Catene 6                                                                    Back to FanFic  Back to Home

Il portello di vetro infrangibile si chiuse con uno scatto secco rischiando di tranciare le dita della guardia, che per prima era riuscita a raggiungere la piccola navicella e si era allungata per afferrare il rossino.

Hanamichi vide l’uomo imprecare ed estrarre dallo stivale una specie di piccolo manganello.

Doveva fare presto.

Trovò il pulsante di accensione e cominciò a sollevare le leve mentre il rombo delle turbine che prendevano a girare facevano tremare lo stretto abitacolo.

Prese con entrambe le mani la cloche e la tirò con forza verso di se.

Con una brusca impennata la navicella si drizzò mandando Hanamichi a sbattere contro il sedile e facendo cadere le guardie che si erano arrampicate sulle ali del mezzo.

“Merda!” sbottò il rossino cercando d’indirizzare la navicella.

La capsula roteò velocemente su se stessa schizzando in avanti per poi stopparsi bruscamente, inclinandosi verso il basso, raddrizzarsi con un singulto per rotolare nuovamente di lato, nell’aria piena del ronzio furioso dei motori privi di controllo.

Hanamichi cercò di trattenere la cloche che gli schizzava tra le mani, dotata di vita propria, mentre la capsula si ribaltava nuovamente, compiendo una serie di folli acrobazie nell’ampio hangar, rischiando più volte di colpire le pareti, staccando con violenza un deflettore ad una delle ammiraglie quando passò troppo vicina al suo fianco.

Hanamichi strinse le ginocchia introno alla cloche e l’afferrò con entrambe le mani riuscendo a bloccarla, sorrise soddisfatto alzando il volto per fissare davanti a se.

L’immagine che il monitor gli mostrò tuttavia ebbe il potere di gelargli il sangue nelle vene.

 

Il portale contro cui stava sfrecciando era chiuso.

 

 

Rukawa osservava la scena dall’enorme monitor della sala controlli.

Quel do’hao dimostrava una testardaggine e una determinazione encomiabili se non fossero tutte volte a fuggire da lui!

Imprecò quando il ragazzo riuscì ad accendere i motori del piccolo shuttle ma venne totalmente preso dal panico quando si rese conto di una cosa.

 

Hanamichi non sapeva guidare l’astronave.

 

La rabbia per il suo tentativo di fuga venne bruscamente sostituita dalla preoccupazione.

 

Quel pazzo stava rischiando la vita!

 

Quasi a dar conferma ai suoi pensieri la navicella si impennò violentemente partendo a razzo verso il portale d’uscita.

 

Portale che era chiuso.

 

“Aprilo!” ordinò Rukawa con voce tesa.

“Cosa?” chiese Koshino voltandosi verso il suo signore.

“Apri il portale!!” tuonò cupo Rukawa.

Koshino lo fissò incredulo.

L’imperatore era pallido e aveva gli occhi ridotti in due fessure scure.

Ma gli stava davvero ordinando di lasciar fuggire il suo schiavo??

“Si schianterà, maledizione!! Apri quel ca**o di portale!” gli gridò contro Rukawa facendolo sobbalzare mentre sull’enorme schermo alle loro spalle la navetta sfrecciava a velocità incontrollata contro i massicci cancelli chiusi.

 

 

Hanamichi non aveva mai pregato in vita sua.

In realtà non credeva che esistesse una qualche entità superiore che si prendeva cura di loro.

Sin troppo presto aveva imparato che poteva fare affidamento solo su se stesso.

Tuttavia in quel momento in cui, non gli restava niente da perdere o da guadagnare, mentre quel muro di metallo diventava sempre più vicino e, con esso, la sua condanna, il rossino chiuse gli occhi è supplicò una qualsiasi creatura terrena od ultraterrena affinchè la sua vita non dovesse spegnersi in un simile modo.

Dietro le palpebre chiuse un’immagine nitida scintillò nel buio.

Due occhi blu in un volto candido.

Labbra sottili.

Mani pallide.

 

Rukawa.

 

Aveva ragione Akira.

C’erano diverse forme di catene.

E quelle che il volpino gli aveva messo non potevano essere tolte, perchè stringevano direttamente il suo cuore.

 

Un basso, pesante, clangore metallico gli fece spalancare gli occhi incredulo.

 

Il portale si stava aprendo.

 

Ce l’avrebbe fatta!

