Nucleo 3                                                                                            Back to FanFic  Back to Home

Nucleo: parte vitale, centrale, di qualcosa, di cui in genere ha costituito... l’origine.

 

Il suono straziante dell’allarme si sparse nell’aria mentre i quattro occupanti del laboratorio si guardavano forsennatamente intorno.

“Un attacco?” chiese la dottoressa, incredula, riprendendo la sua postazione “Com’è possibile! Questa base doveva essere assolutamente segreta!!”.

 

Allarme...” ripeteva la voce meccanica del computer centrale, mentre la sirena trapanava i timpani degli scienziati presenti nel centro.

 

Allarme...”

Contaminazione della zona delta.

Parametri di sicurezza violati.

Sigillare il Nucl...

 

La voce si spense quando un boato fece tremare l’intero edificio.

 

“Ma che ca**o fanno sono impazziti!!” tuonò la donna impallidendo violentemente quando per un momento tutti i monitor ebbero un calo di tensione.

“Nessuno può essere tanto folle da usare dell’esplosivo qui!” gridò lo scienziato digitando in fretta le password di controllo per l’attivazione del generatore di emergenza.

Non aveva fatto in tempo a concludere la frase che l’unica porta blindata che conduceva al laboratorio tremò sotto un colpo violento.

“Sono già qui!” tuonò la Falce Bianca imbracciando il fucile, lanciatogli dal collega, che fissava con occhi gelidi l’uscio vibrare sotto i colpi degli aggressori.

Se fossero entrati sarebbe stato compito loro impedire che giungessero al Nucleo.

 

Era dovere delle Falci proteggerlo.

 

Anche a costo della vita.

 

Collegò in fretta il cavetto che, dal diadema che portava sulla fronte, avrebbe trasferito la sua energia psichica al fucile laser, mentre mentalmente liberava il suo potere dai blocchi entro cui solitamente era recluso.

La porta ebbe un’altro scossone violento prima di esplodere verso l’interno scagliandoli a terra.

“Il generatore!” gridò lo scienziato quando un pezzo della grossa porta, in teoria indistruttibile, colpì lo spesso intrico di cavi, che portavano l’energia dal generatore alla capsula, scatenando un violento corto circuito.

Gli occhi del ragazzo si allargarono di terrore mentre vedeva l’elettricità impazzita sfrigolare nell’aria rincorrendosi lungo i cavi, diretta verso la bara d’argento.

Senza pensare li afferrò a mani nude e li tirò con tutte le sue forze.

Il suo corpo venne attraversato dall’energia ad alto voltaggio, incenerendolo, pochi secondi dopo che, con un ultimo strattone, lo scienziato era riuscito a staccarli dalla capsula, evitandole lo stesso destino che l’aveva ucciso.

 

La Falce Bianca si pose al centro della stanza, il fucile spianato verso il fumo che proveniva dal corridoio, impedendo loro di vedere gli aggressori, ignorando l’odore di carne bruciata che aveva accompagnato il sacrifico dell’amico.

Non dovevano permettere che arrivassero al ragazzo addormentato.

 

Non ora che era attivo.

 

 

Rukawa tossì scuotendo il capo, cercando di vedere qualcosa attraverso il fumo scuro che gli impediva di scorgere con chiarezza i contorni della stanza.

Un fastidioso odore di bruciato gli fece arricciare le narici.

 

“Edeeeeeee!!!”

 

Il volpino sollevò la testa di scatto spalancando gli occhi.

La sua sorellina stava saltellando davanti al forno, incerta sul da farsi.

“M***a le bistecche!” imprecò Kaede balzando in piedi e affrettandosi a spegnere il fuoco.

“Apri le finestre Michelle!” ordinò alla sorellina che tossicchiando si affrettò a fare quello che le aveva detto.

Il fumo che impregnava la cucina, sul cui tavolo Rukawa si era addormentato, si diradò mentre l’asso dello Shohoku fissava cupo la cena bruciata.

Sua madre e suo padre erano ad una riunione per i genitori, alla nuova scuola elementare di Michelle, e avevano affidato a lui il compito di preparare la cena per se e la sorellina.

