolo, improvvisamente serio.

Non chiese di che sogno Yohei stesse parlando.

Lo sapeva.

“Non ricordi nulla?” chiese il moretto fissando attentamente il compagno.

Hanamichi scosse il capo facendo ondeggiare i capelli rossi “Nulla” mormorò.

“Perchè?”

Yohei sospirò scuotendo le spalle “Niente d’importante” sussurrò fermandosi poi di botto di fronte ad un’ampia vetrina.

“Eccoci siamo arrivati!!” esclamò indicandogliela.

“Oh bene!” disse Hanamichi riacquistando il suo sorriso “Fate largo al tensai!” sancì allegro mettendo una mano sulla maniglia.

 

“Do’hao”

 

Sakuragi per poco non tirò un urlo.

Si voltò di scatto ritrovandosi dinanzi il solito, impassibile, Rukawa.

Chi altro la chiamava così, d’altronde?

“Che ci fai qui stupidissima kitsune!” sbottò arrabbiato cercando di  ordinare al suo cuore di darsi un contegno.

Lo sentiva battere forsennatamente nella cassa toracica senza che potesse fare alcun che per tranquillizzarlo.

Rukawa indossava una semplice maglia blu sui jeans scoloriti ma era bellissimo.

Lo era sempre.

Ignorandolo completamente il volpino s’infilò nel negozio prima di lui facendolo andare su tutte le furie.

Yohei fu comunque abbastanza lesto da afferrarlo per entrambe le braccia ed evitargli così di saltare addosso al suo ‘nemico’ ed esibirsi in una rissa lì, in mezzo al marciapiede.

“Entriamo anche noi?” gli propose Mito con un sorriso quando il rossino si fu calmato spingendo la grande porta a vetri.

Il tintinnio di un campanello accompagnò la loro entrata mentre l’aria condizionata li avvolgeva dolcemente rinfrescandoli e schiarendo i pensieri del rossino che si decise a dedicarsi solamente alla visita dell’enorme negozio.

Tuttavia sembrava che molti sportivi come lui si fossero radunati per approfittare degli sconti e pochi minuti più tardi Hanamichi riconobbe una familiare testa a punta gironzolare per gli scaffali.

“Ci mancava solo lui” borbottò tra se cercando di rendersi invisibile dietro ad un manichino su cui faceva bella mostra di se una tuta.

La sua orgogliosa chioma rossa tuttavia lo tradì e Hanamichi non potè che sospirare rassegnato quando sentì un allegro “Oh! Guarda chi si vede, Hana!” provenire da poco dietro le sue spalle.

L’alto giocatore del Ryonan era accompagnato dal loro playmaker che aveva l’aria, come al solito, un po’ imbronciata.

“Porcospino...” salutò Hanamichi con un cenno del capo.

“Sei venuto anche tu a fare compere in vista del ritiro?” chiese Sendoh guardandosi attorno e notando Yohei che poco distante da loro si era messo a frugare in un grande cesto di maglie colorate.

“Già...” mormorò il rossino pregando disperatamente perchè non notassero Rukawa.

Chissà cosa sarebbe stato in grado d’inventarsi Akira, altrimenti!!!

“Solo per questo?” chiese Hiroaki malizioso dando un piccolo colpo con il gomito al suo ragazzo per poi indicargli una slanciata figura poco lontano.

Sendoh si volse per seguire la direzione indicatagli dal fidanzato e sorrise apertamente.

“Oh! Ma bravo Hana-chan! Ci diamo al pedinamento!!” disse scorgendo Rukawa.

“Non dire stupidaggini è stato un caso!!” sbottò Hanamichi divenendo rosso come un peperone.

“Ah il destino di due cuori innamorati...” sospirò Akira con lo sguardo di chi la sa lunga mentre Sakuragi cercava di non arrossire ancora di più.

Maledetta volpe e maledetto porcospino, imprecò tra se.

“Che ne dici tesoruccio mettiamo in atto la fase due?” chiese Akira fissando il compagno con un sorriso solare che si trasformò in una smorfia di dolore quando Koshino gli tirò una gomitata nel fianco.

“Ma Hiro-kun!” protesto il moro mentre Hanamichi li guardava stupito.

“Non chiamarmi tesoruccio!!” gli ringhiò contro il piccolo playmaker.

“Ma perchè amore?” pigolò il porcospino fissandolo con la sua miglior espressione da cucciolo indifeso.

Hanamichi decise di approfittare dell’occasione per svignarsela.

Non voleva nemmeno sapere qual’era la ‘fase due’ del piano di Akira.

Si volse per darsi ad una poco dignitosa, ma quanto mai utile, fuga, finendo quasi addosso ad una ragazza dai lisci capelli neri raccolti sulla testa e un sorriso di cortesia stampato sul volto.