Non fece in tempo a pensarlo che la navicella sfrecciò tra le due enormi ante socchiuse.

Non potè gioirne.

 

L’apertura era troppo piccola.

 

La navicella perse entrambi i reattori laterali che esplosero contro il portale mentre il corpo del veicolo ormai privo delle sue ali sfrecciava come un proiettile di fuoco mantenendo per inerzia una traiettoria diritta per alcuni minuti prima di precipitare con un fischio verso il basso.

 

 

Rukawa aveva osservato il portale aprirsi millimetro dopo millimetro con lentezza esasperante mentre il piccolo cubicolo metallico che conteneva l’unica cosa a cui teneva veramente si avvicinava fin troppo velocemente al suo obbiettivo.

Vide il corpo della capsula sfrecciare tra le due grandi lastre metalliche ma non ebbe tempo di trarre un sospiro di sollievo.

L’esplosione dei motori riempì per un momento la sala di controllo mentre tutti i monitor riportavano la stessa immagine.

Fiamme scarlatte che gridavano la loro rabbia ruggendo le une sulle altre, disegnando riverberi rossi sul volto sempre più pallido del volpino.

Non poteva...

Non doveva essere....

Sentì distintamente il suo cuore accelerare paurosamente il battito mentre il respiro gli si bloccava dolorosamente in gola.

Poi la telecamera che dava sull’esterno gli permise di prendere un momentaneo sospiro di sollievo quando le fiamme si aprirono per lasciarne schizzare fuori la capsula, ancora intera.

“Organizza una squadra di recupero presto!” ordinò secco al suo subordinato, uscendo di corsa dalla sala di controllo, mentre alle sue spalle, sull’enorme monitor, la telecamera continuava a riprendere la navicella che si schiantava al suolo, strisciando sul ventre rotondo, sollevando terra, erba e fiori, fino a porre termine alla sua corsa accartocciandosi contro un gruppo di alberi.

 

I fuoristrada inchiodarono bruscamente accanto alla carcassa fumante.

Rukawa ne scese con un balzo avvicinandosi alla navicella ma Uozumi si frappose tra essa e il suo signore.

“State indietro potrebbe esplodere da un momento all’altro” mormorò indicandogli una pozza scura di carburante che andava allargandosi sulle zolle d’erba divelte dalla caduta dell’astronave.

“Tiriamolo fuori di lì!!” ringhiò gelido al capitano delle sue guardie che annuì dando disposizioni precise a i suoi collaboratori.

Portarono delle seghe elettriche per aprire un varco nella parete della navicella ma nel momento stesso in cui il primo degli uomini accostava la lama alla carrozzeria l’attrito tra i due metalli provocò una cascata di scintille che schizzarono ovunque avvicinandosi pericolosamente alla benzina.

“Dobbiamo trovare un’altro modo” mormorò Rukawa cercando di mantenere il sangue freddo.

Hanamichi era all’interno della capsula in chissà quali condizioni e lui non poteva fare niente!!

“Proviamo a forzare il portello” disse serafico.

La guardia lo fissò preoccupato “Ma signore così dovremo calarci all’interno dell’abitacolo per recuperare il corpo”

Per poco non sussultò a quelle parole.

Che significava: recuperare il corpo???

Hanamichi non poteva essere morto.

Non doveva esserlo!

“Mi calerò io! E ora aprite quel dannato portello!” tuonò con uno sguardo tale che, nemmeno l’enorme capitano delle guardie, ebbe il coraggio di contraddirlo.

Ci vollero diversi minuti perchè riuscissero a scardinare l’entrata dello shuttle, dato che la porticina, come d’altronde tutto il veivolo si era accartocciata come fosse stata fatta di carta.

Durante quell’interminabile lasso di tempo Rukawa continuava a passare lo sguardo dagli uomini al lavoro, alla benzina, che, altri, tentavano in vano di asciugare per impedirle di prendere fuoco.

Sapeva bene quanto fosse precaria la situazione.

Bastava una scintilla, un minuscolo corto circuito all’interno del motore che l’intera capsula sarebbe saltata per aria portandosi con se la vita del suo compagno e il suo cuore.

Con un tonfo il portello venne gettato di lato e senza aspettare un solo minuto Rukawa si calò agilmente al suo interno.

L’abitacolo del pilota era per metà incassato verso l’interno ma fortunatamente non aveva schiacciato il rossino.

