Neve                                                            Back to FanFic  Back to Home

 

 

Neve.

Metri e metri di bianca, soffice, maledettissima neve.

 

“Odio la neve!” borbottò Merlin cupo, lanciando uno sguardo assassino alla coltre candida che ricopriva ogni cosa, fuori dalle strette finestre che illuminavano il corridoio che stava percorrendo.

Quell’anno l’inverno era calato su Camelot, spietato ed indifferente, come la lama gelida e lucente di un cavaliere senza volto.

Nel giro di pochi giorni l’aria aveva perso la sua più mite temperatura autunnale, il sole si era ritirato nelle sue stanze di nuvole scure senza prendersi la briga di salutare e la neve, abbondante e improvvisa, aveva avvolto di pallidi bagliori le grigie mura del grande maniero imprigionandovi tutti i suoi abitanti.

Faceva freddo.

E le spesse pareti di pietra non aiutavano certo a rendere il clima più piacevole.

Senza contare che quella reclusione forzata aveva improvvisamente fatto moltiplicare i suoi compiti.

 

Ravviva il fuoco, Merlin.

Prendi altra legna, Merlin.

Dov’è il mio mantello, Merlin.

Devono esserci delle altre coperte da qualche parte, Merlin.

Metti un tappeto anche sotto il tavolo, Merlin.

 

Il povero mago non ne poteva più di sentirsi chiamare.

D’altronde, Arthur, come il resto della nobiltà segregata nel castello, aveva ben poco da fare a parte tentare di non congelarsi e, ovviamente, tormentare la servitù.

Il principe in particolare sembrava un leone in gabbia.

Alcune delle stanze dei piani inferiori erano state svuotate per dar modo al futuro re e ai suoi cavalieri di non rammollirsi troppo durante quella pausa forzata ma Arthur non era comunque uomo da sopportare di starsene rinchiuso tra quattro mura troppo a lungo.

Gli mancava la caccia.

I tornei.

L’azione.

Ed era costretto ogni giorno a stare vicino al padre la cui saccenza cresceva in maniera proporzionale alla sua noia.

Merlin lo aveva sorpreso, più di una volta, a guardare fuori dalla finestra della sua camera, lo sguardo azzurro, bruciante, fisso sullo spesso manto che copriva il cortile, come se avesse potuto scioglierlo con la pura forza di volontà.

La cosa peggiore era che, per quanto molto grande, il castello si trovava ad ospitare tutte quelle persone che se ne occupavano e che, normalmente, non si trovavano mai contemporaneamente tra le sue mura, con il risultato che non c’era un corridoio che fosse vuoto, una stanza che non fosse occupata o una zona dove non fervesse qualche tipo di attività.

 

Praticare un incantesimo era impossibile.

Merlin avrebbe volentieri usato la magia per provare a sciogliere tutto quel dannato ghiaccio… o almeno per svolgere qualcuno dei suoi compiti più pesanti.

E invece no!

Stramaledettissima neve!

 

E, come se tutto ciò non fosse sufficiente, Uther aveva cominciato ad organizzare “festicciole” per tenere occupati i suoi nobili.

Una mossa certamente strategica, un uomo ha poca voglia di complottare quando è talmente ubriaco da dover impiegare tutte le sue energie semplicemente per cercare di stare dritto sulla sedia, ma che comportava altro lavoro per i servi del maniero.

‘Odio, odio la neve!’ pensò con ferocia il giovane mago.

Non solo quelle maledette feste richiedevano un’ingente serie di preparativi, non solo poi dovevano pulire il porcile rimasto sul pavimento, gli toccava pure sorbirsi lo “spettacolo” delle moine più o meno velate delle signore di corte nei confronti del principe.

Merlin aveva già visto più di un cavaliere concludere l’ennesima festa accompagnando una di quelle “lady” nelle sue camere e per quanto Arthur fosse, da quel punto di vista, quasi stoico, Merlin cominciava a temere che, prima o poi, anche lui vinto dalla noia, dal freddo, o da entrambi, avrebbe ceduto.

L’idea gli torceva lo stomaco per un motivo che non sapeva spiegarsi.

Il servitore sospirò sistemandosi meglio la cesta piena di pezzi di legno che stava portando nelle stanze del principe, per ravvivarne il focolare, quando un paggetto dall’aria arruffata lo raggiunse di corsa.

“Merlin!” lo apostrofò con un espressione troppo seria sul visetto paffuto “Il re vuole vederti!” disse riprendendo fiato tra una parola e l’altra “Adesso!”

Il moretto lo fissò perplesso e leggermente preoccupato cercando di riassumere velocemente gli avvenimenti degli ultimi giorni, nella propria mente.

Non gli sovvenne nulla che potesse meritare una convocazione da parte del re in persona.

“Non ti ha detto perché?” chiese confuso.

Il ragazzino lo guardò come se fosse pazzo (e in effetti pensare che Uther desse spiegazioni ad un servo era da folli, lo giustificò Merlin) prima di sfilargli il cesto dalle braccia e ripetere piccato: “Nelle sue stanze, di sopra, adesso!” e voltargli le spalle per sparire di corsa lungo un altro corridoio.

Al mago non restò che eseguire l’ordine.

 

 

Di fronte alla grande porta di legno scuro il ragazzo fece un profondo respiro intimandosi di calmarsi prima di bussare con tutta la decisione che era riuscito a racimolare in quei pochi minuti che l’avevano condotto agli appartamenti del re.

Non gli piaceva Uther.

D’altronde a chi sarebbe andato a genio qualcuno che poteva decidere della tua vita o della tua morte e che, venendo a scoprire chi eri davvero, avrebbe optato immediatamente per questa seconda ipotesi senza un solo secondo di rimorso?

“Entra.”

La voce possente ma stanca dell’uomo strappò Merlin ai suoi pensieri.

“Mi avete fatto chiamare sire?” chiese cercando di essere il più umile e dimesso possibile.

“Chiudi la porta” ordinò serio Uther lo sguardo insondabile, la voce grave.

Merlin deglutì a vuoto ma fece quanto gli veniva chiesto, notando con apprensione che le mani un po’ gli tremavano.

L’uscio si richiuse con un tonfo sordo che rimbombò nella testa del ragazzo, sovrastando per un istante il martellio furioso del suo cuore.

Il silenzio che seguì era pesante, cupo e palpabile, come un grosso mantello di lana nera.

Merlin spostò nervosamente il peso del proprio corpo dalla gamba destra alla sinistra, e viceversa, ben consapevole che non poteva essere lui a iniziare il discorso ma anche incapace di restare semplicemente immobile, in attesa.

“Mio figlio è stranamente benevolente nei tuoi confronti…” cominciò il re lo sguardo fisso sul grande camino che occupava un angolo della stanza, quasi stesse parlando più a sé stesso che al ragazzo che aveva fatto convocare.

‘Stranamente benevolente?’ si ritrovò a scimmiottarlo il mago, nella propria mente.

Certo, era terribilmente strano essere gentili con un servo.

In fondo cosa aveva mai fatto Merlin per meritare un tale trattamento di favore?

A parte salvare la vita di Arthur un giorno sì e l’altro pure, il più delle volte a rischio della propria?

Già, davvero ‘stranamente benevolente’, si ritrovò a brontolare interiormente prima che le parole di Uther lo strappassero di nuovo ai suoi pensieri.

“E tu, in più di un occasione, hai dimostrato la tua lealtà alla corona ed ad Arthur” continuò il re sorprendendolo.

 

Brutto, bruttissimo segno.

Quello aveva quasi l’aria di un complimento.

E Uther non faceva mai complimenti.

 

Non a vuoto.

 

Il moretto fissò confuso l’altro cercando di capire dove voleva andare a parare con quello strano discorso.

Aveva l’inquietante impressione che Uther avesse difficoltà a guardarlo in faccia.

Il suo presentimento si fece drammaticamente forte.

 

Guai.

Grossi guai.

 

“E’ per questo che oggi sono a chiederti di eseguire un ordine… speciale” continuò il sovrano facendogli gelare il sangue nelle vene.

 

Mastodontici guai.

Quella storia gli piaceva sempre meno.

 

“Puoi considerarlo un favore alla corona, un favore che, ovviamente, verrà ricompensato” disse il re posando finalmente lo sguardo sul suo viso.

A Merlin bastò specchiarsi nelle iridi dure del re, per un solo istante, per comprendere che quello era un “favore” a cui non si poteva rispondere con un “no”.

E se Uther era addirittura disposto a giocare la carta della ricompensa non osava immaginare di che cosa si trattasse.

Il mago stropicciò i lembi della tunica tra le dita, nervoso.

Pregando che la sua voce non s’incrinasse raccolse il coraggio e chiese: “Che cosa volete che faccia sire?”

 

E il re sorrise.

 

Un sorriso fugace, leggermente sollevato, che gli accese negli occhi una luce strana.

Merlin sentì le ginocchia piegarsi.

Adesso ne aveva l’assoluta certezza… era spacciato!

 

Evidentemente il re aveva gradito la sua risposta.

Ed, altrettanto evidentemente, aveva temuto che il ragazzo protestasse in qualche maniera.

Il che significava che quello che si apprestava a chiedergli o non era affatto piacevole, o era pericoloso o, somma fortuna, era entrambe le cose!

 

“Arthur ha raggiunto ormai un età in cui il sangue si scalda in fretta” mormorò Uther lanciando un strana occhiata cospiratrice al giovane “E tu capisci cosa intendo, vero?”

“Certo, sire!” si affrettò ad annuire Merlin che non aveva la più pallida idea di che cosa stessero parlando ma che non trovava saggio sembrare un completo idiota di fronte al suo re.

“Camelot ha già abbastanza problemi con quegli stramaledetti stregoni…” proseguì il re duro “…non posso permettermi di dovermi preoccupare anche di future lotte per la successione” borbottò.

“Certo, sire!” assentì nuovamente lo “stramaledetto stregone” mentre cercava disperatamente di trovare una logica, una qualsiasi, nelle parole dell’altro.

“Ero sicuro che avresti capito!” tuonò il re soddisfatto.

Un po’ troppo soddisfatto in effetti, si ritrovò a considerare Merlin con il cuore che gli esplodeva in petto ad ogni battito.

“Un giorno sceglierò la donna giusta per Arthur e da lei, e soltanto da lei, bada bene, nasceranno i suoi eredi!” sentenziò Uther senza avvedersi del pallore del ragazzo “E, nel frattempo, non posso permettermi bastardelli con madri pretenziose e cospiratrici tra queste mura.” disse cupo, cominciando a fare avanti e indietro di fronte al mago sempre più confuso.

“Tuttavia…” continuò il re, grave “…Arthur ha naturalmente dei bisogni che vanno soddisfatti in qualche maniera.” asserì serio.

 

E Merlin lo fissò allucinato, comprendendo.

 

Uther… Uther lo aveva convocato, tra l’altro terrorizzandolo a morte, per parlargli dei problemi “sessuali” di suo figlio?!

Se non fosse stato come firmare una condanna a morte sarebbe scoppiato a ridere.

 

Quella situazione era assolutamente ridicola!

 

“Bisogni che vanno soddisfatti in maniera sicura, con una persona fidata e leale” proseguì il sovrano, senza avvedersi degli sforzi del ragazzo per restare serio, fermandosi poi per piantare gli occhi nei suoi.

E c’era qualcosa nelle iridi del re, qualcosa di sinistro, che soppresse immediatamente ogni ilarità in Merlin.

 

Ancora non capiva ma l’odore di guai era tornato a farsi più forte che mai.

 

“Qualcuno che porterà questo segreto nella tomba” terminò Uther fissandolo minaccioso.

E Merlin deglutì a vuoto nell’avvertire nel tono dell’altro la sottolineatura, inequivocabile, su quell’ultima parola.

Oh sì, quella persona “fidata e leale” avrebbe fatto bene a mantenere il segreto o si sarebbe ritrovata nella tomba… prematuramente,

“Non… non capisco, sire…” mormorò cercando di distrarre i pensieri dal lungo brivido freddo che gli era scivolato lungo la colonna vertebrale “…volete che cerchi una ragazza ‘sicura’ per Arthur?” chiese perplesso domandandosi dove mai avrebbe potuto trovarne una.

 

Poteva essercene qualcuna tra quelle quattro oche che già ronzavano attorno al principe in quei giorni?

Lo dubitava.

 

Gli venne in mente Gwen.

Ma era partita per trovare una zia malata poco prima che il maltempo li segregasse tutti e quindi non era a portata di mano.

 

E poi, per una strana ragione, l’idea di Arthur e Gwen insieme… non gli piaceva.

Non gli piaceva neanche un po’.

 

“Nessuna donna è sicura” disse secco Uther riportandolo al presente, le iridi insondabili inchiodate alle sue.

