Luce                               Back to FanFic  Back to Home

 

“Che... che cosa...?” boccheggiò Hanamichi gli occhi spalancati dall’incredulità.

“Ti amo...” ripetè piano Rukawa lo sguardo blu, fisso nel suo, piantato in quegli occhi dalla cui risposta sarebbe dipesa la sua felicità.

Era rimasto ad osservare in silenzio per lungo, lunghissimo, tempo.

Aveva aspettato i segni di quel cambiamento che sembrava stare avvenendo tra loro.

Quei due passaggi durante la partita con il Sannoh.

Le parole non dette negli sguardi che si erano lanciati su quella spiaggia, ormai lontana, durante tutto il periodo della sua riabilitazione.

 

E ora cominciava un nuovo anno scolastico.

 

Erano maturati entrambi.

Erano cresciuti.

 

Erano cambiati.

 

E Kaede aveva deciso di prendere il coraggio a due mani e dirglielo.

Togliersi quel peso che aveva infondo al cuore da troppo tempo ormai.

Gli aveva chiesto di raggiungerlo sulla terrazza.

Il primo giorno di scuola.

Un nuovo anno.

 

Sarebbe stato anche un nuovo inizio?

 

Strinse i pugni attendendo, senza abbassare lo sguardo, senza distoglierlo dal suo.

Ma su quel viso volitivo non c’era la risposta che attendeva.

 

C’era confusione.

Stupore.

 

E paura.

 

Il vento scosse i loro capelli, sospinse le divise facendole svolazzare, unico movimento in quell’attimo di interminabile immobilità.

“Rukawa io...” mormorò piano Sakuragi scacciando i capelli rossi, indietro, con una mano.

 

Rifiutare.

Lui che era sempre stato rifiutato.

 

Sapeva il dolore che dava e inconsciamente non aveva il coraggio di porre termine alla sua frase.

Non voleva fargli del male.

Non voleva ferire il suo nemico.

 

Sarebbe stato un controsenso per i più.

Ma non per lui.

 

Perchè Rukawa non era semplicemente il suo antagonista.

 

Era il suo stimolo.

La sua sfida.

Il suo obbiettivo da raggiungere e superare.

Era la forza della determinazione che lo spingeva avanti, fuori da un passato che lo avrebbe portato nel buio.

 

Rukawa era la sua Stella.

 

Quella da raggiungere per assaporare finalmente il calore.

La gioia.

La felicità.

Quella vera.

 

Rukawa era la fine.

E sarebbe stato il punto per un nuovo, splendente, inizio.

 

Ma era anche l’amore?

 

Hanamichi scosse il capo scacciando l’ultimo pensiero.

“Mi dispiace Rukawa io non...” ancora una volta le parole gli morirono.

Il volpino scosse il capo piano, abbassando lo sguardo “Capisco...” sussurrò.

“Mi dispiace...” ripetè flebilmente il rossino abbassando a sua volta il viso.

Gli veniva da piangere anche se era assurdo.

 

Non era lui quello ferito.

 

Il silenzio li avvolse pesante e immobile prima di spezzarsi al suono del lungo, profondo, respiro di Rukawa.

Il moretto sollevò nuovamente lo sguardo avvicinandosi a lui.

“Non volevo metterti in questa situazione...” mormorò piano.

E Hanamichi sollevò il capo fissandolo.

 

Lo sguardo blu era limpido e deciso.

 

C’era dolore in quegli occhi azzurri ma non per questo essi perdevano la loro forza.

La loro determinazione.

 

Si chiese per un interminabile istante come sarebbe stato leggervi dentro felicità.

 

Attirato da quelle due polle d’acqua limpida, inconsciamente, si sporse verso di lui.

Un gesto dettato da qualcosa che la sua mente non riusciva a comprendere.

Qualcosa che il suo cuore ancora non riusciva ad esprimere.

Mosso dall’istinto di un’anima che cerca l’altra metà.