“Hanamichi” lo chiamò piano sfiorandogli delicatamente il volto.

Un piccolo rivolo di sangue gli scivolava lungo la fronte mescolandosi ai suoi capelli carminio.

Il rossino non diede segno di averlo sentito e Rukawa con molta cautela cominciò la difficile operazione di liberarlo delle cinture che tenevano il pilota ancorato al sedile e che gli avevano impedito di rimanere ucciso nell’impatto.

“Mio signore fate presto!” gli giunse la voce allarmata di Uozumi dall’esterno.

Rukawa tese l’orecchio e avvertì lo stesso suono che aveva preoccupato la sua guardia.

Lo sfrigolio elettrico di un cavo scoperto.

“Hana forza svegliati!!” tuonò scuotendo il rossino mentre lo liberava dell’ultima cintura cominciando a tirarlo per le braccia per portarlo fuori.

Il ragazzo mugolò per il dolore socchiudendo le palpebre.

“Maestà lasciatelo lì non farete in tempo!!! Uscite!!!” tuonò Uozumi.

Rukawa scosse il capo issandosi il ragazzo sulle spalle come meglio poteva.

“Mai!” ringhio per lo sforzo e per la rabbia.

In che razza di situazione si era andato a cacciare quel do’hao!

Quando sarebbe stato meglio gliel’avrebbe fatta pagare cara!

Eccome!!!

Pensava, mentre cercava di districarsi tra le lamiere contorte verso il portello che li avrebbe condotti alla salvezza.

Sollevò Hanamichi in modo che Uozumi lo potesse prendere e poi fece per issarsi fuori a sua volta.

 

In quel momento la benzina prese fuoco e l’astronave esplose.

 

 

Hanamichi mugolò socchiudendo le palpebre lentamente.

La testa gli faceva un male pazzesco e la luce sebbene tenue, gli feriva la vista.

Qualcosa di caldo, accoccolato accanto a lui si mosse e con un’enorme sforzo il rossino volse il capo cercando di identificarne la forme.

Una macchiolina più scura tra le lenzuola candide attirò la sua attenzione prima che questa si sgomitolasse rivelando due orecchie e una coda scodinzolante.

“Babele” sussurrò con voce che fece fatica egli stesso a riconoscere mentre il cagnolino si alzava sulle zampine e abbaiava gioioso.

Hanamichi emise un basso lamento di dolore quando quel suono gli trapassò il cranio e, intuendolo, il cucciolo uggiolò e gli si avvicinò con attenzione posandogli una lappatina sulla mano fasciata, a mo’ di scusa.

Il rossino sollevò la mano che il cucciolo gli aveva leccato, accorgendosi solo allora delle garze che la fasciavano mentre, lentamente, prendeva coscienza dei piccoli dolori che costellavano il suo corpo disteso.

Ricordava a malapena il suo, eufemisticamente parlando, atterraggio.

Doveva aver sbattuto la testa da qualche parte.

Tuttavia la presenza di Babele al suo fianco era il segno lampante del fatto che la sua fuga fosse miseramente fallita.

Si guardò attorno cercando di riconoscere la stanza ma si rese ben presto conto che quella non era la camera in cui aveva trascorso la sua prigionia.

A differenza della sua, quella, era ancora più grande, il letto a baldacchino avrebbe potuto ospitare tranquillamente quattro persone, l’armadio poco distante era tanto alto che probabilmente per raggiungere i capi più alti sarebbe servito un elevatore.

Su una sedia poco lontano posava una vestaglia di seta, blu scuro.

La riconobbe subito come quella che il volpino aveva indossato quella prima notte per andare da lui.

Dunque quella era la SUA stanza?

Quel pensiero gliene portò un’altro.

 

Dov’era Rukawa?

 

“Maestà lasciatelo lì non farete in tempo!! Uscite!!!”

 

Le parole di Uozumi.

D’un tratto il panico gli serpeggiò nelle vene.

Ricordava la voce del volpino, bassa, furiosa ma decisa che ringhiava un “Mai!” sibilato tra i denti.

Ricordava che nonostante tutto Rukawa se lo era caricato sulle spalle.

Aveva rischiato la vita per issarlo fuori dell’astronave, nonostante l’avvertimento di Uozumi.

E poi...

Poi ricordava che il capitano delle guardie lo issava fuori.

E poi...

Poi...

