Catene 3                                                                Back to FanFic  Back to Home

Hanamichi era nervoso.

Molto nervoso.

Per un semplice fatto.

Non succedeva niente.

E lui odiava quella terribile, immota, attesa.

Nemmeno il rumore della pioggia  sembrava riuscire a calmarlo.

La pioggia.

Era la prima volta che la vedeva.

Un fenomeno affascinante e strano che sul suo pianeta non aveva mai avuto modo di conoscere.

Era rimasto a fissare quella miriade di goccioline che, la sera precedente, l’avevano coccolato con il loro ritmico tamburellio mentre lui si rigirava tra le coperte, le palpebre troppo pesanti perchè riuscisse a tenerle sollevate ma la mente troppo occupata a immaginare quello che Rukawa avrebbe potuto fargli se l’avesse trovato addormentato per poter concedersi al sonno.

Quella notte era stata un incubo.

Ogni volta che si muoveva avvertita il piccolo suono leggero delle molle del letto e non poteva che ritornare con la mente ai momenti in cui quelle molle cigolavano davvero sotto le spinte dell’amplesso a cui Rukawa l’aveva costretto.

Ogni volta che sentiva un rumore tutti i suoi muscoli si tendevano pronti alla lotta aspettandosi di vederlo comparire tra le ombre che avviluppavano la stanza quasi fosse un fantasma o uno spirito maligno.

Aveva dormito malamente, a tratti, svegliandosi di soprassalto con il batticuore per la paura... ma non solo.

C’erano state un paio di volte in cui...

Frammenti di sogno e spezzoni di ricordi sconvolsero la sua mente straripando dalle barriere dietro le quali Hanamichi le aveva imprigionate.

 

Mani candide che accarezzavano.

Labbra rosse che sussurravano.

Occhi blu che sondavano.

 

Scosse il capo con forza passando le dita sulle tempie doloranti.

Non voleva pensarci.

Il suo carceriere invece non si era fatto vedere e alla fine, cullato dal canto della pioggia, era scivolato in un sonno esausto.

La brezza leggera l’aveva svegliato con la sua carezza gentile e il suo profumo di erba bagnata.

Si era stiracchiato sentendosi meno indolenzito ma ugualmente stanco quanto il giorno precedente.

Certo il fatto che non avesse praticamente chiuso occhio non l’aveva aiutato.

Sussultò quando lo sguardo gli cadde sul tavolino alla destra del letto.

Su di esso c’era un vassoio carico di cibarie.

Dunque qualcuno era entrato mentre dormiva?

E lui non se n’era accorto?

Si maledì mentalmente mentre il suo stomaco gli ricordava che non mangiava da parecchio tempo.

Ponderò per un momento l’idea dello sciopero della fame ma l’odore invitante che cominciava a solleticargli il naso e l’idea che aveva bisogno di tutte le sue forze per evitare che quanto era accaduto si ripetesse, lo fecero desistere.

I suoi occhi si allargarono stupiti quando alzato il coperchio che copriva il vassoio notò l’enorme quantità di cibo che vi era disposta con cura.

Assaggiò con cautela una fetta biscottata ricoperta di qualcosa di un rosso intenso.

Non aveva mai visto dei cibi simili.

Sul suo pianeta il rancio era sempre lo stesso e aveva il mero scopo di riempire la pancia e restituire le forze, il gusto era una cosa assolutamente superficiale.

Non si aspettava dunque niente di più e i suoi occhi si allargarono increduli nel momento in cui la marmellata dolce gli si sciolse in gola.

Prese un’altra delle fette biscottate ricoperte questa volta da una salsa più densa e scura.

Mugolò chiudendo gli occhi.

Non aveva mai mangiato qualcosa di così buono.

Hanamichi assaggiò con entusiasmo, uno dopo l’altro, quei cibi deliziosi spazzolando letteralmente il contenuto del vassoio.

Solo quand’ebbe finito la sua vocina interiore, divenuta udibile ora che il suo stomaco non gorgogliava più così forte, gli fece notare che quel cibo gli era dato dalla stessa persona che l’aveva stancato tanto da renderlo così affamato.

Hanamichi arrossì a quel pensiero guardando il vassoio che ormai era vuoto.

Improvvisamente anche il sapore dolce lasciatogli dal the che aveva bevuto divenne amaro nella sua bocca.

Certo il suo ‘padrone’ non voleva che i suoi animaletti patissero la fame.