 

“Hana non farlo...” ansimò Rukawa senza tuttavia riuscire a spostarsi “...non farlo solo per pietà...” mormorò fraintendendo il suo gesto.

“Non è pietà...” fu la debole risposta.

Solo un soffio.

Un respiro caldo sulla pelle candida delle guance del volpino prima che, con un rantolo disperato, il moretto lo attirasse a sè e lo baciasse.

 

Hanamichi lasciò che quelle labbra morbide accarezzassero le sue.

Lasciò che quella lingua calda violasse la sua bocca.

Sollevò le braccia e gli cinse le spalle, si strinse a lui assaggiando il suo calore, la sua forza, abbeverandosi alla sua luce.

Per lunghi attimi d’eternità, con il vento attorno a loro e nessun altro testimone che il silenzio.

Si staccarono lentamente, fissandosi negli occhi alla ricerca di risposte trovando soltanto altrettante domande.

“Hana...” a malapena un sussurrò impastato ancora del suo sapore.

Il rossino sollevò una mano sfiorandosi le labbra gonfie.

“Dammi tempo Kaede...” sussurrò “...solo un po’ di tempo per capire...” mormorò voltandogli le spalle e scappando letteralmente dalla terrazza.

Se si fosse voltato, una volta ancora, avrebbe avuto la risposta alla sua curiosità:

 

Gli occhi di Rukawa, quando era felice, divenivano azzurri e limpidi con quel cielo che era stato loro complice.

 

 

Hanamichi non ritornò in classe.

Scese le scale correndo e continuò a correre finchè non giunse in strada e poi da lì al parco.

Passò tutto il pomeriggio seduto sul cemento di quel campetto dove tante volte si era allenato con LEI, a pensare.

Pensare a quello che aveva creduto amore e si era dimostrato solo amicizia.

A quello che aveva sempre identificato come odio e che ora si rivelava...

 

...amore?

 

Non riusciva a trovare risposte nella sua testa mentre le sue dita inconsciamente ripercorrevano il tracciato delle sue labbra.

 

L’amava?

Amava Rukawa?

Quando lui si era dichiarato che cosa aveva provato?

 

Stupore.

Ammirazione per il suo coraggio.

Paura per ciò che sott’intendeva quella sua affermazione.

 

Diverso.

 

Aveva passato tutta la sua vita a cercare l’accettazione di quel mondo che sembrava non volerlo.

Aveva concentrato tutti i suoi sforzi nella ricerca del rispetto degli altri.

 

E ora.

 

Amare Rukawa avrebbe significato distruggere tutto.

Abbattere e ricominciare.

Ancora una volta da capo.

 

E questa volta sarebbe stato ancora più difficile.

Ancora più complicato.

 

Poteva farcela?

Voleva provarci?

Voleva davvero rischiare tutto per lui?

 

Per il suo nemico?

Per quella sua luce bianca?

Candida.

All’apparenza fredda eppure così luminosa e pura?

 

Aveva la forza di stare al fianco di una Stella?

 

“Hana! che ci fai qui, hai saltato le lezioni?” la voce di Yohei lo fece sobbalzare violentemente.

Sollevò il capo fissando l’amico, notando che aveva la cartella gettata su una spalla e la divisa slacciata.

“Se è per questo le hai saltate anche tu!!” disse con una scossa di spalle noncurante.

Mito sollevò un sopracciglio sorpreso prima di alzare il polso per mostrargli l’orologio e Hanamichi boccheggiò incredulo.

Aveva passato tutta la mattina a pensare a Rukawa!!

Mito non aveva saltato le lezioni, le lezioni erano terminate da un pezzo ormai!!!

“Hana si può sapere che è successo?” gli chiese dolcemente il moretto sedendosi al suo fianco.

Sakuragi sospirò lanciando uno sguardo all’amico.

Sapeva di potersi fidare.

Però dare voce ai suoi dubbi era come accettare la verità di una parte di essi.

 

Perchè ci stava a pensare così tanto?

Non avrebbe dovuto essere tutto certo e chiaro?