 

Hanamichi balzò a sedere sul letto con gli occhi sgranati.

L’esplosione!

L’astronave era esplosa!

Ma Rukawa.... aveva fatto in tempo ad uscirne???

 

“E se fosse...” non riuscì nemmeno a terminare la frase.

Le parole gli si soffocarono in gola insieme al respiro.

Non poteva essere morto.

 

Lui era solo uno schiavo.

Un giocattolo.

 

Non si muore per salvare uno schiavo!!

 

Il ronzio della porta attirò al sua attenzione riscuotendolo da quei cupi pensieri.

 

Silenzioso come una pantera, la stessa luce fiera e magnifica negli occhi blu, Rukawa fece il suo ingresso nella stanza, avvicinandosi al letto.

Hanamichi lo fissò in silenzio, incredulo.

Vivo.

Era vivo!!!

Cercò di recuperare il suo sangue freddo.

Sentiva l’impulso irresistibile di buttargli le braccia al collo e abbracciarlo.

Ma non poteva.

Non doveva dimenticare quello che il volpino gli aveva fatto.

Gli porse uno sguardo di fuoco sperando di riuscire a dimostrargli tutta la rabbia che provava nei suoi confronti.

In verità non ne provava affatto, era troppo sollevato di vederlo inerme.

Eppure la malefica vocina che l’aveva spinto alla fuga era ancora lì.

Ma non riusciva ad odiarlo come lei gli ordinava di fare.

Eppure era lui il colpevole!!

Colpevole del suo dolore.

Della sua umiliazione.

Del suo cuore a pezzi.

 

Perchè?” chiese gelido il volpino senza aggiungere nient’altro a quelle sei lettere di domanda e d’accusa.

 

Ma Hanamichi non aveva bisogno di spiegazioni.

“Perchè?” gli rispose con ironia e rabbia a malapena sminuite dal suo tono stanco.

 

Non era riuscito a sfuggirgli.

Non riusciva ad odiarlo.

Nel momento in cui credeva davvero di mettere fine ai suoi giorni non aveva potuto che pensare a lui.

A quella loro unica notte d’amore.

 

E ora lui voleva sapere perchè...

 

Perchè era fuggito.

Perchè ritrovandosi solo dopo aver toccato la felicità si era sentito morire e aveva desiderato andarsene.

Era così difficile da capire?

Senza nemmeno rendersene conto aveva porto a Rukawa il pugnale e il volpino non aveva esitato ad affondarlo nel suo cuore.

 

“Perchè non sono un giocattolo...” sussurrò ad occhi chiusi.

Non voleva vedere il suo volto.

Non voleva vedere la luce soddisfatta che gli avrebbe attraversato lo sguardo al termine della sua confessione.

Sì, perchè avrebbe confessato.

Non aveva più senso nasconderlo.

Anche volendo probabilmente non ci sarebbe riuscito.

 

“Perchè avevo un orgoglio e una volontà...” mormorò.

 

Gli avrebbe concesso anche l’ultima arma per distruggerlo.

Sapeva di non avere scampo.

Avrebbe dovuto passare il resto dei suoi giorni ad amare quell’uomo che l’avrebbe usato per poche ore di piacere.

Avrebbe dovuto rattoppare il suo cuore tutte le notti che invece di scegliere lui, Rukawa sarebbe andato da Akira o da Ayako.

 

“Perchè...” la sua voce s’incrinò ed egli si maledisse.

 

Una lacrima scivolò lungo la sua guancia ed Hanamichi la lasciò andare, comunque incapace di trattenerla.

A che scopo poi?

Quell’uomo l’aveva già umiliato in mille modi.

Aveva violato il suo corpo.

Strappato il suo orgoglio.

Preso il suo cuore.

 

“Perchè...” ripetè con un filo di voce.

                                                                                    “... ti amo

 

Due parole mormorate così piano da essere soltanto un alito leggero, a malapena più forti del piccolo singhiozzo che gli strappò il respiro nel pronunciarle.

La sua condanna.

L’amore.

Quel sentimento magnifico che i poeti decantavano, che le ragazzine sospiravano, che doveva dare la forza di andare avanti nonostante tutto, di sorridere davanti a qualsiasi cosa...

 

L’amore... era il pugnale piantato nel suo petto.

 

Quel pugnale che ad ogni respiro gli tagliava i polmoni soffocandolo con il dolore delle lacrime in cui avrebbe voluto affogare.