Quel pensiero gli fece scorrere una gran rabbia nelle vene.

Con un colpo della mano scaraventò lontano il vassoio.

L’oggetto rimbalzò un paio di volte sul tappeto mentre la tazza vuota s’infrangeva in mille pezzi sul tappeto scuro.

Hanamichi l’osservò per un momento prima di lasciare andare un lungo sospiro.

Scosse il capo avvicinandosi alla finestra.

Non aveva senso pensarci oramai.

Tuttavia la sua mente non potè fare a meno di tornare al giorno del suo arrivo.

A quel primo sguardo che aveva visto negli occhi blu del suo compratore quando aveva infine alzato il capo per guardarlo.

Allora la rabbia aveva offuscato tutte le sue sensazioni, ora che, invece, poteva ripensare a quel momento a mente relativamente fredda, s’impose di analizzare quel ricordo.

Cosa c’era in quegli occhi?

Si era sempre vantato di riuscire a leggere l’animo degli altri.

Aveva dovuto imparare a farlo sin da piccolo per distinguere gli amici dai potenziali nemici.

Però in quegli abissi blu... non era riuscito a leggere.

E poi il tocco delle sue mani quella prima volta sulla sua pelle.

Aveva parlato di lui come di un giocattolo.

Un oggetto.

Lo aveva esaminato come se si trattasse di un soprammobile.

Quelle dita erano scivolate sulla sua pelle per saggiarne la consistenza.

Come se fosse la cosa più normale del mondo.

Con indifferenza.

Con freddezza.

Con assoluta disinvoltura l’aveva toccato dove nessuno l’aveva mai nemmeno guardato.

Un lungo brivido di disprezzo, vergogna, rabbia... piacere.

Sì infondo la sua pelle aveva sfrigolato sotto quelle lunghe dita candide.

E tutto quello che aveva trovato da dire quel volpino era stato che gli sembrava che il prezzo fosse troppo alto!!!

“Quell’infame maledetto...” Hanamichi snocciolò una lunga sequela di insulti alla volta del moretto tirando un pugno contro la parete magnetica che lo separava dall’esterno.

Quelle mani bianche avevano poi violato il suo corpo.

Però...

Prima che il dolore annientasse il suo orgoglio e la sua volontà quelle dita candide gli avevano dato piacere.

Una sensazione intensa, violenta, rifuggita, che aveva squassato il suo corpo.

“Basta!” tuonò allontanandosi dalla finestra e cominciando a passeggiare nervosamente avanti e indietro.

Cominciava ad avere caldo.

Si fermò dianzi allo specchio e si sentì mancare.

Le sue guance erano arrossate.

I suoi occhi lucenti.

Era pensare a  lui che gli faceva quell’effetto?

“Tzè avrò la febbre!” sbottò portandosi una mano alla fronte.

In effetti era calda, la sua mente gli fece notare che TUTTO il suo corpo si era scaldato ma scacciò quel pensiero con rabbia.

Doveva trovare qualcosa da fare.

Qualcosa con cui impiegare il tempo per non impazzire!!

Lo sguardo gli cadde sul piccolo ricamo che sanciva la sua schiavitù.

Era proprio all’altezza del cuore.

“Mai!” tuonò rivolgendosi ai muri silenziosi.

“Mai...” si ripromise, appena un sussurro mormorato a voce alta, fissando la sua immagine riflessa nel grande specchio dinanzi a lui.

“... avrai anche posseduto il mio corpo ma non ti darò mai il mio cuore!” ringhio prima di strappare con forza la stoffa privandola delle due eleganti esse e della piccola volpe che, attorcigliata ad esse, lo fissava con i suoi occhi blu dal riflesso dello specchio.

 

Rukawa sollevò un sopracciglio scuro, osservando.

Comodamente seduto su un’ampia poltrona di pelle nera, i lineamenti perfetti illuminati solo dalla luce azzurrognola del grande monitor sottile quanto un foglio di carta, sospeso a mezz’aria dinanzi a lui, attraverso il quale poteva osservare ogni movimento della sua preda grazie alle minuscole telecamere sparse nella sua stanza.

Non riusciva ancora a capire perchè quel mattino invece di lavorare alla corrispondenza aveva abbassato gli scuri della finestra del suo studio e aveva attivato il teleschermo.

La sua regola principale era MAI lasciare che qualcosa interferisse con il suo lavoro.