 

Rukawa era un maschio.

Lui era un maschio.

 

Fine di ogni discussione.

 

Però...

 

Però c’era il calore delle sue labbra.

La forza del suo sguardo.

Il tocco leggero delle sue mani.

 

“Yohei non so cosa fare!!” ansimò sprofondando il volto tra le mani.

“Comincia dall’inizio...” mormorò il moretto posandogli una mano sulla spalla.

E Hanamichi gli raccontò di quella mattina, della discussione con Rukawa, di quel bacio a cui, lui stesso, aveva dato l’avvio.

Yohei rimase in silenzio, in ascolto, confortandolo con la sua sola presenza finchè il ragazzo non terminò il suo racconto.

“Hana...” mormorò posandogli una mano sotto il mento per fargli sollevare il volto “..che cosa proveresti se Rukawa morisse?”

Il rossino sbarrò gli occhi senza capire.

Che cosa c’entrava con i suoi dubbi?

 

Rukawa era vivo e stava fin troppo bene!!

 

Non riusciva nemmeno ad immaginarsi che cosa avrebbe provato nel saperlo ferito...

O peggio... morto.

 

Scosse il capo con forza allontanando quel pensiero e l’angoscia che portava.

 

I polmoni faticavano quasi ad incamerare l’aria e il cuore...

...il cuore gli faceva un male tremendo.

 

Yohei lo vide impallidire.

Lo vide socchiudere le labbra alla ricerca d’aria e portare una mano al petto.

Lì dov’erano tutte le risposte.

Lì dove avrebbe trovato la forza per affrontare la consapevolezza che sarebbe giunta con esse.

 

“Guardati Hana...” mormorò dolcemente.

 

Il rossino strinse con forza la maglia all’altezza del cuore e scosse il capo lentamente.

 

Do’aho.

Esattamente come lo chiamava la sua volpe.

 

Un  pianeta non sopravvive senza la sua Stella.

 

Se Rukawa fosse morto anche lui si sarebbe spento.

Lo seppe con la dolorosa violenza del sussulto che gli aveva trafitto il cuore nell’immaginare quell’eventualità.

 

Quelle risposte.

Quel tassello che sembrava mancare sempre nella sua vita ora era andato al suo posto.

Ora sapeva la mancanza di che cosa l’aveva spinto nella sua forsennata ricerca di un obbiettivo.

Ora sapeva perchè cercava così disperatamente di raggiungere il volpino.

Tutte le loro sfide.

La rabbia per la sua indifferenza.

Il bisogno della sua attenzione.

Ora sapeva perchè quando gli stava vicino in un modo o nell’altro aveva l’impressione di aver in qualche modo completato quel puzzle caotico che era la sua vita.

 

Balzò in piedi e sorrise all’amico.

Non vi fu bisogno di parole.

Solo un veloce scambio di sguardi prima che Hanamichi si lanciasse verso l’uscita del parco.

Se correva sarebbe giunto in palestra in tempo per la fine degli allenamenti.

In tempo per dargli la sua risposta.

 

Non avrebbero perso più nemmeno un secondo.

 

Avrebbe raggiunto la Stella.

La sua luce.

Finalmente.

 

Dopo tanto dolore.

Dopo tanta sofferenza e affanno.

Dopo aver lottato così a lungo.

 

Yohei si alzò, spazzolandosi la divisa, deciso a ritornarsene a casa mentre un sorriso leggero gli incurvava le labbra quando poco distante udì quel suono.

 

Stridente.

Forte.

Così in contrasto con il sole tiepido e il cinguettio dei passeri del parco.

 

Sentì distintamente la consapevolezza spezzare la sua anima.

Lacerare il suo petto strappandogli il respiro.

Ma non poteva accettare.

Non poteva credere ad un destino tanto beffardo.

 

Non poteva.

 

Finchè non vide.

L’auto di traverso sulla strada.

Le persone accorse.

E il corpo accasciato sul cemento.