 

 

Do’hao...

 

Hanamichi strinse la mascella senza aprire gli occhi.

Che altro poteva aspettarsi da lui?

Idiota.

Come dargli torto?

Solo un idiota si sarebbe innamorato dell’uomo che lo stava uccidendo.

 

Avvertì la protesta leggera del materasso quando il volpino gli si sedette accanto.

Il fruscio delle lenzuola quando egli si chinò su di lui.

La leggera carezza del suo respiro quando il volpino portò il viso a pochi centimetri dal suo.

E infine il tocco delicato di quella lingua calda che scivolava a raccogliere la piccola lacrima, immobile sulla pelle dorata, a testimone del dolore e della sincerità della confessione del rossino.

“Apri gli occhi Hana” gli sussurrò dolcemente Rukawa sollevando una mano per passargliela cautamente tra i capelli scarlatti.

Lentamente le palpebre del rossino fremettero, socchiudendosi, mentre il ragazzo si mordeva le labbra per cercare di trattenere l’assurda emozione che il sentir pronunciare con tanta dolcezza il suo nome, da quelle labbra, gli aveva dato.

Il volto di Rukawa era a pochi centimetri dal suo, gli occhi blu lucenti come mai glieli aveva visti.

Un sorriso, leggero, dolcissimo, gli incurvava le labbra perfette rilassando i suoi lineamenti.

“Ti amo anch’io, baka” gli sussurrò piano l’imperatore senza lasciare il suo sguardo.

Senza permettergli di lasciarlo.

Hanamichi spalancò gli occhi nell’osservare quei pozzi blu, nell’udire quelle parole.

Non stava mentendo.

Non stava mentendo!!

“Tu...” sussurrò ancora incapace di credere a quanto aveva sentito.

“Credevo di avertelo dimostrato l’altra notte” sussurrò Rukawa  tracciando la linea di uno zigomo con delicatezza, beandosi del rossore che soffuse le guance del ragazzo.

“Non c’eri...” mormorò Hanamichi piano e Kaede annuì sapendo a cosa si riferiva.

“Ho ricevuto una chiamata urgente dal segretario ai viaggi intercoloniali...” mormorò.

Si stava giustificando notò tra se e se, sorpreso.

Lui non si era MAI giustificando davanti a nessuno.

Scosse mentalmente il capo ricacciando il moto d’orgoglio che gli aveva suggerito di non mostrarsi ‘debole’ di fronte al suo schiavo mentre le immagini della navicella in fiamme tornavano prepotenti a illuminargli la mente.

Aveva rischiato di perderlo.

Ricordava fin troppo chiaramente il terrore che aveva provato quando Uozumi gli aveva detto di lasciarlo lì, che non c’era tempo.

Non l’aveva ascoltato, non poteva ascoltarlo.

L’aveva trascinato fino al portello.

L’aveva consegnato a Uozumi e poi l’esplosione l’aveva scagliato lontano, sull’erba, miracolosamente illeso.

E nonostante avesse appena rischiato di saltare per aria il suo primo pensiero era stato alzarsi e andare a controllare come stava lui.

In quel momento aveva avuto l’ultima conferma.

Lui, che si reputava estraneo, immune, a quel sentimento privo di ragione si era lasciato catturare da esso.

“La... la porta...” mormorò il rossino dando voce all’ultimo dei suoi dubbi, distogliendolo dai suoi pensieri.

Rukawa gli sorrise ancora e Hanamichi si sentì perduto.

“Volevo dimostrarti che mi fidavo di te” mormorò piano il volpino.

Sakuragi chiuse gli occhi lasciando andare un lento sospiro.

Aveva dato ascolto alla voce sbagliata.

Sollevò lentamente le palpebre, fissando il suo padrone “Io credevo che...” mormorò.

E il volpino scosse il capo “Immagino che cosa credeva un do’hao come te...” sussurrò piano.

“Hey!” protestò il ragazzo con sguardo contrariato prima, tuttavia, che il suo volto si distendesse.

Di fronte agli occhi di Rukawa le labbra del rossino si tesero in un luminoso, candido, sorriso di gioia.

Un sorriso per lui.

Quel sorriso.

Rukawa si chinò e lo baciò con dolcezza.

Ormai c’era poco che potesse fare.

 

Il suo schiavo l’aveva messo in catene.

 

fine......                                                                                            

 

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