Merlin lo guardò confuso, sbatté le ciglia, provò a riflettere sulle parole del re e… spalancò bocca ed occhi contemporaneamente nella sua miglior interpretazione di un mastodontico idiota.

“Vo… volete che cerchi un uomo per Arthur?!” gracchiò, certo di aver capito male.

Oh cielo… aveva visto Sir Elvin appartarsi con un giovane paggio due notti prima e, di fronte, al suo sconcerto Gaius era scoppiato a ridere, spiegandogli che era una pratica piuttosto in “voga” da quelle parti ma… trovare un uomo per Arthur?!

 

Il sorriso sul volto di Uther gli incastrò il respiro in gola.

 

“Non sarà necessario… cercare” mormorò il re.

 

E Merlin, finalmente, capì.

 

O meglio, il suo cervello riepilogò le informazioni, le mise insieme, diede loro un senso logico e giunse ad una conclusione.

Una conclusione che il ragazzo si rifiutò categoricamente di considerare.

 

No.

Decisamente no.

Assolutamente no.

 

Aveva frainteso.

Certamente.

 

Riascoltò il discorso del re, lentamente, parola per parola, nel proprio cervello.

Riepilogò le informazioni, diede loro un nuovo significato e giunse ad una nuova conclusione… uguale alla precedente.

Il mago sollevò un paio di occhi blu, sgranati, increduli, enormi nel viso cinereo, per affondare lo sguardo in quello ferreo del suo re e trovarvi la conferma che stava cercando di negare con tutte le sue forze.

 

Uther…

Uther gli stava chiedendo…

Gli stava davvero ordinando di…

 

Non riusciva nemmeno a formulare il pensiero.

 

Merlin aprì la bocca e poi la richiuse.

Poi l’aprì di nuovo e… di nuovo la richiuse.

Era senza parole.

Senza fiato.

Assolutamente incapace di concepire un qualsiasi pensiero coerente.

 

“Sono certo che non sarà un problema!” sentenziò Uther più rilassato ora che la parte più imbarazzante del discorso era andata “Voi ragazzi delle campagne siete piuttosto attivi da questo punto di vista, no?” disse con una malizia che scivolò addosso al moro pietrificato senza fare effetto “D'altronde, tutte quelle notti d’inverno a dormire uno accanto all’altro per scaldarvi…” ammiccò.

 

Merlin era ancora una statua di sale.

Una pallida, terrificata, statua di sale.

 

“Bhe ora puoi andare!” mormorò il sovrano sventolando una mano, lievemente insofferente di fronte alla mancanza di reazione da parte del ragazzo alle sue insinuazioni. “Attendo di vedere dei risultati già a cominciare da domani!” ordinò e, notando che l’altro sembrava essere diventato parte integrante del mobilio, gli batté una, non proprio delicata, pacca sulla spalla spingendolo, praticamente di peso, fuori dalla stanza.

Merlin guardò la pesante porta di legno scuro che gli si chiudeva in faccia e rimase lì, paralizzato, basito, sconvolto.

 

Gli ci vollero diversi minuti prima che si rendesse conto che era fermo in mezzo al corridoio.

Nel momento stesso in cui, lentamente, il suo cervello congelato dallo shock si rimise in moto, gli avvenimenti di pochi istanti prima lo travolsero come un’onda d’acqua ghiacciata, facendolo annaspare.

 

Uther gli aveva appena ordinato di andare a letto con Arthur.

Di fare… sesso… con Arthur!

 

Obbligandosi a mettere un piede davanti all’altro, diretto agli appartamenti che divideva con Gaius, imponendosi con fermezza di non svenire per strada, Merlin annegava in una marea di considerazioni.

 

Uther gli aveva appena chiesto di andare a letto con Arthur?

 

Impossibile.

 

Forse stava sognando.

Sì, forse era un incubo, un semplice incubo!

Eppure era sveglio.

Era certo di essere sveglio, gli faceva ancora male la spalla su cui la mano del re era calata, pesante.

 

Ma… Uther gli aveva appena chiesto di andare a letto con Arthur.

 

Allora doveva trattarsi di uno scherzo!

Uno scherzo! Giusto! Come aveva fatto a non pensarci prima?

D’altronde il sovrano era famoso per essere un burlone…

No, anche quell’ipotesi era da scartare.

 

Eppure… Uther gli aveva appena chiesto di andare a letto con Arthur!

 

Un incantesimo!

Poteva trattarsi di un incantesimo!

Come aveva fatto a non pensarci prima?!

Era sotto incantesimo e non se n’era accorto!

O meglio ancora, Uther era sotto incantesimo!

Però non aveva avvertito in lui il tocco della magia, ed era diventato bravo ad identificarla in tutte le sue forme, ormai.

 

Restava il fatto che… Uther gli aveva appena chiesto di andare a letto con Arthur!!

 

La sua mente continuò a partire entusiasta verso ipotesi sempre più assurde per poi smontarle altrettanto velocemente uccidendo la speranza che puntualmente gli si accendeva nel petto finchè non raggiunse le stanze che divideva con Gaius.

 

Uther gli aveva appena chiesto di andare a letto con Arthur.

 

E, ancora, Merlin non aveva trovato una giustificazione plausibile da dare al suo disperato bisogno di credere che non fosse vero.

 

“Merlin? Per l’amor del cielo, che ti è successo ragazzo?!” esclamò Gaius strappandolo ai suoi pensieri.

Merlin lo guardò pallido, gli occhi ancora sgranati, lo sguardo fisso di fronte a sè, su un punto non ben precisato sopra la spalla destra del cerusico.

“Merlin?” lo chiamò l’altro facendoglisi vicino, posandogli con preoccupazione una mano sulla spalla.

Il ragazzo spostò il viso, mettendolo faticosamente a fuoco, affondando le iridi blu in quelle del suo mentore.

“Gaius…”ansimò.

“Dimmi!” mormorò l’uomo in ansia.

“Come…” cominciò Merlin poi però incapace di proseguire.

“Come?” ripetè Gaius perplesso.

“Come…” gracchiò di nuovo il ragazzo cercando di racimolare il fiato per sputare quelle maledette parole.

Gaius lo fissava in attesa.

“Come...” ritentò il mago, scuotendo poi il capo, afflitto, incapace di concludere la frase.

“Ti serve un po’ d’acqua” decise l’altro raggiungendo la caraffa poco lontana per versarne un bicchiere per Merlin e, visto che c’era, anche per sé.

“Bevi, fa un bel respiro e poi riprova.” lo esortò gentilmente.

Merlin fece quanto gli veniva suggerito, ingollò un sorso d’acqua, che gli parve sabbia sulla lingua, prese un bel respiro e chiese: “Come fanno sesso due uomini?”

 

Sfortunatamente Gaius aveva, a sua volta, appena portato il bicchiere alle labbra.

 

Il vecchio mago rischiò di soffocare e cominciò a tossire in maniera convulsa, cercando di non annegare nel sorso che gli era andato di traverso mentre Merlin gli batteva dei colpetti gentili sulla schiena e gli porgeva una sedia per farlo sedere.

“Com.. come?!” gracchiò Gaius quando finalmente riuscì a tornare padrone del proprio respiro.

Merlin sospirò pesantemente.

“Uther mi ha ordinato di andare a letto con Arthur.” cominciò, raccontando poi all’uomo del suo dialogo con il re.

L’espressione del cerusico, da principio perplessa ed incredula, divenne sempre più seria fino a farsi insondabile.

“In effetti…” mormorò quando il ragazzo terminò il suo imbarazzato resoconto “…ha una certa logica.”

Merlin lo fissò come se gli fosse spuntata un'altra testa.

“Cosa?!” esplose.

“Bhe tu non rischi di restare… incinta” ragionò l’altro serio, seppur pronunciando quell’ultima parola con una punta di divertimento.

“E tutti abbiamo notato quanto fra voi ci sia un rapporto che va al di là di quello tra servo e padrone” mormorò.

“E’ amicizia Gaius! Amicizia!” tuonò il giovane mago rosso come un peperone maturo.

 

“L’idea ti disgusta?”

 

La domanda lo colse impreparato.

“Come?” chiese stupidamente.

“Ti disgusta immaginare di essere toccato, ed intendo toccato intimamente, da Arthur?”

Merlin aprì la bocca per rispondere ma l’uomo lo bloccò sollevando un dito perentorio “Pensaci seriamente!” ordinò.

E il ragazzo si ritrovò a dover considerare la cosa.

 

Gli faceva schifo l’idea di essere accarezzato, magari anche baciato, da Arthur?

 

Con sorpresa e sgomento si accorse che, sebbene suonasse alieno ed assurdo, non lo ripugnava, anzi in lui risvegliava una strana, contorta, curiosità.

Come lo avrebbe toccato il principe?

Che effetto gli avrebbe fatto stare tra le sue braccia?

Assaporare la sua pelle?

Assaggiare le sue labbra?

 

Merlin divenne incandescente rendendosi conto che stava davvero ponderando di fare l’amore con Arthur.

 

“No” dovette ammettere con voce incerta, leggermente incrinata “Dovrebbe, credo, ma…” scosse il capo stupito “…non mi disgusta”

“Bene!” esclamò Gaius sollevato.

E ci mancava poco che battesse le mani felice.

Merlin lo fissò tra lo sconvolto e l’incredulo.

“Però questo non significa che sia pronto a fare sesso con lui!” s’infervorò nuovamente, evitando accuratamente di usare la parola che invece aveva pensato poc’anzi.

 

Non voleva dire “fare l’amore”.

Non a voce alta, almeno.

Perché quello non sarebbe stato che uno sfogo “sicuro” per il principe.

Un alternativa alla spada per “sbollire”.

Quel pensiero gli strinse qualcosa nel petto, dolorosamente, e il moretto si chiese sorpreso perché quell’idea lo facesse stare tanto male.

 

Possibile che desiderasse qualcosa di diverso?

Di più… importante.

 

Era assurdo.

 

Fino a poche ore prima non aveva mai nemmeno guardato Arthur sotto quell’ottica!

 

“Insomma, non so nemmeno come si fa!” tuonò cercando di riportare la sua stessa mente all’ordine prima di rendersi conto di averlo urlato a voce alta.

Gaius lo fissò incredulo e Merlin arrossì nuovamente, fino alla punta dei capelli.

“Non lo sai?” domandò l’uomo sorpreso “Eppure credevo che voi campagnoli… insomma tutte quelle notti a dormire insieme per scaldarvi…” cominciò il cerusico stupito prima di notare l’aria mortificata del ragazzo e correggersi in fretta. “Ma certo che non lo sai!” disse battendogli dei colpetti amichevoli sulla spalla già martoriata da Uther “D’altronde non hai avuto molto tempo per queste cose, vero?” mormorò alzandosi e cominciando ad armeggiare su uno dei suoi mille scaffali polverosi “Dovrebbe essere da queste parti… ah ecco!” esclamò estraendo un libro dalla banale rilegatura in cuoio scuro prima di porgerlo a Merlin “Ti conviene leggere questo…” decise “…e… ti servirà quest’altro” aggiunse dopo aver frugato tra gli oggetti sulla sua scrivania, porgendogli una boccetta dal contenuto oleoso e biancastro.

“Che roba è?” chiese Merlin scuotendo il piccolo contenitore, perplesso e preoccupato, notando come Gaius cercasse ostentatamente di non guardarlo negli occhi.

“E’ un… unguento” rispose semplicemente il cerusico prima di mormorare un vago “Tu leggi io devo …” e borbottare qualcosa d’intellegibile a proposito del suo giro di visite, lasciando in fretta la stanza.

 

La domanda: “E che cosa me ne faccio di un unguento?” che Merlin porse ad una camera improvvisamente vuota trovò risposta nel libricino di Gaius poco più tardi.

Il “trattato” se così si poteva definire, che gli era stato fornito, delucidava in maniera semplice e un po’ cruda, con un discreto allegato di disegni esemplificativi, l’accoppiamento.

E, l’autore, per amor di completezza, aveva dedicato un intero capitolo a quello tra persone dello stesso sesso.

Merlin fissava le pagine indeciso se piangere, ridere o fare entrambe le cose.

 

“Impossibile!”

 

Lo ripeteva come un mantra ogni volta che lo sguardo gli cadeva su una delle immagini o che il suo cervello bloccato riusciva a dare un senso logico alle frasi che aveva sotto gli occhi.

 

“Impossibile…” mormorò chiudendo il libro con mani tremanti.

 

Una cosa in tutta quella confusione gli era chiara: Arthur non sarebbe stato sotto.

Le conseguenze di quel pensiero però erano agghiaccianti.

Merlin sfilò il tappo dell’unguento osservandolo con scetticismo e guance incandescenti.

 

Dubitava che avrebbe aiutato.

