La mossa segreta 1                                      Back to FanFic  Back to Home

Il sole splendeva alto in un cielo particolarmente azzurro e una lieve brezza scompigliava con affetto le fronde smeraldine dei grandi alberi che circondavano i campi da tennis del Seigaku dove un nutrito gruppo di ragazzi si stava preparando ad affrontare un altro duro allenamento parlando allegramente del più e del meno.

Il chiacchiericcio generale tuttavia scemò in un lieve brusio quando i membri regolari della squadra fecero il loro ingresso in campo, le divise bianche e azzurre che li contraddistinguevano, brillanti come un sogno lontano agli occhi delle matricole, che seguirono quella normale sfilata con sguardi ammirati.

Ignorando le occhiate più o meno veneranti di chi era sgattaiolato a seguire l’allenamento da dietro le reti di recinzione e quelle cariche di rispetto e, a volte, di reverenziale timore, dei compagni del club, i nove membri del Seigaku cominciarono il loro allenamento sotto il vigile occhio della loro allenatrice e il severo controllo di Kunimitsu Tezuka, il loro impassibile capitano.

 

“Sono a pezzi...”

Shusuke Fuji si accasciò sulla panchina, scegliendo con cura quella che tutti gli altri avevano evitato, chi per rispetto, chi per timore, chi per una muta legge collettiva, andando quasi ad appoggiare la spalla a quella di Tezuka che stava finendo di prelevare dalla sua sacca il necessario  per la doccia.

Il capitano era sempre l’ultimo a raggiungere gli spogliatoi, fatta eccezione per le matricole che avevano il compito di riordinare il campo dopo gli allenamenti.

“Dobbiamo prepararci per il campionato estivo...” mormorò serio, posando lo sguardo insondabile sul corpo snello, quasi delicato, del compagno di squadra che si stava stiracchiando con languida grazia, un po’ troppo vicino ma non abbastanza da toccarlo.

In effetti Fuji aveva la strana tendenza a stargli sempre accanto, un po’ come faceva Kikumaru con Oishi, solo che, a differenza del loro vulcanico rossino che girava intorno al vice capitano come un tornado senza smettere un momento di reclamare, in un modo o nell’altro, la sua attenzione, quella di Fuji era una presenza silenziosa, quasi effimera.

Tezuka avvertiva quel suo profumo lieve, di rose selvatiche, sentiva il suono leggero del suo respiro, morbido e sereno, a volte coglieva addirittura l’impercettibile sfiorarsi delle loro divise e gli bastava per sapere che il ragazzo era di nuovo lì, al suo fianco, senza neppure il bisogno di voltarsi.

Era una sensazione strana, ma non spiacevole, a cui l’impassibile capitano del Seigaku era ormai abituato, quasi affezionato.

“Hmm...” mugolò l’oggetto dei suoi pensieri gettando indietro il capo per lasciare che gli ultimi raggi del sole morente, che filtravano dalle alte finestrelle dello spogliatoio, rilucessero dorati tra i suoi capelli biondo miele e trasformassero in diamanti le goccioline d’acqua che gli imperlavano il volto dai lineamenti dolci, androgeni.

Ecco... invece a ‘quello’ Tezuka non riusciva ancora ad abituarsi.  

Cos’era quell’inspiegabile calore che gli serpeggiava nello stomaco quando, come in quel momento, il suo sguardo veniva calamitato, contro la sua volontà, sulla figura del biondino?

Perchè osservare il tessuto, umido, dell’accappatoio schiudersi come labbra candide sulla pelle chiara del suo compagno di squadra doveva procurargli quello strano senso di vuoto nel petto?

Il moro strinse impercettibilmente la mascella incapace di trovare una risposta alle sue domande, scontrandosi, quando sollevò il capo, deciso ad ignorarle per l’ennesima volta, con lo sguardo verde bosco della fonte di tutti i suoi dubbi.

E c’era qualcosa di nuovo in essi, una luce d’orata e un’ombra verde smeraldo.

Speranza e timore.