Tuttavia, inevitabilmente, il ragazzo si era assopito sul tavolo e quello era il risultato.

Gettò le bistecche carbonizzate nel cestino e fissò la sorellina con sguardo colpevole.

“Se ordinassimo del ramen a domicilio?” propose.

La bimba battè le mani felice e Rukawa si diresse verso il telefono prendendo a sfogliare l’elenco, il suo ‘sogno’ completamente dimenticato.

 

Hanamichi caricò il suo pacco sulla bicicletta e partì pedalando per l’ennesima consegna.

Quel lavoretto gli era indispensabile per arrotondare l’importo dell’assegno che l’assistenza sociale gli passava.

Inoltre doveva dimostrare a tutti i costi che se la sapeva cavare se non voleva finire in qualche istituto.

Si fermò davanti ad una casa illuminata dal cui interno proveniva il suono di una tv accesa.

Suonò il campanello e un ragazzo poco più basso di lui anche se decisamente più vecchio ne uscì prendendo in consegna le scatole con il ramen.

Gli diede la fattura, prima di consultare il foglietto con l’indirizzo della consegna successiva.

Ricacciò il groppo che gli era salito in gola quando il ragazzo, nel chiudersi la porta alle spalle, aveva gridato “Mamma, papà è arrivato il ramen tutti a tavola!!”

Pigiò con forza sui pedali ricordando una scena simile, sbiadita ormai nei suoi ricordi, di quando aveva poco meno di otto anni e i suoi genitori erano ancora in vita.

Sorrise mestamente rammentando la sua esistenza d’allora.

Prima di trasferirsi a Kanagawa, prima di incontrare Yohei, il basket e Rukawa, in quel piccolo paesino pieno di verde in cui gli uccellini si fermavano a cantare sul suo davanzale, la mattina, all’alba, e gli scoiattoli si arrampicavano sui rami dell’albero vicino alla sua finestra per lasciargli ghiande e noci sul balcone o semplicemente per saltellare sul suo cuscino facendogli il solletico con le lunghe code morbide.

Frenò bruscamente accorgendosi di essere giunto all’indirizzo datogli dal capo e per poco non lanciò un’imprecazione quando riconobbe la casa.

La targetta su cui spiccava minacciosa la scritta ‘Rukawa’ non fece che confermare i suoi dubbi.

Lasciò andare un sospiro affranto gettando un’occhiata alla sua divisa bianca e gialla.

Il volpino l’avrebbe preso in giro a vita.

“Come se già non mi prendesse in giro abbastanza...” borbottò tristemente tra se, prima di allungare una mano e suonare mestamente il campanello.

La porta si aprì pochi secondi più tardi rivelando, con suo sommo sollievo, Michelle.

Le consegnò il ramen con un sorriso sperando di svignarsela prima che il volpino lo vedesse conciato in quel modo ma la bimba trillò un “Hana-chan!!” allegro, rivelando di poter tranquillamente gareggiare con lui in una sfida a chi grida più forte.

La sua solita fortuna.

Rukawa si materializzò dietro la sorella lanciandogli uno sguardo da capo a piedi, un sopracciglio alzato in una muta dimostrazione di sorpresa.

Sakuragi avvampò sperando che la stupida kitsune si sbrigasse a pagarlo così avrebbe potuto andarsene in fretta a rimuginare su quella sua, ennesima, terribile figura.

“Sono 1300* yen” fece notare al volpino che sembrava essersi addormentato con gli occhi aperti.

Rukawa annuì, porgendoglieli senza una parola e Hanamichi dovette reprimere un sussulto quando le loro dita si sfiorarono.

Era la prima volta che non lo toccava  per fare a pugni.

Era una sensazione bellissima.

Sto diventando patetico, si rimproverò mentalmente.

Si affrettò a consegnare loro la ricevuta ed andarsene mentre Michelle passava lo sguardo dalla sua schiena al fratello, cercando di capire perchè improvvisamente il ‘suo’ rossino era diventato così nervoso.