 

Immerse un dito nella sostanza pallida e oleosa annusandolo tentativamente.

Non aveva un odore particolare eppure gli bastò avvertirne la consistenza per sentirsi mancare.

Dunque Arthur avrebbe messo il suo… non riusciva nemmeno a pensare la parola… nel suo…

 

“Impossibile!” gracchiò di nuovo.

 

E poi un pensiero folle gli attraversò il cervello.

Merlin raccolse libro, la boccetta e si chiuse in camera.

Con dita tremanti slacciò i pantaloni, lasciandoli cadere a terra, per poi spostare le dita ancora imbrattate dalla sostanza biancastra sulle proprie natiche a cercare l’apertura nascosta tra esse.

Fino al giorno prima, mai, aveva associato a quella parte del corpo una funzione diversa da quella più basilare e pratica che le era stata assegnata da madre natura.

Eppure ora si ritrovava a sfiorarla con un polpastrello tremante chiedendosi con angoscia se, già quella notte, Arthur avrebbe fatto lo stesso.

Quell’ultimo pensiero gli rovesciò uno stormo di draghi sputa fuoco nelle viscere.

Imponendosi di non pensare a quello che stava facendo, a come lo stava facendo e a come avrebbe dovuto farlo in seguito, Merlin spinse con decisione il dito nel suo corpo soltanto per sussultare un istante più tardi.

Non era doloroso ma era così… strano.

Lo mosse piano sentendosi venir meno quando imbarazzo, disagio, e un milione di altre sensazioni lo travolsero.

Estrasse il polpastrello in fretta accasciandosi poi sul letto, tremante, distrutto e leggermente nauseato.

 

“Impossibile…” ripetè piano con voce provata mentre lo sguardo gli scivolava fuori dalla finestra, alla ricerca di una qualche risposta cosmica o, più semplicemente, di una via di fuga.

 

Incontrò solo un candore accecante.

 

Neve.

Stramaledettissima neve!

 

 

Nonostante Merlin fosse assolutamente certo che quello che stava per fare rasentasse la pura, assoluta, follia, nonostante avesse ponderato un milione di soluzioni alternative tra le quali era arrivato a contemplare il suicidio, nonostante tutto, quella sera il ragazzo era nella camera da letto di Arthur, di fronte al camino che lui stesso aveva provveduto ad accendere, in attesa.

Aveva già fatto avanti e indietro sul tappeto diverse volte tormentato da mille pensieri.

A parte il problema dell’atto in sé, si presentava anche la non trascurabile complicazione di dover “spiegare” al principe la cosa.

“Arthur..” gracchiò provando per l’ennesima volta a trovare una frase che non fosse totalmente assurda, completamente folle, od assolutamente sconclusionata.

“Arthur… tuo padre mi ha chiesto di… di…” Merlin gemette affondando le dita tra i capelli con nervosismo.

 

Non ci sarebbe mai riuscito.

Mai!

 

“Arthur…” soffiò di nuovo “…per il bene di Camelot, fai… facciamo… sì insomma andiamo… ah!” il mago scosse il capo e rise di sè stesso.

 

Andiamo?

Andiamo dove?!

Dei!

 

Doveva cercare di essere più deciso.

E magari anche un po’ più diretto.

 

Più facile a dirsi che a farsi.

 

Mica poteva presentarglisi con un sorriso e proporgli: ‘scopiamo’!

 

“Arthur!” riprovò cercando di dare un tono sicuro alla voce “Per ordine del re e per il bene del regno, buttami sul tuo letto e fa di me ciò che vuoi!” tuonò sentendosi un mastodontico idiota.

 

Quella era la peggiore di tutte quelle che aveva provato fino a quel momento!

Non ci sarebbe mai riuscito.

Non sarebbe mai…

 

“Come scusa?”

 

Merlin si pietrificò.

 

Non era la voce di Arthur quella, vero?

Non era così assorto nei suoi problemi che non l’aveva sentito arrivare, giusto?

Se si fosse voltato davanti a lui avrebbe trovato solo una porta chiusa, no?

 

Merlin pregava disperatamente divinità sconosciute, mentre, lentamente, si voltava.

 

Ed eccolo lì.

 

Il principe di Camelot in tutta la sua bionda, fulgida, bellezza.

Un sopracciglio sollevato ed uno strano sorriso sulle labbra.

Oddio… più un ghigno in effetti.

 

Già… decisamente un ghigno…e un ghigno divertito per di più!

 

Per un lunghissimo istante Merlin ponderò di confessare ad Arthur di essere uno stregone.

Lì, su due piedi, rivelargli il segreto che aveva mantenuto per una vita intera.

Perché, in quel momento, il boia gli sembrava un ipotesi migliore del dover spiegare al suo principe tutta quella dannata faccenda.

 

Con sua enorme sorpresa però Arthur scoppiò a ridere.

“La tua faccia è impagabile Merlin!” mormorò il biondo togliendosi la casacca per gettarla su una sedia prima di andarsi a sedere sul grande letto matrimoniale.

“E così mio padre è arrivato a tanto, eh?” chiese ricominciando a ridacchiare, apparentemente per nulla arrabbiato.

Merlin lo fissava boccheggiando come un pesce fuor d’acqua.

 

Era tutta lì la sua reazione?

 

Erano ore che si dannava l’anima!

Ore!

E Arthur… rideva!

 

“Ma ... ma...” balbettò.

“Suvvia Merlin!” esclamò il principe balzando in piedi con agile grazia, per raggiungerlo “Non mi vorrai dire che una simile richiesta ti ha sconvolto?” chiese divertito sfiorandogli i lembi della tunica distrattamente “E’ una pratica piuttosto in uso a corte, non lo sapevi?” chiese bonariamente “E comunque non hai bisogno di fingerti innocente, lo sanno tutti che voi campagnoli da questo punto di vista siete piuttosto precoci. D'altronde tutte quelle notti d’inverno a dormire vicini per scaldarvi…” aggiunse quasi tra sé.

 

E Merlin, per un istante, dimenticò tutta l’assurdità della situazione per porsi il quesito del secolo:

 

ma chi cavolo aveva messo in giro quella diceria?!

 

Avrebbe voluto averlo tra le mani!

Stava per rispondergli a tono quando si accorse che in effetti il principe non stava giocando con la sua tunica… gliela stava slacciando.

“Che… che stai facendo?” balbettò incredulo.

“Non temere…” soffiò in tutta risposta il biondo “…ti piacerà. Nessuno dei miei amanti si è mai lamentato.”

Merlin lo fissò senza parole, troppo sconvolto per replicare come avrebbe voluto.

 

Certo che nessuno si era mai lamentato!

Era il figlio del re!

Quale pazzo avrebbe mai osato fargli delle rimostranze?

 

Non era rassicurante.

Nemmeno un po’!

 

Ma soprattutto… dove stava mettendo le mani?!

 

“A..arthur” balbettò incerto, cercando d’intercettare la destra del suo signore che si era infilata sotto la sua maglia e stava salendo ad accarezzargli il petto.

“Merlin...” soffiò il principe con quel tono tra il divertito e l’esasperato che usava spesso con lui “…sta zitto.” ordinò e quando il mago prese fiato, pronto a ribattere a tono, molto poco cavallerescamente, il biondo ne approfittò, azzerando lo spazio tra loro, posando le labbra sulle sue, spingendogli la lingua in bocca.

Merlin rimase semplicemente di sasso per un lunghissimo, eterno, istante.

 

Arthur lo stava baciando.

 

Arthur lo stava baciando e… cazzo!

Non che Merlin avesse chissà quali metri di paragone ma… cazzo!!

La lingua del principe era un’esploratrice meticolosa ed avida, al pari del suo padrone cacciava la sua preda senza lasciarle scampo, senza darle tregua o consentirle respiro, finchè Merlin non fu obbligato a dargli quello che voleva, rispondendo timidamente al bacio.

Arthur mugolò un apprezzamento nella sua bocca prima di attirarlo contro di sé, costringendo i loro corpi a combaciare, spostando le mani su di lui. La destra scese a serragli una natica, la sinistra scivolò, sotto la tunica, ad accarezzargli la schiena.

Merlin pigolò sorpreso, aggrappandosi istintivamente alle sue braccia.

Non era certo che le gambe lo avrebbero retto ancora per molto.

L’altro parve comprenderlo perché vi spinse un ginocchio nel mezzo, a sorreggerlo, peggiorando drasticamente la situazione del ragazzo che gli si aggrappò quasi con disperazione.

 

Dei se quello era l’effetto di un bacio che ne sarebbe stato di lui quando avessero finito?

 

Merlin chiuse gli occhi, abbandonandosi contro il compagno con un gemito arrendevole. Il corpo del biondo era forte, muscoloso e caldo contro il suo, le sue mani lo tenevano stretto con protettiva possessività, stringendolo tanto da fargli quasi male mentre la sua lingua sembrava decisa a divorarlo dall’interno.

Mugolò piano, supplicando una tregua, a corto d’ossigeno e già completamente sottosopra, e il principe si staccò magnanimamente da lui, affondando le iridi cerulee in quelle blu, liquide e confuse, prima di liberarlo della maglia, gettandola con noncuranza a terra, per poi cominciare a slacciargli anche i pantaloni.

Completamente intontito da quel bacio che oltre all’ossigeno sembrava avergli strappato ogni lucidità Merlin portò uno sguardo inebetito sulla massa informe, intorno ai suoi piedi, sul pavimento, prima di rendersi conto che si trattava dei suoi vestiti.

 

Tutti i suoi vestiti.

 

Arthur lo aveva spogliato.

E lui lo aveva lasciato fare senza protestare.

 

Sollevò gli occhi blu, ora più vigili e decisamente allarmati, sul viso del suo principe solo per scontarsi con il largo sorriso compiaciuto che vi campeggiava.

 

Merda.

 

Sembrava tanto un gatto che si apprestava a divorare la preda.

 

E quando Arthur lo spinse indietro, facendolo cadere sul grande letto matrimoniale, dalle labbra del mago sfuggì quello che, alle sue stesse orecchie, suonò come uno squittio spaventato.

 

Merda.

 

L’aveva già pensato?

Chi se ne importava!

 

MERDA!

 

“Meglio…” soffiò il principe osservando il suo servitore, nudo, scompostamente sdraiato sulle lenzuola, con aria criticamente soddisfatta.

 

Neanche fosse merito suo, s’imbronciò il moretto.

No, un attimo… in effetti era merito, anzi colpa, sua!

 

“Arthur… non so se…” cercò di dire Merlin con tono che voleva essere ragionevole e che suonò invece roco e strozzato.

Maledetto bacio che gli aveva rubato il fiato e la coerenza!

L’interpellato si liberò a sua volta della tunica, con poco più di un’elegante scrollata di spalle, prima di mettere un ginocchio sul letto e salirvi, praticamente a gattoni, intrappolando il moro tra le sue braccia e le sue gambe.

 

“Merlin…” mormorò con un sorriso di divertita tenerezza “…sta zitto” ripetè e applicò quello che aveva scoperto, da dieci minuti a quella parte, essere il suo metodo preferito per farlo ottemperare alla sua richiesta, chiudendogli la bocca con la sua.

 

Nel mezzo di quel bacio con cui il mago, ne era quasi certo, Arthur gli stava razziando non solo il respiro ma anche l’anima, le mani del principe si fecero strada su di lui. La destra salì ad infilarsi tra i corti capelli neri, in una lenta, ipnotica, quasi rassicurante, carezza, la sinistra scese a sfiorarli il petto fino a raggiungerne un capezzolo.

Quando l’indice e il pollice si strinsero su quella pelle sensibile, strofinandola, Arthur liberò le labbra del compagno, per godersi il sorpreso miagolio che ne sfuggì.

Sentir gemere Merlin aveva un effetto terribilmente deleterio sul suo autocontrollo, scoprì, ma era anche così fantasticamente intossicante che il biondo non ne avrebbe fatto a meno neanche per tutte le ricchezze del regno.

Oh sì, si meravigliò, gli piaceva sentirlo tendersi sotto di lui, adorava sentirlo guaire il suo nome, amava affondare lo sguardo in quelle sue iridi blu, straziate d’oro ora che la passione le accendeva di sfaccettature scintillanti.

Calò di nuovo su di lui, questa volta evitando la bocca per scivolare lungo la mascella, scendendo poi sul collo candido e sottile, vi disegnò una cascata di piccoli baci e lievi morsi, prima di assaporare quella sua pelle morbida e delicata a piene labbra, allungando la lingua per disegnarvi umide, affamate, pennellate.

E Merlin sollevò le braccia per stringergliele al collo, senza ben sapere se stava cercando di trattenerlo o tentando di allontanarlo.

Era la tortura più dannatamente piacevole a cui fosse mai stato sottoposto.

