Desire 7                                       Back to FanFic  Back to Home

Me ne sto immobile in questo lungo, anonimo corridoio d’ospedale.

Sono venuto qui con la stessa ambulanza che l’ha trasportato, stavo provando dei tiri da tre da solo in palestra quando è scoppiato il finimondo.

E’ stato un caso.

In tutta quella confusione in mezzo alle sirene, alle ambulanze, agli studenti terrorizzati ho visto quella barella.

Il baluginio delle fiamme che ancora divoravano l’edificio scolastico si sono riflesse sui suoi capelli come un muto richiamo.

Ho detto agli infermieri che ero un amico e mi hanno fatto salire sull’ambulanza.

E adesso sono qui.

Che aspetto non so neppure io che cosa.

Forse un miracolo a cui non credo ma alla cui speranza mi aggrappo come un disperato.

Vorrei essere lì con lui.

Dietro una porta uguale a tante altre, in una stanza uguale a tante altre su questi letti metallici dalle lenzuola inamidate.

Sta combattendo da solo.

Non mi hanno permesso di entrare.

L’odore dei medicinali mi da il voltastomaco.

Odio gli ospedali ci ho passato tanto tempo da conoscerli fin troppo bene.

Odio i lamenti dei pazienti e il parlare sommesso di dottori e visitatori.

Odio il pianto dei bambini venuti a trovare un parente malato con i genitori.

Odio i vestiti della domenica indossati per l’occasione che sono inamidati e rigidi come le lenzuola di questi letti che sanno di candeggina e anestetico.

Un’infermiera dal volto stanco mi passa accanto spingendo un carrello.

Non sopporto tutta questa sofferenza, non riesco a respirare qui dentro.

Eppure non posso muovermi.

Me ne sto appoggiato a questo muro bianco dinanzi a questa porta chiusa.

Dietro questa porta c’è lui.

Mi sfugge un sorriso e una lacrima.

Che strano accostamento.

Ma il mio è un sorriso carico di tristezza e forse è normale che la sua salata manifestazione scivoli lentamente sul mio volto.

Quando ho chiesto come stava all’infermiere che controllava Hanamichi mentre correvamo a sirene spiegate verso l’ospedale mi ha detto di non farmi illusioni.

Troppo fumo.

Insufficienza cardiorespiratoria.

Probabilmente non passerà la notte.

Me l’ha detto così...

Come se mi stesse dicendo che fuori era quasi buio...

Che l’estate era quasi finita.

Ho allungato una mano sopraffatto dal desiderio di afferrarlo anche se era lì a pochi centimetri da me, nell’ambulanza, come se tenendo la sua mano potessi afferrare quella vita che stava scivolando via.

Gli hanno dato qualcosa ma è rimasto cosciente per un po’ e continuava a ripetere quel nome.... il suo nome... all’infinito...

Tra i respiri affannosi fatti nel respiratore.

Nelle lacrime silenziose che bagnavano il suo viso.

Nel dolore dei suoi gemiti che andavano mano a mano spegnendosi....

Kaede.... Kaede.... Kaede....

Ho chiamato sua madre e ho avvertito i miei genitori che sto bene e adesso aspetto.

Non posso fare altro...

Aspettare.... e pensare.....

Ho incontrato uno dei pompieri che l’ha soccorso e venuto all’ospedale con un’altra ambulanza perchè per andare a prendere Hanamichi si è ferito ad un braccio.

Mi ha raccontato quello che ha visto.

Quello che Hanamichi ha fatto.

 

E mi ritorna nitida alla mente l’immagine di quel volto abbronzato contorto dal dolore, le ciocche rosse sparse sul cuscino e le sue labbra che piano scandiscono all’infinito il suo richiamo...

 

Desideravo quelle labbra per me.

Desideravo baciarlo, possederlo.

Desideravo il suo corpo perfetto e il suo sorriso solare.

Desiderio.

 

Che cosa piccola e meschina.

 

Rukawa era stato ricoverato qui ma suo padre l’ha fatto portare in una clinica privata.

Chissà come sta?

Quando ho chiesto informazioni mi hanno detto che non era grave che si sarebbe rimesso presto.

E allora sarebbe venuto a cercare Hana?

Mi chiedo se la volpe glaciale si rende conto di quello che è successo, se sa quello che ha fatto per lui il ragazzo che chiama do’hao.

Idiota.

“Già Hanamichi sei proprio un’idiota” mormoro tra me e me poggiando una mano sul vetro che da sulla tua stanza.

Le tende sono tirate e non si vede all’interno ma io so che lui e lì e questo mi basta.

Non voglio vederlo.

Non potrei sopportare di nuovo la visione di tutti quei tubi che si infilano nella sua carne.