 

“Hana!” gridò con quanto fiato aveva in gola precipitandosi accanto all’amico mentre il guidatore, immobile all’interno dell’auto fissava davanti a se, sotto shock.

“Yo...” ansimò, senza fiato il rossino.

“Hana...” ripetè piano Yohei incapace di pensare a nulla, tremando, senza il coraggio di allungare una mano per toccarlo.

 

C’era sangue.

Sangue ovunque.

 

Hanamichi tese una mano con uno sforzo enorme, verso l’amico che la prese delicatamente tra le sue.

“Chiamate un’ambulanza!!!” gridò colmo di terrore ed impotenza mentre i curiosi si affollavano attorno a loro.

“Yohei..” sussurrò piano Hanamichi, attirando l’attenzione del moretto con una debole pressione sulla sua mano.

“Hana non parlare...” sussurrò il ragazzo con le lacrime agli occhi ma Sakuragi strinse nuovamente la sua mano con tutta la forza che aveva.

“Yohei... Kaede...” sussurrò piano “Kaede... non lo deve sapere... ti prego non... lui.. non...” le forze gli mancarono e il ragazzo chiuse gli occhi lasciando la presa sulla mano dell’amico.

“Hana... Hana no, no, ti supplico, non farmi questo...” singhiozzò spaventato il moretto.

“Hana apri gli occhi...”

“Hana ti prego..”

“Hana...”

Lontano, le sirene dell’ambulanza facevano eco al suo dolore, cercando di farsi spazio tra il traffico congestionato.

 

......

 

Yohei osservava l’incontro in silenzio.

Lo Shohoku stava perdendo.

Nonostante Rukawa avesse segnato punti su punti.

Sembrava bruciare tant’era la foga e la rabbia che metteva in ogni azione.

 

Eppure i suoi occhi erano spenti.

 

Nessuna luce animava quei due pozzi blu, resi ancora scuri sulla pelle più pallida del solito, cerchiati dalle occhiaie sottili.

Anche il resto della squadra giocava in modo rabbioso e scoordinato.

Sembravano ognuno perso nei propri pensieri.

Scosse il capo affondando il volto tra le mani mentre l’arbitro segnava la fine dell’incontro e la squadra avversaria esultava.

Rukawa uscì dalla palestra senza salutare nessuno sbattendosi la porta alle spalle mentre Mitsui lanciava un’imprecazione rabbiosa, tirando un calcio alla panchina.

 

Erano tutti arrabbiati.

Si sentivano traditi.

 

Yohei non aveva avuto il coraggio di parlare con loro.

Era andato da Anzai e gli aveva ripetuto con voce spenta ciò che il medico gli aveva riferito, solo pochi giorni prima.

 

Coma.

 

Una parola così piccola, una sentenza così pesante.

 

Si alzò stancamente seguendo la folla che usciva dal palazzetto, trascinandosi a fatica verso gli spogliatoi.

Quel mattino il medico curante di Hanamichi aveva chiamato lui e suo padre, tutore del rossino dopo la morte dei genitori naturali del ragazzo.

Le sue erano state poche, atone, parole.

 

“Morte cerebrale. Vi chiediamo di acconsentire allo spegnimento dei macchinari, tenerlo in vita così non ha senso..” aveva detto loro mentre Yohei lo fissava con gli occhi sbarrati, immobile, incredulo.

“NO!!!” l’aveva gridato con tutto il fiato che aveva in gola, avventandosi contro il medico con rabbia cieca.

L’aveva colpito perchè era un bugiardo.

Aveva picchiato suo padre perchè era un complice di quell’assassino che si faceva passare per medico.

Aveva urlato.

Con tutto il fiato che aveva in gola.

 

Non potevano voler già arrendersi!

Non era vero che non c’era più niente da fare.

Non poteva essere vero!!

 

Ma alla fine aveva dovuto accettare la realtà.

 

Quell’assurda, beffarda realtà.

 

Hanamichi, il suo piccolo grande Hanamichi....