Se quello era ciò che si era perso in quegli anni cominciava a pensare che era davvero un peccato che le storie sui “ragazzi di campagna” non fossero vere!

Arthur scelse quel momento per chiudere le labbra sul capezzolo che la sua mano aveva ignorato e il moretto si tese con un lungo lamento che aveva il sapore di un gemito.

Il futuro sovrano di Camelot sorrise e il suo respiro caldo s’increspò sulla pelle che aveva inumidito con la bocca scatenando una cascata di brividi elettrici giù per la schiena del povero mago già decisamente provato.

Merlin sentì il proprio membro tendersi, dolorosamente bisognoso di attenzioni, e, istintivamente, cercò di accavallare le gambe, un po’ per nasconderlo, un po’ nel tentativo di darsi sollievo da solo dato che il suo carnefice non sembrava intenzionato a concederglielo a breve.

“Cos’è abbiamo fretta ora?” mormorò il principe scherzosamente, sollevando il viso dal suo petto.

Indeciso se rischiare la gogna insultandolo o il boia incenerendolo con la magia il moro optò per un imbronciato silenzio che il principe interpretò, a sua discrezione, come una vittoria.

Merlin vide il suo sorrisetto soddisfatto e decise che doveva davvero ribattere qualcosa ma ogni ulteriore pensiero gli si azzerò nella mente, prima che potesse farlo, quando l’altro si sollevò, per scostarsi da lui.

 

Per un incredulo momento il mago pensò che avesse cambiato idea.

Per un interminabile istante credette che Arthur si sarebbe rivestito e gli avrebbe detto che non se ne faceva nulla.

 

Ebbe il tempo di chiedersi da dove veniva la fitta di disappunto che l’attraversò a quelle sue supposizioni prima che il suo cervello si dichiarasse morto per autocombustione.

 

Arthur si era tolto i pantaloni.

 

Nudo.

Era nudo.

Nudo in un letto con lui.

Nudo, e dannatamente eccitato, in un letto con lui, a voler essere proprio precisi.

 

Cazzo!

 

E non solo come esclamazione… Merlin non riusciva a staccare gli occhi dal membro del principe.

La natura sembrava aver fatto del suo meglio per dotare l’erede di Camelot!

Fino a quel momento, stordito dai baci, irretito dalle carezze, confuso dal tocco delle sue mani, in qualche maniera Merlin era riuscito a non pensare a l’atto vero e proprio.

A quello che avrebbe dovuto fare.

Al fatto che Arthur da lì a poco… da lì a poco lo avrebbe…

 

Non riusciva nemmeno a pensarlo per tutti gli dei!

Come poteva farlo davvero?

 

“Hey… Calma…” mormorò il biondo tornando a sdraiarsi sul letto, non su di lui, ma accanto a lui, allungando poi le braccia per attirarlo contro il suo petto.

Merlin si chiese se sembrava terrorizzato come in effetti si sentiva e dal modo dolce in cui l’altro aveva preso ad accarezzargli la schiena, dallo sguardo cauto, attento, quasi preoccupato con cui lo stava studiando decise che, sì, probabilmente il suo viso rispecchiava esattamente i suoi sentimenti.

“Merlin?” lo chiamò piano il principe, leggermente incerto “Se non vuoi…” cominciò “Se davvero non vuoi…” mormorò.

Il moretto si mordicchiò le labbra incerto.

“E che io… non so come si fa.” gracchiò e il principe s’irrigidì, incredulo, per un istante.

“Mi prendi in giro?” chiese sorpreso.

Merlin serrò la mascella per non insultarlo o peggio, lanciargli contro un incantesimo, e si limitò a scuotere il capo, rosso fino alle orecchie per l’imbarazzo.

“Cazzo, Merlin!” sbottò Arthur impallidendo “Io credevo che tu… Merda!” esclamò lasciandolo andare di scatto, come se il corpo dell’altro fosse diventato improvvisamente incandescente, per poi scendere dal letto e cominciare a raccogliere i propri abiti con furia.

Il mago lo fissò spaesato.

 

Si stava rivestendo?

Si stava proprio rivestendo!

 

“Che stai facendo?” chiese stranito.

“Non si vede?!” ringhiò l’interpellato, irritato, raccattando anche i pantaloni e cominciando ad infilarseli, nonostante la sua ben visibile erezione non gli rendesse certo il compito facile.

“Non… non capisco..” balbettò Merlin che, per un motivo che non si sapeva spiegare, si sentiva prossimo a mettersi a piangere.

 

Dei come si era ridotto!

 

“Ci dev’essere un limite anche alla tua stupidità!” tuonò il biondo ma poi, notando l’espressione ferita sul volto dell’altro, sospirò pesantemente, si passò le mani tra i capelli con un gemito frustato e tornò al letto.

“Doveva essere un passatempo Merlin.” sospirò “Un modo di trascorrere qualche ora piacevole. Molto piacevole” borbottò, aggiungendo le ultime due parole quasi tra sé e sé.

Il moro abbassò il capo, stringendosi addosso il lenzuolo, sentendosi improvvisamente troppo esposto.

Troppo vulnerabile.

 

Lo sapeva.

 

Sapeva perfettamente che doveva essere solo sesso.

Eppure sentirglielo dire così…

 

Faceva male.

Faceva più male di quanto avrebbe creduto possibile.

 

Arthur gli mise due dita sotto il mento, costringendolo a sollevare il viso per permettere ai loro sguardi di specchiarsi.

“La tua prima volta merita di più Merlin” soffiò piano, prima di alzarsi nuovamente.

“Rivestiti, non voglio trovarti qui quando torno” mormorò con un tono strano, teso, a cui il mago non seppe dare un significato, e recuperate in fretta e furia anche maglia e giacca, uscì dalla stanza voltandogli la schiena, gli indumenti ancora solo per metà indossati, sbattendosi la porta alle spalle.

 

Merlin rimase a fissare l’uscio chiuso incredulo, ferito.

Arthur… Arthur lo aveva rifiutato.

 

Mentre si alzava per raccogliere le sue cose, sconfitto, lo sguardo gli fuggì fuori dalla finestra, lontano da quel letto che li aveva accolti, da quella stanza che li aveva protetti, per scivolare sulla causa di tutta quell’orribile situazione.

‘Odio la neve!’ pensò il ragazzo, con disperata, muta, rabbia.

 

 

Nei giorni successivi Merlin fece del suo meglio per cercare di evitare il principe.

La cosa sarebbe dovuta risultare difficile se non addirittura impossibile visto che egli era il suo servitore personale ma, evidentemente, anche il biondo stava impiegando ogni suo sforzo per non incrociare l’altro con il risultato che, a parte intravederlo casualmente in fondo a qualche corridoio, Merlin non aveva più dovuto avere a che fare con il suo principe.

 

Non in carne e ossa almeno.

 

Il problema era che, da quella fatidica sera, Merlin sognava il giovane signore di Camelot tutte le notti.

Quando Arthur lo aveva rifiutato il moretto se n’era tornato ferito nella sua stanza, buttandosi sul letto senza neanche preoccuparsi di ri-togliersi gli abiti che aveva indossato alla bell’e meglio per raggiungerla.

Con il viso affondato nel cuscino si era ritrovato a maledire il biondo, Uther, la neve, tutto e tutti, mentre la sua mente maligna ripercorreva gli avvenimenti che l’avevano ridotto in quello stato.

Il ricordo delle carezze, dei baci, del corpo dell’erede al trono sul suo era bastato a risvegliare la sua, ancora non del tutto sopita, erezione, e prima di rendersi conto di che cosa stava facendo Merlin si era scoperto a toccarsi.

Era venuto, come mai gli era capitato prima, con l’immagine di Arthur nella mente e il suo nome sulle labbra e poi era rimasto lì, sconvolto, a fissare il soffitto finchè la stanchezza lo aveva trascinato nel mondo dei sogni.

 

Il problema era che, dopo quella prima sera, il fatto si era ripetuto.

 

Tutte le sere il mago si coricava ripromettendosi che no, non l’avrebbe rifatto.

Decisamente no.

Assolutamente no.

Solo per svegliarsi poche ore dopo essersi assopito accaldato, eccitato, la voce dell’Arthur dei suoi sogni ancora nella testa e una mano che inevitabilmente gli s’infilava tra le gambe.

 

Se non avesse saputo per certo che era impossibile Merlin avrebbe giurato che il principe gli aveva fatto un incantesimo!

 

E le cose erano andate di male in peggio con il passare dei giorni.

Aveva sperato che, non vedendolo, la cosa si sarebbe risolta da sola ma la bestia che aveva nello stomaco sembrava decisa a non arrendersi e l’astinenza, ossia privarla della visione quotidiana dell’altro, sembrava renderla sempre più furiosa e vorace.

Per quel motivo, quella sera, mentre Merlin riassettava le stanze del principe, in netto ritardo sulla sua normale tabella di marcia a causa di una commissione per Gaius protrattasi più a lungo del previsto, il ragazzo non riuscì a trattenersi e, nel raccogliere una delle tuniche del biondo, se la portò al viso inspirandone l’odore.

“Sono diventato un maniaco” borbottò tra sé, contro il tessuto candido, incapace tuttavia di lasciare l’indumento e tornare alle sue mansioni.

Lo sguardo gli cadde sul grande letto, laddove solo alcuni giorni prima per poco Arthur non lo aveva fatto suo, e il sangue gli ruggì nelle vene.

Un pensiero folle gli attraversò la mente mentre lo sguardo blu passava dal letto alla porta per calamitarsi poi nuovamente sul primo.

Arthur era all’ennesimo banchetto indetto da Uther e, anche se l’ora si stava facendo tarda, Merlin era certo che il principe non sarebbe tornato nelle sue stanze a breve.

 

Aveva tempo.

 

La domanda vera era se aveva il coraggio di farlo.

 

Stropicciò la maglia del futuro sovrano nervosamente, tra le mani, incerto, mentre la creatura nel suo ventre si arrotolava e srotolava nelle sue viscere, vogliosa.

Lanciò un ultimo sguardo al letto e poi decise.

Con gambe tremanti Merlin raggiunse l’uscio e lo chiuse a chiave, prima di tornare al giaciglio del principe.

Si slacciò in fretta i pantaloni, già dolorosamente provato al solo pensiero di essere di nuovo lì, sul letto di Arthur, tra quelle stesse lenzuola dove l’altro lo aveva baciato, guardato e toccato tanto intimamente.

Strinse la tunica del biondo tra le dita della mano destra e, lentamente, se la portò tra le gambe.

Il tessuto ruvido strofinò sulla sua carne tesa scatenandogli sensazioni roventi nelle vene, chiudendo gli occhi, ripercorrendo il tocco dell’altro, Merlin portò la sinistra sotto la maglia a cercare quello stesso capezzolo che il principe aveva vezzeggiato, insegnandogli emozioni sconvolgenti.

Non riuscì a trattenere un gemito roco che cercò di soffocare, almeno in parte, girando il capo per affondare la guancia nel cuscino.

Il tessuto sapeva di sapone e di Arthur.

Quell’ennesimo stimolo gli incendiò i sensi obbligandolo a tendersi sotto le sue stesse carezze.

 

Fu in quel momento che la porta vibrò.

 

Merlin si paralizzò all’istante prima di avvertire l’inconfondibile voce del l’erede al trono da dietro l’uscio.

“Chi diavolo l’ha chiusa!?” sentì il principe borbottare, seccato.

Un istante più tardi Merlin avvertì il tintinnio leggero di qualcosa di metallico e la serratura che emetteva un sonoro ‘clock’.

 

Arthur stava aprendo la porta con le sue chiavi.

 

Quel disgraziato non le portava mai, MAI, con sé ma quella sera noooo… non poteva essersele dimenticate come al solito!

No, quella sera ovviamente le aveva con sé.

E, ovviamente, aveva deciso di tornare prima dal banchetto.

 

Ma il fato lo odiava davvero così tanto?! Si ritrovò a pensare il mago, disperato.

Che cosa aveva fatto di tanto orribile per meritare una simile punizione?

Il ragazzo cercò di alzarsi rendendosi conto con sgomento che aveva pochissimo tempo per agire.

 

Fantastico.

Quello era esattamente il modo migliore di farsi trovare dal principe di Camelot: sdraiato nel suo letto, mezzo nudo, terribilmente eccitato, e con una delle sue tuniche infilata tra le gambe.

 

Assolutamente perfetto!

Era sicuro che Arthur non sperava in niente di meglio!

Il ragazzo soppresse in fretta la sua feroce autoironia quando la porta cominciò ad aprirsi.

Senza riflettere rotolò giù dal letto per poi infilarcisi sotto nell’esatto istante in cui il biondo entrava nella stanza.

 

Seguì un lungo momento di silenzio.