Rukawa richiuse la porta di casa e la sorella, con il ramen ancora tra le mani, lo fissò torva, trotterellandogli accanto.

“Cosa hai fatto ad Hana-chan?” gli chiese minacciosa.

Rukawa sollevò un sopracciglio sorpreso.

“Che intendi dire?” chiese perplesso.

“Hana-chan è una persona meravigliosa!” disse la bimba sventolandogli un dito sotto il naso, rischiando di far cadere la cena, fissandolo con un’espressione che lo sfidava ad asserire il contrario.

“Anche tu sei una persona meravigliosa, Ede, però a volte ti comporti come Micheal...” disse lanciando uno sguardo storto al gatto che ronfava placidamente nella sua cesta “...e poi la gente ci resta male sai?”

Kaede fissò incredulo la sorellina.

Poteva anche accettare, forse, che per la ragazzina il do’hao fosse l’eroe del momento ma arrivare a difenderlo così apertamente...!?

Già aveva dovuto sorbissi per almeno una ventina di volte il resoconto, sempre più fantasioso, dell’eroico salvataggio del suo futuro cognato...

“E tu non devi far soffrire gli angeli!!” concluse la bimba, riscuotendolo bruscamente dai suoi pensieri.

Rukawa sollevò gli occhi al cielo.

Di nuovo con quella storia degli angeli.

Solo perchè Hanamichi aveva, secondo lei, parlato con un gruppo d’api e perchè Micheal l’aveva preso in simpatia.

“Sakuragi non è un angelo” la rimproverò bonariamente.

“E invece sì!” si impuntò la bambina “Mi ha salvato! E poi la maestra ci ha detto che solo le persone buone come gli angeli riescono a parlare con gli animali!!”

Rukawa sospirò prendendo il cibo dalle sue mani e posandolo sul tavolo.

Era inutile, quando Michelle si impuntava su qualcosa era più testarda di.. bhe... di lui!

 

Un sonoro rumore di vetri rotti fece voltare di scatto Ryo mentre un: “Accidentaccio!” seccato proveniva dalla sua collega, poco elegantemente seduta a terra, le provette sparse attorno a lei.

“Maledizione Kaori!” la rimproverò il ragazzo alzandosi per darle una mano.

La moretta guardò affranta il sangue che macchiava il pavimento candido e la sua gonna, prima di scuotere il capo, “Sono inciampata” mormorò.

“Per fortuna che quelli erano già stati esaminati” borbottò il ragazzo aiutandola a raccogliere i cocci.

La ragazza sospirò e Ryo prese un foglio bianco dal cassetto della stampante. “Tu detta, io scrivo” borbottò.

Kaori cominciò mestamente a riferirgli i nomi riportati sulle provette rotte mentre il ragazzo stipulava il rapportino.

“Finito?” chiese quando la ragazza s’interruppe per alcuni secondi.

L’infermiera si guardò intorno.

“Sì... Ah! No, ecco... mancava questa” disse recuperando alcuni pezzi di vetro dal vaso della piccola felce che occupava l’angolo contro sui si era schiantata.

“Hanamichi Sakuragi” lesse a voce alta la piccola etichetta prima di gettare la capsula rotta insieme alle altre.

Ryo lanciò un’occhiata cupa al sangue che aveva bagnato le radici della pianta e poi scosse le spalle.

Il Dottor Meji era piombato quel mattino presto in laboratorio per fargli esaminare quel campione.

Sembrava aspettarsi chissà che cosa.

Ma non ne era risultato niente.

Comunissimo sangue di tipo zero.

Tutti i valori erano nella norma.

Avevano fatto le analisi due volte perchè, stranamente, il dottore sembrava non riuscire a rassegnarci.

Era convinto che in quel campione ci fosse qualcosa di speciale.

Ryo non era riuscito a capire la strana fissazione dell’uomo.

E quando gli aveva chiesto spiegazioni... bhe il dottor Meji si era limitato a scuotere il capo.

“Non lo so...” aveva mormorato corrucciato “E’ solo che... tu non hai visto quel ragazzo... la sua pelle... era... lui era...” alla fine si era arreso senza riuscire a trovare le parole per descrivere ciò che sentiva.