 

Aveva chiesto al medico ancora un paio di giorni, il tempo di dirlo a loro.

Di concedere l’ultimo saluto.

Perchè nonostante la promessa fatta ad Hanamichi...

Nonostante sapesse che il suo amico cercava solo di proteggere il suo amato da un dolore che aveva conosciuto fin troppo bene...

... non poteva permettere che se ne andasse lasciando solo rabbia e amarezza.

 

Rukawa s’infilò sotto la doccia, lasciando che l’acqua calda gli frustasse il corpo.

Era stremato ma non era servito a niente.

Kogure non era riuscito a rimpiazzare Sakuragi in modo degno.

Ma dare la colpa al senpai non era del tutto corretto.

Tutti loro avevano giocato in maniera pietosa.

Ed era solo la prima partita senza Hanamichi.

 

Hanamichi.

 

Nei suoi pensieri lo chiamava per nome.

Quel traditore codardo!

Era fuggito.

Dammi del tempo per capire, gli aveva detto... ed era scomparso!!

Senza una parola.

Senza un saluto o una spiegazione.

Senza riguardo per i suoi sentimenti!

 

Anzai aveva detto loro che aveva dovuto trasferirsi con il padre, per lavoro.

Ma ciò non toglieva che non li aveva nemmeno salutati!!

Eppure aveva i loro numeri di telefono.

E poi se sapeva di dover partire perchè non aveva detto loro nulla.

E soprattutto: perchè l’aveva baciato?

 

L’aveva preso in giro?

 

Compatito?

 

La rabbia e il dolore dentro di lui avevano quasi la stessa forza.

Sentì la porta dello spogliatoio sbattere e gli altri entrare.

Nonostante Anzai avesse represso molto duramente qualsiasi loro acido commento sull’abbandono di Hanamichi nessuno dei titolari era ancora riuscito a farsi una ragione di ciò che era accaduto.

Rukawa uscì dalla doccia senza guardare in faccia nessuno, cominciando a vestirsi.

Poco dopo fu raggiunto da un Mistui scuro in volto.

La tensione era palpabile e il silenzio irreale.

Il volpino ormai vestito si alzò dirigendosi verso la porta quando questa si aprì da sola rivelando una figura conosciuta.

 

“Che cosa vuoi?” ringhiò Mitsui cupo.

Yohei era pallido e stanco.

Le sue occhiaie erano profonde e cupe tanto che la rabbia di Hisashi si quietò un poco nell’osservare il suo stato.

 

“Devo parlarvi di Hana..” mormorò piano.

“Tzè!” sbottò Rukawa cercando di scavalcarlo per uscire dallo spogliatoio ma Yohei gli bloccò la strada con sguardo duro.

“Vattene, non ce ne frega niente di quello stronzo che ci ha mollato giusto prima dei campionati!” ringhiò Ryota che più degli altri si era considerato un amico per il rossino e che quindi, più degli altri era rimasto ferito dal suo comportamento.

“Se n’è andato con suo padre che altro c’è da sapere!” sbottò Mitsui voltandogli le spalle, riprendendo a cambiarsi.

 

 

“Hanamichi non ha più suo padre...”

 

 

Il sussurrò di Yohei cristallizzò l’aria dello spogliatoio.

“Co.. come?” mormorò piano Kogure senza capire e Mito si accasciò su una panca libera, scuotendo piano il capo.

“Il padre di Hanamichi morì quando lui aveva quattordici anni, a causa di un infarto...” spiegò a mezza voce.

 

Rukawa lo fissava senza capire.

Eppure Anzai aveva detto loro che...

 

“Ma allora con chi è partito?” chiese Mitsui dando voce alle sue domande.

 

Yohei si coprì il volto con le mani e il volpino, che era il più vicino tra loro, udì chiaramente il singhiozzo che il moretto aveva tentato di soffocare tra esse.

“No...” ansimò piano, gli occhi sbarrati.