 

Merlin rannicchiato nel suo nascondiglio improvvisato si chiese con terrore se l’altro lo avesse visto o lo avesse sentito.

In quel silenzio percepiva il suo sguardo azzurro scandagliare la stanza.

Dopo un istante, che parve eterno al servo celato, Merlin sentì i passi dell’altro per la stanza.

“Quell’imbecille di Merlin non ha nemmeno finito di sistemare la camera” borbottò il principe, a voce abbastanza alta perché suddetto imbecille riuscisse a sentirlo.

Il mago trattenne un ringhio irritato: lui aveva finito di mettere in ordine!

Solo che, dopo, si era sdraiato per masturbarsi e così ora le coltri erano tutte in disordine.

Merlin trattenne un verso esasperato.

 

Forse Arthur non aveva poi tutti i torti… era un cretino!

 

Ogni ulteriore pensiero sfumò quando il biondo andò a sedersi, con un sospiro, sul letto.

Il cigolio fece retrocedere un po’ il moretto, sotto le assi di legno della rete, mentre il ragazzo si interrogava sul significato di quel suono.

Aveva visto Arthur solo di sfuggita negli ultimi giorni ma non gli veniva in mente niente che potesse giustificare quel tono frustrato e vagamente triste al contempo.

Il letto brontolò di nuovo mentre l’altro lo usava come panca per liberarsi di stivali, pantaloni e poi del resto del suo vestiario.

Merlin vide cadere gli indumenti, ad uno ad uno, oltre il bordo del suo rifugio e per un momento pensò che il giorno dopo sarebbe toccato a LUI raccogliergli da terra, lavarli e prepararli nuovamente per “sua altezza”, prima di rendersi conto di un fatto ovvio.

 

Se i vestiti di Arthur erano sul pavimento significava che il principe era nudo.

 

Nudo, sdraiato sopra di lui.

Tra quelle stesse lenzuola su cui Merlin, solo pochi istanti prima, si stava masturbando, pensando proprio a lui.

 

La sua erezione si tese dolorosamente a quelle considerazioni e il moro cercò di sistemarsi meglio, inutilmente.

Brutta, brutta situazione.

‘Devo solo aspettare che si addormenti e poi sgattaiolare fuori di qui’ cercò di tranquillizzarsi ma una vocina nella sua testa pigolò ugualmente, petulante: ‘peggio di così non poteva davvero andare!’

 

Non l’avesse mai pensato!

 

Il letto scricchiolò.

Merlin pensò che l’altro stesse semplicemente cercando una posizione comoda in cui addormentarsi, almeno finchè non sentì un altro suono.

 

‘No’ pregò.

 

Le lenzuola frusciarono, il letto borbottò una protesta.

Il suono si ripetè, più forte.

 

‘No!’ supplicò con tutto il suo essere il giovane mago.

 

Arthur gemette e Merlin si sentì morire.

Il principe di Camelot si stava masturbando.

 

Sul materasso.

Sopra di lui.

Arthur si stava masturbando.

 

Merlin lo ascoltò liberare un ansimo, un verso roco, caldo, che gli uscì di gola, mentre il legno delle doghe si tendeva  cigolando.

Con mani tremanti il ragazzo si portò la maglia rubata al viso e la serrò tra i denti, per zittirsi, prima di spingere entrambe le mani tra le proprie gambe.

Al ritmo dei sospiri di Arthur, sopra di lui, Merlin si accarezzò fremendo ad ogni scricchiolio, tendendosi ad ogni gemito del suo signore, finchè il principe non venne con un gridò strozzato e il mago fece altrettanto, mordendo la sua tunica, schizzando il suo seme contro il ‘soffitto’ del suo rifugio.

 

Il moretto rimase lì, ad occhi chiusi, a riprendere fiato, mentre Arthur faceva lo stesso sopra di lui, sentendosi sfinito e, al contempo, soddisfatto e infinitamente frustato.

 

Non era così che avrebbe dovuto essere.

 

Voleva essere su quel letto, tra quelle lenzuola, con lui, si rese conto con sgomento.

 

L’aveva negato.

 

L’aveva negato a sé stesso fino alla sfinimento.

Anche mentre si masturbava.

 

Era solo che Arthur aveva risvegliato in lui qualcosa che era stato sopito troppo a lungo.

Il principe gli aveva fatto assaggiare il piacere e Merlin se n’era scoperto goloso.

 

Tutto lì.

 

Avrebbe potuto pensare a chiunque altro mentre lo faceva, era solo più comodo immaginare il biondo perché lo conosceva meglio.

 

Oh, sì, Merlin era stato bravissimo a giustificarsi, raccontandosi una frottola dopo l’altra.

 

Fino a quel momento.

 

Sentire Arthur gemere aveva riversato il fuoco nelle sue vene.

Sapere che era lì, a pochi centimetri da lui, nudo, eccitato, aveva reso folli i suoi sensi.

 

Lo desiderava.

Lo voleva.

 

Disperatamente.

 

Voleva di nuovo le sue mani su di lui.

La sua bocca sulla sua.

Il suo corpo contro il proprio.

 

E quegli occhi cerulei che sapevano perforargli l’anima nell’affondare nei suoi.

E quelle sue carezze gentili, premurose, quando si era accorto che era spaventato.

E quell’istante in cui, tra quelle lenzuola, non erano stati principe e servo ma Arthur e Merlin.

Soltanto loro due in quella stanza che poteva essere sperduta nel nulla, sospesa nel vuoto, sepolta in quella stramaledettissima neve che li perseguitava, per quello che poteva importare ai suoi due occupanti.

 

Merda.

 

Si era davvero innamorato di Arthur.

Merlin sollevò le mani per coprirsi il viso sconfitto, distrutto.

 

Che gran casino.

 

 

Il mago aveva lasciato la stanza del futuro sovrano qualche ora più tardi, quando era stato certo che questi dormisse, per tornare nei suoi appartamenti.

Si era coricato stancamente, dandosi una veloce ripulita, prima di infilarsi sotto le lenzuola.

Aveva tentato di riflettere un po’, di pensare al da farsi ma alla fine la spossatezza aveva avuto la meglio su di lui e si era assopito.

Gli era stata concessa una notte tranquilla ma quando le prime luci dell’alba avevano sfiorato il ragazzo questi aveva cominciato ad agitarsi tra le coltri, preda dell’ennesimo sogno-ricordo.

 

Arthur che tornava in camera.

Lui che si nascondeva sotto il letto.

 

Il principe che gemeva.

 

Il cigolio evocativo del baldacchino.

Il respiro che accelerava.

I suoi sospiri sopra di lui.

Il fruscio delle lenzuola.

Il battito del suo cuore, un tamburo impazzito nelle orecchie.

Il sangue che pulsava, lava viva, nelle vene.

 

E infine il grido.

 

Quel lamento con cui tutto era diventato luce per un istante perfetto, magnifico e splendente, spentosi troppo in fretta.

‘Arthur!’ aveva pensato il mago, liberandosi.

“Merlin!” aveva ansimato il principe facendo lo stesso.

 

Il ragazzo si mise a sedere sul letto di scatto, gli occhi spalancati, il respiro pesante, ogni traccia di sonno scomparso.

 

‘Possibile?’ si chiese incredulo.

Possibile che il suo sogno fosse davvero un ricordo e non una fantasia?

Sul momento il piacere lo aveva stravolto tanto che Merlin certo non aveva fatto caso alle parole del principe.

Lo aveva sentito dire qualcosa ma era davvero un nome?

Era davvero il suo nome?

Non poteva essere.

La fantasia gli stava facendo certamente un brutto, sadico, scherzo.

Perché Arthur avrebbe dovuto chiamare il nome del suo servo nel masturbarsi?

Possibile che il principe provasse qualcosa, qualsiasi cosa, fosse anche semplice, carnale, desiderio, per lui?

Sarebbe già stato un punto di partenza.

 

Una piccola, folle, speranza si accese nel petto del mago.

Doveva trovare un modo per verificare quella sua supposizione.

Se fosse risultata veritiera poteva avere un’opportunità, poteva tentare di ripartire da laddove avevano lasciato, si disse, con le guance in fiamme.

Sì, doveva decisamente scoprire se Arthur era attratto da lui!

 

Più facile a dirsi che a farsi.

 

 

Merlin aveva riflettuto a lungo.

Riesaminando i suoi ricordi si era reso conto che aveva i “sintomi” già da molto tempo.

Ora si spiegava perché negli ultimi mesi era diventato difficile guardare il biondo negli occhi.

Perché aveva cominciato a sentirsi in imbarazzo nell’aiutarlo con il bagno.

Perché trovarlo senza maglia, stravaccato sul letto, con quel suo sorriso irriverente stampato in volto, gli dava uno strano tuffo al cuore.

Quindi… se quelle cose avevano effetto su di lui… forse potevano funzionare anche al contrario.

Certo non poteva mettersi a fissare Arthur dritto negli occhi, rischiava la gogna o peggio, farsi trovare mentre faceva il bagno era di difficile attuazione e girare senza maglia gli avrebbe procurato una broncopolmonite fulminante ma a qualcosa doveva pur pensare!

Si stava ancora arrovellando le meningi, mentre si dirigeva verso la camera del principe, a svolgere i suoi doveri quotidiani, quando un paggio lo intercettò, dicendogli che Uther lo voleva vedere immediatamente.

Il mago si sentì mancare.

 

Si era completamente dimenticato del re!

 

Raggiunse gli appartamenti del sovrano obbligandosi alla calma.

Lui era assolutamente innocente.

Aveva tentato di fare quanto gli era stato ordinato! Era Arthur che non lo aveva voluto!

Quel pensiero gli provocò una fitta dolorosa nonché la rinascita del milione di dubbi che il ragazzo aveva tentato di sopprimere nel studiare il suo piano d’attacco.

Merlin li ricacciò con rabbia, riproponendosi di spiegare ad Uther com’erano andate le cose, per quanto imbarazzante potesse essere, e poi provvedere per sistemarle.

 

Era o non era un mago?

 

Bussò quindi con decisione all’uscio del re, entrando quando un irritato “Avanti!” tuonò da dietro la spessa soglia di legno.

 

Brutto segno.

 

Il re di Camelot non perse tempo in convenevoli.

“Mi sembrava di essere stato chiaro!” ringhiò puntando un dito accusatore contro il servo.

Merlin aprì bocca per ribattere ma non gliene fu dato il tempo.

“Mio figlio è rilassato come un gatto bagnato lanciato in quella stramaledettissima neve lì fuori!!” tuonò e Merlin lanciò un occhiataccia alla suddetta gelata sostanza, fuori della finestra, con odio.

 

Era tutta colpa sua!

 

“Sono andato da lui, sire!” esclamò riportando l’attenzione sull’altro, parlando prima che potesse ripartire alla carica con le sue accuse.

Il re corrugò la fronte “E quindi?” chiese, minaccioso ma anche perplesso.

“Non ha…” Merlin deglutì a vuoto “Non mi ha…”

 

Merda.

Era dannatamente difficile dirlo a voce alta.

 

“Non mi ha voluto, sire” soffiò in fine, umiliato.

Uther rimase per un momento basito.

“Impossibile” sentenziò e Merlin sentì il corpo ricoprirsi di pelle d’oca.

 

Che significava quell’”impossibile”?

 

Oddio… se Uther gli avesse detto che lo trovava in qualsivoglia maniera attraente il mago era pronto ad incenerirlo con il primo incantesimo che gli fosse passato per la testa.

“Ho visto come ti guarda…” aggiunse il sovrano facendo tirare un silenzioso sospiro di sollievo al ragazzo prima che Merlin si rendesse davvero conto del significato di quelle parole.

Sollevò la testa di scatto, colpito.

 

Come lo guardava Arthur?

 

Possibile che le sue speranze avessero fondamento?

Poteva davvero credere a tanto?

 

“Dev’esserci dell’altro” brontolò l’uomo riportandolo al presente “Che cos’è successo di preciso?” domandò.

 

La prima voce nella lista delle cose di cui NON voleva parlare con il suo re?

Sicuramente come NON era riuscito a fare sesso con suo figlio stava molto, molto, in alto nella classifica!

 

“Lui… io…” cominciò Merlin davvero restio a parlarne.

Lo sguardo di Uther lo inchiodò sul posto.

Il ragazzo si arrese e, masticando l’orgoglio, spiegò l’accaduto il più succintamente e sterilmente possibile.

L’altro lo fissò incredulo “Tu non hai mai…” esclamò “…mi prendi in giro?!”

 

‘Ecco. Tale padre, tale figlio!’ Si ritrovò a borbottare tra sé il moro prima di scuotere il capo in segno di diniego.

Uther sbuffò, seccato da quell’imprevisto, cominciando a passeggiare nervosamente davanti al caminetto.