“Posso esserle d’aiuto?” gli chiese lei gentilmente e Hanamichi notò che sulla camicetta portava il tesserino che la identificava come Yoko, commessa del negozio.

Fingendo di non conoscere i due fidanzatini che stavano litigando, Hanamichi le ricambiò il sorriso “No, no” disse “Stavo solo guardando. Gra...” le sue parole s’interruppero quando i suoi occhi notarono gli orecchini che ornavano i lobi della ragazza.

Si trattava di un semplice pendaglio d’argento dalla forma elegante.

Un simbolo celtico, di quelli che andavano molto di moda tra le ragazze quell’estate.

Però...

Notando il suo sguardo la ragazza vi posò le dita sopra sorridendogli.

“E’ bello vero?” disse entusiasta scostando il capo per permettergli di vederlo meglio.

“Che ... cos’è?” mormorò Hanamichi sentendosi stranamente a disagio.

Se prima aveva trovato l’aria condizionata piacevole ora gli sembrava di congelare.

“Oh non so il suo significato però è molto in voga” disse la ragazza ridendo scioccamente, muovendo il capo per far dondolare il pendaglio.

Era una croce...

Una croce il cui braccio destro si ripiegava in un piccolo arco verso l’alto andando quasi a congiungersi con l’asse verticale.

La luce azzurra del neon scintillò sul argento accecandogli per un momento lo sguardo.

La testa gli faceva una male tremendo, gli occhi improvvisamente non riuscivano a sopportare la luce.

Un fastidioso ronzio elettrico s’impadronì del suo cervello nonostante egli cercasse di allontanarlo scuotendo piano la testa.

L’aria entrava con sempre maggior fatica nei suoi polmoni, si appoggiò ad uno scaffale per non cadere, senza tuttavia rendersi conto di nulla di ciò che stava attorno a lui, se non di quell’immagine.

Quel simbolo.

Inciso a fuoco nel suo cervello.

Quel simbolo....

“Sembra una croce che forma una “P”.” mormorò a voce alta quasi in trance.

Le parole giunsero a malapena alle sue stesse orecchie.

La ragazza annuì accarezzando con le dita il pendaglio prima di sollevare lo sguardo sul ragazzo.

“Signore si sente male?” chiese improvvisamente preoccupata notando che il cliente era diventato cinereo e tremava leggermente.

“Signore...?” cercò di chiamarlo sempre più preoccupata.

Ma Hanamichi non riusciva a sentirla.

Quel simbolo...

Una croce che formava una “P”.

I loro simbolo...

“P” come....

 

Purificatori...”

 

Più che pronunciarla le sue labbra si mossero a scandire quella parola, la voce improvvisamente venutagli meno come se, qualcosa, dentro di lui gli avesse bloccato le corde vocali per impedire loro di vibrare quell’unica parola.

Perchè se le sue orecchie l’avessero percepita forse...

 

Forse...

 

La ragazza sempre più confusa lo fissava senza capire.

“Purificatori?” chiese a voce alta, cercando di leggergli sulle labbra, allungando al contempo un braccio per scuoterlo.

Stava quasi per toccarlo quando una mano si serrò sul suo polso in una morsa d’acciaio.

La ragazza sussultò guardando sconvolta l’asso del Ryonan che le bloccava il polso, tremando sotto il dominio di quegli occhi scuri.

Non aveva mai visto uno sguardo simile in un uomo.

Koshino deglutì a vuoto osservando il fidanzato.

Akira faceva paura.

Il volto una maschera di gelido marmo gli occhi due polle di oscurità gelida.

Eppure solo un attimo prima stava litigando come il solito con lui!

Poco dopo, senza apparente nesso logico, si era voltato e aveva afferrato la mano della commessa come se volesse strappargliela dal braccio.

Si volse a guardare Sakuragi che sembrava gelato, gli occhi spalancati.

 

Poi però, lentamente, qualcosa cambiò.

 

Le palpebre del rossino si abbassarono inesorabilmente velando gli occhi dorati mentre il suo volto si rilassava, trasfigurandolo.

Lo vide reclinare il capo all’indietro, mentre le braccia gli scivolavano inermi ai lati del corpo.

 

E Koshino provò l’impulso illogico di allungare una mano e toccarlo.

 

Improvvisamente sembrava così...

Indifeso.

 

Ma non riuscì a muoversi.

Non riusciva nemmeno a respirare.

 

Riverente, il silenzio, li avvolse nella sua crisalide trasparente mentre il tempo arrestava la sua immortale corsa, meravigliato, ad osservare.

 

Fuori dalla porta del negozio un bambino rimase sospeso sul suo skate, a pochi centimetri da terra, in un salto paralizzato a metà mentre la madre discuteva con un’amica, la bocca aperta, bloccata a mezza frase, senza che dalla sua gola uscisse alcun suono.