Spero che sua madre arrivi presto.

A lei concederanno di entrare, mi fa star male l’idea che sia da solo, oltre questo vetro freddo come il silenzio di quella stanza dove l’hanno rinchiuso il tempo scandito dal ronzio elettrico dei macchinari che lo tengono in vita .

Ti rendi conto Rukawa di che cosa ha fatto per te.

Amore.

Che cos’è l’amore me lo sono sempre chiesto.

Non credevo alle illusioni dei romanzi o alla finzione cinematografica ma quello che ha fatto Hanamichi...

Mettere la vita di un’altro davanti alla propria.

L’uomo non è che un animale evoluto.

E il primo istinto dell’animale è sempre la sopravivenza eppure questa cosa chiamata amore l’ha spinto ad accantonare la sua vita per quella di un’altro...

Forse l’amore non è che follia....

 

 “Mistui!”

Mi volto sorpreso nel sentir pronunciare il mio nome.

 “Sendoh” lo saluto con un segno del capo.

Ha una borsa con da cui spunta la manica di una giacca.

“Stavo andando al piano inferiore quando ti ho intravisto” mi spiega “ho una cugina che frequenta lo shohoku e che è rimasta leggermente ferita. Siccome i miei zii non erano in casa sono venuto io a prenderla” mormora quasi distrattamente.

So che cosa sta pensando.

Mi ha guardato dalla testa ai piedi e ha visto che non sono ferito.

Si starà chiedendo allora perchè sono qui o meglio.... per chi......

Il perenne sorriso sul volto del porcospino è scomparso.

Nei suoi occhi scuri c’è solo preoccupazione, preoccupazione e paura.

Lo so ti capisco.

“Qualcuno della squadra è ferito?” mi chiede e la sua voce trema...

Non sa quello che è successo.

Non sa in che stato è il suo.... ragazzo? No non credo conoscendo Hana non si sarebbe mai messo con Sendoh amando un’altro.

Lui è il tipo che preferisce soffrire in prima persona piuttosto che fare del male agli altri.

Proprio un d’hao.

Spetta a me dargli la notizia.

Sospiro alzandomi e passandomi una mano tra i capelli scompigliati.

Quando ho visto Akira venire a prendere Hanamichi in palestra ieri ho desiderato con tutte le mie forze cancellare quel sorriso dal suo volto.

Avrei fatto qualsiasi cosa per ferirlo almeno un po’

Ma ora...

Ora darei tutto me stesso per non dirgli quello che devo.

Il porcospino si tortura nervosamente una ciocca di capelli scuri sfuggita alla sua alta pettinatura.

Da le spalle a quella stessa porta che vegliavo in silenzio.

Forse non se ne nemmeno reso conto.

Forse non ha letto la targhetta che contraddistingue questo reparto o forse....

Forse soltanto i suoi occhi si sono rifiutati di esaminare il luogo in cui si trova.

 “Hanmichi è lì dentro” mormorò indicando la porta.

Avrei potuto trovare un modo migliore di dirglielo ma che senso avrebbe avuto girare all’infinito intorno all’argomento?

I fatti non cambiano.

Gli stramaledettissimi, fottuti, fatti non cambiano.

E non ce niente che possiamo fare noi per cambiarli.

Lo vedo girarsi come al rallentatore verso la porta che gli ho indicato.

Lo obbligo ad affrontare la realtà che la sua mente ha negato venendo qui senza guardarsi attorno.

La fissa per alcuni secondi come se non capisse, i suoi occhi vagano su di essa lentamente come intontiti.

La sua mente forse ancora rifiuta.

E poi li vedo lentamente spalancarsi mentre la consapevolezza deforma il suo viso in un grido di dolore che gli esce dalle labbra come se gli avessero cacciato un braccio in gola per strapparglielo a forza con tutti i polmoni.

Lo afferro per le braccia perchè temo che altrimenti cadrebbe e lo stringo a me ascoltando i suoi singhiozzi.

Non so se sto consolando lui con questo abbraccio o se sto cercando conforto per me stesso.

Non lo so e non mi importa.

Ascolto il suono soffocato del suo dolore contro la mia spalla mentre ritorno a fissare questa porta chiusa dinanzi a me.

Bianca come tutte le altre.

Con una semplice targhetta metallica come tutte le altre.

E quell’insieme di lettere a sancire il suo contenuto.

Ad informazione per i dottori.

A monito per i visitatori.

A condanna per lui che giace lì dentro in silenzio.

Terapia intensiva.

 

Mi hanno dato qualcosa non so cosa... ma mi annebbia i sensi e mi impedisce di pensare.

Per ora credo che sia un bene.