Ma quel mattino aveva letteralmente ignorato gli incartamenti che avrebbe dovuto leggere e firmare per l’apertura di una nuova succursale nella galassia di Omahr.

D’altronde da quando l’aveva  visto per la prima volta quel ragazzo aveva sconvolto la routine della sua vita.

Si chiese per l’ennesima volta perchè.

Perchè lui aveva la capacità di farlo arrabbiare.

Perchè quel ragazzo aveva la capacità di fargli dimenticare tutti i suoi principi.

I suoi scrupoli.

Le sue regole.

Scostò una ciocca corvina mentre allungava  l’altra mano a prendere uno dei calici che erano posati sul vassoio accanto  a lui prima di tornare a fissare la stanza al di là del monitor e il suo ignaro attore.

La sua bocca si piegò in un mezzo sorriso.

Il rossino aveva spalancato le ante dell’armadio e ne stava traendo una dopo l’altra tutte le vesti provvedendo a strappare con rabbia le insegne della sua schiavitù mentre si lanciava in una lunga sequela di insulti contro di lui.

“Non ti servirà” sussurrò al giovane, consapevole tuttavia che l’altro non poteva sentirlo.

Corrugò la fronte a quella constatazione.

Ecco, l’aveva fatto di nuovo.

Lui che non sprecava mai una sillaba aveva mormorato ben tre parole che non sarebbero state udite da nessuno.

Non riusciva a capire.

 

Hanamichi lanciò uno sguardo alla stanza disfatta.

Aveva svuotato l’armadio spargendo abiti ovunque, sfogando così il suo nervosismo.

L’operazione aveva richiesto una notevole quantità di tempo dato l’alto numero di capi di vestiario contenuti nell’armadio eppure non era servito a calmarlo.

Lanciò un’occhiata nervosa all’orologio.

Più il tempo passava più era probabile che lui tornasse.

E con lui il tocco delle sue mani e quegli occhi scuri.

Che cosa avrebbe fatto?

“Ti farò vedere con chi hai a che fare volpino!” sbottò ma la sua voce suonò un po’ falsa alle sue stesse orecchie.

Per quanto non volesse ammetterlo sapeva che se lui l’avesse toccato di nuovo...

Bhe probabilmente lo avrebbe picchiato, lo avrebbe insultato ma alla fine avrebbe ceduto.

E la vergogna lo torturava nel sapere che avrebbe provato piacere nel farlo.

Nel farsi possedere da lui.

Prese un cuscino lanciandolo attraverso la stanza con rabbia.

“Ti odio, ti odio, ti odio!” tuonò prima di lasciarsi cadere sul letto con un sospiro.

 

Rukawa allungò una mano attivando l’interfono.

“Sì signore?” chiese la voce conosciuta di Ayako dall’altra parte del comunicatore.

“Portaglielo” sussurrò Rukawa chiudendo la comunicazione senza attendere la risposta che comunque sapeva non sarebbe venuta.

Tornò a fissare la stanza e il suo abitante disordinatamente gettato sul letto.

Le ciocche rosse arruffate gli accarezzavano la fronte dorata e gli zigomi appuntiti.

Gli occhi nocciola improvvisamente turbati.

Si chiese a che cosa stesse pensando.

“Perchè” mormorò “perchè mi interessi tanto?” chiese al giovane che la telecamera gli inquadrava.

Certo era bello e in lui c’era un fuoco affascinante e allo stesso tempo un’ingenuità disarmante.

Quella mattina quando lo aveva visto assaggiare quei cibi così nuovi per lui non aveva potuto fare a meno di sorridere nel silenzio ovattato del suo studio nel vedere la delizia con cui aveva scoperto il cioccolato.

Il sorriso gli si era bruscamente spento però quando il ragazzo aveva passato la lingua sulle labbra sporche del dolce emettendo un mugolio di delizia.

Possibile che quella creatura avesse la capacità di eccitarlo anche con un gesto così semplice?

Per un momento aveva seriamente ponderato di alzarsi e di andarlo a prendere di nuovo.

Ma si era fermato.

Egli stesso si era sorpreso nel rendersi conto che sì, lui, Kaede Rukawa, si era fermato.

Aveva anteposto i desideri di un’altra persona ai suoi.

Invece di prendere ciò per cui aveva pagato.

Invece di far valere i suoi diritti.

Si era fermato dinanzi alla porta del suo studio.

La mano già sulla maniglia.

Nei suoi occhi quell’immagine.

E quella voce spezzata dal dolore e dall’umiliazione.