 

Mito sollevò il capo mostrando il volto sconvolto dal dolore, gli occhi lucidi di lacrime silenziose che scivolavano lungo le sue guance.

“Tre settimane fa Hana è stato investito da un auto...” sussurrò “...ed è andato in coma.”

 

“NO!” il gridò di Rukawa lo fece sussultare ma non ebbe tempo di muoversi che il volpino lo aveva afferrato per le spalle scuotendolo con forza.

“Non è vero!” gridò ma Yohei si liberò dalla sua presa con uno strattone “E’ la verità!” gli urlò conto, con tutta la rabbia che aveva ancora dentro, la sua stessa rabbia.

“E’ la maledetta verità...” sussurrò a fatica.

“Pe.. perchè ce lo dici solo ora...” sussurrò Akagi incredulo.

Yohei lanciò uno sguardo a Rukawa che ora era immobile, a pochi passi da lui.

 

“Domani spegneranno le macchine che lo tengono in vita...”

 

Poche parole fuoriuscite a stento dalle labbra pallide.

Eppure Rukawa le sentì esplodere nella sua testa come cannonate.

“No...” ansimò piano “No!!No!!No!! Non l’accetto!!!” gridò con tutto il fiato che aveva in gola prima di spalancare la porta e scappare dallo spogliatoio.

 

Voleva andare lontano.

Lontano da quelle parole.

Lontano dalla loro verità.

Lontano da quel dolore che sentiva nell’anima.

 

Per il momento l’incredulità o forse la follia tenevano la paura sepolta infondo al suo cuore.

Ma quando avesse davvero compreso...

Quando avrebbe capito...

 

“No!!!!”

 

Lo gridò al vento e al mare con tutta la forza della disperazione che aveva in corpo prima di accasciarsi sulla spiaggia, svuotato.

“No....” sussurrò mentre la sabbia chiara sotto di lui si macchiava di piccole goccioline salate.

 

....

 

“Non è venuto..” mormorò piano Kogure lanciando uno sguardo al corridoio spoglio.

Ayako sedeva poco lontano, appoggiata alla spalla di Ryota che non cercava nemmeno di nascondere le lacrime.

Il medico appoggiò delicatamente una mano sulla spalla di un Yohei sempre più stanco e provato.

“Signor Mito..” mormorò piano e il moretto lanciò un’ultima occhiata al ragazzo immobile sul piccolo letto bianco.

“Addio Hana...” sussurrò, sfiorandogli una mano con la sua prima di volgersi verso il medico e fargli un cenno d’assenso.

“Mi dispiace che non hai potuto salutare Kaede..” ansimò, la voce spezzata dal respiro che andava nuovamente inframmezzandosi al pianto.

 

Quante lacrime può versare un uomo?

Erano giorni che si ritrovava le guance umide e non riusciva a fare niente per trattenere quel dolore cocente che gli scivolava sul viso in silenzio.

 

Il trambusto in corridoio lo riscosse di scatto, la sua mano, dotata quasi di volontà propria, saettò verso il polso del medico, artigliandoglielo.

“Aspetti!” mormorò nello stesso momento in cui Rukawa piombava nella stanza.

 

Aveva solo vagamente l’aspetto del risoluto asso dello Shohoku che tutti conoscevano.

I suoi abiti erano bagnati, stropicciati, sporchi di sabbia.

Il suo viso era scavato e pallido, gli occhi due pozzi neri, segnati dal dolore e dal pianto.

Lo sguardo vuoto del moretto li passò come se fossero trasparenti, posandosi sul ragazzo riverso sul letto, le braccia segnate dai tubi trasparenti, il cono di plastica del respiratore a coprirgli naso e bocca.

Si avvicinò al letto barcollando a fatica, cadendo in ginocchio accanto al giaciglio del rossino quasi non avesse la forza di trascinarsi fino a lì.

Di accettare ciò che quel luogo comportava per lui.

Per il ragazzo che vi giaceva immobile.

In silenzio.

 

Lui, che in silenzio non c’era stato mai.