“Tezuka...?” soffiò Fuji, inclinando il capo sulla spalla destra, con fare innocentemente interrogativo, e il capitano registrò quel suo timbro basso e morbido, notò le ciocche bionde accarezzargli in lingue lucenti la linea elegante del collo prima di rendersi conto che lo stava fissando di nuovo.

Scosse le spalle senza dire nulla, cercando di liquidare la faccenda con indifferenza, ma Fuji gli porse quel suo sorriso felino ed enigmatico, che sembrava voler dire troppe cose e nessuna, e lui si ritrovò a dirigersi verso le docce con la fronte leggermente corrugata e un altro milione di domande che gli ronzavano nel cervello.

 

...

 

Tezuka non era mai stato uno che, di fronte ad un problema, si tirava indietro, rifiutandosi di affrontarlo.

E non aveva intenzione di fare così nemmeno con Fuji.

Anche se non era sicuro che si potesse parlare di ‘problema’.

Fatto stava che, sempre più spesso, si trovava a dover affrontare uno strano, piacevole, disagio quando il compagno di squadra gli era accanto.

Come in quel preciso momento.

L’insegnante di geografia li aveva incaricati di riportare nell’aula di scienze due pesanti ed ingombrantissime mappe del Giappone e per qualche assurdo motivo il suo cuore aveva dato un insolito balzo nel pensare che si sarebbero trovati soli, insieme.

Il che non aveva assolutamente senso.

 

“Ci serve una scala...”

 

Tezuka riuscì a non sussultare solo grazie al suo ferreo autocontrollo.

Si era talmente perso nei suoi pensieri che non si era accorto che erano arrivati a destinazione e che Fuji gli era scivolato accanto, per aiutarlo a deporre la mappa, dopo aver abbandonato la sua a terra.

 

Ed era vicino.

 

Così vicino che avvertiva il suo respiro accarezzargli una guancia.

Così vicino che quelle semplici, innocue, quattro parole, gli avevano sfiorato la pelle in un soffice, impalpabile, bacio, prima di arrivare al cervello.

Lo sguardo gli scivolò per motivi incomprensibili sulle labbra del ragazzo, osservandole socchiudersi, umide.

 

Sembravano morbide a vederle così... morbide e dolci.

 

“Ce ne deve essere una nello sgabuzzino...” mormorò con il tono più piatto che riuscì a recuperare, incapace di affrontare quell’ultimo pensiero, scoprendo di provare un’altra inspiegabile sensazione.

Perchè lo sollevava l’idea di allontanarsi dal compagno anche se solo per qualche momento?

Fuji annuì prendendo in carico la sua mappa e Tezuka si affrettò ad uscire dall’aula.

Gli bastarono quei pochi istanti, lontano dal profumo leggero del suo compagno di classe per recuperare il suo sangue freddo e il completo controllo di sé.

Quando tornò aiutò Fuji a riporre la prima cartina sullo scaffale più alto e la seconda su quello immediatamente inferiore congratulandosi con se stesso per la tranquillità con cui aveva svolto tutta l’operazione.

Non c’era più traccia di quella strana, insinuante, sensazione, ne di pensieri assurdi nella sua testa.

Era tornato tutto alla normalità.

 

Almeno finchè Fuji non mise un piede in fallo, scendendo l’ultimo gradino della scala, che il moro gli stava tenendo, rovinandogli addosso.

 

Tezuka aveva avuto una fugace visione del ragazzo che scivolava all’indietro e, senza pensare a nulla, aveva allungato le braccia per prenderlo.

C’era riuscito, evitando che il compagno si facesse male, ma si era ritrovato sdraiato sul pavimento con Fuji sopra, saldamente stretto tra le sue braccia.

E quel morbido calore che si sviluppava nel suo ventre ogni qual volta il biondo gli era accanto, aveva assunto improvvisamente le allarmanti dimensioni di un incendio.

Per non parlare del battito del cuore che sembrava improvvisamente impazzito.

 

Perchè?

 

Deve essere lo spavento, cercò di convincersi.

Non aveva niente a che vedere con il fatto che aveva involontariamente infilato un ginocchio tra le gambe dell’altro, nel tentativo di evitare che gli franasse addosso o che, il biondo, per reggersi, aveva puntellato i gomiti ai lati della sua testa, portando i loro visi a pochi centimetri uno dall’altro.