Dopo la notizia al telegiornale i pensieri mi hanno quasi fatto impazzire.

La mia anima urlava e forse urlavo pure io perchè gli infermieri sono accorsi trafelati.

Ho vomitato.

Ho vomitato per ore e ho pianto.

Ho pianto così tanto che gli occhi mi bruciavano come se mi ritrovassi di nuovo tra quelle fiamme che me l’hanno portato via.

Poi quella roba che mi hanno iniettato ha cominciato a fare effetto e ho smesso di soffrire ho smesso di pensare sono scivolato in un oblio fatto di buio e silenzio.

Eppure anche qui dove non c’era nessuno dove io stesso non ero nessuno percepivo il senso di vuoto.

E anche se la mia mente non riusciva a trovare il nome di quella cosa che cercava..

Sebbene non riuscisse a capire perchè la cercassi...

ripeteva all’infinito...

dove sei? dove sei? dove sei?

Senza ottenere risposta.

 

Sono passati altri due giorni.

Non mangio, mi alimentano con le flebo.

Non dormo, mi danno dei sonniferi.

Non vivo e continuano a susseguirsi i medici attorno a me.

Non capiscono che è inutile che non serve a niente.

Io sono morto.

La carcassa che avete davanti prima o poi deperirà, lasciatemi in pace.

Bussano alla porta.

Ma non rispondo.

Non ho voce.

L’infermiera di turno fa capolino nella stanza.

“Una visita per lei signor Rukawa” mormora.

Non ho voglia di vedere nessuno.

Ma la voce non esce, le mie labbra nemmeno si muovono. Resto immobile lo sguardo fisso oltre la finestra dalle tende socchiuse.

La luce mi da fastidio.

Il calore mi da fastidio.

Perchè la mia luce e il mio calore non ci sono più.

Me le hanno portate via senza darmi il tempo di agire.

Chi ti ha dato il diritto di scegliere per me Hana?

Non sai quanto preferirei la morte a quest’agonia.

Che se ne fa il mondo di uno come me.

Il tuo sorriso valeva mille volte più della mia intera esistenza.

Mi pizzicano gli occhi.

Credevo di aver esaurito le lacrime.

 

“Come stai Rukawa?”

 

Questa voce....

Mi volto lentamente osservando l’alto ragazzo moro sulla porta.

Ho chiesto a mio padre di non dire a nessuno in quale clinica mi aveva fatto ricoverate.

Non volevo vedere nessuno.

Perchè su ognuno dei volti delle persone a me note avrei trovato tracce di quel cambiamento che lui ha operato su tutti noi.

Però Mistui mi ha trovato.

D’altronde suo padre fa il giornalista avrà sfruttato le sue conoscenze.

“Hn” mormorò ma persino questo monosillabo ha un suono disperato quando esce dalle mie labbra.

Il sorriso del mio compagno di squadra si addolcisce un  po’.

Mi soffermo a fissare il suo volto notando le tracce che il dolore vi ha lasciato.

Ha le occhiaie e piccole rughe che gli increspano la pelle abbronzata.

Anche il suo sorriso sembra soltanto un’ombra di quello che gli tendeva le labbra alcuni giorni fa.

Sembra che sia passato un secolo da quando...

Da quando il fuoco ha cancellato tutto.

Mi sfugge una lacrima e non mi preoccupo di nasconderla.

Il mio orgoglio è morto in quell’incendio insieme a tutto il resto.

“Vedo che hai saputo...” mormora tristemente avanzando nella stanza e sedendosi su una sedia vuota accanto al mio letto.

Vattene, vattene, vattene!!!!

Non voglio sentire le tue parole.

Non voglio sentire le tue accuse.

Non voglio ricordare.

Non voglio parlare di lui.

Ma la mia bocca è serrata il mio capo chino.

I capelli scuri scivolano sulla mia pelle ogni giorno più pallida come inchiostro nero.

Come il trucco sbavato dal pianto.

Ormai anch’io non sono che questo.

I resti di un me stesso sbavato dal pianto.

 

“Non dobbiamo perdere le speranze” mormora Mistui al mio fianco in un sussurro che sembra rivolto più a se stesso che a me...

Ma che sta dicendo?

Le speranze per che cosa?

“Hanamichi potrebbe uscire dal coma in fondo i dottori non avevano nemmeno creduto possibile che passasse la notte...” non termina la frase perchè l’ho afferrato per il colletto della divisa scolastica con una forza tale da rischiare di soffocarlo.

 

“Che cosa hai detto?” chiedo paurosamente pallido.

Le mani mi tremano ma la presa non cede.

Sento per la prima volta dopo tanti giorni il leggero battito del mio cuore.

 

Hisashi mi fissa stupito.