 

Il medico lo osservò per un momento e poi scosse il capo “Lasciamoli soli” sussurrò prima di sospingere delicatamente Yohei fuori della stanza.

 

 

 

Pow Yohei

 

Non so che cosa gli abbia detto Rukawa.

 

Forse l’ha solo sfiorato con quello sguardo affranto di chi accarezza i frammenti di un delicato cristallo finito in pezzi.

Forse l’ha solo baciato per l’ultima volta.

Forse non ha fatto niente, non ha detto niente.

 

Non lo so.

 

Però quando il medico è tornato per spegnere la macchina c’era qualcosa di diverso.

Non in Hana.

No.

Lui era immobile, freddo e vuoto come sempre.

 

Però nella stanza...

 

Era più calda.

Un dolce tepore dorato.

Ecco come lo definirei.

 

Era tutto così... luminoso.

 

Luce.

Sì, bianca candida, pura e innocente.

 

Forse i miei sono i vaneggiamenti di un ragazzo che ha perso il suo migliore amico, praticamente un fratello però...

Però era come se l’anima di Hanamichi ci avvolgesse nel suo abbraccio gentile, in quella stanza.

 

Finalmente libera dall’agonia che la teneva ancora qui.

 

Forse attendeva solo di poterlo salutare prima di andare.

Sorrido tra me e me, dolcemente.

Tipico di Hana.

 

Mi ha fatto promettere di non dire nulla a Kaede per non farlo soffrire e poi e rimasto ad aspettare in silenzio per poterlo salutare un’ultima volta.

Per potergli sussurrare quel “Ti amo” che non sarebbe mai uscito dalle sue labbra ma che si poteva respirare in quella luce bianca e profumata.

 

Era già morto.

 

Non è stato necessario spegnere i macchinari.

Nessun boia ha messo fine alla sua esistenza.

Nessun carnefice ha portato il peso della sua morte.

Hanamichi conosce bene il dolore di chi spegne una vita, se l’è sempre portato appresso, colpevolizzandosi, per la morte di sua madre prima e di suo padre poi.

 

Sai Hana, non ho più visto Rukawa.

 

E’ partito per l’america il giorno dopo.

Pare che suo padre gli avesse da tempo dato la possibilità di farlo ma lui avesse sempre rifiutato.

Quando il medico ha aperto la porta della stanza dove li avevamo lasciati soli lui si era già alzato e stava venendo verso di noi.

Non ha salutato.

Non si è voltato nemmeno una volta.

Perchè, io lo so, non stava lasciando nessuno.

In quella stanza non era rimasto che uno scrigno vuoto.

La tua anima è andata con lui.

Ti sei fuso in quella Luce che avevi tanto cercato, vero Hana?

L’ho capito.

L’ho compreso quando ho visto nei suoi occhi, nel momento in cui mi è passato accanto, una nuova forza.

Una scintilla d’oro lucente nelle sue iridi blu.

 

La sigla del telegiornale mi riscuote dai miei pensieri.

Ecco, sta cominciando.

Trasmettono l’intervista agli astri nascenti della pallacanestro americana e dopo un paio di giocatori che non conosco...

Ecco... il giornalista si avvicina ad un ragazzo alto, moro, dalla pelle candida.

“Sembrava impossibile che un ragazzo giovane e per di più sconosciuto diventasse in così breve tempo un titolare quotato dell’NBA!” comincia il reporter.

“Mi dica Kaede Rukawa qual’è il segreto per diventare una stella?”.

 

“Una stella...”  il suo è appena un sussurro.

“Il segreto di una stella...” mormora dolcemente e il suo sguardo va oltre l’obbiettivo della telecamera, si perde lontano, accendendosi d’oro sotto le lampade dei riflettori.

 

“Il segreto di una stella è la Luce...”

 

E io non posso fare altro che coprirmi il volto con le mani e lasciare che le lacrime scivolino silenziose sulle mie guance.

 

 

 

Fine....                                                                                                          

 

 

 

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