 

Solo pochi centimetri d’aria tiepida e profumata.

 

Gli occhi del moro scivolarono inevitabilmente sulle labbra del compagno, nuovamente così vicine, così invitanti.

Vide Fuji passarvi la lingua sopra, lentamente, e il suo sguardo la seguì, ipnotizzato, osservandola mentre le accarezzava, lasciva, bagnandone l’intera superficie, arrossandola, rendendola morbida, umida e lucente... per lui.

 

Solo per lui...

 

Con un rantolo Tezuka coprì la distanza che ancora li separava e posò la bocca su quella del compagno di squadra, ritrovandosi a rovesciarlo sul pavimento, per impedirgli ogni via di fuga, prima di rendersi pienamente conto di quello che stava facendo.

Sussultò ritraendosi di scatto, gli occhi sgranati piantati sul volto arrossato dell’amico.

“Tezuka...?” soffiò piano Fuji sollevando una mano per sfiorarsi, sorpreso, laddove il moro, solo pochi istanti prima aveva posato le labbra.

“Scusami...” gracchiò Kunimitsu incredulo.

 

Aveva baciato Fuji!!

 

Il suo compagno di squadra... maschio!

E gli era piaciuto!

Gli era piaciuto da morire...

 

“Perchè?” la domanda e il tono dolce, gentile, con cui era stata pronunciata lo riportarono bruscamente al presente.

Fissò il biondo  perplesso e questi ripetè pazientemente: “Perchè ti dispiace?”

 

Perchè gli dispiaceva?

In effetti Tezuka in quel momento provava di tutto fuor che dispiacere.

 

Fuji gli porse un sorriso carico di tenerezza e poi allungò una mano sfiorandogli con dita leggere la guancia destra prima di accostare nuovamente il viso al suo e accarezzargli le labbra con le proprie.

Il moro lo fissò incredulo ma il ragazzo non demorse, socchiuse le palpebre e si sporse di nuovo verso di lui.

Tentativamente, non del tutto certo di quel che stava facendo e di ciò che esso comportava, Tezuka gli andò incontro permettendo alle loro bocche d’incontrarsi nuovamente.

 

Le labbra di Fuji erano morbide, esattamente come le aveva immaginate.

 

Il moro allungò la lingua seguendo un istinto improvviso, desideroso di scoprire se erano anche dolci come sembravano e Fuji emise un debole sospiro, socchiudendole per lui, permettendogli di violarle.

L’incendio che ruggiva nelle vene del capitano del Seigaku divenne un inferno di fiamme quando la sua lingua scivolò in quell’anfratto caldo che si schiuse per lui, arrendevole, accogliendolo, permettendogli d’incontrare la sua compagna.

E Fuji si lasciò accarezzare prima di muoverglisi incontro, con un mugolio, cercandolo, trovandolo, danzando con lui.

Si lasciarono dopo pochi minuti a corto di fiato, le guance arrossate, gli sguardi confusi e Tezuka registrò distrattamente che erano ancora semi distesi sul pavimento e che teneva protettivamente il biondo tra le braccia.

 

Gli sembrava così naturale.

Così giusto.

Ed era così piacevole...

 

“Mettiti con me...” Fuji glielo soffiò con voce leggermente ansante piantando le iridi lucenti nelle sue, strappandogli quel poco respiro che gli era rimasto nei polmoni.

“Che... cosa...?” fu l’unica cosa che riuscì a dire.

Il suo cervello era una tavola rasa.

“Credi che mi lasci baciare da tutti quelli che passano?” mormorò il biondo con voce dolcemente divertita fissandolo con tenerezza.

 

In effetti Tezuka non lo credeva.

E a dirla tutta... non gliel’avrebbe mai permesso!

La sola idea di quelle labbra che si concedevano a qualcun’altro gli accendeva in corpo una collera cieca a cui non sapeva, o non voleva, dare un nome.

 

“Fujiiii! Ti sei perso?!”