Era un comportamento decisamente anomalo per il pragmatico dottore che lui conosceva.

Nonostante tutto, comunque, il campione era risultato di nessun interesse scientifico.

“In tutto ne hai distrutte dieci” disse rivolto alla collega, ritornando al presente “Bhe dai l’altra volta ne avevi fracassate quindici...” borbottò ponendo la sua firma a calce del foglio mentre osservava la ragazza che, armata di ramazza, si metteva a pulire il pavimento.

Ancora non riusciva a capire come una persona sbadata come quella avesse potuto superare l’esame d’infermiera.

 

Hanamichi imprecò osservando cupo la ruota posteriore della sua bicicletta.

Aveva forato.

Ormai le consegne erano terminate ma aveva ancora un bel po’ di strada per tornare a casa e farsela a piedi, trascinandosi dietro la bicicletta per di più, non era il massimo delle sue aspettative!

Lanciò un’occhiata all’orologio e sbuffò.

L’ultimo treno era già partito da un pezzo e i meccanici avevano chiuso da almeno tre ore.

Erano le undici ormai!!

S’incamminò rassegnato ad una lunga notte quando i suoi passi lo portarono, inevitabilmente, davanti ad una costruzione che in quei giorni stava diventando per lui un’ossessione.

Casa Rukawa.

Sospirò fermandosi per un momento a fissare le persiane chiuse e il silenzio tranquillo che avvolgeva l’abitazione.

Oramai dovevano essere tutti a letto da un pezzo.

Provò ad immaginarsi Rukawa addormentato, i capelli neri sparsi sul cuscino, il volto rilassato e quella sua pelle pallida su cui la luna avrebbe disegnato carezze leggere.

Sospirò imponendosi di allontanare quei pensieri.

Si stava facendo del male da solo.

La sua mente sostituì quell’immagine soffusa con un’altra che ritraeva comunque Rukawa...

Comunque in un letto...

Ma ‘immerso’ in altre attività.

“Baka! Baka! Baka!” si rimproverò a voce alta riprendendo a camminare pestando con forza sui piedi, trascinandosi dietro il suo mezzo, strattonandolo quasi con rabbia.

Aveva ormai svoltato l’angolo quando i fari di una berlina scura che veniva nella direzione opposta lo illuminarono, Hanamichi non ci fece molto caso se non che, poco dopo averlo sorpassato, la macchina si fermò e la portiera del passeggero si aprì.

“Hanamichi?” chiese una voce conosciuta.

Il rossino si voltò sorpreso riconoscendo la bella donna mora che ne era uscita.

Porse un sorriso alla madre di Rukawa, “Buonasera signora”

Anche il marito della donna scese dall’auto fissando prima lui, poi la bicicletta.

“Hai forato?” affermò, più che chiederlo.

Hanamichi annuì “Stavo tornando a casa” spiegò.

“Dove abiti?” si preoccupò la donna.

Hanamichi arrossì “A *****” mormorò.

Il signor Rukawa sollevò un sopracciglio in un gesto così simile a quello che il volpino che per poco il rossino non si mise a ridere.

Si vedeva proprio che erano padre e figlio!!

“Ma è lontanissimo!!” si preoccupò invece Karen “E poi è buio pesto!” disse voltandosi verso il marito che annuì dandole il suo appoggio.

“Perchè non ti fermi a dormire da noi, domattina ti riparo la bicicletta così potrai tornare a casa” gli propose l’uomo, cordiale.

Hanamichi spalancò gli occhi.

Dormire a casa di Rukawa????

“Io... io...” mormorò incerto mentre il cuore cominciava a battergli a velocità assurda “...non voglio disturbare, davvero, vado a casa a piedi” cercò di schernirsi.

“No, no, non se ne parla neanche!” s’impuntò Karen “Abbiamo una bellissima stanza per gli ospiti, tu ti fermi qui! Come mamma non posso permettere che un ragazzino della tua età se ne vada fino a ***** a piedi!!”