Mai e poi mai, nemmeno nei suoi sogni, anzi incubi, peggiori, Merlin avrebbe pensato di ritrovarsi a discutere della sua verginità con il re di Camelot, tanto meno che questa diventasse un affare di stato!

“Si potrebbe trovare qualcun altro…” mormorò l’uomo tra sé e sé e il ragazzo si sentì come se gli avessero versato addosso una secchiata d’acqua gelida “Ma non c’è nessuno di cui io, ed Arthur, possiamo fidarci allo stesso modo” continuò  senza avvedersi del panico dell’altro.

“C’è una sola soluzione!” sentenziò Uther fermandosi di scatto per voltarsi verso Merlin, deciso.

Il ragazzo deglutì preparandosi al peggio.

“Fatti scopare da qualcun altro e poi torna da Arthur!” ordinò.

 

Merlin lo fissò incredulo.

Aprì la bocca e… la richiuse.

 

No, non poteva rispondere ad Uther.

Non senza segnare la sua condanna a morte.

 

Rimase semplicemente pietrificato cercando di trattenere la rabbia per un istante e poi… nella sua testa si accese una fiaccola.

 

Eccola!

L’idea!

Quella a cui aveva girato attorno per tutto il giorno!

Certo era rischioso ma… quale modo migliore di scoprire se Arthur teneva a lui?

Le labbra del ragazzo si piegarono in un piccolo ghigno che egli si affrettò a sopprimere in fretta.

“Come desiderate sire…” mormorò con voce contrita e Uther sorrise, soddisfatto di aver risolto, ancora una volta, tanto brillantemente, i problemi del regno.

“Ora vai!” disse accondiscendente e Merlin si inchinò, lasciando poi la stanza.

 

 

Il piano era semplice.

 

Durante il banchetto, l’ennesimo, che si sarebbe tenuto quella sera, Merlin si sarebbe fatto notare da Arthur mentre si appartava con qualcuno, fornendogli, in qualche modo, una chiara idea del ‘perché’ lo stava facendo per poi verificare se l’altro sarebbe andato a cercarlo.

 

L’attuazione del progetto era già meno semplice.

 

Tanto per cominciare necessitava di due complici: il primo che sussurrasse all’orecchio del principe che cosa stava succedendo, e per quel compito Merlin aveva facilmente deciso di affidarsi a Gaius, e il secondo bhe… il secondo era quello con cui appartarsi.

 

E lì nasceva un problema non da poco.

 

Se Lancelot fosse stato a Camelot avrebbe potuto chiedere aiuto a lui ma l’altro era chissà dove a miglia e miglia di distanza.

Merlin aveva vagliato tutte le sue possibilità con scrupolosa cura prima di scegliere Ser Nott.

L’uomo, di una decina di anni più vecchio del principe, aveva ricci capelli rossastri e una stazza vichinghica ma non brillava per intelletto, fattore sul quale il ragazzo contava nel caso il principe non si fosse fatto vedere e quindi avesse dovuto svignarsela ingannando il partner.

Inoltre Ser Nott era “onnivoro”.

Merlin l’aveva visto ritirarsi ogni sera con un compagno diverso, non disdegnava né uomini né donne, anzi, a dare ascolto ai pettegolezzi che giravano nelle cucine non rifiutava niente che ancora respirasse!

Era l’uomo ideale!

Certo c’era l’incognita di riuscire a farsi invitare in camera ma Merlin era pronto a barare spudoratamente, ricorrendo alla magia, se necessario.

Quella sera quindi, poco prima di presentarsi a servizio per il banchetto, si era fatto un bagno, aveva indossato abiti puliti e aveva dato una sistemata ai capelli, cercando di risultare il meno peggio possibile.

Aveva poi fatto in modo da farsi trovare, con la brocca del vino, proprio dietro Nott.

Quanto al farsi notare dall’uomo… non gli era stato necessario ricorrere a nessun espediente.

La seconda volta che Merlin gli aveva versato da bere l’altro gli aveva palpato il sedere con l’enorme mano callosa, senza nemmeno preoccuparsi troppo di nascondere il gesto.

Il moretto si era lasciato sfuggire un piccolo sussulto arrossendo fino alle orecchie prima di darsi dell’idiota.

Quella non era certo la reazione adatta a spingere l’altro a portarlo con sé!

O almeno così aveva pensato finchè non aveva timidamente sollevato lo sguardo sul viso del rosso per scontrarsi con due occhi castani in cui brillava una luce famelica.

Nott quella sera aveva abbondato con il vino, approfittando di ogni avvicinamento del servo per saggiarne la carne con le mani e il moretto aveva badato bene di lanciargli un paio di sguardi che sperava ammiccanti e di sorrisi che si augurava incoraggianti al fine di portare a compimento la sua machiavellica macchinazione.

 

Fin lì era andato tutto secondo i piani.

 

Quando Nott si alzò per abbandonare il tavolo Arthur era ancora seduto accanto al padre e Merlin si assicurò che Gaius notasse che il suo pupillo lasciava la sala, a sua volta, per seguire il grosso cavaliere.

Il mago fece appena in tempo ad uscire in corridoio che si ritrovò sollevato di peso da un paio di braccia che sembravano tronchi d’albero.

“Mio signore!” esclamò stupito ma l’altro si limitò a ridacchiare brillo e cominciò a salire la scalinata che portava alle sue stanze, facendo i gradini a due a due, con il ragazzo su una spalla come si trattasse di una stola.

Passò un incredibilmente esigua quantità di tempo prima che Nott raggiungesse la sua camera, aprisse la porta con una spallata, la richiudesse con un calcio, e lasciasse cadere il ragazzo sul suo letto.

Non era grande e morbido come quello del principe ma poteva ospitare abbastanza comodamente due uomini, si ritrovò a pensare Merlin, prima che il cavaliere calasse su di lui cominciando a strappargli i vestiti di dosso.

 

Merlin si era ripromesso di lasciare che Nott giungesse più o meno al punto in cui era arrivato Arthur per decidere quanto tempo dare al principe, per reagire, ma non aveva calcolato che si sarebbe potuto trattare di pochi minuti.

L’uomo aveva già gettato la sua maglia a terra e ora gli stava togliendo i pantaloni con la stessa foga.

Doveva fare qualcosa o Arthur sarebbe arrivato decisamente troppo tardi si ritrovò a pensare il ragazzo, colto dal panico.

Sempre, ovviamente, che fosse arrivato.

Quel pensiero lo demoralizzò immensamente ma ebbe poco tempo da dedicargli perché il cavaliere, che gli aveva concesso un instante di tregua per liberarsi a sua volta della casacca, era piombato di nuovo su di lui a bocca aperta quasi volesse mangiarlo.

Se il moretto aveva ancora dubbi sul fatto che Arthur fosse un caso speciale il bacio dell’altro li fugò tutti.

Non solo non lo trovava piacevole, faceva davvero una gran fatica a trattenersi dallo stordire l’uomo con la magia e darsela a gambe levate.

L’altro si staccò, ansimando, dalla sua bocca e Merlin tirò un sospiro di sollievo che divenne un sussulto quando Nott scese a baciargli la gola mormorando qualcosa sul fatto di volerlo divorare mentre spingeva una mano enorme e callosa tra le sue gambe.

 

Dove diavolo era Arthur?!

 

Merlin si dimenò sotto il peso di quel corpo massiccio, cercando di allontanarsi quel poco che gli era consentito, chiedendosi quanto ancora avrebbe potuto resistere prima di fulminarlo.

Quando l’uomo gli prese il membro tra le dita il ragazzo decise che non avrebbe aspettato un solo secondo di più.

“Anhas…” cominciò a recitare, piano, ma non giunse neppure alla seconda parola che la porta si spalancò di botto, con una tale veemenza da scheggiarsi contro il muro sul quale rimbalzò.

Nott si sollevò di scatto, stupito, cercando di portare la mano ad una spada che aveva scompostamente abbandonato sul pavimento poco prima, per poi bloccarsi e fissare incredulo il suo principe.

“Mio signore” mormorò scattando sull’attenti nonostante l’abbigliamento sfatto, i pantaloni rigonfi e le guance rubiconde lo facessero sembrare tutto tranne un cavaliere.

Merlin dal canto suo si era concesso un silenzioso sospiro di sollievo e un esaltazione vittoriosa, coprendosi in fretta con il lenzuolo, prima di portare lo sguardo sul viso del biondo.

 

Rimase senza fiato.

 

Merlin avrebbe giurato di aver già visto Arthur arrabbiato.

Davvero arrabbiato.

Bhe… si sbagliava.

L’erede al trono trasudava istinto omicida.

I suoi occhi erano due lame di ghiaccio, la bocca era tirata in una linea dura, ogni muscolo del suo corpo era teso allo stremo, pronto a scattare.

 

Il moro deglutì a vuoto.

Mai e poi mai avrebbe pensato di arrivare ad aver paura di Arthur.

Ma in quel momento… in quel momento il principe era terrificante.

 

“Merlin le mie stanze sono in disordine!” ringhiò con voce irriconoscibile.

Il servo non se lo fece ripetere due volte, ponderò per un istante di raccogliere i propri abiti ma lo sguardo granitico del biondo lo fece desistere subito da quell’intenzione, stringendosi addosso il lenzuolo balzò giù dal letto e, senza una parola, sgattaiolò fuori dalla camera di Nott per salire in quella del principe.

 

 

Merlin ebbe a malapena il tempo di avvicinarsi al camino, nel tentativo di scaldarsi un po’, che la porta della stanza si spalancò con un tonfo e si richiuse con un botto.

“Che diavolo ti è passato per la mente!” tuonò Arthur furioso “Dei Melrin! Quando credevo che non potessi più superarti in stupidità ti ritrovo a commettere la più mastodontica cretinata di tutta la tua vita!” lo aggredì senza lasciargli nemmeno il tempo di aprire bocca per cercare di giustificarsi.

“Nott? No dico… Nott?! Quello si fa CHIUNQUE!” esplose.

Merlin tentò di nuovo d’inserirsi nel monologo dell’altro ma Arthur riprese a riversargli addosso una valanga d’insulti e il mago, che ancora non aveva avuto bene il tempo di festeggiare il fatto che l’altro fosse andato davvero a cercarlo, cominciò seriamente ad irritarsi.

 

Insomma aveva messo in piedi tutto quel casino per lui!

Per capire se aveva delle possibilità.

Per cercare di sfruttare quelle possibilità!

Ma se il principe continuava ad urlargli contro senza concedergli nemmeno il tempo di una spiegazione come avrebbe fatto a farglielo capire?!

 

“Sei il più grosso idiota che io abbia mai conosciuto…” continuava imperterrito il biondo “…un incosciente, un pazzo, non so che cazzo hai in quella testa ma…”

 

Merlin lasciò cadere il lenzuolo.

 

E Arthur si zittì di scatto.

 

Tutto sommato, si ritrovò a pensare il mago, con le guance in fiamme, era stato semplice metterlo a tacere.

 

“Tuo padre…” cominciò lentamente, con una pazienza che faticava a celare la furia “…mi ha ordinato di farmi scopare da qualcun altro in modo da essere poi pronto per te…” spiegò “…e tutto questo non sarebbe successo se TU non mi avessi rifiutato la prima volta!” ringhiò.

Arthur aprì la bocca e la richiuse, facendo un evidente sforzo per staccare gli occhi dal corpo di Merlin e portarli sul viso del ragazzo.

“Stai insinuando che è colpa mia?!” chiese incredulo.

“E’ sempre colpa tua!” esplose Merlin abbandonando ogni parvenza di calma.

“Come OSI!” tuonò il principe “Io pensavo a TE! La tua prima volta non dovrebbe essere con il primo energumeno che passa!” gridò “Dovrebbe essere con qualcuno di speciale, una persona importante per cui provi dei sentimenti, maledizione!” esclamò.

“TU sei quella persona, maledizione!” gli sbraitò contro il mago, a tono, prima di bloccarsi nel rendersi conto di ciò che aveva appena ammesso.

 

Si fissarono increduli, entrambi a corto di fiato, improvvisamente silenziosi.

L’uno per quello che aveva confessato l’altro per quello che si era sentito confessare.

 

Incapace di sopportare oltre lo sguardo stupito del suo signore Merlin gli voltò le spalle solo per sussultare un istante più tardi nel sentirsi abbracciare da dietro.

“Oh mio piccolo, stupidissimo Merlin” gli soffiò il biondo in un orecchio, con tono così dolce che il ragazzo non riuscì ad arrabbiarsi per l’insulto.

Arthur lo obbligò a girarsi, lentamente, circondandogli il viso con la mani per spingerlo ad alzarlo verso il suo.

“Dicevi sul serio?” chiese piano, con voce emozionata.

Merlin si ritrovò ad annegare in quelle sue iridi di cielo e non potè che annuire piano.