 

La porta della classe si spalancò di botto inquadrando nella sua cornice il viso gioioso e la capigliatura rosso fuoco di Kikumaru che posò lo sguardo su di loro per un intero secondo prima di realizzare ciò che stava vedendo.

“Oh!”  esclamò fissandoli con occhi sgranati, le guance che si andavano velocemente tingendo di rosso.

“Oh!” ripetè facendo un passo indietro.

“Mi... mi... dispiace!” ansimò chiudendo la porta di scatto.

Ascoltarono i suoi passi allontanarsi veloci prima di tornare a fissarsi.

Allora Tezuka si rese conto che era ancora sdraiato su di lui e si alzò velocemente mormorando una scusa a mezza voce, tendendogli una mano per aiutarlo a tirarsi su e Fuji sospirò mestamente, accettando il suo aiuto prima di fronteggiarlo nuovamente.

“Tezuka...?” lo chiamò incerto.

Ma il moro sfuggì il suo sguardo, gli occhi blu insondabili più che mai.

Fuji strinse la mascella, ferito, ma scosse il capo, rifiutandosi di arrendersi.

“Ti chiedo solo di pensarci un po’... ok?” sussurrò dolcemente, allungando una mano per sfiorargli il braccio destro, una carezza leggera, discreta, quasi rassicurante, prima di lasciare l’aula silenziosamente, abbandonando Tezuka ai suoi pensieri.

 

...

 

“Pensaci un po’...” aveva detto Fuji ma Tezuka aveva deciso che non poteva farlo.

Doveva seguire le lezioni, organizzare gli allenamenti, parlare con Oishi del ritiro che da lì a poco avrebbero affrontato... non aveva tempo per pensare ad altro.

Aveva dei doveri da svolgere in quanto studente e in quanto capitano.

Se l’era ripetuto fino allo sfinimento per tutto il giorno... inutilmente.

Per quanto si fosse imposto con tutte le proprie forze di non cercare il biondo, il suo sguardo finiva inevitabilmente su di lui.

Sul suo viso, sulle sue mani, sulle sue labbra, sul suo corpo.

E a quel punto immancabilmente il fuoco ruggiva dentro di lui.

Per quanto avesse tentato di evitare il ragazzo il più possibile sembrava che ogni fibra del suo essere fosse tesa ad individuarne la posizione.

Per quanto si sforzasse di concentrarsi su altro sembrava che tutto complottasse contro di lui.

La leggera brezza estiva gli portava il suo profumo, le matricole smettevano di fare baccano proprio quando Fuji scambiava qualche frase con Kikumaru, consentendogli così di ascoltare la sua voce e, ciliegina sulla torta, due ragazzine sbavanti si erano piazzate a pochi metri da lui, dietro la rete di recinzione, e avevano passato tutto il pomeriggio a sospirare su quanto fossero belli i capelli di Fuji, su quanto fossero misteriosi i suoi occhi, su come fosse elegante il suo modo di muoversi... Quando avevano cominciato a sospirare sul suo corpo Tezuka si era allontanato con uno scatto per evitare di compiere un omicidio.

 

Non aveva bisogno di sentirsi raccontare com’era fatto Fuji.

Lo sapeva alla perfezione.

Lo aveva stretto tra le braccia solo qualche ora prima e ricordava con estrema, meticolosa, precisione, ogni curva del suo corpo snello.

Ne aveva registrato ogni forma, a fuoco, contro il proprio.

 

“Pensaci un po’...”

 

Erano ore che non faceva altro!

 

Tezuka aprì la porta dello spogliatoio, cupo, sbarrando la strada al ragazzo che ne stava uscendo.

Stava per gelare il malcapitato con la sua peggior occhiata quando avvertì il suo profumo accarezzargli il viso, sentì il suo calore attraversare la leggera barriera della divisa per fonderglisi nella pelle e si ritrovò a fissare un paio di occhi verde bosco, lucenti.

“Oh... scusa...” soffiò il biondo facendo un passo indietro, per permettergli di passare.

“Non fa niente...” mormorò Tezuka con il suo tono più piatto, distratto, lo sguardo posato sulle sue ciocche ribelli.