“Vattene...  ti prego... vattene.”

L’aveva fatto pregare.

L’aveva domato.

Avrebbe dovuto esserne fiero.

Eppure provava solo un profondo disagio.

Per l’ennesima volta Rukawa fissò quel giovane che esternava il suo odio per lui con convinzione e un notevole contorno di rumore e oggetti in pezzi e si chiese che cosa volesse da lui.

Il suo corpo l’aveva avuto.

Ma non gli bastava.

Il suo orgoglio l’aveva spezzato.

Ma non ne era soddisfatto.

“Che cosa?” sussurrò.

“Che cosa voglio da te?” si chiese fissando il suo prigioniero prima di allungare la mano e premere un piccolo tasto verde sulla console accanto alla sua poltrona.

 

“Quel bastardo figlio di cane” sbottò rabbioso Hanamichi.

Non voleva certo rivedere Rukawa ma le ore passavano e l’ansia lo stava uccidendo.

Lui era una persona d’azione.

Non era abituato a stare seduto a riflettere.

Aveva bisogno di muoversi, di parlare, di menare le mani se necessario e  il fatto che il fulcro di tutta la sua rabbia non si facesse vedere rimandando così il momento in cui avrebbe potuto dar libero sfogo a tutto il suo risentimento lo stava letteralmente mandando in bestia.

Ma quando l’avrebbe avuto sotto le mani gli avrebbe dimostrato lui chi era!

Si ripromise ripercorrendo con la mente tutti i pugni che gli avrebbe dato.

Tutto quello che gli avrebbe detto una volta che l’avesse rivisto.

“Ma insomma dove cazzo sei!!” tuonò furioso scagliando un’altro cuscino attraverso la stanza.

Non era più legato e si sarebbe difeso!

Però non poteva fare niente se lui non tornava!!

Un ronzio strano lo fece scattare in piedi.

Il cuscino che aveva lanciato volò oltre il limite del letto per alcuni centimetri prima di sbattere contro una barriera invisibile e cadere a terra.

Hanamichi balzò in piedi sorpreso dirigendosi nel punto dove era caduto.

Tuttavia non ebbe modo di muovere pochi passi che si scontrò contro un’invisibile parete magnetica.

Vi passò sopra le mani stupito notando che la sua gabbia si era improvvisamente ridotta al poco spazio attorno al letto a baldacchino.

Si stava chiedendo il motivo di quella nuova diavoleria quando con un basso fruscio la porta della sua camera si aprì.

Hanamichi strinse i pugni e la mandibola pronto a mettere infine in atto i suoi propositi di vendetta, o almeno a provarci, ma rimase deluso nel constatare che sulla soglia non c’era la volpe ma la ragazza che l’aveva liberato dalle catene quel primo giorno.

Lui voleva la volpe!

Ayako si guardò attorno sollevando un sopracciglio spostando lo sguardo sugli abiti sparsi un po’ dovunque e Hanamichi si ritrovò ad arrossire imbarazzato.

Si maledì mentalmente dicendosi che lui aveva tutto il diritto di sfogarsi facendo a pezzi la stanza se voleva ma la sensazione di disagio non l’abbandonò anche se lei non commentò.

La ragazza spostò delle vesti gettate sopra la scrivania e vi pose una scatola di cartone rosso piuttosto ampia.

“Che cos’è?” si arrischiò a chiedere Hanamichi sulla difensiva.

“Un regalo” disse la moretta scuotendo le spalle.

Hanamichi divenne livido.

Un regalo?

Quel bastardo l’aveva violentato e ora aveva il coraggio di mandargli un regalo?

“Non accetterò niente da quel verme! Niente hai capito!”

La moretta scosse le spalle con indifferenza per niente impressionata dalle sue urla.

“Se non desideri tenerlo gettalo pure, io obbedisco agli ordini” disse tranquillamente ma con uno strano sorriso sul volto bellissimo.

Si diresse con passo elegante verso la porta prima di voltarsi nuovamente verso di lui che era rimasto con le mani appoggiate al campo magnetico che lo separava dal resto della stanza e dalla possibile via di fuga data dalla porta aperta.

“Suvvia pazienta ancora un po’ Rukawa dovrebbe tornare a giorni” mormorò con un sorriso di chi la sa lunga.

Hanamichi avvampò e stava per lanciarsi nella sua sequela d’insulti quando il significato di quelle parole si fece completamente largo nella sua mente.

Aveva detto ‘tornare’?