Hanamichi sorrise dolcemente trattenendosi dal farle notare che era alto e grosso quasi quanto suo marito.

Quando lei aveva detto ‘come mamma’ tutte le sue difese erano crollate.

Annuì con il capo, un groppo improvviso a serragli la gola.

Il signor Rukawa aprì il garage parcheggiandovi l’auto e facendogli appoggiare la bicicletta accanto a quella di Kaede, prima che tutti e tre silenziosamente si dirigessero in casa.

La signora Rukawa lo accompagnò fino alla stanza degli ospiti chiudendosi delicatamente la porta alle spalle per non svegliare glia altri due figli prima di aprire l’armadio e prenderne un futon da stendere.

“Sei stato fortunato sai?” gli disse mentre glielo porgeva e cominciava a prendere lenzuola e cuscini dall’armadio “Se stasera io e mio marito non avessimo cenato fuori non ci saremo incontrati” mormorò prima di fissarlo seria.

“Che cosa ci facevi in giro a quest’ora?” gli chiese.

Hanamichi si aspettava quella domanda.

Infondo Karen lo stava ospitando in casa sua e sapeva quanto i suoi capelli lo bollassero immediatamente come teppista, era ovvio che alla donna fosse venuto il dubbio che lui fosse in giro per attività poco ‘regolari’,

Le sorrise prendendo la sua borsa ed estraendone la divisa su cui spiccava il nome del ristorante per cui lavorava.

“Ho appena finito di lavorare...” spiegò “... consegno ramen a domicilio.”

La donna si rilassò impercettibilmente prima di corrugare la fronte “Ma i tuoi genitori non si preoccupano se torni così tardi tutte le sere?” chiese.

Hanamichi si morse le labbra abbassando il capo, la frangia rossa scivolata improvvisamente a coprirgli gli occhi.

“Io... io non ho più i genitori, mia madre è morta di leucemia quando avevo otto anni e mio... mio padre... due anni fa...” la sua voce si ruppe senza che riuscisse a portare a termine la frase.

Era ancora troppo doloroso per lui parlarne.

Suo padre era morto senza che lui potesse fare niente.

Anzi no!

Lui avrebbe potuto fare qualcosa se solo non fosse stato un attaccabrighe.

Se solo quei ragazzi non fossero tornati a cercarlo.

Se solo....

Karen lo fissò con gli occhi sbarrati per alcuni secondi prima di fare i pochi passi che li separavano e abbracciare il ragazzo stringendolo a se con forza.

“Mi dispiace...” mormorò affranta “...mi dispiace tanto, piccolo”

Hanamichi rimase immobile, gli occhi spalancati, stretto a lei.

Aveva un profumo, femminile, dolce, tranquillizzante.

Il profumo di una madre.

E poi quella parola...

Piccolo.

Solo sua madre e suo padre lo chiamavano così.

Chi altro avrebbe dato del ‘piccolo’ ad un ragazzo che già a otto anni era alto quasi quanto un uomo?

Senza riuscire a fare niente per trattenersi Hanamichi cominciò a piangere sommessamente contro la spalla della donna che prese a cullarlo piano mormorando parole di conforto mentre gli accarezzava i capelli.

 

Kaede fu svegliato dal suono insistente della sveglia.

Borbottò un’imprecazione contro l’aggeggio maledetto e poco dopo sentì il familiare rumore dell’oggetto in questione che cadeva a terra spegnendosi.

Si volse, sveglio ormai del tutto, osservando stupito il piccolo marchingegno infernale.

Come aveva fatto a cadere?

Lui nemmeno l’aveva toccata.

Ne era sicuro.

Bhe... quasi sicuro.

Magari si era inconsciamente mosso nel dormiveglia.

Eppure....

Scosse il capo alzandosi e cominciando a vestirsi.

Non aveva senso perdere tempo a pensarci, era ora di dedicarsi al suo solito allenamento mattutino.

 

In cucina, nonostante fossero solo le sei, Kaede trovò sua madre intenta a preparagli al colazione.

Si lasciò cadere su una sedia prendendo i cereali e versandoseli nella ciotola.