Avevano davvero il colore del miele come non avevano fatto che ripetere le due oche poche ore prima, il sole le accendeva di riflessi dorati e vi scivolava in morbide ombre ambrate.

La mano di Tezuka formicolò e il moro dovette stringerla con forza, a pugno, per impedirsi di sollevarla e portargli dietro l’orecchio una di quelle fiammate di luce, magari cogliendo l’occasione per accarezzargli una guancia, sfiorargli l’orecchio e poi scivolare con la punta delle dita sulla sua gola candida...

 

Che cavolo andava a pensare?!

 

“Dobbiamo parlare...” mormorò, deciso a mettere fine a quella situazione assurda.

Fuji lo fissò incerto, mordicchiandosi le labbra, “Allora ti aspetto...” disse e Tezuka annuì con il capo, superandolo per entrare nel piccolo edificio, senza degnarlo di un altro sguardo.

 

...

 

Il moro non ci mise molto a fare la doccia e cambiarsi.

O almeno... non ci mise quanto avrebbe voluto.

Aveva detto a Fuji che dovevano parlare ma non aveva davvero idea di che cosa dirgli.

L’acqua fredda lo aveva aiutato a fare un po’ di chiarezza tra i suoi pensieri senza tuttavia fornirgli delle risposte.

Baciarlo era stato molto piacevole... a dirla tutta era stata una delle sensazioni più belle che avesse mai provato e quel fuoco che ultimamente sembrava deciso a divorarlo trovava sfogo solo quando l’altro gli era accanto.

Però Fuji era un ragazzo.

Un suo compagno di classe.

Un membro della sua squadra.

Poteva mettersi con lui?

 

No, non poteva farlo.

 

Anche se sarebbe stata dura dirglielo.

Anche se non era sicuro che fosse davvero quello che voleva, Tezuka aveva deciso che quella era l’unica risposta saggia da dare.

Uscì dagli spogliatoi guardandosi attorno, alla ricerca della causa di tutti i suoi problemi.

Fuji era seduto sul muretto di recinzione del campo, poco distante, la sacca abbandonata a terra, il capo leggermente piegato all’indietro, appoggiato alla rete, il volto offerto ai baci dei raggi dorati del tramonto, gli occhi chiusi e il corpo lievemente inarcato per assaporare appieno la carezza della brezza profumata che sembrava riverirlo in silenzio, portandogli con cura i capelli indietro, in modo che non gli scivolassero sul viso.

Il moro lasciò la sacca a terra, appoggiandola al muro dello spogliatoi e gli si avvicinò in silenzio, facendo scorrere lo sguardo su tutta la sua figura prima di fermarsi al suo fianco e Fuji socchiuse le palpebre quando avvertì la sua ombra delinearsi sul proprio viso porgendogli un lieve, incerto, sorriso, negli occhi verdi speranza e paura.

 

Così fragile e forte al contempo.

 

Si stava esponendo completamente, metteva nelle sue mani la sua felicità e Tezuka si ritrovò a pensare che lo aveva visto arrabbiato, serio, sorridente, malizioso... ma mai triste.

E non lo aveva nemmeno mai visto spaventato come era in quel momento.

 

Non gli piaceva.

 

Non gli piaceva leggere tormento in quelle iridi sfaccettate, e la sola idea di ferirlo gli rovesciava lo stomaco.

Allungò una mano e gli accarezzò una guancia, fece scivolare le dita a sfiorargli il collo e poi gli intrappolò delicatamente il mento tra le dita mentre abbassava il viso per posare le labbra sulle sue.

Fu un bacio lieve, appena un morbido, delicato, sfiorarsi ma accese miliardi di luci negli occhi verdi di Fuji rendendoli scintillanti come stelle.

“Era un sì...?” gli chiese con voce leggermente incrinata, soprafatta dall’emozione.

Il capitano del Seigaku annuì con il capo rispondendo istintivamente al sorriso che sbocciò sul viso del compagno a quel suo gesto.

Forse quella non era la risposta più saggia da dare... ma in quel momento non gliene veniva in mente nessun’altra.

 

continua....

 

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