“Non... non lo sai?” balbetta cercando di allontanare le mie mani dal suo collo. Allento un po’ la presa ma non lo lascio andare.

Non voglio lasciare quest’assurda speranza che spinge nuovamente il sangue a pulsare nelle mie vene.

Ascolto in silenzio gli occhi sbarrati la sua spiegazione.

I pompieri che mi hanno trovato hanno notato che la manica bianca che avevo legato attorno al viso non apparteneva alla mia divisa che la giacca bagnata non era la mia ed erano tornati indietro a controllare. E mentre io venivo portato all’ospedale Hana veniva caricato su un’altra ambulanza, appena in tempo. Prima che l’edificio crollasse su se stesso avevano trovato Hanamichi e l’avevano portato all’ospedale. Le sue condizione erano rimaste critiche per tre giorni finchè non era scivolato nel coma. Non rischiava più la vita però i medici non sapevano neppure dire quando e soprattutto se si sarebbe svegliato, per loro sembrava già un miracolo che fosse vivo.

Le parole di Mistui scivolano dentro di me sciogliendo nodi e aggrovigliandone di nuovi.

Lascio lentamente la presa ricadendo esausto sul letto.

Hanamichi non è morto.

Però è in coma.

 

Devo uscire di qui.

 

“Devo andare da lui” non mi rendo nemmeno conto che l’ho detto a voce alta mentre tento di alzarmi.

Mistui mi blocca sul letto prima di suonare il campanello che richiamerà gli infermieri.

“Non puoi andartene in queste condizioni!” dice indicandomi la flebo che ancora mi penzola dal braccio.

Allungo una mano e ignorando il dolore la strappo.

“Andiamo!” dico cercando di alzarmi.

Le gambe tuttavia non sembrano voler collaborare con me.

Hisashi mi afferra prima che cada mentre l’infermiera che l’aveva fatto entrare accorre a vedere che succede.

Mi costringono a letto nonostante tutte le mie proteste.

Alla fine mi arrendo seppure a malincuore.

Non mi resta che guarire dunque per andare da lui il prima possibile...

Do’hao aspettami sto arrivando....

 

Nei giorni successivi divento un paziente modello, ben presto prendo  a mangiare senza l’aiuto della flebo.

Non ho mai mangiato così tanto nemmeno quand’ero sano ma per uscire di qui farei qualsiasi cosa!!

Infondo il mio era un male più psicologico che fisico, il mio rifiuto alla vita aveva debilitato anche il corpo ma ora...

Ora nessuno deve frapporsi tra me e la guarigione perchè devo andare da lui!!

Mistui è venuto di nuovo a trovarmi in questi giorni.

Dato che io non posso andare dal do’hao è lui che fa la spola tra i due ospedali raccontandomi di lui.

Mi ha anche chiarito il malinteso in cui ero caduto.

Lo studente morto era un certo Koshio Turagi del terzo anno, sembra che stesse schiacciando un sonnellino in un’aula vuota proprio accanto a quella di chimica e che sia morto sul colpo quando la seconda esplosione ha fatto crollare parte del soffitto. Mi dispiace per lui però non ho potuto fare a meno di ringraziare il Signore che non fosse Hana. L’incendio non ha fatto altre vittime anche se ci sono stati numerosi feriti e qualcuno tra questi abbia dovuto passare qualche giorno in ospedale.

Mio padre ha sollevato un vespaio a causa della mancanza di misure di sicurezza nell’edificio scolastico, la famiglia di Turagi e anche la madre di Hanamichi con l’aiuto di mio padre, che fa l’avvocato, hanno fatto causa e Seji Rukawa, come me, non è abituato a perdere.

Quei soldi serviranno a pagare le spese mediche di Hanamichi anche se mia madre dopo aver saputo quello che è successo ha parlato a lungo con la signora Sakuragi e conoscendo la determinazione della donna che mi ha messo al mondo sono sicuro che la mamma del mio do’hao non dovrà tirare fuori uno yen. La sorpresa più grande me l’ha fatta mia sorella. Sembra che in una delle sue ultime visite abbia incrociato Mistui che non è riuscito a tenere la bocca chiusa così la mia cara sorellina è andata a trovare il do’hao all’ospedale pubblico. Ora i dottori permettono a parenti ed amici di fargli visita dato che non rischia più la vita e sembra che la mia sorellina si sia sbizzarrita a raccontargli tutte le marachelle che ho combinato da piccolo. Spero che quando si sveglierà non se le ricordi. Ma è un modo come un’altro per stargli vicino e poi oggi, finalmente,  lo vedrò.

Sì perchè oggi mi dimettono e io sono qui che fremo d’impazienza anche se sul volto porto la stessa maschera d’indifferenza.