Il traffico era fermo.

Il vento tratteneva il respiro.

 

L’universo era immobile.

In attesa.

 

“No, non ancora...” sussurrò stancamente Hanamichi.

 

E la crisalide s’infranse.

 

Il bimbo atterrò sul suo skate sfrecciando accanto alla madre, che ringraziò l’amica andando a riacciuffare il piccolo monello che rischiava di finire sotto un’auto mentre il vento le faceva volteggiare i capelli attorno al volto.

 

Il Cosmo aveva ripreso a respirare.

 

Sakuragi scosse il capo cercando di ricordare che cosa era accaduto.

Koshino aveva lo stesso problema, fissava il suo ragazzo senza riuscire a capire perchè tenesse per un polso la commessa.

Questi lasciò andare la mano della ragazza sprofondandosi in scuse.

“Non so davvero cosa mi sia preso, la prego di perdonarmi” mormorava inchinandosi a ripetizione mentre mentalmente si dava del cretino.

Non riusciva a capire perchè si fosse comportato in quel modo assurdo.

Aveva sentito vagamente Hanamichi fare un commento su un pendaglio.

Non aveva ascoltato le parole, era troppo preso a sedare l’ira del suo koibito quando attraverso i rimproveri di Hiroaki aveva percepito la voce incerta della ragazza mormorare una parola... non ricordava quale.

Però la sua mente l’aveva riconosciuta.

 

Qualcosa si era innescato.

 

Aveva visto la mano della commessa tesa verso il rossino e non aveva pensato, l’aveva afferrata e l’aveva stretta, deciso ad impedirle di avvicinarsi al ragazzo.

Anche a costo della vita.

Era stato un impulso illogico ed assurdo che tuttavia non aveva potuto controllare.

Akira si rialzò dall’ennesimo inchino e si accorse che poco dietro la commessa, immobile, gli occhi freddi come il ghiaccio, Rukawa li stava fissando.

Corrugò la fronte nell’incontrare quegli occhi blu poi, incredibilmente, il volpino si fece avanti porgendo alla commessa una scatola di scarpe, che, Sendoh l’aveva visto perfettamente, aveva preso a caso dallo scaffale davanti a lui, chiedendole se le aveva di un’altro numero.

La ragazza lanciò un’occhiata a lui poi a Kaede e infine accompagnò quest’ultimo accanto agli scaffali per cercare quello che il ragazzo le chiedeva.

“Hanamichi guarda che dici ti piace?” disse Yohei raggiungendoli in quel momento con una maglia nera, su cui spiccava il simbolo della Nike.

Il rossino lo fissò confuso e il ragazzo si accorse che qualcosa non andava.

“Hey tutto ok?” chiese perplesso.

Il rossino si riscosse porgendogli un sorriso di scusa “Sì, scusa Yohei io... non mi sento tanto bene è meglio se torno a casa” mormorò dirigendosi, senza aspettare risposta, verso la porta del negozio.

“Hana aspetta!” lo inseguì Mito mollando la maglia tra le mani di Akira, seguendo il rossino fuori dal negozio.

 

Kaede Rukawa pedalava, incredibilmente sveglio, la borsetta con le scarpe che dondolava, appesa al manubrio della bicicletta, cozzando di tanto in tanto contro i raggi delle ruote, rischiando di farlo cadere.

Nel piccolo sacchettino di nailon il suo nuovo paio di scarpe.

Scarpe che non gli servivano assolutamente.

Ancora non riusciva a spiegarsi perchè le aveva comprate.

Veramente non riusciva a spiegarsi assolutamente niente di quello che aveva fatto in quel negozio.

Aveva notato Sakuragi parlare con la commessa e poi...

Non ricordava.

Ma era successo qualcosa.

Akira.

Aveva afferrato la mano della ragazza bloccandola.

E lui... senza sapere perchè si era mosso.

Nel suo cervello un solo imperativo.

Allontanare quella donna da Hanamichi.

Anche a costo della vita.

 

Ryo sospirò inserendo la chiave nella toppa della piccola porta bianca che consentiva di accedere al laboratorio dal policlinico.

Quel mattino l’ufficio era rimasto chiuso dato che la mole di esami d’estate diminuiva e che, per la maggior parte, se ne occupava il policlinico stesso quindi era il primo ad accedere al laboratorio, quel pomeriggio, anche perchè Kaori era in ritardo come sempre.

Aprì l’uscio sfregandosi gli occhi assonnati dalla penichella post pranzo e fece un passo per entrare quando qualcosa di leggero gli accarezzò il volto.

Indietreggiò stupito prima di mettere a fuoco di che cosa si trattava.

Una foglia di felce.

 

Un’ENORME foglia di felce.

 

“Ma cosa...?” ansimò incredulo.

 

 

 

continua............                                                                                            

 

 

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