“Co... come tornare?” chiese troppo stupito per ricorrere agli insulti.

“E partito ieri per sistemare degli affari su una colonia” gli comunicò lei prima di uscire dalla stanza.

La porta si richiuse alle sue spalle con il solito fruscio e il campo magnetico a cui era appoggiato Hanamichi scomparve.

Il rossino tuttavia continuava a guardare la porta chiusa, incredulo.

Aveva passato ore d’inferno nel terrore che lui andasse a reclamare ciò per cui aveva pagato.

Nel desiderio di riaverlo davanti per sfogare su di lui tutta la sua umiliazione e al sua rabbia.

Voleva dirgli quello che pensava di lui.

Sputargli in faccia il suo disprezzo e il suo odio.

Aveva distrutto la stanza nel mero tentativo di sfogarsi, di dimostrargli, che da lui non accettava nulla e quel bastardo...

Quel bastardo non c’era!

Era partito!!

Non era nemmeno sullo stesso pianeta!!!

Hanamichi tirò un calciò al letto lasciandosi andare ad un grido che era più un ruggito tant’era la rabbia concentratavi.

“Bastardo!!!” tuonò furioso.

La scatola rossa attirò improvvisamente la sua attenzione.

Tutta la sua furia si catalizzò su quell’oggetto mentre la afferrava con entrambe le mani deciso a farne poltiglia.

Un regalo!

Dopo quello che gli aveva fatto osava fargli un regalo!

Gli avrebbe mostrato lui dove se lo poteva mettere!!

Strappò letteralmente via il coperchio artigliando il cartone con dita feroci pronto a disintegrare qualsiasi cosa ci fosse dentro la scatola ma si bloccò incredulo una volta che il coperchio cadde a terra.

 

Non se l’era aspettato.

Tutto ma non quello.

Possibile?

Possibile che Rukawa che non sapeva niente di lui, che l’aveva visto per così poco, l’avesse compreso così a fondo.

Che avesse letto nei suoi occhi la disperazione, la paura, il bisogno di un amico, di qualcuno con cui condividere la schiavitù in quella stanza.

E soprattutto...

Se davvero aveva capito...

...perchè?

 

Perchè gliel’aveva concesso?

 

Un paio di occhi scuri lo fissarono curiosi dall’interno della scatola.

Un cucciolo di cane.

Il pelo rosso scuro quasi quanto i suoi capelli, la coda, la punta delle zampine e delle orecchie bianche.

Una stella candida sulla fronte tra i due grandi occhi scuri che lo fissavano curiosi.

La bestiola dopo aver deciso che aveva atteso abbastanza che quell’umano facesse qualcosa prese l’iniziativa poggiando le zampine sulla parete di cartone, cominciando a scodinzolare forsennatamente, cercando di allungare il musetto verso di lui.

Hanamichi fissò immobile il cucciolo che non comprendendo il suo turbamento inclinò il capo di lato esaminandolo.

Un orecchio gli penzolò buffamente sulla testa mentre l’altra restava ritta e il cucciolo emetteva un guaito cercando di riscuotere quella strana creatura che lo guardava come fosse un alieno.

Lentamente Hanamichi depose la scatola sulla scrivania allontanandosene.

Non poteva accettare ciò che quel cucciolo rappresentava.

Rukawa non poteva essere già giunto così a fondo nella sua anima.

Non doveva!

Il botolo ancora in bilico contro la scatola, le zampine bianche appoggiate al bordo di cartone lo fissò deluso nel vedere che il suo gioioso scodinzolio non era stato ripagato con le coccole che desiderava, emettendo un guaito dispiaciuto.

Provò nuovamente a muovere la coda incoraggiante ma l’umano sembrava non volerlo prendere in braccio.

La coda gli si abbassò lentamente mentre il cucciolo si sedeva sulle zampe anteriori, il musetto appoggiato al bordo rosso, gli occhi scuri che fissavano tristi quelli del suo nuovo padrone che, evidentemente, non voleva giocare con lui.

Hanamichi vide lo sguardo addolorato della bestiola ma non riusciva a muoversi.

Era deciso a dare una dimostrazione a Rukawa.

Si sarebbe disfatto del suo regalo.

Così aveva deciso.

L’avrebbe fatto a pezzi e glielo avrebbe tirato contro con tutto il suo disprezzo.

Lo sguardo gli cadde nuovamente sulla piccola bestiola che attendeva seduta nel pacco sulla sua scrivania.