 

Mistui è immobile davanti alla porta della sua camera. Siamo venuti qui in taxi, abbiamo percorso i lunghi corridoi dell’ospedale in silenzio mentre sentivo il nervosismo crescere dentro di me.

E adesso che sono dinanzi a questa porta non riesco a muovermi.

“Forza lui ti aspetta” mi mormora Mistui prima di allontanarsi di qualche passo.

Allungo una mano pallida registrando quasi distrattamente il tremore che la scuote.

La poggio sulla maniglia metallica e l’abbasso lentamente.

All’interno la stanza e bianca e silenziosa.

Ci sono vasi di fiori appoggiati al davanzale ed alcuni sui comodini.

Fiori colorati che danno un tocco di allegria a questa stanza sterile.

Il suono leggero della brezza che entra dalla finestra semi aperta copre il ronzio dei macchinari accanto al suo letto.

Un plaid leggero ricamato e appoggiato sulle lenzuola bianche.

Hanno fatto veramente di tutto per farlo sentire a suo agio.

Mi avvicino lentamente al letto in silenzio gli occhi posati sulla sua figura.

E’ così pallido...

Il suo viso è rilassato nel profondo sonno in cui giace ma c’è qualcosa nei suoi lineamenti che denota un’ansia, un dolore...

Forse lo sto solo immaginando...

Il medico mi ha assicurato che non sta soffrendo ora però...

Nei suoi lineamenti c’è una strana tensione...

Forse anche lui mi sta cercando.

Forse nel buio della sua incoscienza anche la sua mente gli sussurra quella domanda: dove sei? dove sei? dove sei?

 

Mi avvicino al letto e con delicatezza prendo la sua mano tra le mie.

“Sono qui” mormoro piano poggiando sulla pelle morbida un bacio delicato.

“Sono qui amore mio”

 

“Mistui?”

Il tiratore da tre punti si voltò salutando Sendoh con un sorriso.

“Sei qui anche oggi?” gli chiese Akira con un sorriso sul bel volto.

“Ho accompagnato Rukawa da lui” gli spiegò l’ex teppista. Sendoh annuì gravemente sedendosi su una delle poltroncine della sala d’attesa imitato da Mistui. “Non ci sono stati miglioramenti?” chiese speranzoso ma in risposta ottenne solo un segno negativo del capo. Akira sospirò e Mistui gli sorrise incoraggiante posando una mano sulla sua “Vedrai che Rukawa lo riporterà indietro, il volpino non è uno che ama perdere”. Il porcospino rise dolcemente stringendo la mano dell’altro prima di alzarsi. “Che ne dici di andare a bere qualcosa non credo che quei due abbiamo bisogno di noi” propose e Mistui si alzò a sua volta stiracchiandosi “Mi sembra un’ottima idea”

 

Vago in queste tenebre dense da tanto di quel tempo che i ricordi della mia vita non sono che lievi ombre effimere che sfumano e si dissolvono come fumo tra le mie dita ogni volta che provo ad afferrarle. In questo luogo silenzioso non esiste nulla e non ho bisogno di nulla. Un tempo dovevo respirare, ridere, mangiare, allenarmi... qui nulla di tutto questo ha significato. Qui c’è solo questa quiete statica, il tempo ha fermato le sue lancette io posso rimanere immobile. Eppure... mi manca qualcosa... non so cosa... non lo ricordo più... se riuscissi ad afferrare queste ombre sfuggenti forse capirei... ma sono stanco. Quest’abisso senza fine che mi circonda annebbia e confonde i miei sensi. Non sto male però c’è questa sottile sensazione di disagio che non mi abbandona... c’è qualcosa d’importante, di vitale che ho dimenticato, c’è una porta nascosta tra queste tenebre che mi riporterà alla luce se solo riuscissi a ricordare....

 

dove sei?

 

La mia mente formula questo pensiero liberamente seguendo pensieri che non riesco ad afferrare.

Che cosa cerco?

 

dove sei?

 

Perchè lo cerco?

 

dove sei?

 

Ho bisogno di te.

Ho disperatamente bisogno di te.

Aiutami.

Aiutami a trovare quella porta che mi ricondurrà tra le tue braccia.

 

 

“Sono qui”

 

questa voce....

la sua voce, per quanto tempo lo cercata in questo silenzio.

 

“Sono qui amore mio”

 

quanto dolcezza nelle sue parole.

Le ho inseguite invano per così tanto tempo...

Calore.

Da quanto tempo non avvertivo questa sensazione.

Dolore.

Paura.

Il mio corpo, il mio corpo che si risveglia e con esso il terrore del ricordo...

Il fuoco...

Una luce flebile filtra tra queste tenebre.