Al momento non era certo di essere ancora dotato della parola.

Arthur emise un verso, una via di mezzo tra un rantolo e un sospiro, a quella sua imbarazzata conferma, prima di chinarsi su di lui e chiudergli la bocca con la sua.

Fu un bacio lungo, dolce e affamato.

Le loro labbra strofinarono le une contro le altre, le loro lingue s’intrecciarono, i loro respiri si fusero mentre il principe stringeva l’altro a se.

Merlin ansimò quando i loro corpi aderirono, i vestiti del biondo che strofinavano contro la sua pelle nuda.

Arthur lo spinse lentamente indietro senza staccarsi dalla sua bocca finchè non arrivarono al letto, solo allora si separò da lui di qualche passo.

“Stenditi” soffiò piano e Merlin non era mai stato così pronto ad obbedire ad un ordine.

Arthur non gli staccò gli occhi di dosso per un solo istante mentre si liberava degli indumenti e Merlin fece altrettanto, lasciando che lo sguardo scivolasse sul corpo del compagno a memorizzarne le forme.

Il principe tornò da lui troppo presto per i suoi occhi che ancora volevano abbracciarlo e troppo tardi per la sua pelle che voleva ritrovare il suo calore.

Merlin gli tese le braccia e il principe accolse quel suo muto invito montando sul letto, e su di lui, sdraiandoglisi sopra, strappandogli un suono sorpreso, a metà tra il guaito e il gemito, quando i loro toraci aderirono e le loro gambe si intrecciarono.

“Oddio…” ansimò il mago, quella semplice vicinanza scatenava sensazioni incredibili dentro di lui.

“Shhh…” soffiò il principe piano e tornò a chiudergli la bocca con la sua mentre la mano sinistra scendeva ad accarezzargli una coscia e la destra gli massaggiava un fianco, rassicurante.

Il principe tuttavia non indugiò molto sul bacio questa volta, così come aveva fatto la prima notte, gli liberò le labbra per scendere a vezzeggiargli il collo, il petto, scivolando di lato per torturargli un capezzolo mentre la mano sul suo fianco si spostava ad accarezzargli il ventre per poi scivolare giù, tra la peluria scura.

Merlin spalancò gli occhi ed inarcò la schiena, con un sussulto, quando le dita esperte del principe accarezzarono il suo membro, spingendosi in basso, per strofinarlo con tutto il palmo, finchè con i polpastrelli non arrivò a sfiorargli la punta.

Arthur vi sfregò delicatamente l’indice sopra, premendo piano, strappando al suo servitore un verso inarticolato di piacere.

Sorrise, soddisfatto dalla sua reazione, usando la sinistra per costringerlo ad allargare un po’ di più le gambe, per lui, consentendogli così maggior spazio d’azione.

Merlin mugolò, incerto, facendo un po’ di resistenza prima di consentirgli di divaricargli le cosce ed Arthur decise di aiutarlo a rilassarsi un po’.

Liberando il capezzolo che aveva torturato fino a quel momento riprese la sua discesa di baci, assaporando la pelle pallida del moro con le labbra e la lingua.

Aveva una consistenza, un calore ed un sapore inebrianti che gli facevano desiderare di assaggiarlo dalla testa ai piedi per poi ripetere il percorso all’inverso, all’infinito.

Affondò la lingua nel suo ombelico mentre con la destra serrava il suo membro cominciando un lento massaggio che fece tendere il suo prigioniero come una corda di violino.

Merlin ansimava e si agitava sulle lenzuola arruffate, le guance in fiamme e le labbra gonfie, tese a mormorare il nome del suo torturatore senza fine.

Arthur lo stava uccidendo, ne era certo.

Quando, quella prima sera il principe l’aveva toccato, Merlin aveva pensato di aver provato sensazioni incredibili.

Ora il ricordo svaniva al confronto.

E quando l’altro scese ancora, soffiando delicatamente sul membro che teneva in mano, il mago pensò che davvero non poteva sopportare altro.

“Non ti ci abituare…” lo avvertì il principe, parlando a pochi centimetri dalla pelle congestionata del suo membro e il servo stava per chiedergli a che cosa si riferisse quando il biondo accompagnò con la mano il membro del ragazzo alla bocca e ne lappò la punta.

Il mondo di Merlin andò semplicemente in frantumi.

Tutt’attorno a lui la realtà esplose in milioni di frammenti di luce e il moro venne, violentemente, in pieno volto al suo futuro re.

Merlin si riaccasciò sui cuscini, dai quali non si era nemmeno accorto di essersi alzato, respirando a fatica, sconvolto.

Solo dopo alcuni istanti la sua mente riuscì a recuperare un barlume di ragione e a rendersi conto di ciò che aveva appena fatto.

 

Si sentì morire.

E se non fosse morto per conto suo era certo che Arthur lo avrebbe ucciso.

 

Sollevò il viso cautamente, imbarazzato, cercando quello dell’altro.

Se un maglio gli fosse caduto sul petto, in quel preciso istante, gli avrebbe strappato il respiro in maniera meno brutale della visione che si presentò ai suoi occhi.

 

Arthur aveva portato la mano al viso e si stava ripulendo con le dita, solo per poi portarsele alle labbra e leccarne la sostanza biancastra che le impiastricciava.

 

Merlin lo fissò sconvolto, con occhi enormi, e il biondo gli porse un sorriso malizioso, sornione, prima di raccoglierne un altro po’ ed abbassare la mano.

Gli sfiorò i testicoli strappandogli un fremito e poi scivolò più giù, più indietro, gli occhi azzurri piantati in quelli blu del mago, mentre con i polpastrelli umidi gli strofinava piano l’apertura tra le natiche, disegnandone lentamente il contorno, saggiandola piano con la punta delle dita per testarne la resistenza.

Merlin trattenne il fiato, gli occhi sbarrati fissi in quelli del principe, finchè questi non aumentò la pressione e spinse, violandolo per la prima volta.

 

Era dentro.

Arthur era davvero dentro di lui.

 

Il principe immerse tentativamente l’indice, un po’ più in profondità, strappandogli un guaito e un tremito.

“Rilassati…” soffiò piano ritraendo il dito per poi introdursi nuovamente in quell’antro stretto e bollente, mimando piano l’atto che di lì a poco li avrebbe uniti.

“Arthur” gracchiò piano Merlin, incerto “E’… è dentro…” balbettò incoerentemente, stravolto.

 

Non era doloroso ma era così strano, così intimo quel contatto.

Brividi caldi e freddi gli si riversavano sulla pelle, violenti, costringendolo a tremare mentre nella perfetta immobilità della stanza il rumore della sua stessa carne che si apriva per il biondo s’intrecciava al suo respiro affannoso.

 

Arthur strinse la mascella, con forza, imponendosi la calma, consapevole di dover lasciare all’altro il tempo di abituarsi a quelle nuove sensazioni.

Sarebbe stato più facile se il corpo di Merlin non fosse stato così dannatamente caldo, così incredibilmente invitante, così diabolicamente stretto.

“Arthur…” supplicò il moro con voce rotta, provata.

 

E il fatto che gemesse in quel modo assolutamente intossicante non aiutava!

Non aiutava affatto!

 

Il principe fece appello a tutto il suo sangue freddo, abbassando di nuovo il volto sul membro del mago, per distrarlo e per distrarsi, stuzzicandolo con le labbra, gingillandolo con la lingua, accorgendosi con sorpresa che l’altro era di nuovo praticamente eretto.

Merlin mugolò inarcando la schiena, sollevando il bacino, offrendo silenziosamente il corpo al proprio aguzzino che accolse il membro del ragazzo in bocca mentre spingeva anche il medio in lui.

Il moretto sussultò, lamentandosi piano, ma il principe non gli permise di scostarsi tenendolo fermo con la sinistra mentre la destra si muoveva piano per far affondare le dita.

Arthur le insinuò fino in fondo, costringendo il ragazzo a guaire un ansimo spezzato, per poi ritrarle, ripetendo il gesto finchè non sentì che il respiro di Merlin accelerava, frammentandosi, e che le pareti attorno a lui cominciavano a porre meno resistenza, allora cominciò a divaricarle un po’, per allargare quella carne troppo stretta e troppo calda che rischiava di farlo impazzire da un momento all’altro.

 

Non avrebbe resistito ancora  a lungo.

 

Merlin si agitò sulle lenzuola incapace di stare fermo, i brividi e i tremiti che lo scuotevano incontrollabili. Sentiva la bocca di Arthur stringerlo, scivolare su e giù sulla sua asta, strofinandone la pelle sensibile, vezzeggiandola con la lingua, e le sue dita lunghe, rese forti e ruvide da tanto esercizio con la spada, incunearsi dentro di lui, violando, aprendolo, costringendolo ad accettarlo sempre più in fondo, obbligandolo a schiudersi per lui.

Era doloroso e piacevole al contempo, una sensazione che Merlin non riusciva ad imbrigliare e che stava rischiando di farlo impazzire.

Il cuore gli tuonava nel petto al ritmo di un galoppo impazzito, il sangue gli pulsava nelle vene incandescente, bruciandogli il respiro, appannandogli la vista.

Era terribile e magnifico al contempo, si sentiva come se, da un momento all’altro dovesse andare in mille pezzi e, al contempo, si sentiva così pieno, così completo.

 

Era insopportabile, voleva che smettesse.

Era bellissimo, voleva che continuasse all’infinito.

 

Impazzirò, si disse, ma non gliene poteva importare meno.

 

Succube delle sensazioni con cui Arthur lo stava drogando Merlin rilassò il bacino, inconsciamente, deciso ad assaporare di più quelle emozioni, spingendo il ventre contro la sua mano.

E i polpastrelli del principe andarono a toccare qualcosa, dentro di lui, che gli fece vedere le stelle.

“Arthur!” gridò, spalancando gli occhi, sconvolto dalla scarica elettrica che gli attraversò il corpo.

Il principe sorrise tra sé e andò di nuovo a cercare quel punto speciale, costringendo l’altro a gemere, tendendosi.

“No…” supplicò Merlin incapace di fare fronte a quel nuovo, devastante, stimolo.

“No, Arthur… non lì…” pregò ma l’altro non lo ascoltò, mirando di nuovo, con precisione, insistendovi sopra con forza, obbligando il ragazzo a dimenarsi e gridare, incapace di sopportare le ondate elettriche che gli squassavano il corpo.

E poi, quando Merlin era sul punto di esplodere, una seconda volta, nella bocca del principe, Arthur si staccò da lui.

Il moro ansimò pesantemente, ad occhi chiusi, incapace di muoversi, terribilmente eccitato, completamente stravolto.

Si sentiva esposto, aperto, vulnerabile, come mai in vita sua.

Avvertì il principe muoversi, strofinare la propria erezione contro la sua coscia e poi spingersi più su, fino a rimettersi su di lui.

Arthur gli baciò le palpebre chiuse, gli sfiorò il naso con le labbra e poi calò sulla sua bocca costringendola a schiudersi per lui, rapendone il respiro, assaporandone nuovamente l’interno.

Il biondo aveva un nuovo, strano, sapore.

Il suo sapore si rese conto, con imbarazzo.

“Merlin…” lo chiamò piano il principe e il ragazzo si costrinse ad aprire gli occhi per affondare lo sguardo appannato in quello dell’amante.

Vi lesse desiderio, determinazione ma anche premura e dolcezza.

“Fa piano…” lo implorò, fornendo il consenso che quelle iridi cerulee gli stavano chiedendo.

Arthur annuì e lo baciò di nuovo mentre con una mano accompagnava il proprio membro contro l’apertura arrossata del mago.

“Respira…” lo esortò e poi… spinse.

La punta costrinse la sua carne bagnata a divaricarsi mentre Melrin artigliava le spalle del biondo, gettando la testa, indietro, sui cuscini, inspirando violentemente.

Delicatamente, ma con fermezza, Arthur si fece strada dentro di lui obbligandolo a tendersi fino a fargli credere che gli si sarebbe spezzata la schiena.

Il principe si fermò dopo pochi, eterni, istanti per dargli il tempo di abituarsi all’intrusione.

Merlin respirava con affanno, gli ansimi inframmezzati a piccoli, flebili, lamenti.

Faceva dannatamente male, più di quanto avesse immaginato.

“Rilassati…” ringhiò piano Arthur e il mago socchiuse le palpebre, spostando lo sguardo annebbiato di lacrime sul suo viso, notando lo sforzo che l’altro si stava imponendo per restare fermo.

Sembrava soffrire quasi quanto lui.

Il pensiero lo rassicurò un po’ aiutandolo a rilassarsi e il principe lo percepì.

“Bravo…” soffiò “…ancora un po’… ci siamo quasi” tentò di rassicurarlo passandogli con dolcezza una mano tra i capelli arruffati.