Notando che lui lo fissava il cagnolino mosse tentativamente la coda in un accenno di scodinzolio.

Un batuffolo di pelo rosso e bianco.

Un cucciolo di cane.

Un bastardino, a giudicare dal suo pelo macchiato e dall’orecchio destro un po’ storto.

Il cucciolo si arrampicò oltre il bordo di cartone deciso a fare qualcosa per ottenere un po’ di attenzione o quanto meno per tirare su il morale al suo nuovo padrone che sembrava alquanto triste.

Tuttavia la bestiola era ancora parecchio incerta sugli arti e si sbilanciò troppo in avanti cercando di scalare il cartone, rovesciando la scatola.

Ruzzolò sulla scrivania, inciampò nel coperchio che Hanamichi aveva gettato sulla scrivania, stramazzando oltre il bordo del mobile per finire, fortunatamente, su una pila di abiti gettati li accanto.

Dopo il primo momento di sconcerto il cucciolo cercò di alzarsi in quel mare di stoffe colorate ritrovandosi però mezzo impigliato in una camicia rossa e un paio di casacche più scure.

Sakuragi osservò il cucciolo lottare tra le tuniche colorate aggrovigliandosi sempre di più ai vestiti invece di districarsi.

Il botolo tuttavia non sembrava volersi arrendere e nonostante, agitandosi, non facesse che peggiorare la situazione, prese a lottare forsennatamente con la camicia che gli impediva i movimenti, ringhiando contro le vesti che non si decidevano a lasciarlo libero cominciando a strattonarle con i denti.

Agguantò saldamente un lembo della casacca marrone su cui era seduto deciso a fare a pezzi il suo nemico o a morire nel tentativo di farlo, dando un deciso strattone alla stoffa che teneva tra i denti.

Tuttavia non poteva sapere che quella era una manica della stessa casacca su cui posava la sua bella coda bianca.

Il risultato fu che si ritrovò gambe all’aria, la camicia sopra anzichè sotto.

Per un momento ci fu un silenzio immoto, carico di stupore e disappunto dopo di che il cucciolo balzò sulle zampette cominciò ad abbaiare insulti a quel nemico che lo sbefeggiava impunemente.

Hanamichi osservava il cumulo di abiti agitarsi convulsamente mentre il cucciolo, sotto di essi, ingaggiava una lotta senza esclusione di colpi contro la camicia.

Il rossino non riuscì più a trattenersi e scoppiò a ridere.

Si alzò lentamente dal letto e districato delicatamente la bestiola dalle vesti lo estrasse da quel mare colorato.

Il botolo si guardò attorno per un momento sorpreso di trovarsi nuovamente libero prima di notare che era l’umano di prima ad averlo salvato.

Tutto lo sconcerto scomparve mentre tutto il piccolo corpicino si agitava per lo scodinzolio giubilante del cucciolo che entusiasta si mise ad abbaiare ed ad allungare il musetto riuscendo a distribuire qualche leccata sul viso di Hanamichi prima che il rossino lo allontanasse da se per evitare una doccia mattutina.

 

Rukawa osservava la scena immobile.

Dinanzi a lui sull’enorme schermo sottile osservava il rossino giocare con il suo regalo.

Aveva chiesto ad Ayako di dirgli che non era a palazzo.

Voleva dargli il tempo di abituarsi a quella che avrebbe dovuto considerare come la sua nuova casa senza che avesse paura che lui gli piombasse in camera da letto da un momento all’altro.

Strinse con forza le dita candide sul vetro pregiato del suo calice quando vide Hanamichi sollevare il piccolo cagnolino che zelante gli aveva dato una lappata proprio sul naso.

Rideva.

E i suoi occhi brillavano di una luce splendida.

Ben diversa dal fuoco della rabbia e del disprezzo che aveva regalato a lui.

Quello sguardo dorato, scintillante, il modo in cui sorrideva al cucciolo...

Rukawa imprecò tra se domandandosi perchè doveva sentirsi così.

Perchè lui.

L’aveva domato.

L’aveva posseduto.

Aveva avuto quello che desiderava.

Quello per cui aveva pagato.

Ma c’era quel tarlo dentro di se che continuava a rodere senza fargli capire.

Ora che vedeva la sua gioia.

Ora capiva.

Che cosa voleva da lui.

Voleva quel sorriso.

 

Lo voleva per se.

 

continua............                                                                                            

 

Back to FanFic  Back to Home