Ma non so se è mia amica.

Ora temo quella luce, che cosa troverò al di là?

Voglio davvero lasciare questo limbo ovattato per l’insicurezza e il dolore che mi aspettano?

Allungo una mano verso di essa... ma sono troppo debole, non ce la faccio, non ci arrivo.... e non so più se voglio arrivarci...

Perdonami...

Io ho paura...

Io non riesco a venire da te...

Io....

Una mano afferra la mia, la sua presa è salda, decisa, calda.

 

“Sono qui e ci sarò sempre”

 

stringo le sue dita afferrandomi a lui e a questa sua promessa, mi tira verso quella luce accecante ma non arretro anche quando ferisce i miei occhi, dilania il mio essere.

Fa male.

Ma la sua presa è così dolce, la sua voce così caria d’amore.

No.

Non ho più paura.

 

 

Rukawa accarezzò con dolcezza la fronte di Hanamichi scostandogli una ciocca ramata dalla fronte e quando scosto le dita candide trovò su di sè uno sguardo dorato carico di confusione.

 

 

“Scusami per il ritardo amore” sussurro, la voce resa tremula dalle lacrime che riesco a malapena a trattenere.

 

 

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Epilogo.

 

 

Oggi finalmente lo dimettono.

Tutta la squadra si è riunita qui aspettando con ansia di poter andare a festeggiare la fine di questa brutta avventura. Io avrei in mente un’altro modo per festeggiare ma per quello ci sarà tempo stasera. E’ venuto anche Akira ma la sua presenza non mi infastidisce più, sarà perchè in questo mese di riabilitazione io e il do’hao siamo stati sempre insieme seppur con la costante, e aggiungerei fastidiosa, presenza di medici e infermiere, sarà perchè noto gli sguardi che corrono tra il porcospino e Mistui. Chissà se si rendono conto di quello in cui si stanno invischiando. Probabilmente no, ma se ne accorgeranno. Io e il do’hao potremmo anche dar loro una spinterella.  Sorrido tra me mentre li osservo dalla finestra della camera di Hanamichi che sta finendo di riporre le sue cose. Alla fine mi ha spiegato il perchè di quella sua strana dichiarazione sul tetto della palestra. E Hisashi ha aggiunto i pezzi mancanti del puzzle quando sono andato a chiedere spiegazioni. A differenza del mio dolce do’hao io ho sentito subito puzza di bruciato. Deve avere la mandibola ancora dolorante per il pugno che gli ho tirato. Comunque le fotografie sono andate perse nell’incendio e Mistui ha capito che quello che ci lega non è qualcosa in cui può frapporsi. Non c’è riuscito il destino figuriamoci se potrebbe lui! “Allora do’hao ci sei?” gli chiedo voltandomi verso di lui, si guarda intorno controllando di non aver dimenticato niente mentre sua madre piega ordinatamente gli ultimi vestiti per riporli nella valigia. “Baka kistune non offendere il genio!!” protesta scaldandosi subito. Ha ancora le guance un po’ infossate ed è dimagrito ma la sua pelle ha riacquistato un bel colorito e i suoi occhi sono luminosi come non mai. Non resisto alla tentazione di scoccargli una bacio a fior di labbra prima di afferrarlo per il polso. Hanamichi arrossisce come un peperone mentre sua madre finge di non aver visto niente. “Mi raccomando non fate troppo tardi stasera!!” ci rammenta mentre Hanamichi la saluta dalla porta prima di venir strattonato per le scale.

Prima andremo a festeggiare, prima ce ne andremo a casa.

Casa mia.

E stata la madre stessa di Hanamichi ad darmi le sue cose perchè possa fermarsi per il week end a casa mia.

Abbiamo fatto un lungo discorso io e lei mentre Hanamichi riposava dopo una seduta di riabilitazione.

Mi ha detto chiaro e tondo che se mi metto di nuovo in una situazione tale da far correre ad Hana un’altro rischio come quello che ha corso per me, o se mi azzardo a farlo soffrire, mi spella vivo.

E’ una donna veramente eccezionale d’altronde e la mamma di Hanamichi.

 

Arriviamo nell’atrio dove gli altri ci aspettano salutando calorosamente il mio do’hao.

Me ne sto tranquillamente in silenzio seguendo questa massa festante che si sposta verso l’uscita mentre faccio scorrere lo sguardo sulla figura slanciata del mio ragazzo.

Mio padre se n’è tornato a Kyoto, mia sorella e mia madre sono partite per le terme dove resteranno tutta la settimana.

Stasera non mi scappi.

 

 

Hanamichi sbadigliò mentre camminava a fianco della volpe diretto verso casa.