“Tesoro mi raccomando cerca di non fare troppo rumore quando torni di sopra a lavarti” si raccomandò sua madre porgendogli il latte caldo.

Rukawa sollevò un sopracciglio e la donna gli sorrise “Hanamichi sta dormendo nella stanza degli ospiti, era così stanco povero piccolo” mormorò con una dolcezza che sconvolse il moretto.

“Che diavolo ci fa quel do’hao nella nostra stanza per gli ospiti?” chiese sorpreso, con tono un po’ burbero.

Karen lo fulminò con lo sguardo.

“Kaede Rukawa” lo rimproverò “non ti permettere di chiamare così Hanamichi! Che ne sai di lui per dargli dell’idiota!” gli disse gelida la donna, fulminandolo con un’occhiata che Rukawa non vedeva nei suoi occhi da quando, a cinque anni, aveva involontariamente fatto male a suo cugino mentre stavano giocando.

Ma che stava facendo il do’hao?

Il lavaggio del cervello alla sua famiglia????

Si alzò dopo aver rassicurato, con un borbottio, la sua genitrice e si diresse al piano superiore per lavarsi e recuperare la sua sacca.

Passando davanti alla stanza degli ospiti tuttavia non riuscì a trattenersi.

Spinse l’uscio socchiuso e lanciò uno sguardo nella camera immersa nella penombra.

Sakuragi dormiva, rannicchiato in posizione fetale, in un angolino del futon, il volto appoggiato sul cuscino candido, con cui i suoi capelli facevano uno strano contrasto.

Micheal se ne stava beatamente sdraiato accanto al ventre del ragazzo, facendo le fusa tranquillo, accarezzando di tanto in tanto con la lunga coda il braccio del rossino.

Quando lo sentì entrare il micio sollevò il capo fissandolo con i suoi lucenti occhi d’agata.

Per assurdo a Rukawa parve che il gatto lo fissasse con rimprovero per il semplice fatto che, aprendo la porta, aveva rischiato di svegliare il suo compagno di squadra.

Lanciò un’ultima occhiata al ragazzo addormentato prima di andarsene socchiudendo nuovamente l’uscio.

Era un’illusione della penombra o gli occhi di Sakuragi erano gonfi?

Gli aveva fatto una strana tenerezza vederlo rannicchiato così, i capelli sparsi disordinatamente sul volto rilassato eppure stranamente triste.

Sembrava un bambino innocente.

O... un angelo.

Imprecò tra se rinchiudendosi in bagno.

Ma che andava a pensare!!

 

Giunse in garage e trovò suo padre, in maniche di camicia chino su una bicicletta che non era la sua.

“Ecco fatto!” disse l’uomo soddisfatto alzandosi prima di notare il figlio.

“Oh, ciao Kaede” lo salutò con affetto rivolgendogli un sorriso.

Il ragazzo ricambiò il sorriso del padre prima di fissare nuovamente la bicicletta che aveva tra le mani.

Sospettava di sapere a chi appartenesse.

“Ho cambiato la ruota ad Hanamichi, sai ieri aveva forato” gli spiegò.

Kaede annuì spiegandosi così almeno in parte la presenza del rossino a casa sua.

Anche se non gli era sfuggito l’Hanamichi’ con cui suo padre aveva chiamato il suo compagno di squadra.

Lo conosceva a malapena e lo chiamava già per nome?

Ma che stava succedendo???

Prese la propria bicicletta diretto all’uscita, deciso a farsi schiarire le idee dalla brezza mattutina.

“Kaede...” lo richiamò suo padre tuttavia, quando era già sulla soglia del garage.

Il volpino si volse verso di lui e il genitore lo fissò serio.

“E’ un bravo ragazzo sai? Credo che potreste diventare amici...”

“Hn” mugolò il volpino uscendo all’aria aperta.

 

Ma che era una congiura!!!

 

Pensò incredulo mentre cominciava a pedalare verso il campetto da basket deciso a dimenticare quell’invadente do’hao e la rivolta della sua intera famiglia.... gatto compreso!!!

 

 

continua............                                                                                            

 

 

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