Merlin lo fissò sconvolto ma ebbe appena il tempo di soffiare un: “No, Arthur aspetta!” che l’altro spinse nuovamente scivolando più in profondità, incuneandosi in lui fino a far combaciare i loro bacini.

Il mago spalancò la bocca in un grido muto, completamente senza fiato, gli occhi serrati, il cuore in subbuglio.

“Dei… Merlin!” gracchiò Arthur e si mosse piano.

Il mago guaì, tendendosi dolorosamente “No…” pregò “…fa… fa male Arthur”

Ma il principe aveva ormai superato il punto di non ritorno e non riuscì a trattenersi dal premere nuovamente in quella carne che lo serrava, incandescente, bruciandogli ogni razionalità.

Merlin gemette inarcandosi di nuovo e il principe si ritrasse un po’ per affondare poi, di nuovo, con maggior decisione.

“No!” supplicò Merlin serrandogli con forza le braccia “E’… è troppo grande Arthur…. non ce la faccio” ansimò stravolto ma l’amante si tirò indietro solo per penetrarlo ancora, con bisognosa violenza.

E questa volta non si fermò.

Lentamente, ma senza concedergli tregua, cominciò ad oscillare il bacino, costringendo Merlin a danzare con lui, forzandolo ad aprirsi di più per accettarlo, obbligandolo a guaire ad ogni suo movimento mentre si conficcava in lui a ritmo sempre più incalzante.

“No…” singhiozzava Merlin sconvolto “….brucia… ti prego Arthur… no”

“Rilassati” lo implorò il principe, conscio di quanto fosse difficile per l’altro ma incapace di fermarsi.

Spostò la mano destra tra i loro corpi, cercandogli il membro teso, riprendendo il massaggio che aveva cominciato con la bocca, nel tentativo di aiutarlo, mentre con i fianchi saliva e scendeva, piantandosi dentro di lui con veemenza, cercando ciò che prima aveva raggiunto con le dita.

Lo trovò.

Il suo membro andò a strofinare contro quel punto speciale che aveva fatto morire Merlin, strappandogli un lungo, inarticolato lamento.

Arthur spinse di nuovo, più forte, facendo attenzione ad andare a premere proprio lì, sprofondando in lui fino a spingere i loro testicoli a sbattere gli uni contro gli altri.

“NO!” gridò Merlin, inarcandosi nuovamente ma nella sua voce, questa volta, c’era una nota acuta di piacere.

E Arthur era abbastanza attento ed esperto da accorgersene.

Dapprima lentamente poi sempre con più potenza, il principe seviziò l’interno del suo servitore, costringendolo a gridare sempre più forte, dilaniando quell’antro troppo stretto, troppo caldo, immergendovisi fino alla base.

I ‘no’ del mago s’intrecciavano ai suoi gemiti in una litania impazzita ma ormai il dolore li sfumava a malapena.

Arthur sentiva il corpo sotto il suo farsi sempre più arrendevole, accettandolo dapprima, andandogli in contro poi, consentendogli di arrivare più in alto, di spingere più forte, più in fretta.

Nessuno dei due sarebbe durato ancora a lungo, il biondo personalmente era certo di non poter continuare ancora per molto prima che gli scoppiasse il cuore.

Si tirò indietro, sollevandosi dal petto del moro, per consentirsi una maggiore mobilità e cominciò piantarsi in lui con brutalità, con frenetica urgenza, serrandogli le cosce con le mani per costringerlo a tenere le gambe divaricate il più possibile, in modo da permettersi di ritrassi quasi del tutto per poi tornare a conficcarsi fino in fondo, fino a strofinare i loro bacini l’uno contro l’altro.

“Basta!” supplicò Merlin “E’ troppo… troppo….”

Le spinte divennero furiose mentre il moro lo implorava di fermarsi andandogli in contro con disperazione convulsa.

Il principe allungò le braccia e lo strinse forte a sè, obbligandolo a sua volta a sollevarsi, impalandolo sul proprio membro.

Merlin affondò il viso nella sua spalla, aggrappandosi a lui con braccia e gambe, singhiozzando di piacere “Non ce la faccio… Non ce la faccio più Arthur… basta ti prego!!” lo invocò senza fiato, distrutto, e il principe assestò un’ultima spinta, decisa, profonda, facendolo gridare forte, contro il suo orecchio, prima di venire con un rantolo inondandogli l’intestino con il suo seme bollente.

Merlin ansimò, sconvolto da quell’ulteriore invasione, riversandosi a sua volta con un lungo grido roco contro il ventre del principe prima di accasciarglisi tra le braccia privo di sensi.

 

 

“Merlin…”

“Merlin…”

Il ragazzo costrinse le palpebre pesanti a sollevarsi per specchiarsi nelle iridi preoccupate di Arthur.

“Hey… stai bene?” gli chiese dolcemente il biondo.

“Non lo so…” gracchiò piano il mago scoprendo di avere la gola completamente riarsa.

Il principe parve comprendere perché si alzò e tornò pochi istanti più tardi con un bicchiere d’acqua che l’altro accettò riconoscente, bevendo avidamente.

Arthur lo aiutò a risistemarsi tra i cuscini e il ragazzo emise un flebile lamento nell’avvertire la protesta del suo corpo.

“Mi sento strano” soffiò.

Il biondo gli sorrise con tenerezza scostandogli qualche ciocca umida dalla fonte “Domani sarà anche peggio” lo informò, per nulla rassicurante.

Merlin fece una smorfia ma poi si concesse un sorriso.

Si sentiva esausto fin nelle ossa, aveva le braccia indolenzite, le gambe doloranti, per non parlare delle sue parti basse eppure… non si era mai sentito così bene in vita sua.

E Arthur… Arthur era così incredibilmente gentile con lui!

Per riavere su di sè lo sguardo con cui il principe lo stava avvolgendo in quel momento Merlin avrebbe dato la sua verginità un altro milione di volte.

“Le prossime volte andrà meglio” soffiò piano il principe, facendolo arrossire fino alla radice dei capelli.

Ancora non riusciva a ripensare a quella di volta… non poteva davvero immaginare le prossime.

E poi… meglio di così?

Esisteva qualcosa di migliore?

Sarebbe morto di sicuro!

Arthur gli baciò le labbra, con dolcezza, e Merlin accantonò tutti i pensieri.

Era davvero troppo stanco e troppo felice per rimuginare ancora, si limitò dunque a mugolare qualcosa d’indistinto, rannicchiandosi accanto al biondo che gli fece scivolare un braccio intorno alla vita, protettivamente, addormentandosi cullato dal suono del suo respiro, avvolto nel suo calore.

 

 

Merlin tornò nelle sue stanze il mattino successivo, zoppicando e bofonchiando insulti alla volta dell’amante.

Arthur gli aveva concesso una giornata di riposo per ‘i servigi resi al regno’ e il moretto era ben deciso ad approfittarne.

Si buttò sul proprio letto, con un sospiro soddisfatto, infilandosi un cuscino sotto la schiena per stare un po’ più comodo prima di recuperare il suo libro d’incantesimi e darsi allo studio.

Gaius lo trovò così, con il naso infilato tra le pagine ingiallite, gli occhi che scorrevano avidi le parole di una magia in particolare.

“Vedo che sei tornato” disse con l’aria di chi la sapeva lunga su come il ragazzo aveva passato la notte e Merlin non riuscì né a negare né tanto meno a trattenersi dall’arrossire.

“Tutto bene?” chiese il suo mentore leggermente preoccupato.

Il ragazzo divenne rosso fino alle orecchie ma annuì. “Benissimo” soffiò imbarazzato.

Gaius ridacchiò “Sai…” confidò sedendosi sul materasso accanto a lui “…ieri sera ti sei perso una magnifica scena!” ghignò “Quando ho lasciato intendere ad Arthur il perché te ne andavi dal banchetto, prima per poco non si è soffocato con il vino e poi è schizzato via come una furia! Ha quasi travolto due servitori e quando, per caso, Sir Owen si è ritrovato tra lui e la porta ha messo mano alla spada come se fosse disposto a farsi strada con quella!” ricordò tra il divertito e il sorpreso.

“Senza contare che erano giorni che era assolutamente intrattabile mentre stamani ha un sorriso che da solo basterebbe a sciogliere tutta questa neve!” esclamò con un cenno verso la finestra.

Merlin non potè che sorridere a suo volta, felice, veramente felice, e Gaius annuì soddisfatto tra sé.

Negli occhi del ragazzo c’era la stessa splendente completezza che aveva scorto in quelli dell’erede al trono quel mattino.

“Bhe devo tornare ai mie compiti.” disse, alzandosi, prima di gettare uno sguardo curioso al libro aperto sulle ginocchia dell’altro.

“Stavi cercando qualcosa?” chiese ricordando la concentrazione quasi maniacale che il suo pupillo stava riservando al tomo quando era entrato, cercando di leggere la pagina su cui il mago si era soffermato.

“No, niente!” esclamò Merlin troppo in fretta e con le orecchie in fiamme, richiudendo il testo con un tonfo.

Gaius passò lo sguardo dalla copertina scura al giovane mago sollevando gli occhi al cielo.

Aspettò di essere sulla porta prima di voltarsi e mormorare: “Gli incantesimi che modificano il clima sono ancora troppo complessi per te” costringendo il volto del ragazzo a raggiungere tonalità violacee.

Il cerusico lasciò la stanza borbottando qualcosa sulla gioventù e Merlin lo ignorò tornando ad aprire il volume di magia sulla pagina che gli interessava.

“Dunque…” mormorò scorrendo le parole laddove aveva interrotto la lettura poco prima “…dov’ero rimasto? Ah sì. Neve. Mi serve la neve. Un sacco di neve!” ghignò e riprese a studiare l’incantesimo con attenzione.

 

Infondo Merlin l’aveva sempre pensato: amava la neve!

 

fine...

 

 

 

Omake

 

Ser Ronald Nott non brillava per intelletto.

Era più bravo ad eseguire gli ordini che a darli e delle possibili soluzioni ad un problema sceglieva sempre quella più semplice e che, preferibilmente, prevedesse l’uso della forza bruta.

Tuttavia Ser Nott era un cavaliere e come tale aveva combattuto molte battaglie, affrontato innumerevoli nemici e aveva finito per sviluppare un vero e proprio istinto che gli permetteva di identificare le situazioni pericolose.

Per tanto, dopo quella fatidica sera, egli aveva fatto molta attenzione a stare alla larga dal servitore di Arthur.

Oh, il ragazzo conservava ancora tutte le sue attrattive con quei suoi grandi occhi blu in cui affogare, quella sua pelle candida tutta da mordere e quella bocca irriverente che sembrava fatta appositamente per dare piacere ad un uomo ma Ronald non era così folle da tentare un nuovo approccio con il ragazzo, non quando gli occhi del loro capitano ne seguivano ogni movimento con tanta possessiva attenzione.

Nott era alto, possente e conscio di essere uno spadaccino al di sopra della media tuttavia era altrettanto consapevole che, anche non si fosse trattato dell’intoccabile figlio del suo re, l’abilità del loro comandante era di gran lunga superiore alla sua.

Non a caso l’ultima prova per diventare cavaliere di Camelot consisteva nell’affrontare Arthur e restare in piedi per dieci minuti.

In quelle occasioni il principe soleva definirsi una macchina per uccidere e sebbene quell’autoproclamazione dimostrasse ben poca modestia, Ronald poteva tranquillamente ammettere che non differiva molto dalla realtà.

L’erede al trono sapeva davvero diventare uno strumento di morte al bisogno e, da come accarezzava l’impugnatura della sua spada ogni qual volta qualcuno si prendeva troppa confidenza con il suo servitore, Nott era certo che Arthur ritenesse il tenere lontani  gli altri dal ragazzo un bisogno essenziale!

Sì, Nott non brillava per intelletto ma gli anni avevano fatto di lui un uomo saggio e mentre con la coda dell’occhio notava il principe ritirarsi per la notte, ordinando al suo servitore di accompagnarlo per occuparsi del suo fuoco (il cavaliere dubitava che si stesse riferendo a quello nel camino), egli tese il boccale vuoto alla cameriera più vicina, allungandole una generosa palpata sul sedere quando l’ebbe a tiro.

Non era piccolo, sodo e dannatamente invitante come quello di Merlin ma di sicuro tastarlo sarebbe risultato molto meno letale.

 

 

 

Scleri dell'autrice (Chi non muore si rivede... purtroppo! nd.Pippis)

Spero che vi siate divertiti a leggerla quanto io mi sono divertita a scriverla ma se così non fosse... è tutta colpa di Eny! >.<

L'ho scritta per congratularmi con lei per la sua laurea quindi prendetevela con lei io sono innocente! >///<

 

 

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