“Sei stanco?” gli chiese dolcemente Rukawa facendogli scivolare un braccio intorno alla vita e attirandolo più vicino. Hanamichi poggiò una mano su quella dell’altro ragazzo con un sorriso solare. “Il Tensai non è mai stanco” sentenziò lasciandosi sfuggire però un’altro sbadiglio. “Siamo quasi arrivati” gli disse notando con soddisfazione un sopracciglio alzarsi sorpreso. “Veramente casa mia è a parecchi isolati da qui” Il volpino non rispose regalandogli tuttavia un sorriso malizioso che gli tolse il fiato. “Ka... Kaede?” balbettò Hanamichi senza capire mentre la sua nemesi si fermava dinanzi al cancello di una piccola villetta armeggiando con le chiavi. “Su entra” lo invitò Rukawa. Hanamichi varcò la soglia guardandosi attorno curioso. La porta si richiuse alle sue spalle e il volpino lo precedette in cucina muovendosi nella semi oscurità della casa con la tranquillità di chi conosce un determinato luogo nei minimi particolari. Accese la luce e aprì il frigorifero prendendone del succo di frutta che versò in due bicchieri. Hanamichi lo fissava dalla soglia della cucina ancora confuso. “E’ casa tua?” chiese ricevendo un “do’hao” appena sospirato da parte del ragazzo moro. “Certo che è casa mia” gli disse invitandolo a sedersi in salotto e porgendogli il bicchiere pieno di liquido fresco. Hanamichi lo prese titubante sorseggiandolo lentamente. Rukawa si sedette poco distante da lui sul divano lasciando il suo bicchiere sul piccolo tavolinetto di cristallo davanti a loro restando a fissare il Suo ragazzo. Hanamichi arrossì sotto quello sguardo avvolgente, la mano gli tremò e alcune gocce della bevanda scivolarono lungo il mento provocando l’inevitabile “Do’hao” da parte del ragazzo moro. “Se tu la smettessi di fissarmi così” borbottò Hanamichi arrossendo violentemente mentre allungava una mano per pulirsi il volto. Ma un’altra mano dalla pelle candida afferrò il suo polso allontanandola prima che giungesse al viso. “Così come?” gli sussurrò dolcemente chinando il volto per avvicinarsi a lui e fissarlo negli occhi. Hanamichi trattenne il fiato quando sentì il respiro caldo dell’altro scivolargli sulle guance. Si sentiva improvvisamente le labbra secche. Ci fece passare sopra la lingua socchiudendole in un gesto inconsapevolmente sensuale che attirò l’attenzione dei due zaffiri fissi su di lui. “Mi rendi le cose difficili sai?” mormorò Rukawa facendogli scivolare una mano tra le morbide ciocche rosse attirandolo a se prima di chinare il volto su di lui. Hanamichi rimase immobile ma a differenza di quello che si era aspettato il volpino non lo baciò. Poggio le labbra poco più sotto la sua bocca accarezzandogli il mento con baci delicati mentre con la lingua raccoglieva le gocce di succo che gli erano scivolate sul volto, ne seguì il tracciato lentamente allungando le mani per stringere a se il ragazzo dai capelli rossi. Rukawa gli sfilò il bicchiere dalle mani poggiandolo sul pavimento. Una volta libere le braccia di Hanamichi circondarono la vita del numero undici dello Shohoku stringendosi a lui. Rukawa scivolò con la bocca lungo il collo e la gola risalendo poi per prendere tra le labbra il lobo dell’orecchio. “Hana..” lo chiamò dolcemente soffiandogli sulla pelle calda bagnata dalle sue attenzioni. Hanamichi rabbrividì lasciandosi sfuggire un gemito. Kaede si staccò da lui appoggiando la propria fronte alla sua per fissarlo negli occhi.  Non avrebbe commesso di nuovo l’errore di lasciar prendere il sopravvento al desiderio. “Mi dispiace” gli sussurrò dolcemente allontanando il volto dal suo e accarezzandogli con dolcezza una guancia. Hanamichi lo fissò confuso. “Per quello che ti ho detto in palestra Hana, non lo pensavo davvero, non ti ho mai considerato un giocattolo” Hanamichi gli sorrise dolcemente. “Lo so” mormorò affondando il capo nella sua spalla. Se n’era accorto durante quel mese in ospedale. Il cambiamento in Rukawa era stato sconvolgente. Ogni volta che si voltava da qualche parte se lo ritrovava accanto. Silenzioso come sempre ma con mille piccole attenzioni nei suoi confronti. Quando aveva scoperto che Hanamichi amava le margherite aveva riempito la sua stanza di ogni tipo, specie e colore di quel fiore. Gli aveva portato un lettore cd portatile e una collezione di dischi da far invidia a un megastore. Finiti gli allenamenti lo andava sempre a trovare e spesso si fermava oltre l’orario di visita, le infermiere chiudevano sempre un occhio per quello splendido ragazzo dalla pelle alabastrina. Anzi aspettavano le visite del volpino quasi con la stessa ansia con cui le spettava lui. A volte veniva accompagnato da Mistui e dagli altri ragazzi della squadra, da loro aveva saputo che gli studenti dello Shohoku erano stati divisi tra le varie scuole di Kanagawa. Loro si erano trasferiti in blocco al Ryonan dato che era la scuola più vicina aveva specificato un po’ troppo in fretta Mistui facendo sorridere leggermente il volpino. Kaede lo strinse dolcemente a se riportandolo al presente. Uno splendido presente. “C’è una cosa che devo dirti” mormorò allontanandolo dolcemente  da se senza tuttavia liberarlo dal suo abbraccio. Hanamichi trattenne il fiato aspettando mentre mille preoccupazioni si disegnavano sul suo volto, mille dubbi che l’avevano attanagliato di tanto in tanto in quel mese. E se quella di Rukawa era solo pietà? O senso di colpa? Ma come era avvenuto anche in ospedale Rukawa gli sorrise, un sorriso dolcissimo che gli illuminò lo sguardo azzurro sciogliendo le sue paure. In quello sguardo non c’era menzogna.

“Ti amo do’hao”

“Anch’io ti amo baka kistune”

 

Mi muovo tra le lenzuola rannicchiandomi contro di lui. Il volpino mi cinge la vita con un braccio posandomi un bacio sulla fronte con dolcezza. “Buon pomeriggio” mi sussurra dolcemente all’orecchio facendomi arrossire. Lancio un’occhiata all’orologio, sono le quattro. Ho dormito davvero tantissimo. La colpa però non è mia, è lui che mi ha tenuto sveglio stanotte. La bocca del volpino si posa delicatamente su uno zigomo per scivolare poi sulle labbra. Allaccio le braccia attorno al suo collo rispondendo al bacio con passione. Ben presto mi ritrovo con il corpo del volpino sul mio. Siamo ancora nudi e il contatto con la sua pelle mi toglie il fiato. Scivola verso il basso con la bocca accarezzandomi il petto con la lingua. Mi sfugge inevitabile un gemito e inarco la schiena sotto di lui. Sussulto quando sento la sua bocca scivolare tra le mie gambe. “Ka... Kaed..” il resto del suo nome si perde in un grido quando mi avvolge con la bocca. Artiglio le lenzuola mentre la volpe comincia ad andare su e giù con lentezza esasperante. Una delle sue mani sale ad incontrare la mia intrecciando le sue dita alle mie. Amo questo suo modo di fare l’amore. Mi piace il fatto che mi cerchi che mi coccoli anche mentre mi fa impazzire di piacere. E non mi accorgo che lo sto supplicando finchè lui non si stacca da me per baciarmi le labbra con le sue “Fai un sacco di rumore” mi mormora con un sorriso malizioso così caldo che basterebbe solo quello per farmi venire se non fosse che la sua mano che scivola sulla mia schiena e lentamente inesorabilmente verso il basso mi strappa una violenta ondata di piacere che mi spinge a chiudere gli occhi precludendomi la splendida visone degli occhi del mio amante carichi di passione. Accarezza con delicatezza le cicatrici che mi ha lasciato il fuoco. La prima volta che le ha viste è impallidito. Avevo sempre tenuto la schiena fasciata ma ieri sera quando mi ha spogliato non c’erano garze a nasconderle. Le accarezza come ha fatto ieri sera con dolcezza quasi con riverenza segno indelebile dell’amore che gli porto. Ansimo quando infila le dita dentro di me. Mi inarco offrendogli il mio corpo, la mia anima e il mio cuore. E dolcemente lui mi prende infilandosi piano dentro di me e strappandomi un gemito di dolore. Mi bacia infilando una mano tra i nostri corpi per finire quello che la sua bocca aveva iniziato e il mondo scivola via. Resta solo questo calore che ci avvolge, il suo corpo dentro il mio, il suo respiro affannoso che mi accarezza l’orecchio chiamando il mio nome. E io chiamo il suo mentre vengo con lui.

 

fine....

 

 

Scleri dell'autrice (Non riesco a farla stare zitta... nd.Pippis) 

 

Fineeeeeeeeeeee.

 

Naika si guarda attono.

N: Yu-huuuu c’è qualcuno? Oh, siete tutti morti di diabete?

H: ¬_¬

R: ¬_¬

S: ¬_¬

M: ¬_¬

N: Vabbè ho capito mi ritiro ç_ç

 

 

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